E’ morto Aldo Anghessa?

Stamattina sfogliando il giornale locale mi è caduto l’occhio su un articolo che mi ha rattristato: “Morto Aldo Anghessa, l’ex 007 protagonista dei veleni in procura”. Ne avevo sentito parlare negli anni ’90, personaggio decisamente controverso e affascinante; trovarlo qui, tra blogger, confesso che mi ha incuriosito molto; nelle sue vicende passate, 007 o no, non mi addentro perché ha vissuto sicuramente tempi turbolenti e del resto su Internet si potrà trovare di tutto (e il contrario di tutto), io ho sempre trovato i suoi post interessanti, spesso caustici, nella sua rubrica delle “Cattiverie” raccontava spesso vicende sconosciute al grande pubblico, e dovremmo chiederci come mai lo siano… profondo conoscitore dell’Africa, colto, esperto (credo anche per lavoro) di geopolitica e di armamenti; guardava al mondo con occhi disincantati e mi trovavo spesso a concordare su qualche sua riflessione con un pizzico di nostalgia, anche se quando succedeva era il primo a dire che bisognava reagire virilmente senza lasciarsi abbattere. Era un estimatore della mia Olena, forse perché di donne come Olena nella sua vita ne avrà conosciute parecchie; in questi anni di frequentazione virtuale ci siamo sempre dati del “lei”, come si fa tra persone che si stimano ma senza quella confidenza che può portare alla mancanza di rispetto o forse per rimarcare che eravamo stati entrambi ufficiali, e tra gradi diversi ci si da del lei… mi mancheranno anche i suoi commenti su vicende della Seconda Guerra Mondiale o anche della Prima, spesso sconosciute, dove non mancava di elogiare gli eroismi dei singoli a fronte troppo spesso di gravi incapacità quando non connivenze degli alti gradi. A suo modo è stato dentro un pezzo di storia italiana; mi mancherà come sono sicuro che mancherà a tanti che seguivano i suoi scritti. Ma magari il giornale si è sbagliato, e non è vero niente…

Pakistonia

Mi dissocio da quanto me stesso ha scritto. Lo penso ma non dovrei dirlo, o forse lo dico ma non dovrei pensarlo. La mia parte destra piglia a mazzate quella sinistra, e viceversa; l’ateo bastona il credente, e tutte e due bastonano l’agnostico. Il Titanic affonda e all’orizzonte non c’è nemmeno una Ong; il giorno di ordinaria follia si sta avvicinando e allo specchio vedo Michael Douglas, purtroppo senza Catherine Zeta-Jones, accarezzare la mazza da baseball. La solita scimmia nuda urla “E ‘mó basta!” e l’infermiere in camice bianco gli liscia la testa. Che si fotta!  

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Non molto distante dal mio paese natale c’è un paese che si chiama Corridonia. Il nome è abbastanza recente, in quanto gli fu attribuito nel 1931 in onore di una personalità illustre, quel Filippo Corridoni socialista e sindacalista rivoluzionario, interventista, morto durante la prima guerra mondiale ed arruolato post-mortem tra i numi tutelari del fascismo.

Simpaticamente gli abitanti dei paesi vicini, data la folta comunità Pakistana presente, l’hanno recentemente ribattezzata Pakistonia.

Nel mio paese, che lo ricordo è in collina, c’è un vecchio asilo di infanzia, non più utilizzato, situato in una posizione invidiabile, al posto di un pezzo di antico muro di cinta, con un’enorme terrazza da cui si può godere il panorama fino alle montagne. C’era un vecchio progetto di riconversione in mini-appartamenti per anziani, necessità estremamente sentita dato il continuo allungamento dell’aspettativa di vita. I lavori sono stati fermi per anni e sono ora ripresi; gira però la voce che il progetto non sia più quello originario ma si stia lavorando per apprestare un centro di accoglienza per immigrati; mio padre non ne era a conoscenza, e un po’ scettico mi ha chiesto: “ma dove vanno a pigliarli tutti questi immigrati?” e quando ho ipotizzato che fossero quelli che arrivano con i barconi, ridendo mi fa: “e le barche dove le mettono?”.
Ma tutto può essere, vedremo presto se l’asilo che mi ha visto presente per soli tre giorni nella vita riprenderà vita per richiedenti asilo e non solo.

Il governo l’altro giorno sembrava aver avuto una idea che, essendo di buon senso, è stata subito accantonata: se tu, nave che non fai parte di missioni internazionali e che batti bandiera francese o inglese o panamense, insomma non italiana, ti metti a due passi dalle acque territoriali libiche (quando non dentro) a soccorrere barconi, sfidando le accuse di fare da taxi ai clandestini e persino di essere in combutta con gli scafisti, i passeggeri te li porti a casa tua. Apriti cielo! Attacchi a non finire, ci si accanisce con i deboli, si va contro i trattati internazionali, si va contro il diritto del mare, si è disumani.
Ma nessuno aveva mica detto di ributtarli in mare. Solo che se vieni dalla Nuova Zelanda per salvare persone è giusto che le porti nel tuo paese, dove potrai accudirle meglio.
Avrei voluto vedere cosa avrebbe fatto, ad esempio, la Francia, a trovarsi le navi di Médecins Sans Frontières ripiene di migranti a Mentone; li avrebbe ammassati a Ventimiglia?

Ricordiamo a Macron che è stato il suo paese, guidato da quell’altro tappetto di Sarkozy, ad andare a far casino in Libia, tirandosi poi dietro la Nato; che la Libia di Gheddafi era un collettore di immigrazione e conteneva per conto di tutta l’Europa e non solo nostro, con le buone o le cattive, quelli che adesso Macron rifiuta di prendersi.

A Madrid ho visto un palazzo dove c’era un enorme striscione: Refugees Welcome.
E’ il classico modo di fare gli accoglienti col didietro degli altri; perché se fossero così contenti di accogliere rifugiati potrebbero rimuovere i muri a Ceuta e Melilla, e si vedrebbe poi quanti striscioni comparirebbero.

Sono ormai convinto che questa spinta migratoria non sia spontanea ma manovrata per almeno due motivi: a) l’introduzione di persone disposte a lavorare per due lire e senza diritti b) l’islamizzazione della società.
In tutti e due i casi gli alleati sono quelli che più avrebbero motivi per opporsi e più hanno da perdere: nel primo tutta la sinistra e specialmente quella radicale, ovviamente in nome dei diritti umani; ma che diritto umano è quello di venir qua a raccogliere pomodori, quando va bene, a 3 euro all’ora? Ma uno sforzo di realismo quando si vorrà fare? Quante persone siamo in grado di accogliere e di far vivere dignitosamente? Altrimenti di che accoglienza parliamo, quella che dà profitto a chi accoglie?

Non stendo, anche se sarebbe meglio, un pietoso velo sulle ultime esternazioni di Boeri sulla necessità dei lavoratori immigrati. Ma che c’entra? Chi la nega? Abbiamo cinque milioni di stranieri residenti in Italia, qualcuno pensa di buttarli fuori? Cosa c’entrano con l’immigrazione incontrollata? Se si chiede piuttosto a loro cosa pensano del sistema attuale, magari a quelli che sono arrivati trent’anni fa, la risposta è unanime: siamo deficienti. E Boeri, perché non pensi ai voucher, e perché non dici che dei milioni di voucher utilizzati nei due anni passati ai beneficiari non andrà una lira di pensione, e i contributi se li intasca l’Inps a fondo perduto? Come peraltro per i nuovi voucher che il governo truffaldinamente ha reintrodotto?

Nel secondo caso chiamo in causa, genuflettendomi, la Chiesa cattolica. Mi chiedo, non per fare il Salvini, perché tutti gli Sceicchi, Emiri, Sultani musulmani straricchi, invece di finanziare guerre sante per la barba di Maometto, non aiutano i loro “fratelli” a casa loro? Sono stufo di sentire che dobbiamo risarcire l’Africa per il colonialismo! Gli arabi l’hanno depredata per secoli, quelli che raccoglievano schiavi erano loro, e la schiavitù qualche paese l’ha avuta fino alla seconda guerra mondiale. Quando mio nonno è andato a conquistare l’Etiopia di Hailé Selassié (sbagliando, per carità, ma se hanno uno straccio di strada e ferrovia è perché gliel’abbiamo costruita noi…), vigeva ancora la schiavitù, lo sappiano i beati rastafariani! Questi figli di negrieri vogliono sparpagliare musulmani in Europa ma si guardano bene dal condividere le loro ricchezze, vogliono sfruttare il buon cuore, le code di paglia e gli stati sociali di quelle società che poi disprezzano per la loro lassezza ed i costumi troppo liberali.
E chiedo, a queste società arretrate, perché questo sono: quando vi libererete di questi parassiti?

Temo che la chiesa, in grave crisi di fedeli vocazioni e identità, operando in maniera indiscriminata stia lavorando contro se stessa e favorirà non la sua parte migliore ma i gruppi più radicali al suo interno; che la politica del “poverini” e della pacca sulla spalla senza progetti avrà come sbocco l’islamizzazione della società; che i laici avranno da rimpiangere la chiesa bigotta di cui tanto si lagnano; l’ecumenismo è un’utopia, per non dire una stupidaggine, che può forse funzionare tra chiese cristiane (tutto da dimostrare) ma non certo con i musulmani.
Ad essere troppo buoni si passa per coglioni, e noi temo stiamo superando abbondantemente quel limite.

L’Africa ha tanti problemi, siamo d’accordo. Tanti li abbiamo causato noi e tanti li alimentiamo, può essere. Ma sono passati più di settant’anni dalle loro indipendenze. Per fare un esempio, in Niger che è uno dei paesi più poveri del mondo, ogni donna partorisce quasi sette figli a testa. Devo andare io a dirgli che forse è meglio fare un po’ meno figli e cercare invece di mettersi insieme per star meglio? Ma pensate che le vostre rivoluzioni debbano farvele gli altri? Il Che è morto da un pezzo, cercate di darvi una svegliata care risorse, che qualche problemino cominciamo ad avercelo pure noi.

(150 – e ‘mó basta)

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Ius soli (ed altre sòle)

Cosa c’è di meglio, quando si truffano i cittadini scippandoli di un referendum abolendo l’oggetto del contendere (l’utilizzo indiscriminato dei Voucher) e passato il pericolo infilandoli con un nuovo nome (PrestO) nella manovrina finanziaria correttiva ponendo la fiducia, che usare una bella arma di distrazione di massa sulla quale i cittadini si possano accapigliare senza disturbare il manovratore?

Mumble mumble avranno pensato i soloni: i matrimoni gay e la stepchild adotion l’abbiamo già usata, la legalizzazione della cannabis la teniamo per la finanziaria, perché non rispolverare lo Ius Soli che in questo momento può essere un bell’argomentino caldo, invece di parlare dei contenuti della manovra stessa (una per tutte: tolgono il centesimo e i due centesimi. Quindi si arrotonderà tutto ai cinque centesimi superiori, nella migliore tradizione euro. Poi dice uno li prende a calci nel didietro) o delle modalità con cui stiamo gestendo migliaia di migranti, pretendendo di salvare tutta l’Africa e caricandoci di ragazzi che teniamo a bagnomaria e non potrebbe essere diversamente dato che non sappiamo cosa far fare nemmeno ai ragazzi italiani?

Ma dell’industria dell’accoglienza parlerò un’altra volta. Ne penso tutto il male possibile ed ogni giorno c’è qualche episodio che conforta le mie convinzioni.

Sfatiamo due convinzioni dettate dall’ignoranza degli opposti schieramenti:

  • NON è vero che per un ragazzo straniero oggi non sia possibile diventare cittadino italiano;
  • NON è vero che la legge che si sta discutendo introduce l’automatismo per cui chi nasce in Italia diventa ipso facto cittadino italiano.

Quindi si confrontano due convinzioni, alimentate da un lato da pregiudizi e dall’altro da una “narrazione” di convenienza, entrambe false.

Per sostenere la necessità e anzi improcrastinabilità di questa legge si assiste allo sfruttamento di qualche storia patetica che coinvolge dei ragazzi, molto utili da usare quando si tratta di muovere a compassione e in modo da avere anche pronta l’accusa di cinismo, insensibilità, beceritudine o razzismo verso chi non fosse d’accordo.

Tattica mediatica standard, anche il Qatar sta usando delle famiglie divise tra Bahrein e Qatar per sensibilizzare sulla disumanità del blocco a cui sono stati sottoposti dai “fratelli” arabi; il bambino siriano morto su una spiaggia in Turchia ha fatto il giro del mondo ma purtroppo non è stato usato per chiedersi perché e da chi la Siria è stata ridotta così, è un esercizio troppo gravoso per le menti caritatevoli. Andava liberata da un “feroce dittatore” a costo di armare i peggiori tagliagole del pianeta e provocare centinaia di migliaia di morti e un esodo biblico ma tanto basta.

Mi si permetta una provocazione: l’altra sera Santoro ha trasmesso un programma sui ragazzi di Napoli che da quando nascono (già vecchi) a quando muoiono (di solito giovani) vivono da delinquenti in mezzo alla delinquenza. Quando questo Stato si deciderà a farli diventare cittadini italiani?

Ma torniamo ai ragazzi stranieri.

 “Può acquisire la cittadinanza italiana lo straniero nato e residente in Italia senza interruzioni fino ai diciotto anni e che dichiara, entro il compimento del diciannovesimo anno, di voler acquisire la cittadinanza italiana.
Si tratta di una forma “condizionata” di ius soli, suscettibile di trovare applicazione soltanto in presenza dei tre suddetti requisiti: nascita in Italia, residenza ininterrotta fino al compimento della maggiore età, dichiarazione entro un anno dal compimento della maggiore età.”¹

Quindi partirei dal fatto che chi non è diventato cittadino italiano, con le regole attuali,  o non ha fatto la domanda o non disponeva dei requisiti necessari .

Con la riforma in discussione si introducono, rispetto alla legislazione vigente, alcune novitಠche riguardano specialmente i minori ma non solo:

  1. Ius soli “temperato”, dove la cittadinanza per nascita è riconosciuta a chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, dei quali almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  2. Ius culturae, quando il minore straniero sia nato in Italia o sia arrivato entro il compimento del 12° anno di età, ed abbia frequentato regolarmente per almeno 5 anni uno o più cicli di istruzione;
  3. Naturalizzazione, per lo straniero entrato prima della maggiore età, residente da almeno sei anni, che abbia frequentato regolarmente un ciclo scolastico e conseguito la qualifica.

In tutti e tre i casi l’attribuzione della cittadinanza non è automatica. Per i minori la domanda deve essere fatta da uno dei genitori; e nel terzo caso la concessione è discrezionale e dipende da diversi fattori, non basta certo essere andati a scuola. Se uno è pregiudicato, ad esempio, difficilmente potrà avere la cittadinanza.

Se la legge passerà, alcune stime ipotizzano che il numero dei possibili beneficiari immediati sia intorno agli 800.000, ed a regime saranno un 50-60 mila l’anno (ipotetici perché come detto non c’è automatismo, bisogna vedere quanti genitori chiederanno la cittadinanza, specialmente da quei paesi dove non è ammessa la doppia cittadinanza).

Che dire? Come cittadino italiano mi sento orgoglioso che tanti si sentano e vogliano diventare italiani, in un momento in cui tanti italiani sembrano vergognarsi di esserlo; spero ed auspico che le nuove forze,  fresche e vitali, diano piena completezza a quella cittadinanza che raggiungeranno, con intelligenza e impegno.
Giovani italiani, fatevi onore.

(143 – continua)

p.s. Probabilmente se  vigesse ancora l’obbligo del servizio di leva il numero di aspiranti cittadini calerebbe vertiginosamente, ma questa è solo una mia illazione.

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¹ cit. https://www.cittadinanza.biz/cittadinanza-italiana-per-stranieri/

² cit. https://www.cittadinanza.biz/riforma-della-cittadinanza-italiana-ecco-il-testo-della-nuova-norma/

Standing ov(ul)ation

In attesa che la ministra della Salute e della Riproduzione faccia spirare per decreto quel ponentino che tanto stimolerebbe la crescita demografica (di cui sono un serio studioso come ho già dimostrato nel saggio Demografia e libertà ), mi trasformo in Alberto Angela e fornisco alcuni dati che aiutano ad inquadrare il problema. Sulle soluzioni, al momento, i pareri sono discordi.  Non invento niente: quanto riporto è un copia-incolla degli indicatori demografici del rapporto Istat 2015, che confronto (in rosso, per i non daltonici) con quelli di un paese africano preso a caso facendo an-ghin-gò sulla carta geografica: la Tanzania¹

***

Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l’8,3% della popolazione totale (+39 mila unità). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Tanzania: 51 milioni 45 mila.

I morti sono stati 653 mila nel 2015 (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi (Tanzania 8 per mille. Da noi l’8 per mille è un’altra cosa). L’aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Il picco è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza.

Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L’età media delle madri al parto sale a 31,6 anni. (Tasso di fecondità delle tanzaniane: 4,89; età media al primo parto: 19,5)

Il saldo migratorio netto con l’estero è di 128 mila unità, corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille. Tale risultato, frutto di 273 mila iscrizioni e 145 mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali. Le iscrizioni dall’estero di stranieri sono state 245 mila e 28 mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l’estero riguardano 45 mila stranieri e 100 mila italiani.

Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale (in Tanzania il 2,79). In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva di 15-64 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) sia quella fino a 14 anni di età (8,3 milioni, il 13,7% _ in Tanzania il 44,34% _). L’indice di dipendenza strutturale sale al 55,5%, quello di dipendenza degli anziani al 34,2%.

Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85). L’età media della popolazione aumenta di due decimi e arriva a 44,6 anni. (In Tanzania per ora si vive meno, e questo dovrebbe sconsigliare dall’ andar da quelle parti a passare la vecchiaia: 61,71 anni; l’età media però è di 17,5 anni).

***

Insomma, a leggere asetticamente le cifre sembra i tanzaniani  si riproducano freneticamente  mentre noi ci estinguiamo come i dinosauri; è evidente che non abbiamo più voglia o non siamo più capaci di fare figli; tutto sommato guardandosi intorno potrebbe anche essere una buona notizia, chissà. 

¹ Fonte: Word Factbook (Cia)

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Profilassi prima di tutto!

Di questi tempi non è da poco imbattersi in una notizia che possa sollevare il morale, sovrastati da disastri, naturali e non, e dalle tonnellate di retorica che vi si riversano in sopraggiunta.

I fatti in questione sono avvenuti in Uganda lo scorso giugno; confesso che per documentarmi su questo paese sono ricorso al World Factook della Cia libro che, nonostante la provenienza, non contiene informazioni segrete ma analisi sintetiche e aggiornate su tutti i paesi del mondo, compreso il nostro.

E’ successo dunque che  1300 studenti della scuola secondaria (privata) di Aduku abbiano protestato vivacemente contro il divieto per le ragazze di indossare minigonne e pantaloncini corti. Le autorità scolastiche avevano provveduto a confiscare alle studentesse questi peccaminosi capi di abbigliamento; non è ben chiaro se i suddetti siano stati sfilati alle legittime proprietarie oppure sequestrati dopo scrupolose perquisizioni degli alloggi.

La cosa ha comprensibilmente infastidito i ragazzi, che ai pantaloncini avrebbero anche potuto rinunciare ma sul diritto alla minigonna non erano disposti a transigere; tra l’altro le ugandesi sono generalmente di coscia abbastanza forte, ed il privarne la visione è stata ritenuta una vera e propria provocazione.

C’è da dire che l’aria era già abbastanza surriscaldata: i ragazzi chiedevano da tempo che l’orario del porridge mattutino, che per chi non lo sapesse è una zuppa di latte e avena, fosse spostato dalle 6 ad un orario più consono. Solidarizzo per le minigonne (come potrete vedere da qui ) ma non per la zuppa; se il problema è di non rimanere assonnati a lezione, avrei consigliato di applicare la vecchia regola: sette ore dorme il corpo, otto ore dorme il porco, e regolarsi di conseguenza sull’orario della ritirata.

Ma come mai in Uganda ci si preoccupa così tanto della lunghezza delle gonne, mi sono chiesto? Possibile che non abbiano altri problemi, come dire, più pressanti? Il provvedimento, ispirato dal ministero per l’Etica e l’Integrità retto non a caso da un ex-prete, è inquadrato nella legge anti-pornografia. Il ragionamento è: siccome andare in giro in minigonna provoca eccitazione sessuale negli uomini, la minigonna va vietata. La regola ad essere sinceri varrebbe anche a parti invertite, e se qualche maschio ugandese avesse l’abitudine di girare in minigonna sappia che incorrerebbe nei rigori della legge. Anche gli scozzesi in kilt correrebbero dei rischi, credo.

Mi sono messo per un attimo nei panni del ministro. Non in minigonna, preciso. La fascia più popolosa di età nel suo paese va dagli 0 ai 14 anni: giovanissimi, insomma. Moltissime ragazze abbandonano precocemente gli studi perché incinta oppure per sposarsi (quasi sempre incinta). Ciliegina sulla torta, su una popolazione di 37 milioni di abitanti, un milione e mezzo circa è affetto da AIDS o risulta sieropositiva. Vista dalla sua ottica, la misura sarà sembrata più precauzionale che repressiva.

Del resto, che il cervello per tanti uomini non sia la parte predominante per l’elaborazione del pensiero è risaputo.

Per restare in argomento sono stato colpito, una volta tanto positivamente, da una pubblicità di una nota marca di profilattici che invita a munirsi del proprio prodotto perché in Italia si pratica, in media, una interruzione di gravidanza ogni 5 minuti. Tra l’altro essendo classificato come dispositivo medico si può scaricare lo scontrino della farmacia tra le spese mediche. L’informazione mi sembra meritevole di essere divulgata alle giovani generazioni, almeno quelle non dedite esclusivamente a rapporti virtuali; anche il solerte ministro per l’Etica dovrebbe prenderne nota, e magari organizzare una distribuzione gratuita. Qualche onlus potrebbe prendersi la briga di organizzare una raccolta, o magari promuovere adozioni a distanza: lo slogan potrebbe essere “adotta un volatile in Uganda”, più o meno.

(106. continua)

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Insalata di Farro e tristezze miste

In preda ad un attacco salutista dovuto probabilmente ai sensi di colpa derivanti da sovra-libagioni estive ieri, invece della pasta pasticciata che lo  chef della mensa che frequento proponeva riciclando sapientemente gli  avanzi del giorno precedente, ho voluto mortificarmi prendendo l’insalata di farro.

Non sottovaluto l’importanza storica di questo alimento, che ha accompagnato le legioni romane per secoli; tuttavia confesso che fino a pochissimo tempo fa la mia dieta ne ignorava l’utilizzo e ciò nonostante sono sopravvissuto discretamente.   Sembra comunque che abbia delle proprietà positive rispetto ad altri cereali: meno glutine, meno calorie. S’intende, benefiche per chi ha la pancia piena, perché per gli altri qualche caloria in più non guasterebbe.

Ultimamente c’è stata una riscoperta, grazie allo sviluppo dell’agricoltura biologica, di tante coltivazioni di cui si era persa memoria. Le reputo iniziative lodevoli, e attribuisco interamente alla mia ignoranza l’incapacità di cogliere questa gran differenza tra bio e non bio se non nel prezzo:  e se mi vedrete dondolare la testa su e giù davanti ad un piatto di farro in segno di approvazione è solo per non fare la figura del retrogrado.

Insomma, a me il bio mette tristezza. Il mio inconscio si rifiuta di associarlo a belle tavolate di gente festante, ma piuttosto a sette di penitenti intenti a vendere l’argenteria della nonna per acquistare da perfidi spacciatori dosi giornaliere di zucchine e melanzane. Quando invece penso alle cose genuine, ai sapori di una volta, penso a quei bei pranzi della gioventù.

Sapete, una volta le famiglie di lavoratori non andavano al ristorante. Tra l’altro mezzo secolo fa, dalle mie parti ovvero sulle colline maceratesi, non è che ci fossero tutti questi ristoranti. Quando lo facevano, era per occasioni speciali: matrimoni, comunioni, cresime. Battesimi e funerali no. Siccome i figli erano parecchi, comunioni e cresime venivano ottimizzate per fare in modo di accorparne almeno un paio alla volta.

Il pranzo tradizionale di matrimonio, una maratona del gusto, consisteva con piccole varianti di:

  • antipasto di affettati misti: ciabuscolo, salame lardellato, a volte salsiccia di fegato, lonza, prosciutto; a proposito della lonza, in alcune zone d’Italia viene chiamata coppa, mentre nel maceratese è la soppressata ad essere chiamata coppa;
  • minestra per sciacquarsi la bocca, in genere straccetti ovvero uova strapazzate nel brodo di carne bollente;
  • lesso (“l’allesso”), da non confondere con il bollito; la carne usata per il brodo, insomma, cioè mucca e gallina (vecchie entrambe), e anche cappone,  con contorno di verdure, spinaci o erbette.

Questa prima parte serviva, come si diceva, “per preparare lo stomaco”, poi si passava ai primi:

  • tagliatelle all’uovo (o pappardelle) con sugo di papera (anatra);
  • ravioli di ricotta con sugo di pomodoro;
    qui voglio dire, e spero di non offendere nessuno, che gli sfogliavelo non mi piacciono: la pasta per me si deve sentire sotto i denti, e quella si sentiva, eccome.

Dopodiché, dopo una doverosa pausa, si passava ai secondi:

  • arrosto misto (pollo, maiale, agnello, vitello) con insalata per pulire la bocca;
  • frittura mista (la carne di cui sopra, ma fritta; olive ascolane; crema fritta).

Infine gran finale, con lingue impastate e palpebre cascanti:

  • pizza battuta (ovvero pan di spagna) farcita con crema pasticcera; oppure crostate con frutta di stagione; ovviamente spumante, di solito Moscato;
  • caffè e ammazzacaffè (i più duri prima si facevano il caffè corretto al Varnelli e, poi, l’ammazzacaffè)

Ora che mangio come un uccellino, anche se la mia consorte afferma il contrario, mi chiedo come fosse possibile, considerando anche i bis; venivamo diffidati dal mangiare il pane per non riempirci, al contrario di quanto succedeva a casa, dove invece venivamo esortati a mangiarlo eccome.

Mio padre lavorava abbastanza spesso per un’impresa edile; quando un cantiere si chiudeva era usanza, e spero sia rimasta ancora oggi, che il titolare offrisse la cena a tutte le maestranze: carpentieri, muratori, idraulici, elettricisti. Due o tre volte partecipai anch’io, un po’ intimorito da quella gente rude; in genere non spiccicavo parola, ingenerando in quegli uomini il dubbio che quel figlio di Nino, di cui si decantava l’intelligenza, fosse purtroppo muto.

Ve ne sarete senz’altro accorti, che in questi giorni a Rio de Janeiro si stanno svolgendo le XXXI Olimpiadi dell’era moderna. Mangiando quell’insipido farro, e orgoglioso per meriti non miei, riflettevo sul fatto che gli atleti italiani sono come sempre nei primi posti del medagliere ed hanno, da soli, più medaglie di tutta l’Africa messa insieme.

Come pingue rappresentante di questa parte opulenta del mondo, sono incline all’autocritica. E sia: colonialismo, sfruttamento, colpi di stato, FMI, Banca Mondiale e via discorrendo. Ma non sarebbe ormai onesto da parte delle elites dei paesi africani, a più di sessant’anni dalle varie indipendenze, fare delle considerazioni e dei consuntivi su come questa indipendenza l’hanno usata? Hanno operato per il bene comune od hanno pensato più che altro ad arricchire loro e i loro clan? Pochi ne escono bene.

Non vorrei sembrare un sostenitore del fardello dell’uomo bianco o un nostalgico dell’Africa Orientale Italiana, ma siamo sicuri che gli eritrei che si affollano in stazione a Como, o i somali o gli stessi novanta milioni di etiopi, non sarebbero stati meglio sotto una amministrazione fiduciaria italiana (o al limite dell’Onu) visto che da soli per sessant’anni non sono stati capaci di altro che di farsi guerre? Se fossi in loro chiederei di essere annessi all’Italia come stato federato, come il lontano Alaska per gli Usa; così in poco tempo diventerebbero cittadini europei e potrebbero scorrazzare dove meglio credono, in barba ai doganieri svizzeri.

Infine, anche se nessuno ne sentirà il bisogno,  vorrei dire anch’io due paroline sul divieto per i burkini, tormentone del momento. A parte il fatto che li trovo tremendamente sexy, ma questa dev’essere una mia perversione, non capisco che male facciano; un conto è il burka che copre la faccia, che vieterei senza dubbio, ma questa specie di costume intero non vedo come possa dare problemi di ordine pubblico; a questa stregua allora le suore delle colonie estive non potrebbero più andare in spiaggia, e questa sarebbe una vera cattiveria.

Comunque, oggi, pasta al forno.

(107. continua)

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Toglietegli la bottiglia

Pur essendo di natura fiducioso nel genere umano, mi capita ogni tanto di dovermi ricredere dalle mie stesse convinzioni. L’ultima volta, anche se devo ammettere di essere stato incauto, è stato un paio di giorni fa, quando ho preteso di discutere di cose serie su Fessbuc. Assurdità, lo riconosco: lo strumento andrebbe usato esclusivamente per condividere foto delle vacanze o aforismi di dubbia paternità, nonché storie pietose di cuccioli maltrattati, insulti vegani ai carnivori o viceversa grandangoli di enormi grigliate. Insomma, derogando alla semplice regola di buonsenso che vieterebbe di uscire da questo seminato, ho commentato un post che parlava di un centro di accoglienza per immigrati di 274 persone, che diceva di non avere avuto sostanzialmente problemi tranne che con cinque nigeriani che i responsabili avevano dovuto allontanare perché volevano spaccare tutto, esprimendo le seguenti opinioni: a) secondo me stiamo alimentando un mercato dell’accoglienza tutt’altro che virtuoso. Sono spuntate come funghi Coop e Onlus che si spartiscono fatturati non trascurabili: la qual cosa dovrebbe indurre a chiederci se ci sia un vero interesse a che questi numeri calino, quanto invece che aumentino il più possibile; b) sia come sia, se i nigeriani intemperavano, avevano fatto bene ad allontanarli.

Apriti cielo. Nell’ordine mi sono beccato: del becero; dell’ignorante; del correo dei misfatti della Chiesa Cattolica (?); del frate.

Che sia ignorante sono il primo a dirlo. Non si può sapere tutto; nello specifico, trattandosi di Africa e di cause delle migrazioni tuttavia mi sentivo abbastanza preparato, e la valutazione mi è sembrata abbastanza ingenerosa; sulla Nigeria sono abbastanza ferrato, non tanto quanto il Congo e il Ruanda ma generalmente oltre la media di gran parte dei miei conoscenti.

Sul becero non me la sento di negare del tutto, a condizione di mettersi d’accordo sul significato: politicamente scorretto? Nostalgico? Xenofobo? Ammetto che alcune mie posizioni recenti, riguardanti ordine e disciplina, hanno spinto mio figlio a sospettare che nascondessi nell’armadio fez e camicia nera; se diventare con l’età sempre più intolleranti verso ipocriti e maleducati vuol dire essere beceri, sarò becero.

L’epiteto “frate” mi è stato lanciato come un’offesa, anche se non mi risulta che lo sia: credo comunque si sia trattato di un equivoco, dovuto al fatto che sulla foto del profilo FB indosso una tunica da signorotto medievale. Mi sembrava di dominio comune che l’abito non facesse il monaco, dovrò mettere una didascalia. Il significato comunque era che uno vestito in quel modo non può fare dei gran ragionamenti; ma anche pensare che uno vestito in quel modo non possa fare gran ragionamenti non è un gran ragionamento. Fare il frate comunque, come ho già detto, rimane una mia aspirazione.

Sul come si sia finiti a parlare dei crimini della chiesa cattolica in rapporto alle migrazioni attuali, per quanto si possano trovare spiegazioni storiche, va ricondotto al titolo di questo post, ovvero che ad un certo punto del pranzo, quando lo zio picchiatello inizia a parlare troppo, bisogna allontanare la bottiglia del rosso.

Dopodiché, chi ha più testa la usi: è inutile fare a cappellate con i piccioni, come si dice al mio paese; ho salutato la compagnia, e non-amici come prima.

(95. continua, se non disturbo)

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Tripoli, bel suol d’amore

Nel ’68 una ventenne e bellissima Patti Pravo lanciava il brano Tripoli 1969, che raccontava di una donna che soffriva aspettando che il suo uomo ritornasse, o quantomeno ritornasse in se, dopo una battaglia d’amore combattuta in altri lidi e soprattutto altri letti (Tripoli, bel suol d’amore!). Alla fine il battagliero uomo tornava al calduccio della propria casetta dove trovava la mogliettina, che nel frattempo aveva versato più di una lacrimuccia, ad attenderlo; abbastanza controcorrente, all’epoca dei fermenti femministi; oggi direi inverosimile, anche se tutti i giorni le vicende di cronaca che vedono certe donne succubi in maniera quasi masochistica dei loro uomini sono lì a smentirmi.

La Libia è grande quasi 6 volte l’Italia. Essendo il territorio per più del 90% desertico o semidesertico, la popolazione è appena poco più di un decimo di quella italiana; nel 1911, in una delle guerricciole coloniali di inizio novecento, alla ricerca della quarta sponda, la strappammo al moribondo Impero Ottomano e considerando che Tripoli è ad appena 300 chilometri in linea d’aria da Lampedusa ed a 470 da Ragusa, non fu del tutto una cattiva idea. Del resto l’Africa dalla Conferenza di Berlino del 1884 era diventata un grande campo di conquista ed alla giovane nazione italiana non erano rimaste molte verze da sfogliare: parte del Corno d’Africa, dove tra l’altro gli abissini ce le suonarono di brutto, e appunto la Libia.

A proposito di Abissinia, ricorderete di come mio nonno Gaetano fosse partito nel ’35 per civilizzare i sudditi di Hailé Selassié; lo fece perché non aveva mai preso il treno e probabilmente attratto dalla propaganda sulle faccette nere; sospetto che abbia sparso zii illegittimi in giro per l’Etiopia, se così fosse potrei avere qualche parente rastafariano e lo pregherei di farsi vivo con adeguata dotazione di ganja.

Dunque rimanemmo in Libia, con le buone ma spesso con le cattive, fino al ’43 quando gli inglesi ci buttarono fuori a calci; schierare scatolette di latta contro carrarmati M4 Sherman di solito non è un buon viatico per il successo, ma giusto quello ci era rimasto e finì come finì, conseguentemente.

Mio padre non ha un buon ricordo del Nordafrica. Nel ’44, a sedici anni, era stato portato in campeggio all’Alpe del Viceré con un gruppo di coetanei. In quel momento dalle nostre parti “passò il fronte”, cioè i tedeschi  incalzati dagli alleati si attestarono più a nord, sulla linea Gotica; i campeggiatori si trovarono quindi impossibilitati a tornare a casa e si ritrovarono arruolati “volontariamente” nella Repubblica di Salò. Fortunatamente, in uno dei primi turni di guardia a cui furono destinati,  furono presi prigionieri dai partigiani che li consegnarono agli inglesi; questi li impacchettarono per l’Algeria da cui riportò a casa: a) la pelle, e questo fu molto positivo; b) l’avversione per i viaggi in genere e specialmente per quelli via mare; c) la rimozione dei ricordi di tutto quel periodo; d) un odio perpetuo per i campeggi.

Non vorrei apparire nostalgico del colonialismo, ma è un dato di fatto che le varie liberazioni non hanno portato questi gran miglioramenti. Forse gli africani devono liberarsi anche dagli africani; un continente ripieno di ricchezze naturali e di gente che muore di fame evidentemente ha qualche problema. Diciamo che il sistema economico e politico imperante non spinge alla condivisione o almeno alla distribuzione: arrangiatevi e chi può si arricchisca, è la parola d’ordine.

Oggi leggo un’intervista al presidente Obama che definisce il risultato dell’intervento Nato in Libia “una merda”. Queste esternazioni a babbo morto (è proprio il caso di dirlo) lasciano sempre sbalorditi: ma tu dov’eri viene in mente di chiedere? Non mi rassicura pensare che alle prossime elezioni si contenderanno la presidenza del paese guida dell’umanità (secondo loro) la Clinton, artefice di quella merda e moglie dell’altro artefice delle merde nei balcani, e Trump al confronto del quale il nostro Mr. B. sembra uno statista; tra l’altro bisogna riconoscere a Berlusconi che se in quel 2011 non fosse stato politicamente cotto non si sarebbe prestato all’aggressione a Gheddafi, finita con democratico linciaggio, che ha ridotto la Libia a carne di porco.

La quale Libia, occorre ricordare, era uno dei paesi più sviluppati del Nordafrica; la stabilità garantita da Gheddafi, anche a randellate, aveva portato un benessere abbastanza diffuso ed i servizi erano di primordine; in Libia erano a lavorare circa due milioni di immigrati e udite udite i fondamentalisti erano fuori legge. Gheddafi era passato nel corso dei decenni da Grande Satana, in quanto finanziatore di terroristi, a partner affidabile; con noi c’erano accordi economici e militari; sui profughi abbiamo usato la Libia come grande campo di concentramento, pronti poi a rinfacciarglielo quando siamo andati a bombardarlo.

In compenso ora diamo miliardi di euro alla Turchia per tenerli lì, i profughi che scappano da quell’altra merda che è la Siria: quella Turchia che bombarda tutti i giorni i curdi per i quali eravamo andati a far guerra a Saddam. Quindi i curdi iracheni sono buoni perché li gasava il “dittatore” Saddam ma quelli turchi e siriani sono cattivi perché li bombarda il “democratico” Erdogan. Misteri della realpolitik.

Avendo esaurito le riserve di Recioto non sono in grado di prevedere come andrà a finire; intanto potrebbe non essere inutile ripassare qualche strofa della celebre marcetta:

“Tripoli, bel suol d’amore,
ti giunga dolce questa mia canzon.
Sventoli il Tricolore
sulle torri al rombo del cannon!
Naviga, o corazzata
benigno è il vento e dolce la stagion.
Tripoli, terra incantata,
sarai italiana al rombo del cannon!”  
 

(89.continua)

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Ti auguro tempo

“Questa poesia non è mia. Magari fossi capace di scriverne così. E’ una poesia di una poetessa tedesca, Elli Michler (www.ellimichler.de). L’ho creduta, sbagliando, una poesia africana, e così in origine l’ho presentata. Mi sbagliavo, e volentieri e doverosamente ne do il merito a chi ce l’ha. Mi ha tratto in inganno perché vi traspare una saggezza grande, ancestrale, che mal si associa ai nostri ritmi e alle nostre nevrosi. Grazie, Elli Michler”.

 Ti auguro tempo.

Non ti auguro un dono qualsiasi.
Ti auguro soltanto quello che i più non hanno:
Ti auguro tempo, per divertirti e per ridere,
se lo impiegherai bene, potrai ricavarne qualcosa.
Ti auguro tempo, per il tuo fare e il tuo pensare,
non solo per te stesso, ma anche per donarlo agli altri.
Ti auguro tempo, non per affrettarti a correre,
ma tempo per poter essere contento.
Ti auguro tempo, non soltanto per trascorrerlo.
Ti auguro tempo che te ne resti
per stupirti e per fidarti,
e non soltanto per guadarlo sull’orologio.
Ti auguro tempo per toccare le stelle,
e tempo per crescere, ovvero per maturare.
Ti auguro tempo, per sperare nuovamente e per amare.
non ha senso rimandare.
Ti auguro tempo per trovare te stesso,
per vivere ogni giorno, ogni ora con gioia.
Ti auguro tempo anche per perdonare.
Ti auguro di: avere tempo per la vita!

Elli Michler.

© Don Bosco Medien GmbH, München

(78. continua) e buon Natale!

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L’Omino di Burro

L’altro giorno una amica, volontaria in una mensa per poveri (lo dico fintanto che il politicamente corretto non obbligherà a definirli diversamente ricchi), mi raccontava degli episodi che l’hanno messa seriamente a disagio, e non posso negare che altrettanto abbiano fatto con me.

La premessa è che in questo esodo che avviene dall’Africa , nella confusione e inettitudine degli organismi che dovrebbero essere preposti a governarlo, stanno arrivando sì persone duramente toccate da guerre, persecuzione e carestie ma anche persone che si muovono spinte da puro utilitarismo. Avrete già capito che non amo le ipocrisie: e dunque nemmeno quella del tutti bisognosi e tutti buoni. Ne tutti bisognosi ne tutti buoni, e non è poi detto che i bisognosi siano per forza buoni: perché dovrebbero esserlo, poi.

Uno degli episodi, minimo ma emblematico, è questo: una mattina, a colazione, due giovani hanno protestato vivacemente con i volontari, fino ad arrivare a vie di fatto, perché ad uno era stata data una brioche ripiena di marmellata mentre all’altro di Nutella. Volevano entrambi la Nutella. L’ho guardata trasecolato. Non per la scelta: sinceramente, ed in barba all’olio di palma e alle foreste di mangrovia, anch’io avrei scelto la Nutella. Ma perché fino a quel momento non avrei mai creduto possibile che qualcuno, a parte i bei tempi in cui Maria Antonietta aveva ancora la testa sulle spalle,  potesse dare a qualcuno che asserisca di avere fame brioche a colazione.

La giustificazione è stata: questo ci danno i supermercati, è roba ormai in scadenza che va consumata altrimenti va buttata. Bisognerebbe magari valutare se sia più immorale buttar via delle brioche industriali o illudere la gente che questo sia il paese dei Balocchi. Io avrei detto chiaramente: cari signori, qui a colazione si mangia il pane, o al massimo i biscotti se ce n’è; chi non gradisce, vada al bar.

Ad esempio, noi la colazione la facevamo con gli Oro Saiwa, quelli che se non ti sbrigavi a mangiarli dopo averli inzuppati nel latte ti si scioglievano nella tazza, e dove il grande gusto era quello di prenderne un pacchettino e mangiarlo tutto insieme.  Ma usare il pane, anche secco, non mi risulta sia peccato per nessuna religione.

Sicuramente essere circondati da pubblicità che invita a consumare a tutti i costi non aiuta a distinguere il necessario dal superfluo: per questo forse ricordare tempi più sobri non dovrebbe far male.

Una volta non c’era l’abitudine di mangiare il dolce dopo pranzo. I dolci si facevano in occasioni speciali, a Carnevale per esempio: Rosa, la madre del mio amico Stelvio, era una virtuosa degli scroccafusi e delle pesche dolci con le metà inframezzate da uno strato di crema;  mia madre faceva le sfrappe, che potevano anche essere ripiene, e le chiacchiere  che sono delle girelle di pasta arrotolata e fritta. Mi rivedo bambinetto seduto sulle scale della vecchia casetta, qualche gradino sopra Stelvio, intento a confrontare i dolci: ma può darsi che mi confonda con quando Rosa tentava di dare da mangiare al mio amico ed io, da settimino che doveva ancora recuperare appieno il peso forma, cercavo di impietosirla con “No mancia Telvio? Mancia io”. Mia madre imbarazzata mi riportava in casa sollevandomi di peso.

Le torte si mangiavano in occasione di qualche compleanno. I compleanni erano esclusivamente quelli dei bambini, dei grandi non era interessante sapere quando compissero gli anni; invitati al massimo erano i cuginetti in modo che tutto rimanesse in famiglia; non si facevano le feste perché poi non ci sarebbe stato modo di ricambiare. Una sola volta ricordo di essere andato ad una festa di compleanno che non fosse di qualche parente. Adele, di  cui vi ho parlato a proposito della Bianchina familiare in sette, era a servizio in quella casa e ci preparò della cioccolata buonissima. Ad un certo punto tutti si scatenarono creando una piramide umana sopra l’amico Aldo, che aveva fama di forzuto: io rimasi in prossimità della cioccolata e la mia saggia condotta fu da Adele apprezzata ed elogiata.

Quando i tempi divennero più opulenti, e eravamo tutti già grandicelli, certe domeniche mio padre mi mandava a comprare le paste. A me piacevano i diplomatici, quei rettangoli con l’esterno di pasta sfoglia spolverata di zucchero a zelo e l’interno di strati di pasta frolla imbevuta di alchermes e crema pasticcera. Due a testa, tre proprio per le grandi occasioni. Alla fine del pranzo, magari dopo una bella porzione di vincisgrassi, veniva posto al centro della tavola il cabaret. Un’occhiata veloce alla destra e alla sinistra precedeva il momento del prelievo, che veniva fatto quasi con pudore; ma sotto sotto la speranza era sempre che qualcuno rinunciasse alla sua parte per potersene dividere le spoglie.

Io credo, ed anche la mia amica ne è convinta, che bisognerebbe astenersi da certi colpi di genio. Sveliamo il grande imbroglio: non è vero che in Italia si mangi tutti i giorni brioche a colazione e sgorghi Coca Cola e aranciata dai rubinetti. Se qualcuno vi fa credere il contrario attenzione, potrebbe essere l’Omino di burro.

(51. continua)

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