Cronachette dallo zoccolo duro (2)

Campioni d’Europa! Gli inglesi con la sportività che li contraddistingue hanno tributato applausi ai vincitori. Ah, no, scusate, quelli erano scozzesi , gallesi e irlandesi, che gioivano come e più di noi. Che libidine, amiche e amici! Battere gli inglesi, qualunque sia l’ambito, ha sempre un gusto particolare, figurarsi a calcio, loro che si reputano i maestri, e nel loro stadio. I reali erano un po’ abbacchiati, Mattarella era euforico (anche se non si vedeva). Persino una suora danese che conosco bene, in servizio a Londra, sentitasi  giustamente defraudata dal rigore concesso in semifinale contro la sua squadra tifava per noi. Veramente ho temuto in qualche evento avverso perché nel pomeriggio, di ritorno da una passeggiata nel bosco poco distante, c’era già chi si allenava nel carosello automobilistico, costringendomi a fare scongiuri ed in mancanza di ferri di cavallo toccare poco elegantemente  le parti basse. Tra parentesi, a passeggiare c’era pochissima gente, probabilmente si stavano preparando tutti per la partita…

La festa è comunque finita, ed ora ricominciano gli allarmi e le lacrime di coccodrillo: avete voluto festeggiare? Vedrete adesso i contagi dove arriveranno! E giù fustigare e minacciare castighi divini. E se invece non succedesse proprio niente, tranne l’aumento che ci sarebbe stato naturalmente grazie alla ripresa (quasi) normale delle attività? Confido nell’influenza benefica dell’estate.

Intanto continua la campagna di convincimento dei riottosi ultrasessantenni:  offertona, fino a fine luglio ci si può vaccinare senza prenotazione e con Johnson&Johnson, ovvero con una sola dose! Ostinati, se non vi sta bene nemmeno questo andate al diavolo! E infatti qualcuno comincia a parlare di far pagare le cure a chi si ammala senza essersi vaccinato. Secondo questi signori il fatto che uno abbia magari pagato le tasse proprio per godere della sanità quando ne ha bisogno è un particolare secondario. A me pare una china pericolosa, perché lanci la prima pietra chi non ha almeno un comportamento a rischio. Quindi se uno fuma e gli viene un tumore non lo curiamo? Se è sovrappeso e gli viene il diabete? Se va a giocare a calcetto senza essere allenato e gli viene un infarto lo lasciamo lì per terra? Per fortuna almeno il Papa difende la sanità pubblica e gratuita, l’avrà detto a nuora perché suocera (i ciellini) intendano?

Anche mia suocera adesso mi raccomanda di vaccinarmi. Hai voglia a dirle che io il Covid l’ho già avuto e gli anticorpi ce li ho. E poi da che pulpito, che per convincere lei le sue figlie hanno sudato sette camicie.

Sabato sera abbiamo mangiato nel giardino di due amici una pizza in compagnia, con altri amici, un accenno di normalità. Uno è direttore in una tessitura che fatica a trovare operai specializzati, ed è costretto a fregarli ai concorrenti; se per anni però il personale si è preso da agenzie interinali come ci si può poi lamentare che non si trovano operai specializzati? Quelli bisogna formarli, non nascono mica “imparati”. … Altro segno di normalità gli eventi che si stanno preparando sul lago, anche eventi Fai. Normale anche che in una delle piazze più frequentate della movida la sera al mattino ci sia una discarica di bicchieri, lattine e bottiglie? Certo che la storia è buffa, una volta chiamavamo gli inglesi con disprezzo “il popolo dei cinque pasti”, per stigmatizzarne la mollezza, ora siamo diventati noi il popolo degli spritz e delle apericene.

A proposito di discarica in un paese qua vicino hanno riempito un campo (si parla di seimila viaggi di camion e non so quante tonnellate di materiale) di terra contaminata non so di cosa, con la complicità del contadino. Vicino è coltivato il foraggio per le bestie che poi finiscono sulla nostra tavola, e magari anche di quelli che hanno portato lì la monnezza, e dei loro figli. Che dire, prosit.

Domenica, durante l’omelia, ci ha salutato un prete filippino che lascia la parrocchia, e mi ha sorpreso riportando una frase di Hélder Câmara, uno dei padri della Teologia della Liberazione: «Quando io do da mangiare a un povero, tutti mi chiamano santo. Ma quando chiedo perché i poveri non hanno cibo, allora tutti mi chiamano comunista». Fa riflettere, no? Ma non preoccupiamoci amici, ai poveri ci pensa il G20, con la tassazione delle multinazionali.  A proposito: se i razzi che portano gli stramiliardari nello spazio esplodessero o magari non riuscissero a tornare indietro, qualcuno piangerebbe? Io no di certo. Sarà che sono uno zoccolo duro…

Sono passati venti anni dalla guerra di Bush&Blair all’Iraq (più vari complici, tra cui noi) e dieci anni dalla guerra di Sarkozy&Nato (con noi spettatori paganti, nel senso che ne stiamo pagando le conseguenze più grandi) a Gheddafi. Il mondo è migliore? Non mi pare. Tra l’altro tenete d’occhio Cuba, perché Biden ne sta preparando qualcuna delle solite.

Adesso, amiche e amici, vado a gustarmi la coppa. Quella di maiale, eh! A presto…

Cronachette dal paese dei migliori (16)

Amiche e amici, grazie ai migliori siamo entrati in estate e possiamo gioirne. Tra poco riavremo anche la libertà di respiro e di sorriso, di che possiamo lamentarci? Torniamo alla normalità, insomma: pochi vecchi come me ricordano che la stessa cosa era successa anche l’anno scorso, ma quest’anno sarà senz’altro meglio.  

Impazzano gli europei di calcio, ne approfitto per fare un appello ai giocatori: per favore, non cantate! Siete imbarazzanti. L’Inno di Mameli storpiato in quel modo non se po’ sentì. Tenete il tempo, almeno! Correte in campo, non durante l’inno. Avrei poi una domanda da rivolgere a Paola Ferrari, la presentatrice: ha denunciato il suo chirurgo plastico? Se i calciatori non si possono sentire lei non si può vedere, è fissa, parla ma la bocca non si muove ed in più le mandibole sono asimmetriche. Perché l’hai fatto, Paola, perché?  A me piacevi nature, anche con quell’accenno di peluria sul labbro superiore, adesso purtroppo piallato. Che sbaglio!

Qui nei dintorni l’altra sera una intera famigliola di cinghiali è stata investita (madre e dieci cuccioli): purtroppo stavano attraversando una strada buia, come purtroppo capita sempre più spesso, e i guidatori non hanno potuto far niente per evitarli, ed è andata bene che almeno loro non si siano fatti male. Questi animali erano già in crescita esponenziale ma la pandemia ha favorito ancora il loro incremento e, anche se sembra cinico, bisognerà procedere con abbattimenti cospicui. Salsicce e ragù per tutti!

Ben diverso e più tragico l’investimento dell’altro giorno di un sindacalista, Adil Belakhdim si chiamava, da parte di un camionista che ha forzato il blocco dei dimostranti. Ha ucciso un uomo, lasciati orfani due ragazzi per guadagnare qualche ora di consegne; siamo tornati all’ottocento amici cari, al cottimo, alle squadracce contro gli scioperanti: e peggio verrà, temo, perché la globalizzazione impone la lotta di poveri contro poveri per far ingrassare sempre di più i già ricchi, e la politica è sostanzialmente la custode di questo status quo.  

Il Migliore dei Migliori ha detto che farà la vaccinazione eterologa perché con la prima dose gli anticorpi generati con l’Astrazeneca erano stati molto bassi e quindi gli è stato consegnato di fare Pfizer: io non farò ne omologa ne eterologa, i miei anticorpi (ricontrollati) sono già alti e me li tengo così. Due sole riflessioni: perché il controllo degli anticorpi non è stato fatto a tutti, e perché è stato delegato ai privati, facendogli guadagnare un fracasso di soldi? Per il mio controllo ho speso la prima volta 32€ (perché dovevano vedere se avevo già fatto il Covid, quando sapevo benissimo di averlo fatto e avevo anche gli esisti dei tamponi) e la seconda 19€. Ma cosa vuoi, dirà qualcuno, perché non ti sei vaccinato così la piantavi di rompere le scatole? Ma perché mai dovrei vaccinarmi se il mio corpo ci ha pensato da solo a proteggermi? Il vaccino non serve a creare anticorpi?

Infine un pensiero agli amici del Botswana, dove è stato trovato il terzo diamante più grande al mondo, da ben 1098 carati: la miniera è controllata per metà dello stato e per metà dai De Beers, sarebbe interessante che qualcuno ci tenesse informati su quanto del ricavo andrà a beneficio della popolazione di quel paese africano, o se alla fine le spese se le terrà lo Stato ed i guadagni i privati, magari ungendo qualche cacicco… a pensar male si fa peccato ma spesso ci si prende, diceva uno che la sapeva lunga in certe faccende.

Amiche e amici, credo sia arrivato il momento di chiudere anche questa rubrica: fa caldo e c’è bisogno di leggerezza, ravanare sui migliori non porta a niente, faccio una certa fatica a concentrarmi e bisogna che riservi quel poco di cervello che mi rimane per il lavoro, se non altro per giustificare quello che mi faccio pagare; riposo è ciò che chiede il mio corpo ed è meglio  che tiri i remi in barca prima di spiaggiarmi come una balena che ha perso l’orientamento.

Ma non scappo, eh? Se me le tirano fuori dalla penna…

Cronachette dal paese dei migliori (12)

Sarti, Burgnich, Facchetti, Bedin, Guarneri, Picchi; Jair, Mazzola, Peirò, Suarez, Corso… e anche Burgnich, la roccia, se ne è andato. Meglio così, Tarcisio, e perdona se ti chiamo affettuosamente per nome ma per me sei stato come un amico più grande, uno dei miti della mia giovinezza: questo mondo non è più per persone come te, serie, dure ma corrette, gente di sostanza e di cuore, capace di risorgere dopo i tradimenti, di lottare sempre, di schivare e schifare i riflettori e le ruffianerie. Il calcio è diventato una merda, Tarcisio, e non solo quello: lassù ritroverai tanti compagni della squadra più forte del mondo, rimettiti in forma roccia, che quando sarà il mio turno verrò a cercarvi per applaudirvi ancora e magari, chissà, mi permetterete di palleggiare insieme, in paradiso tutto è possibile…

Nello stesso giorno i mercanti cinesi che hanno acquistato la “nostra” squadra si accordavano con l’allenatore per una buonuscita di sette milioni di euro, poco più della metà del suo stipendio di un anno: quanti milioni avreste dovuto guadagnare in proporzione voi, che avete vinto tutto? Tu e Giacinto, la coppia di terzini più forte della storia, cosa sareste stati oggi? O magari non vi avrebbero nemmeno fatto giocare, perché si preferisce prendere scarponi da tutto il mondo pagandoli anche a peso d’oro, con contorno di parassiti troie e ruffiani?

E a proposito di troie, pochi giorni fa era morto Franco Battiato. Povera Italia, aveva scritto, e come non riconoscersi nell’amarezza delle parole di quella canzone, quel “tra i governanti quanti perfetti e inutili buffoni”? Purtoppo con uno di quei buffoni ci era finito anche lui, quel Crocetta che lo volle come assessore nella sua giunta regionale siciliana (è ora di togliere l’autonomia alle regioni autonome, altro che darla anche alle altre) e poi, appena disse qualcosa di sgradito ai partiti ma verissimo, e cioè che in parlamento siedono decine forse centinaia di troie disposte ad ogni cosa per soldi, si affrettò a scaricarlo. Sessismo, che vergogna, rispetto delle istituzioni, si scatenarono le boldrine sciocche. Il rispetto bisogna meritarselo e le troie ci sono in tutti i sessi, ma certo è più facile alzare polveroni su una parola che condannare chi per soldi cambia casacca e fa cadere un governo. E  la vogliono far passare per politica?

Dichiaro qua, una volta per tutte, che non me ne frega niente di Lukashenko e di Navalny. Mi indignerò per i diritti umani dei paesi che ci stanno antipatici solo quando la stessa indignazione ci sarà per gli “amici”: Erdogan, i libici, gli sceicchi, gli egiziani… finché i  “dittatori che ci fanno comodo”, come ha detto il Migliore dei Migliori, possono fare  quello che vogliono, di Lukashenko me ne frego. Tra l’altro ho visto in tv una cosiddetta oppositrice democratica con alle spalle una bandiera vagamente nazista: anche questa una nostra amica? Ad esempio, vogliamo dire che l’amico Netanhjau per il suo esclusivo tornaconto ha creato ad arte una provocazione e all’ovvia risposta di Hamas ha mandato l’aviazione a spianare Gaza, facendo più di 200 morti per la maggior parte civili, contro i 10 che ha avuto Israele?  (Ricordo che la proporzione nazista per le rappresaglie era di 1:10, qui mi sembra siamo ben oltre, ma Israele è ovviamente democratico. Ma uno stato è democratico solo perché si vota? No, perché allora si vota anche in Bielorussia, che ci piaccia o meno).

E, giusto per essere coerente, non me ne frega niente nemmeno di ddl Zan: i cosiddetti diritti civili a buon mercato quando i diritti sociali vengono calpestati tutti i giorni non mi appassionano. Tanto per dire, dei 40 miliardi sbandierati ai destinatari di bonus e di reddito di emergenza non è ancora arrivato niente: ma come, non dovevano essere soldi pronti e “veri”, come se gli altri avessero dato quelli del monopoli? E come mai la nostra informazione così attenta ai Lukashenko non dice che il 74% degli aiuti finora è stato preso dalle aziende, che ogni giorno piangono miseria?

Piangono sempre, tutti… diamine, non riaprono le piste da sci, disastro nazionale: e poi succede che appena riaperta una funivia pur di non perdere qualche giorno di guadagno tolgono le sicurezze facendo morire la gente. Che poi purtroppo a volte i lavoratori, mi dispiace dirlo, ci mettono del loro: quanti  infortuni sono occorsi in fabbrica perché per fare più produzione gli stessi operai disattivano le sicurezze per sostenere i ritmi, o per compiacere i capetti o a volte solo per stupide gare?

Certo amiche e amici direte: ma che ti è successo oggi Giò che hai una parolina buona per tutti, ti ha morso la tarantola?

E’ che è morto anche un mio amico del paese, poco più giovane di me, ci chiamavamo l’uno l’altro “socio”, come di due che ne avevano fatte parecchie. E’ morto di Covid ma non di Covid, ovvero aveva dolori da qualche tempo ma tra esami rimandati e ricoveri impossibili si è ridotto che non stava più in piedi: andato al pronto soccorso l’hanno fatto aspettare in macchina perché mancavano letti, senza nemmeno guardarlo e con dolori lancinanti (una infermiera gli ha detto testualmente: “e che ci posso fare, mica posso prenderlo in braccio”); finché finalmente dopo ore l’hanno ricoverato e gli hanno fatto la morfina, e hanno congedato la moglie dicendogli che l’avrebbero avvisata loro, perché con il Covid non si può stare vicini ai propri cari, nemmeno se stanno malissimo. Infatti la mattina dopo l’hanno chiamata, ma solo per dirle che suo marito nella notte era morto: aveva un tumore in stato avanzato, l’oncologo ha chiesto alla moglie il permesso per fargli l’autopsia dato che “è strano perdere dei pazienti così velocemente”. La moglie è stata molto signorile ed ha solo detto che era meglio se l’avessero guardato quando era vivo piuttosto di indagare ora che era morto: a che serve, a chi? Tanto lo metteranno nelle statistiche Covid. Ecco, questo è come siamo ridotti dopo un anno di pandemia, non siamo nemmeno riusciti a separare gli infetti dai sani, grazie ai nostri ospedali pensati da cervelloni per il comodo dei dottori, non dei malati.

Adesso smetto, amiche e amici, perché la rabbia è troppo forte, mi serve una pausa:  ho prenotato un weekend a Venezia e spero che nel frattempo tutti i migliori se ne vadano a quel paese.

Parabole

Amiche e amici, le cose vanno per il meglio; oggi ha fatto il tampone anche mia moglie, così se risulterà negativa già da sabato potrà uscire. La regola infatti è che i conviventi possono fare il tampone dopo dieci giorni dall’apertura della segnalazione per l’infetto (che sarei io); la segnalazione è stata fatta il 16, e quindi oggi 26 sono stati chiamati a fare il tampone. La mia dottoressa deve essersi sbagliata nel fare la richiesta perché stranamente mio figlio non è stato chiamato: ho provato a chiamare il numero verde di ATS Insubria ma dopo un bel po’ di attesa il risponditore automatico mi ha detto di lasciare un messaggio.

Devo dire che gli automatismi funzionano abbastanza bene, tra mail e telefonino, ma se si vuole parlare con qualcuno in carne ed ossa è parecchio più difficile.

Ad ogni modo, anche se non avessero potuto fare il tampone, dopo quattordici giorni (senza avere sintomi) sarebbero potuti uscire lo stesso; considerando che per l’esito ci vorranno un paio di giorni, vorrà dire che (toccando ferro) mia moglie potrà uscire sabato anziché lunedì. Se tutto questo sia logico e non sia invece meglio fare i tamponi a tutti non lo so; del resto un tampone negativo oggi non impedisce di averlo positivo domani, ma almeno ad un certo punto è una certezza: o si o no.

Stamattina ho lavorato qualche ora e avrei potuto continuare anche oggi pomeriggio ma non voglio strafare; voglio godermi il pomeriggio di relax tra scribacchiare, leggiucchiare e guardare i colori fuori dalla finestra; ci sono delle macchie che mi danno fastidio, e precisamente il bianco delle parabole, soprattutto quelle piazzate sui balconi piuttosto che sui tetti, che tutto sommato mi sembra la destinazione naturale. Non ce ne sono moltissime, ne ho contate una dozzina, ma disturbano il mio senso estetico; ne ho vista una piazzata in un balcone al quinto piano di un condominio lontano, e sullo stesso balcone c’è una bicicletta; ho pensato a quei poveracci che si sono portati la bicicletta al quinto piano probabilmente per paura che gliela fregassero, oppure proprio perché l’avevano fregata loro; e vicino la parabola, immacolata, a pochi passi da una tapparella tutta storta e mi sono chiesto che priorità avrà quell’uomo, che fatica per portare al quinto piano una bicicletta ma non si degna di sistemare la tapparella della casa in cui vive.

La sera ho preso l’abitudine di guardarmi un film, dopo cena. Su Raiplay ne propongono di belli, completamente gratis; per la verità ci sarebbe anche Chili che sta facendo il “Black Friday” e ne propone una lista a soli 1,20€. L’altro ieri mi sono visto “The Homesman” con Tommie Lee Jones, una storia cruda di pionieri e pazzia; ieri sera ho visto “Cold Blood” con Jean Reno, una storia cruda di killer e vendetta: stasera magari passerò a qualcosa di più leggero, non vorrei che tutta questa crudità mi rimanesse sullo stomaco… la cosa più bella è che, mentre in TV la prima serata ormai inizia dopo le 21:30, io a quell’ora ho quasi finito la visione e sono pronto ad andare a letto.

E’ morto Diego Armando Maradona, quasi mio coetaneo: ne ha fatte da benedir la luna e le ha pagate tutte sulla sua pellaccia; è stato uno dei più grandi artisti del pallone e questo per me resterà per sempre; ha subito grandi torti ed ha reagito sempre da uomo, a Barcellona nel 1983 un macellaio basco di nome Goikoetxea gli spezzò una caviglia e si pensava che la carriera fosse finita; nel 1990 tutto lo stadio Olimpico lo fischiò, colpevole di aver eliminato l’Italia in semifinale, quando l’Italia in realtà si era eliminata da sola, e lui reagì da par suo sibilando quell’“Hijios de puta” che è rimasto agli annali; ha distrutto da solo l’Inghilterra, ai mondiali dell’86, con uno dei più bei gol di tutti i tempi, partendo dalla sua metà campo e scartando lo scartabile; e infine con il famoso gol di mano, “la mano de Dios”, che aveva vendicato la sconfitta argentina nella guerra delle Malvinas di quattro anni prima, sconfitta peraltro benedetta perché diede fine alla dittatura militare… a Napoli aveva trovato il suo habitat naturale, in anni in cui in Italia giocavano i campioni più forti del mondo: e che fine abbiamo fatto dopo allora, come abbiamo fatto a ridurci così? Non ci saranno altri Maradona, perché tutto si è omogeneizzato, tutto si è livellato, i calciatori si “gestiscono” e giocano fino a quarant’anni, i manager spadroneggiano e per i proprietari delle squadre il calcio è un prodotto come un altro, per far soldi o alla peggio per scaricarlo dalle tasse; rivoglio Maradona, grasso, flaccido, provocatore, attaccabrighe, politicamente scorretto, puttaniere e cocainomane, basta con questi fighetti tutti uguali, che fanno tutti gli stessi movimenti, le stesse giocate, le stesse dichiarazioni: ridatemi Maradona, e la vedremo una volta per tutte se Maradona è davvero meglio ‘e Pelè; ridatemi Maradona, hijios de puta, che di altri così non ne vedrò mai più.

Niente sushi per Olena – 3

«Compagni, compagni! Un attimo di silenzio! Compagni, un po’ di attenzione, e che cazzo!»
Nel seminterrato del condominio di via Arbe, parallela di Viale Zara, a Milano, il presidente dell’assemblea autoconvocata, Attilio Trozzo, fa fatica a mantenere l’ordine.
Sono convenuti diversi gruppi della galassia antagonista, per una volta tutti uniti nella lotta.
«Lascio la parola al compagno Cazzaniga. Prego, Luisito, tieni il megafono»
Luigi Cazzaniga, nome di battaglia Luisito Lenìn, Luisito in onore di Luisito Suarez¹ e Lenìn in onore di Lenìn, è il leader del Partito degli Interisti per la Rivoluzione. Il programma prevede la costituzione delle società di calcio in Soviet, con la formazione domenicale eletta democraticamente e l’abolizione della figura dittatoriale dell’allenatore. Luisito si raschia la gola e attacca:
«Compagni!» ma il fischio del megafono non permette all’uditorio di decifrare la parola.
«Luisito, abbassa il volume che fischia!» gli suggerisce Ambrogio Cantaluppi, delegato del Sindacato Mimi di Strada e Falsi Bambini in Carrozzina. Luisito borbotta un “ma va a dà via ‘i ciap” e continua:
«Compagni! Quello che è stato compiuto è un grave atto di provocazione! Ma noi non dobbiamo cadere nelle trappole degli imperialisti!»
«Bravo! Giusto!» approva Alcide Remigi che gli amici chiamano Memo per via del cognome, presidente del Mo.Di.Ca. – Movimento per la Dignità del Cane – che sta raccogliendo le firme per una proposta di legge che metta al bando i cappottini per i cani. Il Mo.Di.Ca. sta inoltre finanziando un esperimento genetico per la creazione di una razza di cane completamente anaffettiva, in grado solamente di mangiare, bere, defecare sul divano e violentare le Pigotte abbandonate per casa, un incrocio tra Schnauzer nano, Yorkshire Terrier e Japanese Chin: lo Stronzerrier nano².
Luisito continua:
«E’ chiaro che cercheranno di addossare a noi la colpa di quanto è successo»
«Hai ragione! Certo! Ma noi non ci faremo incastrare!» urla Olindo Gervasoni, detto il Pinna per via di una accentuata scoliosi alla spalla sinistra. «Noi non c’entriamo niente!»
«Ma voi vi siete esposti troppo! Vi avevamo avvisato di non esagerare!» gli grida dietro Mirco Grattin, del “Comitato per la Solidarietà ai Volontari che Portano il Thè ai Senzatetto di Como” rinfacciando al Pinna, esponente dell’Unione No-Sushi, azioni dimostrative come quella di aver liberato blatte rosse nelle cucine di diversi Sushi-Bar dei Navigli; azione peraltro inutile dal momento che le blatte sono state catturate dagli scaltri cuochi, tritate e messe in tavola come salsina piccante, con grande apprezzamento degli avventori.
«Calma, calma, compagni!» esorta Luisito, vedendo il Pinna alzarsi e avanzare minaccioso verso Grattin. «E’ proprio questo che vogliono, dividerci e metterci uno contro l’altro! Del resto lo sapevamo, la scelta del loro obiettivo era troppo ovvia: interista e giapponese!»
Miguel Zapatero, osservatore internazione inviato dalla Federazione dei Massaggiatori di Prosciutti Patanegra, annuisce pensoso. Dalla tasca dell’eskimo spunta la Gazzetta dello Sport, con una foto a tutta pagina e un titolo a caratteri cubitali:

RAPITO YŪTO NAGATOMO!

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Chi può aver rapito il terzino Nagatomo? Qualcuno mesta nel torbido? Il Patanegra è solo un prosciutto o un collier di Cartier? Lo sapevate che Armando Cossutta era interista? Sapete almeno chi era Armando Cossutta? 

¹ Per i più giovani o quelli che non amano il calcio dirò solo che Suarez era il faro della Grande Inter. Mi fermo qua, i lucciconi mi impediscono di continuare.
² Amo i cani. Devo precisarlo per essere politicamente corretto e non incorrere nelle ire della Brambilla. Detesto i padroni. Sono stato padrone anch’io e spesso mi detestavo.

Stanotte ho fatto goal alla Svezia

Caracollavo nella trequarti avversaria, spalle alla porta, quando mi arriva tra i piedi un pallone vagante. Mi giro verso la porta svedese, difesa da Filippa Lagerbäck³,  e con la coda dell’occhio intravedo sulla sinistra Boninsegna che tiene occupati tre svedesi a forza di schiaffoni, sulla destra invece Marco Delvecchio¹ è libero, con l’estrema difensora fuori dai pali. Delvecchio mi chiama la palla ma piuttosto che passargliela me la metto sotto la maglietta e vado negli spogliatoi. Sai che c’è: fanculo Delvecchio, io ci provo. Di sinistro, che non è manco il mio piede preferito: una pennellata da quaranta metri, scavalco la simpatica presentatrice e gliela piazzo all’incrocio. Che parabola! Che fondello! (il colpo, non il portiere)
Mi vedevo già impettito alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per essere insignito del Cavalierato quando, sentendo un certo spiffero, mi sono reso conto che la divisa regolamentare era incompleta mancando della parte inferiore e la consapevolezza mi ha svegliato: Bonimba² veleggia verso i  75 e purtroppo le vene varicose gli hanno impedito di essere convocato, ingiustizia secondo me perché avrebbe fatto la sua porca figura; in quanto a Delvecchio è ancora lì che aspetta la palla, e ce lo lascerò fino ai mondiali del 2022.

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Che bei tempi viviamo, amici! L’ho già detto? Nella macchinetta distributrice di merendine è comparso un toast kebab e peperoni. Il cavalier Giovanni Rana produce tortellini col ripieno di paella. Facoltosi fedifraghi vengono rimborsati dalle ex mogli di parte degli alimenti pagati. Che cuccagna!

Mi aspettavo, dopo l’eliminazione, un’ondata di suicidi, invece la reazione è stata abbastanza composta e quasi unanime nel riconoscerci delle pippe. Qualcuno ha cercato di organizzare processioni di penitenti ventilando cali paurosi del Pil; qualcuno ha dato la colpa ai troppi stranieri; qualcun’altro che giocano troppi stranieri perché i nostri sono delle pippe entrando così in un circolo vizioso; l’allenatore, alla richiesta di immolarsi con rituale seppuku, ha declinato l’invito ed anzi ha rilanciato con buon sprezzo del pericolo richiedendo una sostanziosa buonuscita; vendicatori impavidi hanno minacciato di razziare tutte le matite dell’Ikea, costringendo l’Ikea a minacciare di fornire istruzioni incomplete per il montaggio dei loro mobili.
Io stesso, non immune da gesti inconsulti come quando nella finale Roma-Liverpool del 1984 Falcao si rifiutò di tirare il rigore e Ciccio Graziani lo calciò alle stelle e dalla rabbia svuotai nel lavandino una ottima bottiglia di whisky scozzese solo perché non avevo niente di inglese tra le mani, io stesso dicevo l’ho presa abbastanza bene, non ho smontato mobili ne cestinato le amate polpette.

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A proposito di nazionale, è di questi giorni la notizia che l’ennesima multinazionale che ha “investito” nel nostro paese ha annunciato la chiusura dello stabilimento in Abruzzo per delocalizzarlo in Slovacchia. Non perché perdeva, ma per avere più profitto: 420 famiglie sulla strada, più 60 dell’indotto. E’ il mercato, dicono. E’ il mercato o l’ingordigia? Non si va più a vendere prodotti, ma a vendere il lavoro stesso: vengo da te se mi dai condizioni più favorevoli, salari più bassi, sindacati fuori dalle scatole , sovvenzioni, defiscalizzazioni… Addirittura il nostro ministero, invece di dire semplicemente: amici, se volete andare quella è la porta ma lo stabilimento i macchinari e gli ordinativi li lasciate qui, ha offerto 50 milioni che quelli hanno rifiutato (troppo pochi?). Questo non è mercato, questa è  la nuova banalità del male, e bisogna cominciare a dirlo che gli artefici sono i nuovi Adolf Eichmann, e come tali andrebbero trattati, altro che omaggiarli e riverirli!

Io penso di sapere perché non vinciamo più niente a pallone. Perché il calcio da tempo non è più un gioco; perché i bambini non passano più ore e ore a giocare a pallone per le strade o negli oratori, e che quando giocano nei cortili vengono redarguiti da anziani biliosi; perché la concezione di tempo libero non prevede più pause, ma ogni momento deve essere organizzato e pianificato; perché le mode salutiste proclamano che il calcio non va bene perché non sviluppa il corpo armoniosamente; perché i bambini vengono irreggimentati fin da piccolissimi nelle cosiddette scuole calcio, dove crescono come polli in batteria; perché la funzione sociale dello sport è andata a pallino, come tutto d’altronde, e a gratis non si fa più niente, ed anche per giocare adesso devi pagare; perché una volta pensavamo solo a due cose, e una di queste era il pallone.

(173 – continua)

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¹ E’ stato un calciatore discreto, ma è più famoso per aver partecipato a Ballando sotto le Stelle.
² Quando eravamo un popolo virile in attacco schieravamo Boninsegna e Gigi Riva, detto “Rombo di Tuono”. Ora El Shaarawy, non aggiungo altro.
³ Adesso che la Svezia ci ha eliminati non sarebbe giusto dare a Filippa Lagerbäck il giusto spazio e affidarle la conduzione di “ Che tempo che fa” al posto di Fabio Fazio?

Quello che non fecero i Barbari, l’hanno fatto i Barberini

Venerdì scorso, festa della Repubblica, è stato uno di quei giorni in cui meno mi sono sentito intelligente.

Partito di casa alle 6:30 per recarmi al paesello a visitare i genitori acciaccati, mi sono trovato intruppato per ben dodici ore in un serpentone di auto piene di gente diretta verso località balneari adriatiche.
Purtroppo non viaggiavo da solo e non ho potuto cristonare tutto il tempo come avrei voluto, ne intonare i canti a me cari come il “Credo in unum Deum” o gli evergreen “Lisa dagli occhi blu” di Mario Tessuto o “Il mondo” di Jimmy Fontana, tra l’altro nativo dei luoghi dove mi stavo recando, ma essendo in compagnia della mia signora mi sono dovuto contenere, nemmeno “Anima mia” dei Cugini di Campagna in falsetto mi è stato concesso.

La radio non aiutava: continuava infatti a parlare della stramaledettissima finale di Champions League tra Juventus e Real Madrid, squadre che detesto entrambe e nemmeno cordialmente.
Per la cronaca ha vinto il Real Madrid, che ha un fortissimo centravanti impossibile da marcare perché tende ad appoggiarsi al marcatore e sbucargli da dietro. Quando giocavo io, era ai difensori che si intimava di stare incollato all’uomo, e nelle mischie il rischio di essere tirati per i testicoli per impedire di saltare era sempre in agguato, ma con quel fenomeno è impossibile: come cambiano i tempi!
Il centravanti bianconero invece mi è sembrato affetto da pinguedine, cioè con la pancia più piena del portafogli, ed è tutto dire. Ma mi fermo qua perché non vorrei dare l’impressione che le mie riflessioni siano offuscate da pregiudizi o peggio invidia, lungi da me questi sentimenti.

In compenso al ritorno ho dovuto sorbirmi interminabili concioni su quanto si sarebbe dovuto o non dovuto fare per impedire la quasi strage di Piazza San Carlo a Torino, dove ci sono stati più di 1500 feriti, qualcuno purtroppo seriamente, nel fuggi fuggi causato da non si sa bene cosa.
Mi accodo all’opinione dei commentatori più sensati: bisognava evitare di ammassare tutte quelle persone, si sa poi come sono fatti gli juventini: avendo code di paglia lunghe chilometri, appena qualcuno strilla “Polizia!” tendono a scappare. E’ una loro psicosi, non ci possono fare niente.
Perché la festa non è stata organizzata allo stadio della Juve, mi chiedo? Forse perché è privato e avevano paura di “rovinarlo”? Quindi la piazza pubblica si può ridurre ad immondezzaio ma lo stadio privato va tenuto da conto? Metafora del rapporto pubblico-privato, se mi si consente l’uso della parola metafora di cui non padroneggio appieno il significato.

Ma non preoccupiamoci perché è già stato trovato a chi dare la colpa, e questa è sempre una buona cosa: ai venditori ambulanti di birra. Ignobili malfattori!

Mio malgrado devo dar ragione al Mr.B. d’antan: la crisi non esiste, è un’invenzione della sinistra disfattista! Altrimenti non si spiegherebbe perché milioni di persone dovrebbero inscatolarsi per bagnar le chiappe chiare¹ per qualche ora, quando al costo di autostrada e benzina ci si potrebbe godere una bella cenetta in un discreto ristorante.

Strada facendo ho avuto diversi momenti di sconforto, come quando a Fiorenzuola abbiamo lasciato l’autostrada per prendere la Via Emilia, intasata anch’essa dai tanti che come me pensavano di essere furbi. Ho deciso allora di fermarmi un’oretta nella stessa Fiorenzuola, dove non ero mai stato; adesso su due piedi non saprei elencare i motivi che mi indurrebbero eventualmente a tornarci.
La consapevolezza che con le stesse ore di viaggio avrei potuto fare una puntata a Monaco di Baviera, bere una birra all’Hofbräuhaus e tornare indietro mi deprimeva.

Finalmente, verso le 18:30, ho raggiunto l’ospedale dove la mia mammetta, classe ’35, era ricoverata a seguito della rottura del femore. Incidente domestico che mi ha ispirato il titolo: usciti fisicamente indenni dal terremoto, nell’ispezione che doveva valutare i danni subiti dall’abitazione un improvvido controllore aprendo senza cognizione una botola per accedere al tetto si è quasi fatto cadere in testa una scala di ferro, e nei movimenti bruschi che ne sono seguiti mia madre è caduta, ricevendo quindi più danni dall’ispezione che dal terremoto.

Per fortuna l’assistenza ospedaliera, nonostante le carenze di cui si vogliono far patire a bella posta gli ospedali pubblici, è buona, ed è circondata dalle cure amorevoli dei miei fratelli e parenti più vicini; mia madre ne ha passate e viste passare tante che sono sicuro si tirerà in piedi anche da questa; consiglio tuttavia amichevolmente agli Enti implicati in questa vicenda di darsi da fare perché i disagi siano i minori possibile, chi ha orecchio per intendere intenda.

La prossima volta credo che partirò col treno, che la partenza intelligente non fa per me.

¹ Cit. Gabriella Ferri “Tutti al mare”

(141 – continua)

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Fino a calata di sole (Wrong place, wrong people)

Una ventina di anni fa, era una sera autunnale, stavo aspettando in Piazza della Scala, Milano, che il semaforo diventasse verde, quando mi ritrovai circondato da un gruppetto di tifosi inglesi, supporters di non ricordo più quale squadra i quali, già piuttosto carburati, scambiandomi evidentemente per un loro compatriota vuoi per via dell’abbigliamento, che comprendeva impermeabile e ombrellino tenuto sottobraccio a mò di baguette francese, vuoi per il mio aplomb imperturbabile, mi chiesero dove si trovasse un certo pub. Non essendo frequentatore abituale di tali locali ebbi qualche difficoltà ad inquadrarlo ma, con la volontà di rendermi utile che mi contraddistingue, chiesi se conoscessero almeno la via, e saputo che si trovava in Via Torino, già che mi trovavo di strada mi offersi di accompagnarli per un pezzo, almeno fino a Piazza del Duomo.  Attraversammo quindi la Galleria Vittorio Emanuele II; al che, ammirando sia il pregevole manufatto che le belle persone che lo frequentano, uno dei tifosi sentenziò, facendo in modo di farsi udire bene: “Beautiful place, beautiful people: wrong place, wrong people”, intendendo loro stessi come wrong people, cosa di cui non ebbi motivo di dubitare: una riflessione profonda, che non mi sarei aspettato in quel frangente, su come la bellezza possa condizionare lo sviluppo umano.

I giovani filosofi mi proposero di berci una birretta insieme, cosa che avrei fatto volentieri se gli orari del treno pendolari me l’avessero permesso; a malincuore dovetti declinare l’invito, e non mancai di salutarli augurando il più classico dei “win the best”, sperando di non essere trattato come Fantozzi in Superfantozzi: anche perché in quel momento la formazione più forte, anche se mi dispiace ammetterlo, era quella dei detestati cugini rossoneri.

A proposito di aplomb, ricordo la volta che l’allora presidente della DC, Arnaldo Forlani, venne in visita al mio paese e l’elicottero atterrò nel bel mezzo del campo sportivo intorno al quale stava sgambettando il vostro cronista cercando di recuperare una forma decente dopo gli stravizi estivi; non mi fermai nemmeno dopo l’atterraggio, al che credo che il servizio di scorta mi abbia reputato inoffensivo. Mia madre, che assisteva alla scena dalla finestra, appena tornato a casa mi chiese: – “Ma non hai visto Forlani?” –“Forlani chi?” risposi con finta nonchalance, mentre tra me e me mi dicevo: “Ah, ecco chi era, mi sembrava”.

Come sapete, l’umorismo inglese mi affascina. Quello basato sui dialoghi, le situazioni giocate sul filo dell’ironia, mai volgare. Woodehouse, Jerome K. Jerome, Oscar Wilde… ad esempio ho trovato irresistibile la petizione per chiedere di ripetere il referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea; la proposta è stata accantonata come boutade, ma secondo me avrebbe meritato una valutazione più approfondita.

Fa’ e disfà l’è tutt un laurà: sarebbe come, che so, un partito presentasse un marziano come sindaco, il popolo lo eleggesse, e poi lo stesso partito dicesse: “E no, belli, vi siete sbagliati, questo è troppo marziano”. Allora si rifarebbero le elezioni e il popolo per puro spirito goliardico voterebbe uno più marziano ancora, ma del partito avversario. Fantasie, beninteso, qua da noi non potrebbe mai succedere.

Al mio paese c’era Adelchi, detto Adamo, barbiere e artista, che tra le tante attività, tra cui quella di trombonista in banda, svolgeva in antichità quella di arbitro. Testimoni oculari, ormai radi,  raccontano che tendesse ad avere un occhio di riguardo per la squadra di casa e quando questa perdesse allungasse la durata della partita finché non si arrivasse ad un onorevole pareggio, o in caso contrario finché non ci fosse più abbastanza luce per continuare il gioco. Fino a calata di sole, insomma.

Si potrebbe istituire, sull’esempio del celebre compaesano, un referendum a calata di sole; si vota ad oltranza finché il risultato non è quello auspicato dall’arbitro, e se proprio i votanti non ne vogliono sapere, si annulla tutto e si ricomincia da capo.

(101. e via così)

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Tutti contro Tutti

Capitava a volte, nei pomeriggi d’estate, che ci trovassimo attorno ad un pallone ma non abbastanza numerosi da formare due squadre. Si ricorreva allora al Tutti contro Tutti: non esistevano compagni ma solo avversari, e chi prendeva la palla in breve aveva tutti addosso. Gli artisti, i dribblatori, potevano divertirsi a saltare e risaltare come birilli i più lenti, salvo poi perdersi ad un passo dal goal; i più potenti provavano a  sparare delle cannonate da trenta metri alla sperandio; i più opportunisti aspettavano sornioni vicino alla porta per rubare la palla all’ultimo minuto, dopo aver fatto spolmonare gli altri. Se volessi fare il saputello la chiamerei metafora della vita, ma non è il mio caso. A dire la verità c’era anche un altro gioco, più cruento ma non meno divertente, ed era quello che si faceva a due porte, uno contro uno, ed a chi perdeva si strizzavano gli zebedei finché non riuscisse a fischiare. Era consigliabile, per chi non fosse un gran fischiatore, astenersi dal partecipare; per comprensibili motivi le sfide miste erano vietate.

Ricorderete nonno Gaetano, quello che si era fatto un paio di guerre da volontario. Di mestiere faceva il muratore, anzi il capomastro che a quei tempi era quasi un geometra; sovente per andare a lavorare doveva inforcare la bicicletta all’alba, e tornare all’imbrunire. Pedalando, specialmente in salita e sotto il sole, l’istinto di andare a civilizzare il mondo veniva corroborato: tanto peggio di così difficilmente sarebbe potuta andare. Salvò entrambe le volte la pelle, e tornò facendosi una promessa solenne: che quando fosse andato in pensione non avrebbe mai più toccato un mattone. Uomo di parola, io lo ricordo da sempre in pensione ed in effetti mattoni non gliene ho mai visti toccare.

Non apprezzo molto chi utilizza le parole a sproposito. Ad esempio ce n’è una, orribile, che va molto di moda di questi tempi: rottamazione. E’ usata per indicare, oltre a degli incentivi economici per la sostituzione di autovetture vetuste, il ricambio non consenziente di gruppi dirigenti. Nel merito, niente da obiettare; ma lo stile lascia a desiderare. A tal proposito gli slogan dei miei tempi erano un po’ più allegri: “Fantasia al potere”, che presupponeva che una casta di vecchie cariatidi venisse finalmente soppiantata da menti fresche e immaginifiche. Parecchi, di quelli che li scandivano, al potere ci sono effettivamente arrivati, per fare l’esatto contrario di quanto propugnavano allora; gente che voleva mettersi alla testa dei lavoratori e  teorizzava rivoluzioni mondiali riempie i salotti televisivi con occhialini improbabili discettando delle magnifiche sorti e progressive della Juventus. Aborro tali personaggi.

Penso di non essere il solo a sapere che l’età per il pensionamento è stata allungata, su iniziativa di una certa ministra piangente, alle calende greche. L’aspettativa di vita è aumentata, e dunque bisogna lavorare di più. Secondo me, ma lo dico da profano perché le ministre piangenti la sanno sicuramente lunga, l’assunto è sbagliato per almeno tre motivi: a) per continuare a lavorare bisogna che ci sia lavoro; b) l’aspettativa di vita è data dalle condizioni in cui si vive, e senza lavoro e senza pensione tanto lontano non si va; c) se ai vecchi non si permette di frequentare i giardinetti o i campi di bocce, o almeno attorniare i cantieri stradali con le mani intrecciate dietro la schiena, non si capisce quando  i giovani possano iniziare a lavorare.

Se poi qualcuno cerca di convincermi che la crisi in cui versiamo sia colpa delle pensioni dei miei nonni o dei miei genitori, mi scappa da ridere: la colpa è di Gorbaciov, e su questo non ci piove.

Tornando alle rottamazioni, a meno che non sia affetto da disturbi visivi osservo che raramente i bersagli siano dei potenti, che anzi bene o male se la sfangano sempre.

Stiamo assistendo ad un gigantesco Tutti contro Tutti:  si aizzano giovani contro vecchi,  precari contro tutelati, dipendenti contro autonomi, statali contro privati; intere categorie: pensionati, lavoratori dipendenti, impiegati statali, vengono additate al pubblico ludibrio, da estirpare quasi fossero la causa di tutti i mali del mondo. Non più lotta di classe che quantomeno univa proletari contro capitalisti, ma tante piccole guerre tra poveri e per di più rancorosi. Intanto i veri potenti se la ridono, strizzano, e aspettano che fischiamo.

(62. continua… ma sono un pò stanchino però)

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Si, la vita è tutta un quiz

Ci sono momenti nella vita di un uomo in cui bisogna stabilire chi comanda. Tramontati i tempi in cui era sufficiente roteare con maestria una clava, o quelli più recenti in cui come ci suggeriva la millenaria civiltà orientale: “Appena arrivato a casa picchia tua moglie. Tu non sai perché, ma lei si”, la figura del capofamiglia si è via via annacquata. Tali abitudini in alcuni angoli del pianeta, non necessariamente meno civili, persistono; nel nostro angolino di mondo e nella contingenza storica che attraversiamo, sono biasimate. Anche la moda non aiuta: se una volta bastava un’occhiata ai pantaloni, e quindi a chi li indossasse in casa, ora il dubbio persisterebbe. Resta, per affermare il predominio, il possesso di oggetti simbolici, dei feticci: gli antropologi saranno d’accordo con me che cedere il telecomando alla moglie, o compagna, o fidanzata che sia, per permetterle di piangere all’ennesima replica di Dirty Dancing o Ghost mentre su un canale concorrente è in corso la semifinale di Champions League Real Madrid – Juventus è un’abdicazione inammissibile. Sconsiglierei, se il rapporto non fosse già regolarizzato o se il cedimento non fosse motivato da biechi scopi opportunistici (do ut des), dal proseguire la frequentazione di tale partner, specialmente nei mercoledì di coppa.

Intendiamoci, non che sia un fissato del calcio. Mi piace, ma il troppo stroppia: l’eccesso di palle rotolanti a tutte le ore mi ha sfiancato. Sono persino arrivato a sostenere l’unica idea sensata del professor Monti, che era quella di sospendere per almeno tre anni tutti i campionati, alla quale naturalmente, forse per non intristire ulteriormente i lavoratori esodati dalla ministra piangente, non ha dato seguito.

Del resto l’ultima mia partita di calcetto risale al secolo scorso: Franco, che già conoscete, è finito all’ospedale con una caviglia rotta, ed un altro ha cercato di distruggere un paletto con un orecchio. E senza nemmeno avversari, cosa che mi ha ancor più impaurito.

Dunque non è per passione pallonara, ma per puro esercizio del potere, che affermo come Renzo Arbore nell’87 in Si, la vita è tutta un quiz: “tu nella vita comandi fino a quando, ci hai stretto in mano il tuo telecomando!”.

Prima sarebbe stato anacronistico. Fino al ’79 i canali erano solo due, e per cambiare si schiacciava un pulsantino posto sotto al video. I televisori avevano dentro delle enormi valvole e il tecnico era un po’ come un medico: veniva in casa, faceva la diagnosi, e poi decideva per il ricovero o la sostituzione in loco. Da noi veniva Manfredo, un amico di babbo, e se diceva “ahia, Nino” bisognava temere il peggio.

Sarò vetero ma penso che se ci fossimo fermati a tre, numero perfetto, ne avremmo avuto più che abbastanza. Invece ad un certo punto ci siamo fatti mettere in testa che più televisioni fossero sinonimo di più libertà; della qual cosa si è avvantaggiato un discusso imprenditore edile per creare un impero economico e una carriera politica. Una conoscenza almeno per sentito dire del romanzo “1984” di Orwell avrebbe dovuto metterci in guardia, per non parlare della Fenomenologia di Mike Bongiorno di Umberto Eco e qui mi fermo per non sembrare troppo saputello. Ora ho 300 canali, e quando ho voglia di vedere qualcosa di decente vado al cinema.

Da piccoli, la tele ci veniva concessa con parsimonia, anche perché i programmi adatti a noi erano concentrati in un’oretta, nella Tv dei ragazzi. C’erano degli sceneggiati strepitosi: il più bello, per me, Giovanna la nonna del corsaro nero, con Lina Volonghi: “Marabooo lei fa il judo’, e tutti i suoi nemici metterà kappaò!”. La sera, dopo il telegiornale a cui si assisteva in religioso silenzio, il Carosello. Calimero, con la sua dichiarazione politicamente scorretta: “Ce l’hanno tutti con me perché sono piccolo e nero.” “Tu non sei nero, sei solo sporco”; Ercolino sempre in piedi, Carmencita, la mucca Carolina… simpaticissima, ma che non mi ispira ricordi lieti.

I miei, come vi ho accennato, avevano avuto un grave incidente stradale, ed erano stati ricoverati entrambi all’Ospedale Civile di Macerata. Io ero affidato ai nonni materni; dalle finestre della loro casetta, sopra le mura del paese, a pochi chilometri in linea d’aria si vedeva il capoluogo, che allora mi sembrava su un altro continente. Quando chiedevo dove fossero i miei, nonna mi rispondeva: “là”, ed io aiutato da uno scalino rimanevo affacciato per ore a vedere se per caso riuscissi a scorgerli; e quando chiedevo quando sarebbero tornati, nonna teneva un atteggiamento dilatorio che avrebbe dovuto tranquillizzarmi ma non raggiungeva lo scopo. Avevo già sentito di mamme volate tra gli angioletti, non mi sarebbe piaciuto che la tappa di passaggio fosse Macerata. Cavalcavo la mucca nel vicolo delle Monache, ma non ero sereno.

Io mi chiedo, e lo svilupperò prima o poi in qualche commedia, cosa possa pensare di noi un alieno che dovesse capitare sulla terra e sintonizzarsi sulla prima rete dopo il telegiornale (oddio, non è che durante avrebbe chissà quali impressioni): sui Pacchi. Leggevo proprio ieri che una puntata dei pacchi ha avuto 15 milioni di spettatori. Vivi e lascia vivere, è il motto a cui in linea di massima cerco di attenermi, ma quando è troppo è troppo. Toglietegli il telecomando!

(43. continua)

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