Uno dei libri indispensabili per la formazione del fanciullo era “Cuore” di Edmondo de Amicis. La dose di buoni sentimenti ivi contenuta sarebbe letale per le menti disincantate dei moderni bimbi tecnologici, cresciuti a pane (anzi merendine) e cartoni animati; le gesta della piccola vedetta lombarda, abbinate magari alla visione ripetuta di “Marcellino pane e vino”, sarebbero ben lungi dall’infondere amor di patria e santità.
Veramente a me Marcellino pane e vino non piaceva. Un lieto fine consistente nell’andare in Paradiso lo avrei tenuto in considerazione ma come dire, non a breve termine; più forte della commozione era il sentimento di ingiustizia verso lo sfortunato bambino, bersagliato dalla sorte fin dalle fasce.
Invece Garrone mi ispirava molto. Nello stesso periodo degli attentati ai pupazzetti di pongo del presepe, di cui vi ho raccontato, qualcuno ruppe un vaso di fiori che faceva bella mostra di se sopra la cattedra. La maestra chiese al colpevole di farsi avanti, il giudizio sarebbe stato clemente. L’invito comprensibilmente non venne accolto: un’aria pesante spirava sulla giovane classe. Pervaso di altruismo, alzai il braccino e confessai: “Sono stato io”. La maestra Bianca alzò la testa per vedere da dove provenisse la vocina, e individuata l’origine mi freddò con un: “Giorgio, non dire bugie!”. Da Garrone all’Incompreso: il mio slancio non era stato premiato e i compagni, evidentemente digiuni di de Amicis, mi considerarono un esibizionista. Il Franti di turno, dal canto suo, ridacchiava: dalla sua aveva la certezza che nessuno avrebbe fatto il delatore. I più idealisti per imitare il Nemecsek dei Ragazzi della Via Pal, se siete pratici di Ferenc Molnar; quelli un po’ più terra terra per attenersi al monito: “Chi fa la spia non è figlio di Maria / non è figlio di Gesù / quando muore va laggiù / va laggiù da quell’ometto / che si chiama diavoletto”.
Rare le storie che finivano bene: Pattini d’argento dopo un diluvio di lacrime alla fine esagerava, con una gragnuola di felicità che lasciava sinceramente increduli.
Avrete presente quell’accessorio di arredamento che in genere è posto accanto al letto: il comodino. Una delle sue funzioni principali ora è quella di fungere da base per la ricarica del cellulare; una volta se aveste aperto lo sportellino posto sotto al cassetto non di rado ci avreste trovato dentro un vaso da notte. Contenitore più che mai utile, specialmente nelle notti d’inverno, per quanti avessero il bagno posto all’esterno della casa o ad un livello diverso dalle stanze da letto. Dopo l’utilizzo, veniva posto sotto al letto; dal contenuto veniva svuotato la mattina seguente.
Mia zia Caterina (Catò, la ricorderete sicuramente) mi aveva regalato una raccolta di fiabe di Hans Christian Andersen. Un bel libriccino, antico, forse appartenutole da bambina. Aveva una copertina in tela, con le scritte in rilievo; le pagine erano consumate dall’uso ed ingiallite, qua e la qualche macchia di pianto. Nelle fiabe di Andersen, almeno in quelle più belle, il protagonista muore. Era più forte di lui, era fatto così. Pensate alla Piccola fiammiferaia, al Soldatino di stagno, la Sirenetta. A proposito della Sirenetta, la versione di Disney ha previsto il lieto fine: per non turbare il pubblico infantile, dicono. Dunque edulcoriamo tutto, per non turbare il pubblico infantile: la piccola vedetta scende dall’albero spolverandosi la giacchetta, Nemecsek guarisce e diventa calciatore del Ferencvaros, Marcellino si fa frate e va a cantare ad X-Factor. E all’undicesimo fratello di Elisa, quello rimasto con un’ala al posto del braccio perché l’eroina non era riuscita a completare l’ultima tunica d’ortica che aveva tessuto a mani nude prima di essere avviata al rogo, vogliamo lasciarlo così?
Quel libro me lo leggevo e rileggevo. Un po’ di nascosto, perché comunque leggere favole non era un’occupazione dignitosa per i “grandi”, qualifica alla quale si accedeva non appena nasceva qualcuno più piccolo, e che io raggiunsi a 5 anni grazie a mia sorella; ma liberamente quando qualche linea di febbre mi costringeva a letto. Anche in quel caso l’uso del pitale era consigliato, per non alzarsi e prender freddo; purtroppo nell’espletare una di quelle funzioni non ricordai del libriccino posato sulle coperte, che mi cadde dentro. Potreste divertirvi a misurare il potere drenante di un libro stagionato, qualora non l’abbiate mai fatto: se vi fidate, vi assicuro che è notevole. Il mio generoso tentativo di salvare il salvabile sciacquandolo sotto al rubinetto non ebbe successo: appiccicati in un unico blocco il re rimase nudo, e la principessa giacque per sempre sul pisello.
(44. continua)