No cari amiche e amici non mi riferisco ai propositi del nuovo governo, che ha deciso di spezzare le reni a migranti e percettori di reddito di cittadinanza perché la pacchia è finita (in compenso riciccia la flat tax e il ponte sullo stretto: per questi evidentemente la pacchia deve ancora iniziare), ma all’uscita del console ucraino che ha “invitato” sindaco di Milano, presidente della regione Lombardia e sovrintendente alla Scala a cambiare la programmazione musicale ed in particolare togliere dal cartellone l’opera che dovrebbe aprire la stagione nella tradizionale serata di Sant’Ambrogio: il Boris Godunov del grande compositore russo Modest Petrovič Mussorgskij (Quadri di un’esposizione, Una notte sul Monte Calvo) tratto dal dramma di Aleksandr Sergeevič Puškin, colui che è considerato il fondatore della lingua russa contemporanea.
Chissà perché, mi sono chiesto, magari come il sottoscritto preferisce la Traviata, La Forza del destino o il Rigoletto?
Macché, questo signore ha messo nero su bianco che la comunità ucraina in Italia chiede in sostanza di non dare più spazio alla cultura russa (e non è la prima volta, lo stesso copione l’hanno già usato per i balletti) con motivazioni che a me sembrano deliranti, a voler trovare una giustificazione:
“La cultura viene utilizzata dalla Federazione Russa per dare peso all’asserzione della sua grandezza; assecondare la sua propagazione non può che nutrire l’immagine del regime vincente, e per estensione, le sue ambizioni scellerate e i suoi innumerevoli crimini”.
Cioè siccome loro sono in guerra con la Russia noi per non dispiacere alle migliaia di badanti qua presenti non dovremmo più leggere libri di autori russi, godere di balletti e di opere russe, distruggere i quadri di Kandinskji e magari non mangiare più insalata russa.
Non so se si rende conto, questo borioso, che queste cose le facevano i nazisti; noi saremo messi male ma non veniamo certo a farci dire dagli ucraini cosa dobbiamo leggere o ascoltare (di propaganda ce ne propina abbastanza tutto il giorno la Rai, non vi basta quella?), almeno su questo dovremmo ancora essere padroni a casa nostra; tra l’altro si fosse dato la pena di leggere la trama del Boris Godunov avrebbe saputo che contiene una critica al sistema autocratico tanto che all’epoca (quando l’Ucraina era una delle periferie dell’impero zarista) venne censurata.
Amiche e amici, che vi dicevo? In fondo al mio penultimo post, Pallacanestro, pronosticavo per l’imminente Eurovision Song Contest, insomma quello che una volta era l’Eurofestival a cui invece ora partecipano cani e porci, la vittoria di una band il cui nome inizia con K e finisce con H con il presidente del proprio paese che gira per tutte le televisioni sfoggiando una maglietta verde. L’altra sera (giuro, l’ho visto su blob) era in collegamento con Bruno Vespa e si sono salutati cordialmente con grandi sorrisi parlando di spaghetti e pietanze varie. Io l’ho trovato di un’oscenità rivoltante, sarà che sono fatto male.
Comunque alla fine ho avuto o no ragione, chi ha vinto? La canzone, pietosa, ieri me la sono sciroppata quattro volte tornando a casa dal mare dove sono andato, lo dico chiaramente, alla faccia loro, perché se hanno intenzione di coinvolgerci in una guerra mondiale e atomica io almeno fin qua me la sarò goduta, loro non so. Alla terza volta ho cominciato a capire che c’era qualcosa di strano (un rap con parole inintelleggibili su una nenia balcanica) finché finalmente i dj hanno detto che era la canzone vincitrice dell’Eurostrazio, stravotata dalle giurie popolari dell’Europa e della galassia intera. Questo giusto per far capire che quando si fa decidere il popolo non è detto che non faccia cazzate, anzi. Sfido una persona qualunque a dire se ricorda una delle canzoni vincitrici di quella bojata che è diventato l’Eurofestival ( a parte i Maneskin, che come si possano considerare rappresentanti della canzone italiana non lo so) una volta alla radio: io ricordo solo la vittoria della donna barbuta di qualche anno fa, Conchita, che non per niente ho preso a prestito come madre del piccolo Chico nella telenovela inserita nel penultimo episodio di Olena: ma la canzone quella proprio no…
Poiché chi vince il festival comunque ha l’onore e l’onere di ospitare l’edizione successiva, il presidente in maglietta verde ha dato appuntamento a tutti a Mariupol; tutti si sono affrettati a toccarsi gli zebedei; non ho capito se è invitato anche Bruno Vespa.
Visto che questa profezia mi è riuscita mi esibirò allora in un’altra quartina (o quartino, che anche quello mi è congeniale, specie se rosso e un po’ frizzantino), vedete se riuscite a decifrarla: Tronfie da nord si scontrano rombanti / sparate da milionari in calzoncini, palle rotolanti / sulle rovine della città operosa. / Il premio rimarrà a San Siro, è già qualcosa.
Romagna e Sangiovese, sei sempre nel mio cuore Quest’aria di paese ci invita a far l’amore La briscola e il tresette, si gioca all’osteria E col bicchiere in mano si canta in allegria
Nel salone delle feste di Villa Rana l’orchestra spettacolo “Bigio Corbatti e i Compagni di Merende” scalda l’atmosfera proponendo agli ospiti una selezione di classici del liscio; Bigio ha dovuto ingaggiare all’ultimo momento vecchie conoscenze come Kuz Guardatì alla tromba, Peter Petersen al clarinetto, Marco Cubillas al trombone, Walter Cotequinho al sax tenore, Dieguito Tiberito alla fisarmonica e Giorginho Torres al basso elettrico in sostituzione di un gruppetto di suoi musicisti colpiti da una fastidiosa intossicazione intestinale dopo aver partecipato alla Sagra del Mosto di Rosolini, in Sicilia, e osserva inquieto i nuovi arrivati sfoggiare folte parrucche, baffoni e basettoni anni ’70, camuffamento reso necessario a causa di piccole divergenze con l’Agenzia delle Entrate in merito a cartelle esattoriali non pagate. La procace cantante Luana, le cui qualità migliori non sono quelle canore, sgambetta mostrando generosamente le cosce forti, tenendosi a distanza di sicurezza dagli esperti orchestrali e specialmente dal loro alito che emana un inconfondibile odore di Varnelli¹. I tavoli sono quasi tutti pieni, come spesso accade quando c’è la possibilità di mangiare e bere a scrocco. Gilda, fasciata in un abito rosso fuoco biodegradabile in fibra di mais disegnato dal giovane stilista Zibaldó, nome d’arte del recanatese Oreste Pertecaroni, batte impazientemente la manina sopra e il piedino sotto il tavolo. «James, non sembra anche a te di essere sulla plancia, se plancia è la parola giusta, del Titanic? Qui si balla, ma sento che la catastrofe è vicina. E poi non mi sembra delicato, in fondo c’è stato un morto, è vero che si tratta di un presentatore ma era pur sempre una persona umana!» ragiona Gilda, preoccupata. James, seduto di fianco alla Calva Tettuta, stacca gli occhi dalle spalle del maori Amaru Timu e annuisce comprensivo. «Quando Natascia ha “suggerito” di allestire l’evento ho fatto presente che una festa sarebbe potuta sembrare, come dire, irrispettosa. Ma lei ha insistito» continua James, omettendo la parte in cui la russa aveva minacciato di ridurre a brandelli la sua collezione di pochette se non avesse smesso di discutere «e il maresciallo non ha avuto nulla da eccepire. Tra l’altro sono presenti dei suoi uomini, per rafforzare la sorveglianza» «Speriamo bene, James. Ma Svengard dov’è finito, si può sapere? Spero non sia andato a spaccar legna come suo solito quando c’è qualche impegno mondano. Lo so che si annoia, poverino, ma qualche volta bisogna che inizi a sacrificarsi anche lui per la ditta. Oltre ai piaceri ci sono anche i doveri, non è vero James?» chiede Gilda in cerca di approvazione. «Noblesse Oblige» conferma il maggiordomo, con un inchino partecipe. «Il tuo latino è sempre rassicurante, caro. Non te l’ho mai chiesto, ma hai studiato in qualche collegio gestito da religiosi?» «In effetti, signora» risponde James sorvolando sullo sbaglio di lingua «ho frequentato le superiori in un collegio di gesuiti. Ad un certo punto ho anche accarezzato l’idea di entrare in seminario» «Non mi meraviglia, con la tonaca saresti stato magnificamente, avresti fatto un figurone con il tuo bel talare, ti vedo incensare attorniato da chierichetti con i boccoli biondi dispensando benedizioni. Anche da cardinale ti avrei visto bene, con una bella stola rossa, e poi chissà, chi avrebbe potuto porre limiti alla provvidenza? Dal rosso al bianco è un attimo. Un vero peccato!» commenta Gilda. «La ringrazio, signora. Ma la mia vocazione non era abbastanza forte» risponde James con modestia, lasciandosi tuttavia sfuggire un sospiro al pensiero dei chierichetti dai boccoli biondi. «James, sai che ti dico? Prima che mi si gonfino i piedi, facciamo un balletto. Tanto Svengard non è capace, e mi toccherebbe trascinarlo tutto il tempo. Miguel ha provato a dargli qualche lezione, ma non c’è stato niente da fare, un baccalà sarebbe meno rigido di lui. Non che io sia una che non apprezza la rigidezza, quando ci vuole, ma farmi schiacciare i piedi da un marcantonio di cento chili non mi alletta. Ah, ecco, sta arrivando Natascia. Sbrighiamoci a buttarci in pista, che non si sa mai cosa può succedere quando c’è lei nelle vicinanze. Come te la cavi con la mazurca, James?» «Discretamente, signora. Anni or sono ricevetti un premio, alla Sagra del Cicciolo di Reggiolo» «Ottimo James, spero che il tuo colesterolo non ne abbia risentito. Maestro?» grida Gilda, avanzando verso Bigio Corbatti sventolando un fazzoletto con il braccio alzato per richiamarne l’attenzione. «Mo cosa possiamo fare per questa bëla burdëla²?» chiede il musicista, ammiccante. «Burdela sarà tua sorella» risponde Gilda, equivocando. « Io sono la signora Rana, la padrona, quella che paga per capirci. E adesso vedi di darti da fare e dì a quello con l’organetto di attaccare la mazurca di Migliavacca. E non risparmiate sulle variazioni, eh? Che vi decurto il cachet e vi faccio pagare tutti gli spritz che si sono bevuti i tuoi amici capelloni»
¹ Liquore a base d’anice prodotto a Pievebovigliana e Muccia (MC), ideale come cicchetto nel caffè. ² Bella ragazza.
Scoppia scoppia mi scò Scoppia scoppia mi scoppia il cuor Scoppia scoppia mi scò Scoppia scoppia mi scoppia il cuor Liebe liebe liebelei E’ un disastro se te ne vai Scoppia scoppia mi scò Scoppia scoppia mi scoppia il cuor
«James, sbaglio o quella che Miguel porta al braccio è una fascia nera? Che animo delicato, non sapevo che fosse così affezionato a Turchese» commenta Gilda sorbendo il suo caffè, osservando il giardiniere rastrellare le foglie cadute saltellando sulle note di “A far l’amore comincia tu”. «In verità, signora, il lutto è per la scomparsa di Raffaella Carrà¹, il nostro Miguel ne era un grande ammiratore. Pensi che la passione gli fu inculcata da suo padre don Ignacio che nel 1981 assistette alla puntata di Millemilioni² che la Carrà girò a Città del Messico e ne rimase così colpito che si ripromise, se avesse avuto una figlia femmina, di farle intraprendere la carriera artistica. Sfortunatamente nacque un maschietto» conclude James, indicando Miguel. «Be’, al nostro Miguel non mancano certo i numeri e comunque noi gli vogliamo bene così com’è, non è vero James? A volergli fare un appunto, quella parrucca bionda non si intona perfettamente col suo colorito olivastro. Ma, a proposito di bionde, sei riuscito a parlare con Natascia?» «Sì, signora. L’ho messa immediatamente al corrente della situazione, ha detto un paio di volte “Da”, ha cambiato il giubbetto di pelle, inforcato la moto ed è partita» «Sai se ha preso la pistola, James?» «Dal rigonfiamento vicino all’ascella direi di sì, signora» «Bene, mi sento più tranquilla. Che ne diresti se facessimo un giro per le cucine? Con tutti questi cuochi, riusciremo a rimediare due spaghetti aglio e olio?»
Seduto alla scrivania del suo ufficio, al primo piano della caserma “Salvo d’Acquisto”, il maresciallo Montesi riguarda le riprese della sera prima, perplesso. Un energico battito di tacchi lo distoglie dalle sue riflessioni. «Maresciallo, la scientifica ha mandato i risultati degli esami. La boccetta trovata nell’armadietto della svedese contiene un estratto di Gelsemium, lo stesso usato per avvelenare il raviolo» annuncia l’appuntato Corinaldi, provocando un sospiro del suo superiore. «Corinaldi, qui l’affare si ingrossa. Come ha fatto la cinese a avvelenare il raviolo, solo uno, e poi mettere la boccetta nell’armadio dell’altra concorrente? O non sarà mica stata la svedese a avvelenare Turchese buttando poi la colpa sulla cinese? Ma sarebbe stata così stupida da lasciare il veleno nel suo armadietto? E perché, poi? Convochiamola, e cerchiamo di capire se tra le due c’è qualche rapporto…» Mentre Montesi riflette a voce alta, dal piano terra giunge la voce concitata del piantone: «Signora, le ho detto che non può entrare, il maresciallo è occupato, non mi costringa a usare la forza!» «Se tu chiama me signuora ancora una volta io non crede tu sarà in grado di usare muolta forza, con tue braccia spiezzate. Ora tu vai da tuo capo e dici lui che è arrivata sua nipotina, sì?» «Ma che diavolo sta succedendo di sotto?» chiede Montesi all’appuntato, che si stringe nelle spalle. Il maresciallo si alza ma non riesce ad uscire dalla stanza perché si trova di fronte il suo piantone che, spinto da una donna atletica che gli torce un braccio dietro la schiena, occupa il vano della porta. Montesi resta per un attimo sorpreso poi scuote la testa e un sorriso gli illumina il volto. «Capitano Smirnoff, che piacere rivederla. Vedo che ha fatto amicizia con il mio uomo» constata Montesi, lanciando un’occhiata velenosa al piantone. «Piccioni, con te facciamo i conti dopo. Puoi andare, adesso» L’appuntato prova ad intervenire: «Maresciallo, tutto a posto? Vuole che faccia uscire la signora?» Montesi, notando un lieve irrigidimento nella mascella della visitatrice, alza una mano per fermare l’iniziativa dell’incauto sottoposto. «Grazie Corinaldi, non c’è bisogno. E poi mi servono appuntati tutti interi. Lasciaci soli» L’appuntato, riluttante, esce. Montesi ritorna alla sua scrivania ed invita con un gesto la russa ad accomodarsi, e deglutisce vedendola accavallare le lunghe gambe e lanciargli uno sguardo beffardo. «Ti trovo bene, Olena. Cosa posso fare per te?» «Tu invece deve controllare carboidrati, Nicuola, tu fa puoco movimento. A proposito, come sta Ines?»
¹ La Raffa nazionale, grandissima e indimenticabile artista, si è spenta il 5 luglio 2021. Ha dispensato gioia e allegria fino alla fine, con una bravura, una simpatia, una classe, un senso del gusto e della misura inimitabili. Mia zia Emanuelita l’ha chiamata più volte per cercare di indovinare quanti diavolo di fagioli contenesse quel vaso: mitiche, l’una e l’altra. ² Programma in cinque puntate girate a Buenos Aires, Città del Messico, Mosca, Londra e Roma, coprodotto dalla Rai e da canali degli Stati coinvolti. Raffaella cantava e ballava per le strade, in mezzo alla gente, e faceva conoscere aspetti insoliti delle città visitate.
Dançando, dançando, dançando Mi sono preso Fernando, dançando, dançando Dan dan dan
Terminate le abluzioni Gilda, avvolta da un vaporoso sari indiano e da una nuvola di Moresque Fiore di Portofino, si affaccia alla terrazza della sala e assiste perplessa alle svogliate evoluzioni del giardiniere. «James, mi sembra che il nostro Miguel non abbia la solita verve, non lo vedo entusiasta e sgargiante, anzi lo trovo stranamente abulico, se è la parola giusta. E’ successo qualcosa, per caso?» «Niente di grave signora» la rassicura il maggiordomo «solo un po’ di delusione. Pare che durante la serata finale dell’Eurovision Song Contest Cristiano Malgioglio, che fungeva da co-presentatore, abbia espresso l’intenzione in caso di vittoria dei rappresentanti italiani di eseguire uno spogliarello come Sabrina Ferilli allo stadio Olimpico in occasione dello scudetto della Roma nel 2001, ma non abbia mantenuto la promessa» «Che peccato, sarebbe stata di gran lunga la parte migliore dello show. Certo essere riuscito a veder vincere degli italiani dopo 31 anni dal trionfo della buonanima di Toto Cutugno, suo quasi coetaneo peraltro, deve essere stata una bella soddisfazione per il simpatico cantante. Ma a proposito James, siamo sicuri che siano proprio italiani quei saltamartini? Che fossero fuori di testa non c’è dubbio, ma mi è sfuggito il resto del testo» «Assolutamente, signora, il gruppo ha scelto il nome danese Måneskin perché rende più l’idea di rock, ma i membri sono autoctoni e regolarmente iscritti all’anagrafe» «Se non altro indossavano un costume sobrio, non come quello delle azerbaijane. Tra l’altro, ti risulta che l’Azerbaijan sia in Europa? Questa mania di cambiare anche la geografia, oltre che la storia, mi fa venire il mal di testa. La mia amica Loredana¹ ha elogiato il loro look definendole “scappate di casa”, prima di esprimermi vorrei però da te una rassicurazione: non è opera di tuo cugino, vero?» James, sorpreso dal sentir chiamare in causa il suo stilista preferito nonché cugino di primo grado Jean Astolphe Girifalchi , nasconde l’imbarazzo dietro un leggero colpo di tosse ed un lieve inchino: «Per la verità, signora, Jean Astolphe è stato ingaggiato per confezionare l’abito di Nikkie Tutorials², una delle presentatrici da Rotterdam: alla fine era esausto, capirà, la signorina ha delle misure notevoli ed ha dovuto abbondare con la stoffa.» «Una ragazzotta deliziosa, non è vero James? Pensare che da piccola si dice fosse un maschiaccio. O era un maschietto?» Ma, prima che James possa dissipare i dubbi della Calva Tettuta, l’attenzione di questa viene catturata da degli stridìi provenienti dal giardino. «Non sembra anche a te di sentire degli strepiti, James? Spero che non si stiano di nuovo accapigliando, quei due!»
«Porco mondo, dalla padella alla brace. Scappo da una prigione per finire in un’altra. Tutto per colpa di quel parrocchetto!» Flettàx, il pappagallo celtico, saltella amareggiato dentro la voliera nella quale è stato rinchiuso. «Chi è causa del suo mal pianga sé stesso» sentenzia la saggia renna Riitta «Hai preso in ostaggio un bambino, dirottato una nave e infine, non contento, hai aggredito il dottor Spread: che ti aspettavi, che ti dessero una medaglia?» «Craa!!» garrisce il fiero pennuto. «Dottore dei miei rognoni! Se quello è un dottore io sono uno scienziato, un astronauta, un premio Nobel! Potrà infinocchiare voi ritardate con le sue arie da damerino, ma a me non la dà a bere. Quello è falso, fasullo come una moneta del Monopoli! Ma appena esco di qua ve lo faccio vedere io dove gli infilo la laurea» dichiara Flettàx, accompagnando la minaccia con un eloquente gesto delle penne della coda. «Sei il solito scurrile» lo apostrafa Riitta. «Dovresti prendere qualche lezione di buone maniere, non so proprio come faccia Kocca a sopportarti» «Kocca mi ama così come sono, anzi proprio perché sono così come sono. Ma che potete capirne voi di amore libero e selvaggio, siete state allevate in cattività! A proposito, dove è finita quella benedetta gallina? Le avevo chiesto di passare in cucina a prendere un po’ di spagnolette da sgranocchiare, ma ancora non si vede. Fiona, tu che hai le gambe lunghe e non hai pesi e idee fastidiose in testa» ordina il pennuto alludendo alle corna di Riitta «vai a chiamarla, che ho un certo languorino» «Ma certo Flettino, volentieri» risponde la servizievole cavalla, provocando una scrollata di disapprovazione della renna ma, prima che si metta in moto, dall’inizio del sentierino che si addentra nel bosco spunta la cresta della chioccia. Kocca avanza infatti zompettando distrattamente, fermandosi ogni tanto a raspare in terra in cerca di qualche lombrico. «Ehi!» protesta Flettàx quando la fidanzata arriva a tiro. «E le spagnolette?» Riitta e Fiona si scambiano uno sguardo interrogativo, notando le penne arruffate della loro amica e lo sguardo sognante. «Dico a te, femmina!» insiste il collerico pennuto. «Dove sono le mie spagno…?» Ma la veemente recriminazione di Flettàx viene interrotta dalla scoperta di una presenza inaspettata. «E quelle che mi stanno a rappresentare?» chiede confuso il pappagallo padano, riconoscendo sulla groppa della sua innamorata le forme ed i colori inequivocabili di due penne di Ara Macao.
¹ Loredana Bertè in collegamento telefonico con Cristiano Malgioglio, che ne ha approfittato per chiederle un paio dei suoi guanti. ² Nikkie Tutorials, o meglio Nikkie de Jager, alta un metro e novanta, recentemente ha fatto outing raccontando di essere passata dal genere maschile a quello femminile.
E così siamo tornati in zona rossa. Stavolta è per salvare la Pasqua, l’ultimo sforzo ci assicura il governo dei migliori. A me sembra la stessa identica cosa che avrebbero fatto anche i peggiori, però adesso non si sentono commercianti o gestori di campi di sci lamentarsi, o perlomeno non li fanno sentire: e dunque tutto bene.
Le vaccinazioni, perlomeno qui dove abito, vanno a rilento; in settimana il vaccino Astrazeneca è finito sotto osservazione perché ci sono stati diversi casi sospetti in Europa ed in Italia di morti per trombosi dopo essersi vaccinati. Un coro quasi unanime cerca di esorcizzare gli allarmismi: be’ signori cari, per non allarmarsi ci vogliono risposte chiare e certe, nell’attesa se uno preferisce non farsi vaccinare con quel vaccino non vedo perché dovrebbe essere arruolato tra i no-vax o i nemici della patria. Personalmente già diffidavo, la gatta frettolosa fa i gattini ciechi; quando arriverà lo Sputnik, deciderò. Non capisco bene cosa debbano decidere Ema o Aifa o quant’altro: se sui russi funziona perché su di noi dovrebbe essere nocivo, forse perché loro lo accompagnano con la vodka?
A proposito di bevande, dato che la cantina iniziava ad avere dei vuoti ho ordinato un po’ di vino, mai in zona rossa senza rosso dice il saggio. L’autista mi ha salutato come un vecchio amico, si è rallegrato di trovarmi in buona salute e mi ha confortato della scelta fatta informandomi che lui stesso ha fatto buona scorta. Chissà se un giorno, oltre al fumo, sarà messo fuori legge anche il vino, e ci ritroveremo come vecchi cospiratori a bere in cantine clandestine?
Sabato abbiamo fatto una passeggiatina fino in città, non c’erano assembramenti anche se vigili urbani e protezione civile era pronti a transennare le vie per far defluire la gente con sensi unici pedonali; ieri invece, che la giornata era ancora più bella, abbiamo evitato il lago e siamo andati a fare una bella passeggiata con qualche coppia di amici. Una volta si sarebbe camminato in gregge, ora ci stiamo abituando al distanziamento anche tra amici, e così si procedeva per coppie, lontani l’uno dall’altro e per parlarsi bisognava urlare. Abbiamo fatto qualche chilometro di vie secondarie, molto verde, sta scoppiando la primavera e le piante in fiore sono spettacolari, con dei gialli e dei rosa fantastici. Sono decisamente fuori allenamento, e oggi mi fanno male le gambe. Abbiamo parlato, tra le altre cose, delle proprietà benefiche della mela annurca, che sembra stimoli la crescita dei capelli: dovrò ordinarne qualche cassa, ma che diavolo è questa mela annurca?
Mi sono meravigliato che Enrico Letta abbia raccolto l’appello disperato rivoltogli dalle varie bande tribali di cui è composto il PD. Di solito quando uno lo prende in quel posto una volta non corre a mostrare il deretano, a meno che non gli piaccia: se è così, caro Enrico, buon pro ti faccia. Per quella gente lì ci vorrebbe un Charles Bronson, non un Don Matteo: ce l’hai la pistola, o almeno le pall(ottole)? Spero che lo spirito che ti animi sia quello di V come Vendetta, altrimenti tra qualche mese o settimana ti ritroverai ancora a stare sereno. Nel discorso di accettazione non sono mancate le solite supercazzole dello Ius Soli o del voto ai sedicenni, mi sembrano proprio argomenti all’ordine del giorno, per un partito che sta sul pezzo.
La notizia che più mi ha addolorato, questa settimana, è stata quella della morte di Raoul Casadei. Chi mi segue da un po’ sa che in gioventù ho contribuito a fondare un’orchestrina da ballo, suonavamo liscio, musica leggera, swing, musica sudamericana, samba, cha-cha-cha, bolero, beguine… abbiamo cominciato a fare serate a sedici anni, e ci accompagnavano i nostri genitori; l’orchestra spettacolo di Casadei era uno dei nostri miti, altro che Genesis, altro che Led Zeppelin. Ciao Mare fu forse il primo pezzo che imparammo, ero ancora al clarinetto, prima di passare al basso; siccome firmavo i borderò della Siae, ovvero il modulo che bisognava riempire ogni serata con l’elenco dei pezzi che erano stati suonati per riconoscere i diritti agli autori, periodicamente le case discografiche mi mandavano a casa gli spartiti, quelli di Casadei erano forse quelli più completi, e mi sono arrivati fino a qualche anno fa, quando ormai non suovano più da qualche decennio. Nella nostra zona non c’erano grandi balere come in Romagna, c’erano sale piccole ricavate da cinematografi, sale di ristoranti, addirittura stalle riadattate… gente semplice, appassionata, festosa, forse ingenua, come sicuramente lo eravamo noi, ragazzini di un’altra epoca. Romagna e Sangiovese, la Mazurka di periferia, Ja Ja Allegria… grazie, Raoul, per tutta la gioia che ci hai dato, e che speriamo nel nostro piccolo di essere riusciti a trasmettere.
Amiche e amici, è con un pizzico di nostalgia che vi saluto, ero molto più giovane e la mela annurca sicuramente non mi serviva; vado a stappare una bottiglia, alla mia ed alla vostra salute. A presto!
In questi giorni ho ripensato alle lezioni di disegno delle medie, materia nella quale ero e sono rimasto un somaro (non certo l’unica), durante le quali la professoressa si sforzava di insegnarci a mescolare i colori primari per ottenere quelli secondari: con il blu ed il giallo si ottiene il verde, con rosso e giallo l’arancione, che colore bisognerà aggiungere per ottenere l’arancione rafforzato?
No, perché da ieri è proprio questo il colore che caratterizza queste parti, diciamo un arancio tendente al marrone: così ha stabilito un editto del presidente della Regione, appena il giorno dopo che dal giallo eravamo passati all’arancione, e pensare che quello era lo stesso che richiedeva a gran voce certezze sulle tempistiche dal governo nazionale (precedente). Gli effetti pratici sono che rimarranno chiuse tutte le scuole, tranne le materne; martedì mattina ho incontrato sulle scale una condomina, madre di due figli piccoli, che si chiedeva come fosse possibile, e a chi diavolo avrebbe potuto lasciare i figli dato che è sola e deve andare a lavorare. Anche perché i migliori si sono dimenticati di rifinanziare il congedo parentale, ma la compunta Gelmini ha assicurato che lo faranno con il prossimo decreto ristori: intanto, che ci si arrangi.
Anche Bertolaso, il jolly che ogni tanto salta fuori da qualche manica (destra), ci ha tenuto a dire la sua e cioè che l’Italia sta marciando a grandi balzi verso la zona rossa. Potrebbe anche essere vero, ma questi non erano gli stessi che strillavano contro allarmismi e addirittura clima di terrore?
Una buona notizia però c’è, e devo ringraziare una volta tanto Salvini e Berlusconi che stanno premendo per seguire le orme di San Marino e acquistare il vaccino russo Sputnik V, dato che gli altri ce li danno con il contagocce. Non se ne hanno abbastanza notizie? Non è testato adeguatamente? Ma perché, gli altri lo sono? E comunque, chi se ne frega! Datemi lo Sputnik, mi offro volontario! Che potrà succedermi, al limite finalmente imparerò il russo…
Sono cambiati i vertici della Protezione Civile ed il Commissario straordinario: buon lavoro ai nuovi, e ringraziamenti a chi ha dovuto affrontare un anno difficilissimo, commettendo magari qualche errore, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra: ci siamo dimenticati di quando non si trovava una mascherina nemmeno a pagarla a peso d’oro, e quando negli ospedali mancavano i respiratori polmonari e la gente (tra cui un mio amico) si ingegnava a stampare in 3D bocchettoni doppi per collegare due pazienti ad una macchina? E le diatribe per imporre il prezzo calmierato di 50 centesimi sulle mascherine, con i farmacisti sulle barricate? Se almeno questo è stato superato qualche merito agli uscenti bisognerà riconoscerglielo, io credo.
E’ iniziato il festival di Sanremo, la 71° edizione, presentata da Amadeus con Fiorello battitore libero (divertentissima la pubblicità), edizione senza pubblico e senza aficionados per le strade ad aspettare le “star”… lo so, per qualcuno è un rito stantìo da abolire, ma è pur sempre un pezzo di costume di questo paese; finora della gara ho sentito poco, distratto da altre occupazioni, ma ho visto gli ospiti, Laura Pausini che ha cantato “Io sì”, brano scritto per il recente film di Sofia Loren, La vita davanti a sé (che ho visto su Netflix, e l’attrice è stata bravissima), i Volo che hanno cantato un brano di Ennio Morricone, con l’orchestra diretta dal figlio del grande compositore con uno stile tutto suo, ed infine Elodie che ha proposto un medley di pezzi sanremesi famosi e, oltre ad avere una bella voce, è anche un bel vedere. Ho visto anche Ibrahimovic, che ha recitato sé stesso. Che ci volete fare, sono decisamente nazionalpopolare, così tanto che mi piacerebbe vincesse Orietta Berti, che si ripresenta in gara dopo quasi trent’anni, Oriettona della quale è uscita da qualche mese la biografia, che mi stuzzica e incuriosisce: Tra bandiere rosse e acquasantiere, deve essere proprio una bella storia.
I colleghi di Roma mi hanno detto che sta girando la voce di un rientro in ufficio, scaglionato a partire dal primo maggio. Fosse vero! Ci sono molti a cui il telelavoro piace ma come sapete non sono tra questi. Sono abbastanza convinto che, nonostante adesso faccia comodo spingerlo, alla lunga verrà ridimensionato per motivi sia di produttività che soprattutto di consumi. Pensiamo a tutta l’economia che gira intorno ai pendolari di una città come Milano…
Comunque staremo a vedere, amiche e amici; la primavera è alle porte, e con essa può darsi che riusciremo a tornare a visitare qualche museo, che anche il cervello bisogna rimetterlo in moto. A presto!
«Mi chiamo Louis D’Ivoire¹, buffo per uno nero come la pece, vero? Ma i miei antenati erano arrivati dalla Costa d’Avorio, la Côte d’Ivoire, e così la provenienza ci è rimasta nel cognome. Mio padre era un grande appassionato di Louis Armstrong, il grande Satchmo, e così volle chiamarmi come lui, e fin da quando avevo cinque, sei anni mi mandò a lezione di musica e tromba da un suo amico barbiere, lezioni che ripagavo lavorando gratis come garzone… imparai bene, tanto che iniziai presto con la professione, suonavo il jazz nei club di New Orleans ma solo con il jazz non si racimolava molto, così ogni tanto accettavo degli ingaggi per suonare in qualche orchestra, anche di musica leggera, e andavo in giro qualche mese per l’America.» Gilda, desiderosa di riprendere a massaggiarsi i piedi, lancia un’occhiata interrogativa al musicista. «Scusate, signora, vengo al dunque… era l’ottobre del 1960, io avevo appena venti anni e l’orchestra per cui lavoravo in quel momento fu chiamata a suonare al Metropolitan di New York in un Gran Galà organizzato dalla comunità italo-americana per appoggiare il candidato democratico alle elezioni presidenziali che si sarebbero svolte il mese successivo, John Fitzgerald Kennedy. Dovevamo accompagnare grandi artisti, Frank Sinatra, che era amico personale di Kennedy, Dean Martin, Perry Como, e dall’Italia arrivarono mister Volare Domenico Modugno, il grande pianista Renato Carosone, Tony Renis… e lei» «Lei chi?» chiede Gilda, raddrizzandosi sulla poltrona, mentre James contravvenendo alle regole del buon maggiordomo si è seduto in un angolo su una sedia damascata. «Lei, signora, vostra nonna Wanda» chiarisce Louis, con un sorriso riverente. «Aspetti, aspetti» lo ferma la Calva Tettuta. «A parte il fatto che non era mia nonna ma la bisnonna di mio marito, lei mi sta dicendo che nonna Pina ha conosciuto Frank Sinatra, Dean Martin, e addirittura il presidente Kennedy? Non la confonde con qualcun’altra, che so, Wilma De Angelis o Betty Curtis, pace all’anima loro? A quell’epoca a quanto sapevo si era ritirata dalle scene…» «No, no, nessun errore, signora. Lei ha ragione, la signora Wanda si era ritirata dalle scene, ma fu invitata personalmente da Frank Sinatra che l’aveva conosciuta in una tourneé di qualche anno prima e ne era rimasto affascinato; del resto erano quasi coetanei, così come con il presidente Kennedy, e fraternizzarono facilmente» «In che senso “fraternizzarono”?» chiede Gilda, ormai preda della curiosità. «In senso artistico, naturalmente» chiarisce il trombettista «anche se Wanda, permettetemi di chiamarla così, era una donna esuberante, riempiva la scena… all’epoca aveva circa quarantacinque anni, e non passava certo inosservata» «Più o meno la mia età, effettivamente l’età migliore» concorda la vedova Rana. «Lei aveva una voce roca, molto blues, e quella sera propose delle canzoni napoletane tradizionali, Luce ‘e notte, Torna ‘a Surriento, delle belle ballads…» «Effettivamente alla lunga delle belle ballads. Ma in napoletano? James, ti risulta che la nonna conoscesse le lingue straniere? Mi esce da un fianco» «La signora è stata senz’altro un’artista polivalente» risponde James in modo competente. «Quella sera successe qualcosa che mi cambiò la vita, e la carriera. Wanda doveva aver notato, prima delle prove, qualche fraseggio che improvvisavo per riscaldamento. Così quando arrivò all’ultimo pezzo del suo programma andò verso il direttore, gli parlò in un orecchio e poi mi indicò con la sua mano guantata. Io non capivo cosa stesse succedendo, il direttore dopo qualche attimo mosse la testa e fece ok, e mi fece cenno di alzarmi e mettermi di fronte all’orchestra. Stavo letteralmente facendomela addosso, quando Wanda mi si avvicinò, le spalle nude rivolte al pubblico, e strizzandomi l’occhio mi disse “Baby, ho sentito dire che hai le palle. E’ ora di tirarle fuori, non trovi?”. E senza lasciarmi il tempo di rispondere attaccò “Era de maggio”, con l’orchestra muta, ed io solo a sostenere il suo canto. Fu una cosa magica, un trionfo… la platea era tutta in piedi, e Kennedy in persona salì sul palco a consegnarle un mazzo di fiori. Dopo lo show andai a ringraziarla in camerino, lei mi abbracciò e guardandomi negli occhi mi disse: “Baby, da domani sarai su tutte le copertine, ma dammi retta. Lascia stare questa merda, suona il jazz”. E così ho fatto, è stata dura ma ho fatto quello per cui ero nato. Ho aperto anche una scuola per giovani che hanno voglia di imparare ma non hanno i mezzi, sua nonna ci mandava un paio di volte l’anno degli strumenti e ci aiutava a pagare l’affitto dei locali, lo sapeva signora?» «No, veramente io… tu sapevi qualcosa, James?» «No, signora, ne ero all’oscuro, ma la signora era molto munifica» risponde James, commosso. Il trombettista si alza, tira fuori dalla marsina una busta e la poggia sul tavolo. «E questo che cos’é?» chiede Gilda, confusa più che mai. «E’ il nostro compenso, signora. Non posso accettarlo, questa volta offro io.»
¹ NdA: Per facilitare la comprensione il racconto di Louis D’Ivoire non è riportato in lingua originale ma nella sua traduzione italiana.
Amiche e amici, sono in spasmodica attesa dell’esito del tampone di verifica, ormai scalpito dato che sto bene ma la prudenza non è mai troppa e quindi finché non ci sarà l’ufficialità della guarigione continuerò l’isolamento nella mia stanzetta. A fare il tampone, sempre in modalità drive-in, sono andato ieri mattina; confermo che il processo mi sembra organizzato bene, non ho dovuto aspettare molto, solo una mezz’oretta di coda; la cosa strana è che per il primo tampone ero stato chiamato da ATS Insubria, e come ricorderete mi ero dovuto recare all’ex ospedale psichiatrico, mentre per questo mi ha chiamato l’Asl Lariana, ed il luogo è il vecchio Ospedale, a due passi da casa. Un’altra diversità è che qui mi hanno fatto compilare un foglio di consenso informato: ma a che serviranno tutti questi fogli? Nel pomeriggio ha fatto il tampone anche mio figlio, finalmente; essendo passati quattordici giorni dalla mia segnalazione avrebbe già potuto uscire, ma per sicurezza ha preferito farlo anche lui. Aveva paura che l’auto non partisse, dato che è stata ferma quindici giorni: invece si è avviata quasi al primo colpo, e forse per ringraziarla l’ha portata a lavare, cosa che a memoria d’uomo non mi pare sia mai successa.
Ho ricominciato a lavorare (quasi) a tempo pieno, e questo se da un lato, quello economico, mi fa piacere, dall’altro mi dà quasi un senso di fastidio, sembra che mi tolga il tempo per fare cose più interessanti: o Giò, direte, mica vorrai lamentarti del lavoro, in questo momento che tanti lo perdono o ce l’hanno estremamente precario! Per carità, sarebbe perfino immorale; non vorrei essere frainteso, ma in questi giorni sono entrato quasi in un’ottica da pensionato, ovvero del potersi dedicare solo a quello che piace, che diletta (tranne ovviamente quei pensionati che devono fare i baby sitter ai nipoti: ma magari a loro diletta questo). Ad esempio l’altro giorno invece di pigiare i tasti del computer mi sono sentito la Tosca: volete mettere?
Erano passati ormai più di tre anni dall’ultima volta in cui vi avevo assistito dal vivo, a Torre del Lago Puccini, vicino Viareggio, nel Gran Teatro all’aperto; avevamo approfittato di una breve vacanza a Marina di Massa per fare una puntata alla casa museo di Puccini e lì, per caso, avevamo notato le locandine per la serata. Siccome a Marina di Massa non è che ci sia tutta questa gran vita, di sera, decidemmo su due piedi di andare; arrivammo senza molto anticipo, al botteghino c’era una gran fila e ricordo che comprammo i biglietti da un signore che ne aveva presi una decina per una comitiva che però non sarebbe arrivata: li svendeva, praticamente un bagarino a rovescio. A parte lo Sferisterio di Macerata, molto più raccolto, era la prima volta che assistevo ad un’opera all’aperto: belle scenografie, maestosi movimenti corali ma che vi devo dire, sarà stata la lontananza dal palco, sarà stato che avevo dimenticato di prendere il libretto (alcuni vicini lo seguivano sul tablet e la luce era parecchio fastidiosa), non me la sono goduta. L’opera va vista in teatro, c’è poco da fare… l’unica eccezione che sarò disposto a fare nel futuro sarà per l’Aida all’Arena di Verona: e lì voglio anche gli elefanti, sia inteso!
La pusher di vino ha richiamato, e stavolta ho ceduto: mi ha proposto del Recioto, e come si fa a rifiutare? Diciamo che mi sono fatto il regalo di Natale, e ovviamente non mi sono limitato al Recioto, fino a Pasqua dovrei essere coperto. Ho considerato che quest’anno grazie ai lockdown di Conte (non saranno mica in società?) ho consumato un sacco di vino in più; a mensa il vino non c’era (per fortuna), ma a casa un bicchiere anche a pranzo non lo disdegno (tranne in quest’ultimo periodo, ma conto di rifarmi).
Stasera quindi potrebbe essere l’ultima sera di prigionia, ne approfitterò per vedere un bel film (ieri sera ho visto Child-44, un giallo angosciante ambientato nella Russia dei tempi di Stalin, dove uno pscicopatico uccide dei bambini ma il clima di terrore abiezione delazione e arbitrio che regna è persino più violento degli omicidi stessi. Dopo questo, penso proprio che cercherò una bella commedia!)
Amiche e amici, l’ora si avvicina, tra poco potrò tornare alla normalità, a comprare il giornale, a guardare il telegiornale, ad incazzarmi per l’Eredità: ma sono proprio sicuro di volerlo?
Dico subito che sono ormai anni che non seguo assiduamente il festival di Sanremo. Si può vivere abbastanza bene anche senza; ogni tanto però, se non ho di meglio da fare, qualche canzone la ascolto; e poi, anche se uno volesse farne a meno, ci pensano le radio e la TV a riproporcele (almeno la vincitrice e le due-tre più gradite) sera e mattina.
I “miei” festival sono quelli che vanno dal ’69 al ’72, rigorosamente in bianco e nero: alcune canzoni sono diventate successi sempreverdi, sono durate nel tempo come allora tutto doveva durare, i vestiti, le scarpe, i mobili, l’automobile… eravamo puri in un certo senso, il virus letale del consumismo non ci aveva ancora contagiato e trasformato del tutto.
Il mondo stava cambiando… grandi movimenti, conquiste faticose di diritti; c’era chi ascoltava il rock progressive spernacchiando il popolo che ascoltava canzonette ma non avevano capito che c’era spazio per tutti e forse in buona sostanza del popolo non avevano capito niente.
Riporto, solo a titolo di esempio ed alla rinfusa, le canzoni di quelle edizioni che ebbero più successo (scusandomi per quelle che ho dimenticato):
1969:
Zingara
Bobby Solo / Iva Zanicchi
Ma che freddo fa
Nada
La pioggia
Gigliola Cinquetti
Un’avventura
Lucio Battisti
Lontano dagli occhi
Sergio Endrigo
1970:
La prima cosa bella
Nicola Di Bari / Ricchi e Poveri
Chi non lavora non fa l’amore
Adriano Celentano e Claudia Mori
Eternità
Camaleonti / Ornella Vanoni
L’arca di Noè
Sergio Endrigo / Iva Zanicchi
La spada nel cuore
Little Tony / Patty Pravo
Taxi
Antoine
Io mi fermo qui
Dik Dik
Pa’ diglielo a ma’
Nada
1971:
Il cuore è uno zingaro
Nicola Di Bari / Nada
4 marzo 1943
Lucio Dalla / Equipe 84
Che sarà
Ricchi e Poveri / José Feliciano
Sotto le lenzuola
Adriano Celentano
1972:
Montagne verdi
Marcella Bella
Jesahel
Delirium
Piazza Grande
Lucio Dalla
I giorni dell’arcobaleno
Nicola Di Bari
Se dovessi sceglierne una per assegnargli il titolo di vincitrice assoluta direi La prima cosa bella, più nella versione di Nicola Di Bari che dei Ricchi e Poveri: “la senti questa voce, chi parla è il mio cuore…”
E mi chiedo: fra cinquant’anni, rimarrà qualcosa delle canzoni di oggi? E in genere, vale la pena che rimanga qualcosa?