Ferragosto con Olena (VII)

«James caro, pendiamo dalle tua labbra. Che ne dici di questo tesoretto?»
Gilda, graziosamente assisa sulla sua poltrona prediletta che troneggia nel grande soggiorno, osserva con compiacimento James che, inforcato un occhialino da orafo, sta esaminando le monete allineate su di un panno di velluto viola disteso sopra l’ampio tavolo vittoriano in mogano che ospita solitamente la collezione di palle di vetro con neve provenienti dalle località più disparate che la Calva Tettuta colleziona e che Miguel, il giardiniere tuttofare, è incaricato di spolverare.
Il maggiordomo, che indossa dei guanti bianchi in cotone da bibliotecario, solleva la testa, si toglie lentamente il monocolo e pronuncia il suo responso.
«Siamo indubbiamente di fronte a reperti sensazionali,» sentenzia James «si tratta di monete d’oro di epoca romana, tardo imperiale… come si può evincere dalle effigi degli imperatori qui ritratti, Onorio, Valentiniano III, Leone I, Livio Severo…» e così dicendo avvicina una delle monete al visino della vedova Rana. La quale, ammirata da tanta competenza, rivolge al maggiordomo un elogio:
«Apro e chiudo una parentesi, James. Il monocolo ti dona, te l’hanno mai detto? Ti da un’aria austro-ungarica, dovresti inforcarlo più spesso, almeno nelle cene importanti»
«Grazie signora, provvederò. Ma tornando alle nostre monete, è affascinante pensare che furono coniate più di millecinquecento anni fa, in periodi tumultuosi, si era ormai in prossimità del crollo dell’Impero Romano di Occidente e…»

Gilda alza la mano e ferma la rievocazione storica del maggiordomo.
«James, tu non finisci mai di sorprenderci. Che ti avevo detto, Marisa?» ammicca a suor Matilda, seduta su di un lato del divano Chesterfield a tre piazze, dietro il quale suor Pulcheria, in piedi, fatica a chiudere la bocca dallo stupore.
«Non è meglio di una puntata di Superquark¹?» chiede Gilda alle astanti che annuiscono convinte, riflettendo peraltro di non essere mai riuscite a resistere sveglie dopo il primo documentario sugli animali.
«Ma dicci James, non per essere venali, quanto può valere tutto questo?» domanda la concreta padrona di casa, accompagnando la richiesta con un eloquente sfregamento del pollice con l’indice.
«Il calcolo è abbastanza semplice… dunque, 150 monete di 4-5 grammi d’oro ciascuna… al prezzo di 30-32 euro al grammo, ipotizzando oro a 24 carati… si va dai 20 ai 25 mila euro di oro»
«Ah, però» commenta Gilda, un po’ delusa. «Mi aspettavo qualcosina in più per dei pezzi millenari…»
«Naturalmente signora questo è il valore del solo materiale… nel caso deprecabile che qualche “barbaro” voglia fonderlo e rivenderlo. Ma la discussione è solo accademica, perché queste monete hanno un grande valore storico, e devono essere consegnate ai Beni Culturali…»
«Su questo non ci piove James, anzi ho già in mente di farli restaurare dalla Fondazione Rana e ricavarne un cospicuo sconto fiscale. Ma mettiamo il caso, solo in via ipotetica eh? Che qualche collezionista sia interessato. Quanto si potrebbe tirar su? Voglio dire, ci si potrebbe aggiustare un convento, per fare un paragone?»
«In caso di collezionisti il valore naturalmente cambia, in base al numero di appassionati dell’argomento, alla quantità di monete disponibili di quel periodo storico, allo stato di conservazione… se si vendono singolarmente, se vengono vendute in blocco, se si mettono all’asta… se può essere di utilità potrei interpellare il mio amico Serge, un franco-armeno, un’autorità in materia di aste.»
«James hai piena facoltà di consultare chi vuoi, sia pure un battitore armeno. Se c’è da pagare qualcosa, non farti scrupoli. »
«Benissimo signora. Vado subito a contattarlo. Con permesso»

Gilda e le suore lo guardano uscire rinculando, ammirate. Poi suor Matilda rompe il silenzio:
«E’ davvero un portento il tuo maggiordomo, Gilda!» dichiara entusiasta.
«Lo so Marisa, lo so!» risponde Gilda.
«E non sai che caffè che mi fa.»

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¹ Chiedo scusa a tutta la famiglia Angela, avrei voluto fare una ricostruzione multimediale ma non avevo a disposizione Paco Lanciano.

Merde alors!

Me ne stavo beatamente mangiando un piatto di tortellini, innaffiandoli con una congrua dose di Lambrusco nel luogo più idoneo, e cioè in una trattoria di Bologna, quando da un tavolo vicino ho captato una conversazione che mi è sembrata contrastare con la leggerezza del momento, fatta da una compagnia di amiche intente a dividersi un tagliere di affettati vari, mortadella e formaggi.
Di solito non ascolto le conversazioni altrui, è una questione di educazione, ma in questo caso la mia attenzione era stata attratta dal fatto che un cameriere maldestro aveva rovesciato sui pantaloni bianchi di una delle commensali un calice di rosso, cosa che nel caso di persone a me molto vicine lo avrebbe esposto a rappresaglie dolorosissime: mentre invece la vittima ha incassato con eleganza, intingendo con grazia il ditino nella pozza sul tavolo e portandoselo dietro l’orecchio, dichiarando: “Porta fortuna”.

Così sono venuto a conoscenza che il ministro degli Esteri del Granducato del Lussemburgo, Stato grande un po’ meno di Genova che produce essenzialmente soldi per chi già ne ha, in un convegno che lo vedeva partecipare insieme ad altri ministri dell’Unione Europea tra cui il nostro ministro dell’Interno, ha condiviso l’esposizione del moderato programma di quest’ultimo per la gestione dell’immigrazione che consiste essenzialmente in punti forti come: a) basta immigrazione clandestina b) aiutiamoli a casa loro c) l’unico modo per non far morire affogati i migranti è non farli partire, sbottando entusiastico in un “merde alors!” che in lussemburghese sembrerebbe significare “bravo Salvini!”.

Scavalcando addirittura a sinistra il nostro ministro, commosso da tanto calore, Asselborn ha invitato a ricordare di quando i nostri emigranti venivano trattati di merda in Lussemburgo, Svizzera, Germania, Belgio e Francia, e regolarsi di conseguenza per non commettere i loro stessi errori. A tale scopo, come parziale risarcimento delle discriminazioni subite e delle condizioni in cui i nostri compatrioti erano tenuti, il ministro ha annunciato che  l’illuminato Granduca in persona ha deciso di devolvere quattro miliardi di euro l’anno per far fronte all’accoglienza dei nuovi migranti in Italia, ed ha annunciato l’invio di una task force di banchieri per insegnare ai nuovi arrivati i rudimenti dell’economia monetaria.

Strette di mano e abbracci convinti hanno suggellato il nuovo patto italo-lussemburghese, che prevede anche che ogni finanziaria del paese accolga almeno dieci cittadini extracomunitari: al momento di lasciarsi il nostro ministro ha salutato il collega con un festoso: “ma va’ a da’ via i ciapp’” che come è noto significa “arrivederci a presto amici!”.

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Ferragosto con Olena (VI)

Maracaibo,
balla al Barracuda,
si ma balla nuda, zà zà…

Luana, la cantante solista dell’Orchestra Spettacolo Armando Grasparossa, cinquantenne dotata di un fisico prorompente non supportato da capacità vocali di pari livello, dal palco della Casa del Popolo di Brisighella sta deliziando il pubblico pagante e non con una spettacolare versione di “Maracaibo” di Raffaella Carrà.
Armando, classe ’32, fisarmonicista leggendario in grado di eseguire tutte le variazioni della Mazurca di Migliavacca ad occhi chiusi e con la tastiera coperta da un panno, scuote la testa e sbotta:
«Socc’mel Agalgisa!» – che questo è il vero nome della cantante – «ma tienila mo su!»
«Ma più di così non posso, nonnino!» risponde la cantante sgambettando intorno a Carlone, il trombettista. «Già si vedono le mutande!»
«Ma non la sottana, oca che sei, la nota, la nota devi tenere su! Non senti come cali? E non chiamarmi nonnino!» la redarguisce l’anziano musicista.
«Uffa quante storie, sapessi come cali tu, io mi lamento per caso?» » risponde Luana-Adalgisa. provocatoriamente, accennando malignamente al fatto che il loro sodalizio travalica l’aspetto artistico. «Al “mio” pubblico comunque piace, guarda mo!» e la cantante, sempre continuando ad ancheggiare, rivolge uno sguardo languido ai ballerini che si accalcano in pista, tra i quali spicca un sessantenne abbronzato, leggermente sovrappeso, con abbigliamento da rimorchiatore da spiaggia composto da scarpe da yachting senza calzini, pantaloni bianchi, camicia a righe verticali bianche e blu con colletto rialzato tenuta fuori dai pantaloni e slacciata sul petto depilato, catenina d’oro a maglie di media grandezza e magliettina celeste di cotone appoggiata sulle spalle ed annodata sul davanti: Tullio Bongiovanni detto Puccio Maxi-bon, delizia delle mogli in vacanza e terrore dei mariti in città.
«C’è anche quel povero deficiente!» commenta Armando riconoscendo il Casanova alla piadina, lanciandosi in una svisata che copre l’assolo del sassofonista.
«Lascia stare Puccio o te li scateno, eh!» lo ammonisce Adalgisa. Poi, a scopo dimostrativo, brandisce il microfono e, con un gesto plateale come ad abbracciare la platea, pronuncia la frase di rito: «Brisighella, io vi a-mo! Siete fan-ta-sti-ci!» a cui seguono di riflesso applausi e fischi entusiastici.
«E ricordati di prendere la pastiglietta, piuttosto» sibila perfidamente la cantante. Sorpresa dalla risposta che non arriva, si volta verso il maestro di fisa e lo vede, sbiancato in volto e con il mantice fermo, fissare un punto in fondo alla sala con la bocca leggermente aperta.
«Oddio, gli è venuto un coccolone» è il primo pensiero dell’artista, che cerca di sincerarsi del sospetto scuotendo il capo-orchestra. « Armando, che succede Armando, ti senti male?»
Armando si riscuote, guarda Adalgisa, le fa una carezza, poi poggia in terra la fisarmonica e la rassicura: «No, niente, niente, tranquilla, è tutto a posto. Voi continuate pure, io vado a prendere un po’ d’aria, torno subito». Poi si alza, scende dal palco e si avvia lentamente verso l’uscita.

«Craa! Püsa via, brut curbàtt! Craa!!!»¹
Flettàx, l’Ara Macao allevato da un celta adoratore del dio Po, accoglie così suor Matilda che, passeggiando con Gilda, si sta avvicinando al suo trespolo.
«Ma com’è variopinto il tuo pappagallo!» constata ammirata suor Matilda «Devo esserle simpatica, guarda come sbatte le ali»
«Non farci caso, Marisa, Flettàx è esuberante. Miguel lo sta educando, ma siamo ancora alle prime lezioni» Poi, tornando al discorso precedente:
«Ma dopo essere scappata dal manicomio dove sei andata?»
«Non avevo una direzione precisa… ho camminato, camminato, finché mi sono seduta sfinita davanti ad un portone e mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata ero in una celletta, con tre suore che stavano pregando, e mi hanno detto che avevo dormito tre giorni e tre notti. Mi sono seduta sul letto, stupita, mi sono guardata intorno, pareti spoglie, un piccolo crocifisso, e mi sono accorta di stare bene… avevo anche fame, pensa un po’. E quelle donne intorno a me, quelle suore, contente, ma non per finta sai Gilda? Avevano gli occhi che ridevano, trasmettevano gioia, serenità… proprio quello che avevo perso, di cui avevo bisogno. E ho capito che non ero arrivata lì per caso…»
«Che strana chiamata! Non era più facile apparirti in sogno?» riflette Gilda, pratica di estasi mistiche.
«Ah, ah, si, hai proprio ragione…» ride suor Matilda «ma ognuno ha la sua vocazione, e ci vuole un po’ a scoprirla… prendiamo te, per esempio»
«Io? Ma che c’entro io? Io non ho avuto nessuna chiamata…»
«Dici di no? Ma se allora non avessi seguito quello sconosciuto non saresti qua, non saresti mai diventata…» e qui la suora fa un gesto per indicare quello che c’è intorno «… questo.»
«Ah, tu dici che anch’io ho seguito la mia vocazione? Mmhh, devo pensarci, non so se prenderlo come un complimento» dice Gilda, ripensando alle circostanze che l’avevano condotta a passare da moglie appassionata e assaggiatrice di ripieni a vedova appassionata, ma proprietaria dell’impero del tortellino.

«Ma torniamo al motivo della tua visita… Marisa cara, devo dirtelo francamente: questa storia del sassofono andrà bene per le tue suore, ma a me non convince per niente. Sei sicura di non aver tralasciato qualche… ehm… dettaglio?» chiede Gilda, riportando l’amica all’argomento all’ordine del giorno. «No, te lo dico perché Natascia ha un certo caratterino, ed è meglio avvisarla se qualcosa non va. Non c’entrano per caso pigmei e cinesi? Perché se ci sono quelli ti consiglierei di far evacuare il convento.»
«Pigmei e cinesi? Ma come ti salta in mente, Gilda!» protesta la suora. «Anche se, in effetti, forse ho tralasciato un piccolo particolare…» confessa la suora reticente.
«Ecco, proprio a questo mi riferivo, cara. Eviterei di tralasciare particolari con Natascia in giro. Di che si tratta allora? Su, spara» incalza la Calva Tettuta.
«Vieni, sediamoci là» la suora indica una panchina appartata, e dopo essersi sincerata che nessuno le stia osservando, estrae dalla tasca un sacchetto in pelle marrone, chiuso da un laccio di cuoio.
«Dentro al sassofono c’erano queste…» e rovescia il contenuto del sacchetto sulla sua gonna.
«Fréchete! Monete d’oro? Ma che è, antiche? ‘Ndó l’ha pijate lu santó?» esclama Gilda, che nei momenti di agitazione ricorre al vernacolo del paese natale, Serrapetrona.
«E chi lo sa, Gilda, solo lui può dircelo, e anche perché le ha lasciate lì… con questo» risponde l’amica, estraendo dal sacchetto un pezzo di carta e porgendolo a Gilda.
«Un biglietto? “Il passato reclama il pagamento. Perdonatemi”… melodrammatico, non è vero? Hai un’idea di quello che voglia dire, Marisa?»
«Non ne ho la più pallida idea, Gilda, il santone non mi ha mai parlato del suo passato…»
«Marisa, te lo devo dire, non ci sto capendo più niente. Per fortuna però c’è un’entità superiore alla quale rivolgerci»
«Dici di rivolgere qualche preghiera al Signore, Gilda?» chiede speranzosa la monaca.
«Male non fa» concede la vedova Rana. «Comunque prima proverei con James»

¹ Craa! Pussa via, brutto corvaccio! Craa!!!

capodanno

Era una casa molto carina

Riprendo questo vecchio post, perché uno dei protagonisti di quella storia non c’è più. Avremmo voluto camminare insieme, da vecchi, curvi e spennacchiati, magari appoggiandoci ad un bastone, raccontandoci questa ed altre storie, anche inventate, perché no . Scuotendo la testa al passare dei giovani del domani, sorridendo ai futuri nipoti facendo finta di non riconoscerli, e guardando di soppiatto le belle figliole, che uno diventa vecchio ma mica per quello smette di apprezzare le cose belle.
La foto sotto è ora più che mai del secolo scorso, ed è passata tutta una vita che in un post non si può raccontare. Eravamo belli dentro e fuori, cresciuti tra persone belle dentro e fuori, e abbiamo cercato di rimanere così, un pò fuori moda forse, ma orgogliosi di esserlo. La vita è un ciuffiu, Stè, riposa in pace amico mio.

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L'uomo che avrebbe voluto essere grave

L’appartamento dove ho abitato da bambino era molto carino. Si trovava in una casa del centro storico (“dentro le mura”), quelle case che si toccano tutte l’una con l’altra, sulla via che taglia l’intero paese dalla Porta di Sopra alla Porta di Sotto (non ci si può sbagliare), Via Roma.

I miei l’avevano preso in affitto dal padrone di una fabbrichetta di casse da morto. Uno stabilimento artigiano come altri: ad esempio ce n’era uno che produceva cappelli e borse di paglia ma a differenza del primo questo, dopo qualche anno, passò di moda.

La casa aveva due piani: noi occupavamo quello superiore e di sotto c’era la famiglia del mio amico Stelvio. Il nostro appartamento godeva di qualche privilegio: innanzitutto la vista, e poi avevamo il bagnetto (tazza e lavandino) a cui si accedeva uscendo sul balconcino della camera matrimoniale.  Stelvio invece per farla doveva uscire proprio di casa…

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Mazze, palle e meloni

Leggo di una ragazza in Canada che, cameriera in un club di golf, è stata licenziata perché si ostinava ad andare al lavoro senza indossare il reggiseno. L’atteggiamento sbarazzino che in ambienti più aperti verrebbe apprezzato e premiato, è stato inopinatamente mortificato e punito. Il proprietario da parte sua dice di non avere personalmente niente contro le ragazze senza reggiseno, ma di aver preso il provvedimento a scopo preventivo (“so che succede quando gira l’alcool”, sembra abbia dichiarato) per evitare problemi alla ragazza e soprattutto ai soci del club.
Probabilmente conosce bene i suoi polli, mi verrebbe da dire, ed ha preferito evitare che i giocatori, alle prese con mazze, palle e buche, fossero distratti da bocce e meloni. La ragazza ha sporto una denuncia per discriminazione sessuale: sostiene che si, è vero, non indossa il reggiseno da due anni perché non lo sopporta; che si, è vero, faceva caldo ed indossava solo una maglietta e si vedevano i capezzoli: ma è pure vero che i capezzoli ce li hanno anche gli uomini, e allora se deve mettere il reggiseno lei devono metterlo anche gli uomini. Non fa una grinza!

Già al ritorno dalle ferie avevo avuto l’impressione che il mondo andasse a rovescio, e non mi riferisco solo alla situazione politica: i media avevano dato gran risalto al fatto che un giovane attore americano sembra abbia fatto causa ad una attrice italiana, maggiore di lui di una ventina d’anni, perché all’età di 17 anni lo avrebbe molestato sessualmente ed il fatto gli ha provocato un trauma psicologico gravissimo. Potrei sbagliare ma mi sembra di ricordare che alla sua età nessuno dei miei conoscenti sarebbe stato così schizzinoso, considerando poi che non stiamo parlando del mostro di Loch Ness: ad avercene, anzi! Tra l’altro se il giovane avesse letto Il Primo Libro di Li Po (non il mio Po, quello come ricorderete si occupa di risció e racchette elettriche) avrebbe saputo che il tao raccomanda di apprendere i rudimenti amorosi da donne più esperte per acquisire la padronanza ed il controllo dei propri impulsi. L’ignoranza, che brutta bestia!

Tra l’altro, a proposito di molestie, l’altro giorno è stata la volta di una giovane attrice e ballerina di dichiarare di essere stata violentata, per due volte ed in due giorni diversi, da un notissimo attore francese, in casa del medesimo. Non vorrei essere accusato di qualcosa tipo sessismo o giustificazionismo, ma mi è sembrato un po’ imprudente recarsi dopo qualche giorno dalla prima violenza a casa del violentatore col risultato di venire violentata un’altra volta, così come a suo tempo mi sembrò imprudente il comportamento di quella ragazza che si recò nella camera del pugile Mike Tyson e sul più bello gli disse di no; ma ripeto, non vorrei essere tacciato di selèandataacercarismo: la donna non si tocca nemmeno con un fiore (se lei non vuole) è e rimane il mio motto.

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Mara Carfagna può dire qualsiasi cosa, io ci crederò sempre

Quindi, in pratica, dal ritorno delle ferie è una molestia continua; gli argomenti che monopolizzano i media sono: a) immigrazione b) molestie e violenze (comprese quelle a chierichetti) c) crollo di ponti. Il mondo praticamente non esiste e siamo ripiegati a contemplarci l’ombelico; ogni sera tocca ascoltare dichiarazioni senza senso di politici del governo e dell’opposizione (le più moleste se posso esprimere il mio parere le esponenti forziste Bernini Gelmini Bergamini _ c’è qualche motivo recondito se i loro cognomi finiscono tutti in “ini” quando quello del loro capo finisce in “oni”? _ e Carfagna che però come la Giorgia Moll dei bei tempi con quel sorriso può dire ciò che vuole, che come quei giocattoli caricati a molla e rilasciati sul tavolo continuano a rigirare in tondo tra una rete e l’altra ripetendo sempre le stesse cose, tra l’altro credendo di essere vive quando è evidente che si tratta di automi, come capirà chi ha visto il film di fantascienza La donna perfetta¹.

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¹ Siccome ho letto che Steve Bannon² è un cinefilo ed ama citare i film che più l’hanno colpito con interpretazioni alla cavolo di cane di quanto ha visto, non voglio essere da meno ed anch’io inizierò a citare i film che più mi hanno colpito. In questo caso quello che mi ha più colpito è stata Nicole Kidman.
² Il consigliere di Trump che poi è stato licenziato perché era troppo persino per Trump. Allora è passato a consigliare Salvini, rispetto al quale pensa di essere moderato.

E’ lui o non è lui? Direi di si…

Qualcuno di voi forse ricorderà che l’anno scorso mi ero messo in testa di scoprire se il ragazzo ritratto in una foto che è da anni in casa dei miei genitori fosse davvero mio nonno:

E’ lui o non è lui?

E’ lui o non è lui? Potrebbe essere.

Considerando che la mia zia più anziana è nata nel ’26 ed il ragazzo dimostra 13-14 anni , se la foto fosse sua avrebbe dovuto essere stata scattata una decina di anni prima, dunque nel periodo della Prima Guerra Mondiale, o poco prima / poco dopo.

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La foto, purtroppo parecchio rovinata, mostra il ragazzo con una divisa di tipo coloniale in un accampamento di tipo militare, con in mano un moschetto con la baionetta innestata. Le ipotesi sono state varie, ma siccome mio padre nel passato aveva parlato di esploratore (ora non lo ricorda più molto bene, però) ho pensato di cercare tra gli scout. Certo ora noi pensiamo agli scout come a quei bravi ragazzi in pantaloncini che aiutano le vecchiette ad attraversare la strada ma, scavando scavando, mi si è aperto un mondo! Di seguito la risposta che ho ricevuto da una gentilissima signora del centro studi scout del CNGEI, Corpo Nazionale Giovani Esploratori ed Esploratrici Italiani, l’associazione Scout laica più antica esistente in Italia (1913).

Egregio sig. …,
dalla divisa indossata da suo nonno, è possibile che sia stato iscritto al CNGEI.
Durante la Grande Guerra, moltissimi Esploratori vennero utilizzati dal Ministero della Guerra in “Servizi Ausiliari” e svolsero compiti di aiuto negli ospedali, di assistenza ai profughi, pattugliamento di linee ferroviarie, porta ordini, ecc.ecc., al posto degli uomini validi destinati a rinforzare le prime linee.
Furono organizzati parecchi corsi di preparazione di pronto soccorso e di tiro a segno con armi vere, il che giustificherebbe l’arma in mano a suo nonno.
Se desidera approfondire l’argomento, le suggerisco il libro “Gioventù Italiana e Grande Guerra – Il contributo dei Giovani Esploratori nell’ultima guerra per l’indipendenza” di G. Monetti e D. Bettale, Edizione TIPI, pubblicato in occasione del Centenario della Prima Guerra Mondiale e rientrante nel Programma Ufficiale della sua commemorazione.
Cordialità.

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Ho preso il libro, come suggerito, ed è davvero molto interessante per capire qualcosa di quel periodo che sembra così lontano, ma in fondo sono passati solo cento anni…

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Qualcuno magari si chiederà come sia possibile che non si sappia con certezza se la foto è di mio nonno o no… bisogna tener presente che mio nonno è morto nel ’44 (era dalla parte “sbagliata”, aveva aderito alla RSI e faceva il portaordini, venne intercettato dai partigiani _ non ce n’erano molti di partigiani dalle nostre parti, ma quei pochi bastarono_ e non se ne seppe più niente), e che io sappia esiste solo un’altra sua foto, perché le foto si facevano solo per avvenimenti speciali _ e chi non aveva soldi ne faceva poche! _ quando già aveva tre figli (in tutto poi furono cinque nell’arco di 18 anni); la foto la custodiva mia nonna, ed entrò in casa nostra solo quando anche nonna morì… e purtroppo dietro la  foto, che è un ingrandimento (l’originale è perso) non ci sono indicazioni utili.

Insomma, nonno non si sa come arrivò e non si sa come se ne andò… una bella storia, magari un giorno mi metterò a scriverla.