Gilda, ancora incredula, appoggia la cornetta dell’interfono sulla sua base.
«James?»
«Signora?»
«Tirami fuori qualcosa di comodo, caro, andiamo a prendere il signore.»
«Come desidera signora. Posso consigliare la sahariana cachi?» – chiede James, pensoso.
«Lascia stare i cachi, James. Meno formale, se mi sono spiegata»
«Benissimo, signora. Se vuol perdonarmi un attimo» – dice James rinculando, avviandosi al guardaroba di Gilda.
Svengard ripone il barile di aringhe fermentate nel magazzino che è anche la sua stanza. Si siede sul letto, un asse di quercia con sopra un pagliericcio, e ripensa alle parole del saggio cinese Po: “Pallale, o glande uomo del Nold, pallale!”. Si alza, deciso, e si avvia verso il laboratorio.
Gilda e James sono davanti all’ingresso del laboratorio, dopo aver preso il treno Maglev guidato dal puntuale Hidetoshi Nakata. Gilda indossa una tuta color rosso fragola in maturazione di D&G, abbinata a scarpine scintillanti. James le è di fiancoi; la Calva Tettuta lo guarda pensosa, con la testa lievemente inclinata e l’indice appoggiato alle labbra, e osserva:
«Quel caftano ti dona, James, sfina» – indicando la tunica che James indossa sopra la divisa da maggiordomo.
«Troppo buona, signora. Ho preso il primo straccetto che mi è capitato in mano»
«Hai sempre buon gusto, James. James caro, che significa “Access denied”?» – chiede indicando la risposta del lettore di iride che controlla il personale autorizzato all’ingresso nel laboratorio.
«Temo che la signora sia stata disabilitata» – ipotizza un perplesso James.
«Disabilitata? Ma io sono la moglie!» – sbotta Gilda.
«Il signore deve essere corrucciato»
«Corrucciato dici? Bene, adesso vediamo» – e cominciando a tempestare di pugni la porta blindata intima al marito:
«Evaristo! Apri immediatamente questa porta! Evaristo ti avverto, se non apri questa porta entro tre secondi faccio uno sproposito! Uno… due… Evaristo!» – finalmente dall’altra parte il cavalier Rana risponde:
«Gilda, che sei venuta a fare qua? Vattene, per favore» – chiede con voce troppo calma il cavaliere.
«Evaristo, apri questa porta. Non so che stai combinando, ma è ora di finirla con questa storia. Facci entrare e libera immediatamente quei ragazzi!»
Dopo tre secondi di silenzio totale, si sente il lieve clic della serratura della porta blindata. Gilda e James entrano nel laboratorio, dove il cavalier Rana è solo, in piedi, vicino ad una delle caldaie.
«Evaristo, per l’amor del cielo, torniamo a casa. Tu stai male, devi farti vedere da un medico» – cerca di convincerlo una preoccupata Gilda
«Male dici? Ah, ah» – risponde Rana con una risata lievemente inquietante – «Male? Non sono mai stato così bene invece, mia cara! La vedi questa?» – dice indicando una chiavetta USB che tiene in mano – «questa ci farà diventare ricchi!»
«Ma Evaristo noi siamo già ricchi, non ti basta ancora? Quanto ricco vuoi diventare?»
«Immensamente ricchi, cara mia… qui dentro c’è la formula per una tecnologia che ci permetterà di controllare la mente delle persone… nanocomputer in grado di installarsi direttamente nel cervello umano, che possono agire in rete ed essere comandati a distanza… con questi possiamo condizionare le persone e costringerli a comprare solo e sempre da noi…»
«Caro, per quello non c’è già la televisione o internet? Lascia stare i nani, caro, noi facciamo tortellini!» – cerca di riportarlo alla ragionevolezza Gilda
«E’ proprio questo che ci permetterà di prendere il possesso delle loro menti! Glieli aggiungeremo negli impasti e li introdurranno senza saperlo! E convinceranno altri a farlo! E ne vorranno sempre di più, ne imploreranno sempre di più, sempre di più, sempre di più! » – delira ormai il cavaliere.
Gilda guarda con orrore l’uomo che pensava di conoscere.
«Evaristo, è ufficiale, tu sei pazzo. Apri subito la porta del centro e fai uscire i ragazzi. Poi andiamo a casa, che ti faccio una puntura e chiamo il dottore. James, dammi una mano per favore» – ordina Gilda, cercando appoggio nel maggiordomo per riportare il marito alla calma.
«Fermi! Non muovetevi o sparo!» – intima il cavaliere, estraendo dalla tasca una vecchia Beretta M34.
«Evaristo per l’amor del cielo, metti via quella pistola! Che tanto non la sai usare» – azzarda Gilda. Il cavaliere, beffardo, risponde: «Vogliamo provare, Gilda cara?» – poi, indicando il cartello dove campeggia la scritta “Attenzione – pericolo” dice: «Volevi liberare i precari, cara? Accomodatevi, tu e il tuo chauffeur!» – dice spingendo i due verso la porta serrata.
«Mi permetto di correggerla signore, si dice butler non chauffeur» – puntualizza un forse poco tempestivo James.
«Ma vaffanculo te e il butler!» – è la risposta del cavaliere, che apre la porta stagna con il telecomando e, spingendo dentro Gilda e il maggiordomo, si congeda con: «E salutatemi i precari!».
Poi rimessa in tasca la pistola, si avvicina alle caldaie e mette tutte le manopole della pressione al massimo. Un ultimo sguardo indietro ed esce, chiudendo la porta blindata, con un ghigno sul volto.
Nella foresta domestica i pigmei sono in agitazione. Qualcuno è uscito dal laboratorio e si avvicina a passi veloci. Lo riconoscono, è l’uomo che li nutre con quelle ciufeche ma che ogni tanto gli permette di rosicchiare qualcuno. I pigmei gli si fanno incontro.
«Pigmei, ascoltate!» – richiama l’attenzione il cavaliere. «Io me ne vado per un po’, voi arrangiatevi. Ah, prima di andare potete mangiare Christian De Sica.» – concede un magnanimo cavaliere, provocando mugolii di apprezzamento.
Silenziosamente, da dietro il gruppo di pigmei appare Olena, statuaria, divisa mimetica e colbacco in testa, con a tracolla il fido lanciarazzi RPG-32 Hashim.
«Dove voi pensa di andare, signuore?» – chiede Olena. I pigmei, impressionati, si prostrano e commentano sussurrando “bona”, “bona bona”. Il cavaliere, sorpreso, al vedere la russa tira un sospiro di sollievo.
«Ah, sei tu Natascia? Come mai hai lasciato la nonna? Fammi passare, non ti interessa dove vado»
«Me non interessa voi. Interessa quello che avere in tasca» – mette in chiaro le cose Olena.
«Quello che ho…» – prende tempo il cavaliere, rendendosi conto solo in quel momento della situazione. – «Quello che ho in tasca dici? Questo ho in tasca, in alto le mani!» – intima estraendo la Beretta. Olena lo guarda, con un sorriso sardonico. «Attento, tu potere fare male te con quella» – dice guardandolo negli occhi. – «Tu consegna me pistola e chiavetta, e nessuno fare male» – in tono che non ammette repliche. Il cavaliere, non decifrando il linguaggio del corpo dei pigmei, avanza verso Olena: «Te lo faccio vedere io se qualcuno si fa male» – dice prendendo la mira. Mentre Olena continua a sorridere, per niente impressionata, i pigmei si rialzano e la coprono, mettendosi uno sopra all’altro salendogli sulle spalle. Poi, lentamente, con in testa Gnugnu, iniziano ad avanzare verso il cavaliere.
«Ma che… Toglietevi dalle palle, teste di cazzo!» – ordina il cavaliere ai pigmei, ma è ormai troppo tardi. Questi gli sono addosso, lo disarmano e lo buttano a terra.
«No, fermi! Maledetti… Natascia, diglielo tu, fermali! Natascia, tieni, ecco la chiavetta, qui c’è dentro la formula, ma per carità liberami. Natascia!» – urla il cavaliere, terrorizzato.
Olena sorride al cavaliere, prende dalle sue mani la chiavetta, poi sorride a Gnugnu e fa un cenno di assenso con il capo.
«Buon appetito» – concede ai suoi devoti fedeli.
Svendard è a metà strada, quando sente il rumore delle esplosioni. Si mette a correre, e quando arriva a vedere il laboratorio inorridisce, vedendo i bagliori delle fiamme dell’incendio che sta sviluppando dentro.
Dalla gola emette un grido fortissimo: «Tullsta! Tullsta!» – che in norreno sarebbe «Gilda! Gilda!» e si lancia verso le fiamme.
Olena sta tornando verso la villa, quando sente l’urlo di Svengard, e sente una fitta allo stomaco. L’unico uomo che le ha resistito ha bisogno di aiuto, e si lancia nella sua direzione. Arrivata a 100 metri lo vede, intento a cercare di sfondare la porta blindata. Si inginocchia con il fido RPG-32 Hashim in spalla, e lo chiama: «Svengard! Svengard!» – finché il norreno non la sente e si ferma.
«Giù la testa, coglione»¹ – sussurra Olena mirando la porta blindata, appena prima di premere il grilletto.
La porta blindata viene polverizzata e Svengard entra nel laboratorio incendiato. Dal fondo sente un richiamo: «Aiuto! Aiuto! Liberateci!» – e riconosce la voce di Gilda. Afferra un calorifero in ghisa e getta 120 chili di vichingo e 50 di calorifero contro la porta che lo separa dal suo amore. Sotto l’urto i cardini cedono e Svengard piomba lungo disteso nello stanzone dove sono rinchiusi Gilda, James e i dieci ricercatori precari.
Gilda gli si china sopra e lo guarda attentamente, finalmente riconoscendolo: «Ah, sì tu? Fréchete, quanto c’ì misso a svegliatte!» – e lo prende dolcemente per mano, aiutandolo ad alzarsi.
Epilogo
All’ultimo piano dell’hotel Best Moskow, a due passi dal Cremlino e dalla Piazza Rossa, la cameriera del piano sta spingendo il vassoio della colazione che si appresta a portare nella suite presidenziale.
La ragazza, lunghi capelli neri raccolti in una coda, elegante nella divisa bianca e blu dell’albergo, bussa alla porta.
«Chi è?» – chiede una voce autoritaria dall’interno.
«Servizio in camera, signore» – risponde la cameriera
«Ah, si. Entri, lasci pure sul tavolo del salottino est»
La cameriera entra, apparecchia il tavolo del salottino scelto per la colazione, osserva la disposizione e poi chiede: «La colazione è pronta, signore. Ha bisogno di altro?» – e attende che dal bagno arrivi la risposta: «No, grazie, può andare».
La cameriera saluta ed esce, lasciando dentro il carrello con le bevande in caldo.
Nel bagno un uomo, disteso nella vasca Jacuzzi, sta parlando al telefono.
«Da, Da, John, ti ho detto che domani ce l’avrai. Che significa ci sono intoppi burocratici? John, guarda che la merce me l’hanno chiesta anche gli arabi… e quelli non hanno problemi di soldi. Ti sembrano troppi tre trilioni di dollari? Ma ti stai rendendo conto dell’importanza di questa scoperta? Ti rendi conto che significa poter controllare il cervello di chi è al potere nei vari paesi? John, non farmi perdere la pazienza!» – intima l’uomo all’interlocutore che sta tergiversando – «Se entro due ore non vedo il bonifico chiamo Kim. Vuoi che dia la scoperta a Kim? No? E allora muovi le chiappe, perdio! – e spegne il cellulare, gettandolo lontano con un gesto di stizza.
Solo allora l’uomo si accorge della figura in piedi nel vano della porta. La divisa da cameriera, ma i capelli biondi. Si gira verso di lei, paralizzato. La ragazza parla, la voce carica di delusione:
«E’ sempre stata una questione di soldi, vero? Solo soldi» – chiede Olena all’uomo nella Jacuzzi
«Ma chi… capitano Smirnoff! Come avete fatto a entrare?» – si guarda intorno cercando la pistola, rimpiangendo di averla lasciata nell’altra stanza. Olena coglie il suo sguardo.
«Cercate questa, colonnello Kutnezof?» – mostrandogli la Makarov a cui il colonnello è rimasto affezionato.
«Capitano, vi sapevamo ancora in Italia… come ha fatto…» – chiede il colonnello, preoccupato.
«Intende come ho fatto ad arrivare senza essere localizzata, colonnello?» – e gli mostra l’avambraccio, dove un cerotto copre i tagli del bisturi con cui Olena si è espiantata il chip. La ragazza continua, con disprezzo:
«Ideali, patria… soldi, solo soldi! Ho pulito il culo ad una vecchia per due anni, e si trattava solo di soldi!» – accusa Olena, sdegnata. Il colonnello abbassa la testa, sembra colpito. Poi la rialza, con aria di sfida:
«Ideali! Patria! Vieni a parlare a me di ideali! Questi sono i miei ideali!» – e così dicendo si alza in piedi, mostrando le cicatrici delle pallottole ricevute in Afghanistan e qualcos’altro che Olena valuta insufficiente. Il colonnello continua:
«Dov’erano gli ideali quando sono andati al potere mafiosi, papponi, ubriaconi, corrotti, quando si sono spartiti tutto, petrolio, gas, banche, quando hanno mandato sul lastrico milioni di famiglie! Dov’erano tutti questi difensori di ideali? Mi sono stancato di gente che si riempie la bocca di patria e manda gli altri a morire! Si, soldi, si tratta di soldi, adesso è il mio turno Olena, tocca a me far girare la giostra adesso! E anche tu puoi farne parte, se vuoi… possiamo dividere, ho già i compratori… dammi retta Olena!»
Olena ascolta colpita dalle parole del vecchio soldato, che nudo davanti a lei le spiattella una verità che non avrebbe voluto sentire.
«Questo non sarà mai, colonnello. Sedetevi, prego» – dice Olena, cercando di far recuperare un minimo di dignità al suo superiore. Ma il colonnello ormai non ha più freni:
«Sei una stupida Olena! Guardati intorno! La guerra l’abbiamo persa, lo vuoi capire, l’abbiamo persa! La loro bandiera sventola lì, sulla piazza Rossa, come la nostra sventolò un giorno sul Reichstag!» – proclama enfaticamente Kutnezov, indicando la bandiera di McDonalds.
«Noi non abbiamo perso.» – scandisce Olena – «Voi! avete tradito.» – e così dicendo, estrae la chiavetta USB e la schiaccia con il tacco dello stivale.
«No!!! Disgraziata, cosa hai fatto!!! Hai distrutto la nostra fortuna, la mia fortuna» – piange il colonnello, cadendo in ginocchio. Ma Olena ha già voltato le spalle. Il tempo di montare il silenziatore, si gira e spara.
«Увидимся в аду, полковник»² – saluta Olena, soffiando sulla canna della pistola.
Dalla porta girevole dell’albergo esce una donna alta, avvolta da un mantello violetto, con un cappuccio calato sugli occhi. Un’occhiata intorno senza alzare lo sguardo, e scende le scale che la portano al marciapiede. Di fronte all’albergo una Maserati con vetri oscurati.
Olena valuta la situazione. Troppo allo scoperto, scappare è impossibile. Stringe la Makarov del colonnello nella tasca del mantello, e avanza verso la macchina. Vede il finestrino abbassarsi, è pronta.
«Natascia!» – sente chiamare – «Natascia! Vieni qui, figlietta!»
Sbalordita, Olena si avvicina all’auto. Apre la portiera posteriore, e vede nonna Pina, in pelliccia di visone, fumare una sigaretta da un lungo bocchino. La vecchia sorride beffarda.
«E dai Natascia, sali, non abbiamo tutto il giorno» – la incita nonna Pina.
Natascia chiude la portiera e sta per fare il giro della macchina, quando dal posto di guida esce qualcuno che conosce bene. James, impeccabile nel suo completo da maggiordomo ma con in testa un cappello da poliziotto ricevuto in dono dai Village People, scende e gli apre la portiera.
Gli sorride, e guardandola fissa negli occhi le dice:
«Si accomodi madame, benvenuta»
Olena si ferma un attimo. Guarda nonna Pina che ridacchia, e James che le sorride.
Alza gli occhi verso il cielo, ed il sole rimbalza nei suoi occhi blu e colpisce la visiera del cappello di James. Mentre un sorriso le illumina finalmente il viso, guarda James con qualcosa che somiglia ad affetto e gli dice:
«Fatti in là, finuocchietto. Guido io».
THE END

¹ Confesso che ho scritto tutto questo solo per poter mettere da qualche parte questa citazione.
² “Ci vediamo all’inferno, colonnello”