Chiuso per ferie

Cari amici,

il bloggettino chiude per qualche giorno, causa impossibilità del tenutario di connettersi e sopratutto di connettere.

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Giomag ripreso nel suo habitat naturale con il consueto sguardo penetrante

Andrò a trovare i miei anziani ma ancora validi genitori, e se riesco a fare un giretto in Tuscia sulle tracce degli Etruschi, di cui mi vanto di sapere poco o niente.

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Dicono che ci sono uova di Pasqua con queste sorprese, a me non è ancora capitata però

Auguro a tutti una buona Pasqua, di godere dell’amore e dell’amicizia di quanti avete di più cari, e di distrarvi per qualche giorno dalle brutture del mondo pensando solo a cose belle e positive.

Giusto un borbottio prima dei saluti: stamattina leggevo che gli israeliani non permetteranno ai palestinesi cristiani di Gaza di festeggiare a Gerusalemme: come farsi voler bene, insomma…

Ancora auguri a tutti, e a presto!

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Un critico letterario (ma principalmente enologico) consulta un manuale di bon-ton. Il libro è mio ma l’uomo non sono io, non preoccupatevi, non sono cambiato così tanto.

 

 

 

 

 

Una birra per Olena (III)

La Calva Tettuta, poggiato il telefonino sul vassoio argentato, si alza dal divano Frau personalizzato ed avanza fino alla finestra scorrevole dalla quale si accede alla grande terrazza prospiciente il giardino botanico Rana, dove vengono coltivate piante esotiche e rare come il Nanocellus Officiantes volgarmente detto prete nano e la Scamarcia Fracitia, dal colore bumbia acceso.
Gilda apre la finestra e va ad appoggiare, pensosa, il generoso petto che le è valso il meritato soprannome alla balaustra in pietra leccese; dopo qualche minuto di meditazione emette un sospiro e si rivolge interrogativa al maggiordomo James, che è rimasto in rispettosa attesa.
«James caro, pensi che Jürgen possa fronteggiare questa faccenda da solo? Francamente non mi pare attrezzato»
«Tenderei a dubitarne signora. L’ingegnere nei frangenti concitati non mantiene la freddezza necessaria» afferma il maggiordomo, ricordando il momento in cui aveva dovuto strofinargli i glutei con lo straccio intriso di acquaragia.
«Già, lo penso anch’io. Dovremo attivarci, giusto? Prendere il toro per la coda o giù di lì. Si ma, James?» chiede la vedova Rana, con la fronte corrugata dalla preoccupazione.
«Signora?»
«James, non vorrei essere pessimista ma mi sembra che siamo a corto di truppa. Dove sono finiti tutti quanti?» indicando il giardino desolatamente vuoto.

A Blaenavon, in Galles, nella grande miniera di carbone in disuso che ospita il Big Pit Mining Museum (Museo minerario del pozzo grande) si sta svolgendo un concerto fuori programma. Un gruppetto di attempate casalinghe, accese d’entusiasmo, applaudono e fischiano il proprio idolo, il famoso cantante Tom Jones, incitandolo a concedere il bis del suo cavallo di battaglia “Sex bomb”. L’artista appare decisamente provato e vorrebbe declinare l’invito, ma l’orgoglio del vecchio leone e soprattutto  un pungolo elettrico che una delle sue fan brandisce minacciosamente lo convincono ad attaccare il refrain. Non sono certo le esigenze di scena a richiedere che Tom sia legato alle caviglie da una lunga catena, e che sia vestito soltanto di un perizoma, per di più leopardato: l’anziano sex symbol è stato rapito dalla banda di babbione ostili alla sua amicizia con Priscilla Presley, l’ex moglie di Elvis.
«Vi prego, care signore, sono stanco…» chiede Tom, con la sua voce calda e roca che attizza ancor di più le indiavolate groupies.
«Nudo! Nudo!» urlano queste scatenate, strappandosi i capelli e lanciando verso l’improvvisato palchetto mutandoni e reggiseni, cosa quest’ultima che causa un crollo delle attrezzature da questi sorrette.
«Cazzo! Ma sono già nudo!» protesta il cantante. «E mi scappa pure da pisciare, con tutta la birra che mi avete fatto bere, fatemi uscire di qua!» e così dicendo cerca di liberarsi dalle catene, beccandosi immediatamente una scarica elettrica nel fondoschiena che lo riporta a più miti consigli.
«E va bene!» cede Tom «ma ancora una volta e poi basta, eh!» poi, sebbene, riluttante, inizia a cantare:
Aw, aw baby, yeah, ooh yeak, huh, listen to this
Spy on me baby use satellite
Infrared to see me move through the night
Aim gonna fire shoot me right
Aim gonna like the way you fight
And I love the way you fight

Improvvisamente la base si spegne, ed un mormorio di delusione serpeggia tra le ammiratrici. Dal buio del vecchio tunnel si sente cantare:
«Sex buomb, sex buomb, gliù ar a sex buomb…»
Con la bocca leggermente aperta dalla sorpresa tutte si girano lentamente verso l’origine del suono, da dove avanza una figura vestita con una tuta militare completamente nera, con la faccia striata di nero e con un berretto, anch’esso nero, in testa. Anche gli stivali che le arrivano sopra al ginocchio sono neri. Con un mitra Spectre M4 a tracolla, Olena avanza verso il palco, canticchiando.
«Molto pratico questo attrezzo» dice alla donna che impugna il pungolo elettrico. «Tu provato prima su tuo marito, sì? Brava» la elogia muovendo la testa in segno di approvazione.
«Ora da brave liberate uomo, prego. Bello giuoco dura puoco» consiglia Olena, togliendo la sicura al mitra.

Poi rivolgendosi al prigioniero, rimasto a bocca aperta:
«Signor Jones, mi manda Priscilla. Belle mutandine, ma ora voi potete rivestire, prego.»

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Grave ma non gravissimo!

Per un attimo lunedì sera, mentre il telegiornale continuava e ripetere in loop le immagini della guglia della Cattedrale di Nostra Signora di Parigi che crollava, ho pensato a quello che sarebbe successo da noi se fosse andata a fuoco, Dio non voglia, la cupola del Duomo di Milano.
Innanzitutto avremmo avuto il nostro ministro dell’Interno in prima fila, vestito da vigile del fuoco, a coordinare i soccorsi; poi, in ossequio ai tweet di Trump, sarebbe intervenuta una squadra di Canadair che avrebbe così finito di distruggere quello che il fuoco aveva risparmiato; infine si sarebbe scatenata la caccia ai responsabili e, seppure lontani, i sospetti si sarebbero appuntati sulla sindaca di Roma Raggi e sul predecessore Ignazio Marino.
Che bello un paese dove quando c’è un terremoto tutti diventano sismologi, quando c’è un disastro aereo tutti ingegneri aeronautici, quando c’è un’eruzione tutti vulcanologi e quando c’è un incendio tutti pompieri!
E qualcuno osa dire che la scuola in Italia non funziona, quando ad ogni momento sforna brigate di ingegni eclettici!

A dire il vero di incendi abbiamo una discreta esperienza, se si pensi a quelli del Teatro La Fenice di Venezia e del Teatro Petruzzelli di Bari: entrambi dolosi, il primo a cura di due elettricisti in ritardo coi lavori spaventati dalla penale da pagare, ed il secondo di cui si sono scoperti solo gli esecutori e non i mandanti. Saranno stati annoiati? Come dichiararono qualche tempo fa quei ragazzi mostri che diedero fuoco ad un barbone.

Mi ha confortato l’autorevole parere di Vittorio Sgarbi, che il conduttore non ha avuto il coraggio di smentire per non incorrere nell’accusa di capritudine, che in sostanza ha detto che il danno è grave ma non gravissimo: la cupola si ricostruirà, così come era già stato fatto nell’Ottocento, e di opere d’arte non ce n’erano rimaste moltissime, come del resto sa chi ha avuto modo di visitare di persona la cattedrale.

L’ultimo ricordo che ho di Notre Dame in realtà è un non ricordo: non sono riuscito ad entrare perché per una serie di disguidi avevamo dovuto portarci dietro il cane (che ha quindi avuto la fortuna di visitare Parigi prima di molti umani) il quale, non essendo battezzato, in chiesa non era ammesso: ingiustizia secondo me perché tra quella torma di turisti che giornalmente la infesta c’è sicuramente gente molto meno meritevole, ma tant’è. Quindi mi sono limitato a passeggiare davanti all’ingresso, dandomi un certo tono, aspettando che i miei accompagnatori completassero la visita, sperando a dire la verità che qualche francesina venisse ad accarezzare le orecchie al simpatico cagnolino ma questo non è accaduto.

Di seguito poi abbiamo avuto il nonsense dell’edizione straordinaria del TG per discutere sul niente. Si fa davvero fatica a capire certe scelte editoriali: abbiamo la guerra a due passi e quasi ce ne fottiamo, brucia una chiesa, pur importante e simbolica, e ci si imbastiscono ore di parole a vuoto. Se il fiume di retorica si fosse potuto dirigere sulla cattedrale, altro che canadair! Le fiamme si sarebbero spente in un attimo. Era molto meglio la replica di Montalbano in programma, cancellata per dar spazio a questi professionisti del bla bla: e poi mi chiedo: ma com’è possibile che le telecamere della Rai non ci fossero? Le riprese erano da telefonini di privati o dalla Tv francese: ma che accidente di fine hanno fatto i nostri soldi? Ora per di più che il canone si paga in bolletta elettrica, e dunque anche le entrate sono aumentate, in quale buco nero finiscono? Grillini, mi rivolgo a voi dato che siete molto attenti agli scontrini, specialmente se degli altri: com’è possibile che quando eravamo poveri avevamo sedi in tutti il mondo, e adesso gli inviati parlano da delle terrazze che potrebbero essere benissimo su un capannone di Saxa Rubra?

Mi unisco comunque al generale cordoglio, così come a quello degli juventini che hanno perso per l’ennesima volta la Coppa dei Campioni, e formulo un augurio: amici francesi, ce la farete veramente in cinque anni a ricostruirla? Perché poi per me comincerebbe ad essere un po’ tardino. Non porterò più il cane, prometto!

Switzerland v France: Group E - 2014 FIFA World Cup Brazil

Fotografato il buco nero!

La scienza esulta: Einstein non era un pirla!
Gli scienziati sono riusciti a riprendere le immagini del centro della galassia M87 posta a ben 55 milioni di anni luce dalla terra: evviva!

Speriamo ora che, magari con un cannocchiale anche meno potente, si riesca a far finalmente luci sui buchi neri della nostra storia recente, anche se per questo temo che ci voglia un genio ben più grande di Einstein.

A proposito, non è curioso che andiamo a scoprire buchi neri nell’universo e invece a uno che i buchi neri di questo pianeta li aveva pubblicati gli è toccato stare segregato 7 anni in un buco di ambasciata dell’Ecuador ed essere infine imprigionato per conto terzi dai brexitari?

Dopo questa scoperta comunque niente sarà più come prima, e lo stesso concetto di buco nero come l’avevamo immaginato nella nostra adolescenza viene rivoluzionato. Che te possino, Einstein!

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Una birra per Olena (II)

L’ingegner Jürgen Matthäus, un sessantenne non molto alto, rossiccio, rubicondo e sovrappeso, direttore responsabile degli impianti Rana in Germania, siede sprofondato nella poltrona del suo ufficio alla Rana Tower di Monaco di Baviera, a due passi dal Deutsches Museum, ed a stento riesce ad articolare qualche parola.
«Jürgen, carissimo, che piacere sentirti» lo saluta la Calva Tettuta, nel tentativo di metterlo a suo agio. «Tutto bene con i nipotini? Salutami la cara Hilga, quando la vedi. Volevi parlarmi, caro?»
«Ja, frau Rana,» attacca l’ingegnere, con un marcato accento tedesco che l’agitazione accentua:
«E’ terripile, terripile! Non posso kretere ke questo successo in Cermania. Inconcepipile!»
«Ma di cosa stai parlando, caro? Non avrete anche voi un governo gialloverde per caso?» chiede Gilda, che ha a cuore la stabilità politica dell’Unione Europea.
«Nein, nein, peccio, molto peccio!» e un brivido serpeggia per la schiena di Gilda, ma prima che questa possa fare supposizioni su derive nazionaliste l’ingegnere continua:
«Hafete presente nuofo makkinario ke afremmo tofuto installare in Stalag Rana-1?»
«Ecco, adesso su due piedi non proprio, Jürgen, tra l’altro non ti avevo detto di cambiare nome a questi stabilimenti? Il nostro marketing trova che non diano un’immagine rassicurante¹. E i sindacati ci stanno col fiato sul collo, lo sai» lo rimprovera Gilda, preoccupata per le relazioni sindacali. «Comunque, che è successo a questi macchinari?»
«Ieri pomericcio appiamo portato nuofe makkine nei kapannoni. Makkine ti nuofa cenerazione, potentissime! Protucono il toppio tell’impasto Krakatofeln ti kuelle fecchie con la metà tegli attetti.»
«Krakatofeln? Ah, già, crauti e kartoffeln, da quelle parti ne andate ghiotti. Ma addirittura raddoppiare la produzione mi sembra esagerato, caro Jürgen. Chi ha ordinato queste macchine?»
«Ehm, siete stata foi signora, ciusto un mese fa, ho kuì la mail con l’ortine…»
«Io, dici? Mah, chissà dove avevo la testa. Aspetta un attimo, Jürgen» lo ferma la padrona, e coprendo la cornetta con la mano chiede a James:
«James, che tu sappia Flettàx ha imparato ad inviare le mail? Non vorrei che oltre ad imitare le voci si metta ad inserire ordini»
«Tenderei ad escluderlo, signora» risponde il maggiordomo «le zampe zigodattili non sono compatibili con le tastiere Qwerty»
«Gli uccelli non hanno segreti per te, grazie caro» lo loda Gilda, e riprende la conversazione interrotta:

«Ma senti Jürgen, e dell’altra metà di operai che ne facciamo? Quelli sono specializzati in Krakatofeln, come li riconvertiamo?»
«Nostro ufficio ricerka stutiato nuofo prototto che potrà afere successo krantissimo!»
«Davvero Jürgen? Stento a crederlo. Ricordo ancora la Kakkuzza, il ripieno cavolo cappuccio e zucca, una boiata che persino la buonanima di Toshiro Laganà si rifiutò di avallare» osserva Gilda, con una smorfia di disgusto.
«Kvesta itea rivoluzionaria, frau Rana! lo appiamo kiamato Wurstellino»
«Che nome grazioso, Jürgen! Di che si tratta stavolta?» chiede una dubbiosa Gilda.
«Appiamo pensato una krossa innovazione! Non useremo la karne come ripieno, ma useremo wurstel come involukro e lo riempiremo ti tortellini. Ceniale!»

La Calva Tettuta rimane qualche secondo in silenzio per elaborare la proposta del suo direttore dopodiché, non prima di essersi sistemata la bandana in seta di colori cangianti, emette il verdetto:
«Contrordine, Jürgen. Lascia stare il nome dello stabilimento. Fammi un piacere, però»
«Tica, signora»
«Impacchetta tutto il tuo reparto di creativi e mandalo alla catena di montaggio, gli operai in avanzo sforneranno senz’altro idee migliori e con un costo sensibilmente minore. Da parte mia cercherò di dimenticare questa telefonata e di ricordarti com’eri, caro Jürgen. Ma, a proposito di telefonata, non mi hai ancora detto perché mi hai chiamato. E’ per questa storia dei wurstellini?»

«Nein, frau Rana, nein… atesso kvesto non è problema… le makkine! Kvesta notte le makkine sono state fatte saltare in aria ed i kapannoni tati alle fiamme! Polizei parla ti attentato, siamo kiusi!»

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¹ Gli Stalag (abbreviativo di Stammlager) erano campi di concentramento tedeschi per prigionieri di guerra della Seconda Guerra Mondiale. Niente a che vedere con gli Stalag Rana, abbreviativo di Stabilimenti Laganà così chiamati in onore dell’ex  direttore R&S Toshiro Laganà, deceduto tragicamente (cfr. Niente sushi per Olena – 2018)
² Ara Macao insolente e scurrile scappato ad un senatore padano e rifugiato nel parco di Villa Rana (cfr. Ferragosto con Olena – 2019)

Cultura a catinelle!

Come si addice ad un intellettuale la cui cultura pop spazia da Nicola Di Bari a Luis Del Sol, da “Natale in India” con Boldi e De Sica ai Fratelli Karamazov di Dostoevskij (ma solo in versione sceneggiata), la mia preparazione eclettica è apprezzata ed ammirata senza riserve.

Grazie alla fama di sapienza che alimento scuotendo gravemente la testa quando si parla di un argomento di cui non so una cippa mi sfuggono i dettagli ed intercalando con degli opportuni “già, già!” ed “eh!”, ogni tanto mi viene dato l’incarico di organizzare delle gite per partecipare a qualche evento culturale. In genere trovarsi la pappa pronta è apprezzato, perciò il fatto che io mi prenda la briga di prenotare, acquistare i biglietti anticipando i soldi, studiare itinerari e visite collaterali e magari scegliere anche il ristorante mi viene riconosciuto come grande capacità organizzativa, sulla quale la mia consorte non concorda non trovando uguale lucidità di azione quando si tratta di trovare i calzini dispersi chissà come in qualche cassetto a me sconosciuto.

Lo scorso weekend quindi, con una dozzina di volenterosi, ci siamo recati a Milano per la mostra sul pittore Antonello da Messina, che si trova al Palazzo Reale.
Qualche anno fa mi era capitato di vedere il suo dipinto più bello (secondo me), l’Annunciata, al palazzo Abatellis a Palermo; era agosto, poco dopo pranzo, ed andammo a visitare la stupenda Galleria confidando nell’aria condizionata: non sapevamo che custodisse questo tesoro, e ricordo che rimanemmo un quarto d’ora ad ammirarlo, lo sguardo, il velo, i gesti delle mani… a settembre tra l’altro ebbi la soddisfazione di veder pubblicato il mio reportage della vacanza (sotto pseudonimo, e gratis naturalmente) sulla rivista Turisti per Caso, ed ancora me ne vanto.

Poiché la prenotazione era per le 14:50 (orario strategico in quanto ci avrebbe permesso di pranzare con calma), ho studiato un itinerario che unendo storia ed arte avrebbe soddisfatto tutti, e siamo partiti dalla Vigna di Leonardo, situata nel giardino della casa degli Atellani, in corso Magenta.
La vigna fu regalata dagli Sforza a Leonardo, e da questo lasciata in eredità ai suoi servi quando si trasferì ad Amboise; per l’Expo del 2015 degli archeologi-botanici sono riusciti, scavando nel giardino, a ritrovare le radici degli antichi vitigni e li hanno fatti rivivere. Alcuni scettici del gruppo hanno messo in dubbio questa ricostruzione, tacciandola come balla colossale ma ben fatta: del resto se uno va in giro in Francia si accorgerà che è pieno di posti dove sono rimaste solo poche pietre e sulle quali i francesi hanno costruito delle attrazioni incredibili. Sono in vendita anche delle bottiglie di vino malvasia, ma prodotte nell’Oltrepò pavese.
Il palazzo fu donato alla famiglia Atellani da Ludovico il Moro, e nel corso dei secoli ha avuto diversi passaggi di mano, fino ad essere acquistata nel 1919 dall’ingegner Ettore Conti che lo fece restaurare dall’architetto Piero Portaluppi (del quale ho sentito parlare recentemente, nella visita a Villa Necchi Campiglio, sempre a Milano, per le giornate del Fai).
Conti, che è vissuto 101 anni, ha avuto la soddisfazione di vedere il palazzo rivivere, ma anche il dispiacere di vederselo di nuovo lesionare nel ferragosto del ’43, quando i bombardamenti terroristici degli americani distrussero il vicino chiostro di Santa Maria delle Grazie e per un miracolo non polverizzarono il Cenacolo Vinciano. Ora il palazzo è restaurato e visitabile, e vale la pena di farci un giro.

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La Vespa di Leonardo

Da lì ci siamo diretti a Sant’Ambrogio, dato che a Santa Maria delle Grazie era in corso la Messa; qui innanzitutto abbiamo ammirato i lavori per la M4, meravigliandoci che qualche ritrovamento non abbia bloccato tutto, poi mio figlio ci ha tenuto una lezione di arte rendendomi orgoglioso dei soldi spesi per la sua istruzione.
Poi, con l’intenzione di ritornare su Corso Magenta, siamo passati a fianco della Colonna del Diavolo, dove la leggenda vuole che i due buchi impressi su di essa siano appunto le corna del diavolo; e continuando ci siamo trovati davanti al Tempio della Vittoria, o Sacrario dei Caduti milanesi. Vincendo la resistenza della componente femminile siamo entrati, il luogo è suggestivo e toccante con oltre diecimila nomi scolpiti nel bronzo; mi ha colpito una lapide dedicata ai “ragazzi del ‘99”, quei diciottenni che dopo la disfatta di Caporetto furono gettati in battaglia per rinvigorire un esercito esaurito dalle “spallate”, la strategia folle del generale Cadorna. Il nonno di mia moglie fu uno di quei ragazzi: fu chiamato alle armi ma fortunatamente non fu mandato al fronte, e portò a casa la pelle a differenza di tanti suoi coetanei.

Tornati su Corso Magenta siamo entrati in San Maurizio al Monastero Maggiore, di cui ho già parlato, un capolavoro rivelato nel cuore di Milano, come dice il Touring Club Italiano che lo tiene aperto, i cui restauri sono conclusi anch’essi per l’Expo. Vittorio Sgarbi l’ha definito “la Cappella Sistina di Milano”, forse è un po’ esagerato ma l’impatto, visitandolo, è di quelli da lasciare veramente senza fiato.
Poi, anche approfittando del fatto che la prima domenica del mese i musei Statali e Civici sono gratuiti (finché a qualche seguace del “con la cultura non si mangia” non verrà in mente di abolire questa iniziativa) siamo entrati nel contiguo Museo Archeologico.
I musei archeologici difficilmente mi appassionano, lo confesso, ma devo dire che questo da cui pure mi ero tenuto per anni accuratamente alla larga mi è piaciuto, e molto. Non lo abbiamo visitato tutto, ma solo la sezione romana: moderna, ben spiegata, con plastici che ricostruiscono la Milano com’era e ricostruzioni che mostrano cosa c’era al posto di quello che si vede ora: anche alcuni bei reperti, bisognerà proprio farsi un giretto della Mediolanum romana, prossimamente.

E, poiché s’era fatta una certa, come dicono a Bolzano, ci siamo appropinquati ai luoghi delle cibarie: puntando prima verso i Panzerotti di Luini, delusi dal fatto che lo storico negozio la domenica è chiuso: eppure una del gruppo giurava e spergiurava di esserci stata una domenica e di aver rinunciato perché c’era una fila chilometrica: e ti credo, se era chiuso hai voglia ad aspettare…
Allora è scattato il piano B, che il pianificatore attento deve sempre avere a disposizione: l’Antica Focacceria San Francesco, piatti tipici siciliani e street food che ci avrebbero ben predisposto per la visita del pittore messinese. I prezzi sono modici tranne il passito finale: con quello che abbiamo speso per i quattro bicchierini ne avremmo comprata una intera bottiglia.

Avvicinandoci a Piazza del Duomo ci sorprende, davanti alla Rinascente, un boschetto di ulivi secolari: The Green Life, un’iniziativa del gruppo commerciale per promuovere lo stile di vita verde, che fa il paio con il bananeto che resiste rigoglioso in faccia al Duomo.
Ecologico, ecocompatibile, ecosostenibile: saranno ecoballe? Per una città che sfora regolarmente i livelli di Pm10 sorge il sospetto.

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Ma, avanzando ancora verso la Piazza, ci sorprende una installazione, che immaginiamo subito faccia parte del Fuori Salone, ovvero le iniziative per il Salone del Mobile che si svolge alla Fiera e che funesta i pendolari che si trovano le carrozze del metro stracolme. Si tratta di un enorme statua rosa della quale da lontano non si percepiva bene la forma e che quindi ha dato adito ad ipotesi azzardate: dei glutei maschili con peli; uno scroto, sempre con peli; un puntaspilli. Solo aggirandola, e grazie all’aiuto di targhe, si è riuscito a capire che si trattava di una poltrona trafitta da frecce, a significare la violenza sulle donne. Il giorno seguente ho letto di proteste femministe e ne hanno ben donde: la poltrona è il regno dell’uomo, era la cucina che andava trafitta!

E finalmente entriamo alla Mostra: a me è piaciuta molto, i ritratti di Antonello da Messina sono stupefacenti per come trasmettono il carattere, la psicologia del soggetto: è un peccato che se ne siano rimasti pochi, e molti siano andati persi nel grande terremoto che rase al suolo Messina nel 1909. Una curiosità che lessi l’anno scorso, quando preparavo il viaggio in Russia; l’incrociatore Aurora, quello che sparò il colpo che diede il via alla presa del palazzo d’Inverno, fu il primo a prestare soccorso alla popolazione, prostrata dal terremoto e dal successivo tsunami, che allora però si chiamava maremoto.

All’uscita una parte si è recata alla Rinascente a rifocillarsi, mentre i più valorosi sono andati a San Satiro, in Via Torino, dove oltre all’incredibile abside di Bramante c’è un bellissimo Compianto sul Cristo Morto, bellissimo ed espressivo anche se non così esageratamente drammatico come quello di Santa Maria della Vita, a Bologna.

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Poi una puntatina alla Chiesa di San Giorgio, nell’omonima piazza, dove c’è un bel polittico di Bernardino Luini; già che eravamo lì la professoressa d’Arte che ci accompagnava ci ha istigato ad entrare nella Pinacoteca Ambrosiana per vedere almeno la stanza con il cartone della Scuola di Atene di Raffaello, ma una rivolta con minacce di stendersi sul selciato e farsi investire dal primo taxi di passaggio ci ha indotti a desistere.

Eravamo in piazza San Sepolcro, tra l’altro, dove Benito Mussolini il 23 marzo 1919 fondò i Fasci Italiani di combattimento, per dire che in ogni città italiana basta girare un angolo per incontrare un pezzo di storia.

Siamo tornati a casa stanchi ma soddisfatti: per cena, a giusto coronamento e come sintesi della giornata, ci aspettava il polpettone.

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Ciao, Nelson!

 

Una birra per Olena (I)

Nel giardino all’inglese di Villa Rana, ricco di alberi secolari, cespugli, grotte, fontane con giochi d’acqua e ruscelli dove si abbeverano i caprioli, sopra un rialzo artificiale in tufo di Fiumicino è costruito un tempietto in stile dorico dove Gilda, la padrona di casa, ama ritirarsi quando il suo spirito tende alla malinconia.
In questi casi ella si reca al tempietto con una tisana alle erbe di mellifrace ed un libro del suo autore preferito, il filosofo-naturista Augusto Propoli, scelto tra i tanti della sua biblioteca: “Corpo o anima? Come dire addio alla stitichezza con le erbe di mellifrace” , “Farci o esserci? Come ritrovare la regolarità intestinale con le erbe di mellifrace” e “Si può dare di più? Come aumentare il piacere sessuale con le erbe di mellifrace”, quest’ultimo il suo preferito e lì, accovacciata sulla poltrona Bergere in pelle bordeaux con le gambe ripiegate sotto di sé, gli occhiali modello Lolita poggiati vezzosamente sul bel nasino, si concentra corrucciando leggermente il labbro superiore nel tentativo di assorbire gli insegnamenti del Maestro.
Lo sforzo si prolunga in genere per tre-cinque minuti dopo di che, vuoi per l’effetto calmante della tisana, vuoi per la profondità dei contenuti del libro o vuoi per lo scorrere dell’acqua del ruscelletto, un torpore o cecagna che dir si voglia la colpisce, gli occhiali le scivolano dal nasino ed il libro le cade dalle mani finendo in terra con un rumore attutito dal grande tappeto persiano Tabriz.

E’ appunto in uno di questi frangenti che una figura a noi ben nota, vestita in un inappuntabile completo nero di Girifalchi, scarpe in vernice Graziano Cucchiaroni lucidate a specchio, con un’unica concessione alla frivolezza data dalla pochette con pesciolini rosa watermelon, si materializza sulla soglia del tempietto reggendo un vassoio in argento sul quale è poggiato un cellulare ultimo modello che ronza in modalità vibrazione.
James entra nella stanza, si porta la mano chiusa alla bocca e tossisce con discrezione, svegliando delicatamente Gilda dal sogno in cui, indossato solo un corto camice bianco da infermiera, sta applicando al filosofo Propoli un clistere a base delle erbe da lui magnificate, per testarne l’efficacia e constatarne i benefici.

«Chiedo venia, signora, c’è una chiamata per lei»
«Oh, James» risponde la vedova Rana stiracchiandosi «stavo facendo un sogno bellissimo, ero una paramedica e giocavo al dottore e l’infermiera con un filosofo»
«Sono dispiaciuto di doverla disturbare, signora, ma l’ingegner Matthäus ha insistito, sembrava oltremodo agitato»
«Jürgen agitato? Questo mi sorprende molto, James. Jürgen è la flemma in persona, l’unica volta che l’ho visto agitato è stato quando la cameriera Hilga dell’Hofbrauhaus l’ha accusato di non pagare gli alimenti per il sostentamento dei quattro figli che lui non ricordava assolutamente di avere»
«Rammento bene quella sera, signora, una scena imbarazzante se posso esprimere il mio parere.»
«Già, ce n’è voluto del bello e del buono per convincere Hilga che quello che stava insolentendo non era il padre dei propri figli. Il povero Jürgen dovette perfino calarsi i pantaloni per dimostrare di non avere la voglia a forma di castagna matta sulla chiappa sinistra. E l’orchestrina di ottoni continuava a suonare, che rebelòt!» conclude Gilda, scuotendo la testa.
«Una situazione davvero incresciosa, signora»
«Puoi dirlo forte, James. Tra l’altro ricordo che tu fosti chiamato a constatare con mano che il nostro Jürgen non avesse cancellato la voglia con qualche vernice, sfregandogli il didietro con un solvente»
«In effetti la signora Hilga pretese che io fossi molto scrupoloso con l’acquaragia, dovetti applicarmi con solerzia» ricorda il maggiordomo con un brivido di raccapriccio.
«Certo che fu un bel colpo per la ragazzona scoprire che quello che aveva creduto suo marito non fosse Jürgen ma il fratello gemello Helmut. Pianti e strepiti, ricordo male James?»
«Perfettamente, signora. L’ingegnere, nonostante l’accoglienza della cognata, si comportò da perfetto gentiluomo ed acconsentì a coprire i debiti del fratello gemello»
«Tutto è bene quel che finisce bene, James. E dunque, che vorrà mai quel ragazzaccio? Passami il telefonino, che sentiamo il motivo di tanta agitazione»

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Finalmente avremo la cittadinanza a punti!

A dimostrazione di quanto la Cina sia avanti anni luce per quanto riguarda l’attenzione posta al benessere dei propri cittadini, è di questi giorni la notizia che ad alcuni cittadini è stato impedito di acquistare biglietti aerei e ferroviari in quanto aventi un basso rating sociale.
In pratica, come fanno da sempre le agenzie Moody’s, Standard & Poor’s, Fitch eccetera, società private partecipate da grandi multinazionali la qual cosa potrebbe far nascere qualche dubbio sulla loro imparzialità ma sorvoliamo, queste agenzie dicevo assegnano voti agli Stati sulla loro affidabilità, cioè sulla fiducia che chi gli presta soldi possa riprenderseli: qui si tratta essere appena più capillari ed assegnare a ciascun singolo cittadino un Social rating, un Credito Sociale.
Lo Stato cinese intraprende questa strada con le migliori intenzioni, si tratta infatti di creare “un ambiente di opinione pubblica nel quale il mantenimento della fiducia sia percepito come glorioso”, e “che rafforzerà la sincerità negli affari governativi, quella commerciale, sociale e la costruzione della credibilità giudiziaria”.

E chi potrebbe essere contrario a tanta benevolenza?

Ma vediamo un po’ come viene redatta questa pagella. La valutazione abbraccia diversi aspetti di una persona: se si pagano le bollette e le rate dei prestiti, se si mantengono gli impegni contrattuali, la trasparenza delle informazioni personali, il comportamento dedotto dalle abitudini di acquisto, le relazioni sui social media ed i commenti dati nelle varie discussioni.
Detta così sembra un po’ una cosa da Grande Fratello, ma confidando nella saggezza cinese cercherò di capire quali invece possono essere i vantaggi per la collettività.

Innanzitutto c’è da dire che in qualsiasi parte del mondo se uno non paga le bollette e le rate dei prestiti, o le paga tardi, non è che sia tenuto proprio in palmo di mano; e la stessa cosa se qualcuno si prende degli impegni contrattuali/lavorativi (scadenze, consegne, aderenza ai requisiti, qualità) e non li rispetta, non è che possa aspettarsi dei “bravo” ed una riconferma al prossimo giro, a meno di non essere intrallazzati con qualcuno dei committenti a cui magari si paga una tange commissione.

Le nostre informazioni personali sono ormai a disposizione di cani e porci, pensate solo alle decine di call center che ci funestano le giornate con chiamate indesiderate ed alle pubblicità che ci bombardano, tanto varrebbe andare in giro con il numero di telefono stampato in fronte che la situazione non cambierebbe di molto.
In quanto alle abitudini di acquisto siamo profilati in mille modi: ogni volta che in un supermercato si usa una carta sconto, quando si usa bancomat o carta di credito, quando si acquista su Internet… e del resto la Social Card che il nostro governo, non quello cinese, si appresta a dare ai destinatari del reddito di cittadinanza, non prevede anche un controllo sulle spese “etiche”? Anche questo con la migliore intenzione, certo, per evitare che uno si vada a spendere la paghetta alle macchinette del bar: ma sempre controllo è.

Mi viene in mente che qualche tempo fa acquistai su Internet dei costumi da donna, per i ragazzi del teatro, e da allora continuano ad arrivarmi delle pubblicità di abbigliamento femminile anche intimo e magari qualche algoritmo potrebbe annoverarmi tra i rappresentanti di famiglie non tradizionali.

Infine, le relazioni sui social ed i commenti. Si è sempre detto “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei” quindi se tra le “amicizie” su Facebook, per dire, ne intrattengo con una pletora di sgallettate si potrebbe pensare che sia un tipo un po’ farfallone: lungi da me, naturalmente, anzi proprio l’altro giorno ho rifiutato la richiesta di amicizia di una simpatica ragazza indonesiana con la quale non avrei saputo che argomenti condividere. E in quanto ai commenti… finalmente! Su questi social c’è gente totalmente fuori di testa alla quale andrebbe tolta anche la licenza di guida, oltre che il diritto di voto: e ritengo che sia un provvedimento di salute pubblica metterli in condizione di non nuocere a se stessi ed al prossimo. Tra l’altro, come ho detto spesso, il suffragio universale è sopravvalutato come dimostrano certe elezioni recenti in ogni parte del mondo, perciò sarebbe il caso di dare almeno una sfoltita ai votanti.

Dunque, amici, nessuna paura. Tanto siamo già tutti controllati e schedati, almeno la Cina lo ufficializza e anzi, permette un controllo sociale, come le pagelle esposte di una volta: come mai io ho preso 3 e lui 6? Cos’ha lui che io non ho? (Tra l’altro per una stupidissima interpretazione della privacy ora i voti non possono più essere esposti. Grandissima stupidaggine, perché permetteva di controllare se venivano fatti favoritismi e ingiustizie… quindi schedati e profilati si, ma le pagelle no…)

Se poi proprio qualcuno voglia provare a tirarsene fuori, il rimedio ancora c’è: pizzini e contanti…

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