Sulle note di sottofondo dell’allegra Trink, Brüderlein trink¹ eseguita dall’orchestrina Otto un seine kurze Hose, Horst continua il suo racconto:
«Con un incoraggiamento simile capirai, Fritz, come mi fosse difficile rifiutare. Olena mi mise in mano una copia dei verbali delle indagini, senza dirmi naturalmente da chi e come li avesse avuti; mi misi a studiarli ma non ci trovai nessuna stranezza, anzi mi convinsi che i sospetti su una fuga volontaria fossero fondati: il diplomatico, secondo alcuni collaboratori, negli ultimi tempi mostrava un certo nervosismo e si muoveva con circospezione, come se volesse nascondere qualcosa; il sopralluogo nel suo appartamento non aveva mostrato segni di colluttazione, tutto era in ordine e mancavano solo una valigia e qualche effetto personale, oltre al passaporto, esattamente come se Sobolev dovesse partire per un breve viaggio. Feci allora alla signora le domande di rito: se avesse notato qualcosa di insolito nei recenti comportamenti del marito, come fossero i rapporti tra di loro, che cosa le facesse pensare che fosse stato fatto sparire, se suo marito avesse ricevuto minacce, intimidazioni…»
Horst si ferma un attimo per sorseggiare un’altra boccata di birra, imitato dal suo sottoposto, e riprende:
«La signora mi disse che i loro rapporti erano buoni e non aveva notato stranezze nel comportamento del marito; di lavoro però non parlavano mai, quindi non sapeva se ci fossero problemi su quel versante; però riferì di un elemento molto interessante.»
«Ah si? E cosa?»
«Sobolev era un eroe di guerra; durante la difesa di Stalingrado era stato ferito alla gamba destra, che era rimasta leggermente più corta dell’altra e per questo nella scarpa doveva portare un plantare che gli permetteva di non zoppicare. Questo plantare Sobolev lo riponeva ogni sera nella scarpiera, e lì la signora lo trovò»
«Mi pare un po’ poco come prova… può essere che nella fretta l’abbia dimenticato, o che ne abbia avuto un altro…» osserva Fritz.
«Così pensai anch’io e la mia intenzione, quando congedai le due promettendo di occuparmi del caso, era quella di far passare un po’ di tempo attendendo la comparsa di nuovi elementi…»
«Quello che fa sempre, insomma…» bofonchia Fritz, da sempre ammiratore dei metodi del commissario.
«Esattamente, Fritz. Le prove hanno bisogno di sedimentare, di maturare, come il vino, bisogna lasciare che la pula si depositi sul fondo, che il torbido si schiarisca. Ad ogni modo ebbi una botta di cu… ehm, un colpo di fortuna che accelerò molto la soluzione del caso»
«Davvero, commissario? Di che tipo?»
«Mi era rimasto in mano quel plantare, ed un po’ infastidito lo tirai sul tavolo della cucina. La foga fu forse eccessiva, tant’è che il supporto cadde a terra e, con mia grande sorpresa, si aprì. Dentro c’era una chiave! A questo punto la faccenda cambiava prospettiva, e l’ipotesi che Sobolev l’avesse lasciato lì apposta non era peregrina… si trattava solo di capire che diamine aprisse quella chiave. Che fare? Stando alle regole, avrei dovuto riferire tutto ai miei superiori, ed è quello che avrei senz’altro fatto se non che…»
«Ha pensato che fosse meglio prima parlarne con la russa» ipotizza Fritz con un filo di malizia.
«Fritz, sorvolerò sulle tue meschine insinuazioni. Mi sembra di averti già detto che Olena lavorava all’ambasciata, ed io proprio all’ambasciata ero stato messo di sorveglianza: dunque era più facile incrociarci casualmente. Le dissi che avevo delle informazioni; fece un sorrisetto e mi disse che si sarebbe liberata in serata, di aspettarla a casa. E così feci…»
«E?»
«Si presentò indossando una cuffia che nascondeva i capelli biondi ed un lungo impermeabile che nascondeva tutto il resto… nell’attesa avevo preparato qualcosina da sgranocchiare, e le chiesi se avesse voglia di mangiare. “Dopo”, mi disse, liberando i capelli e lasciando scivolare a terra l’impermeabile»
«Dopo che, commissario?» chiede Fritz, ancora incredulo.
«Già, dopo che…» risponde Horst «devo capirlo ancora adesso, caro Fritz. Venni travolto da un ciclone, più o meno; per fortuna ero in buona forma fisica, altrimenti avrei anche potuto lasciarci le penne. Alla fine mi disse “non male, per essere un panzerotto” il quale panzerotto capii solo più tardi fosse riferito ai nostri carrarmati, e non alle pizze fritte ripiene di cui gli immigrati del sud Italia vanno ghiotti.»
«E poi com’è finita, commissario, avete risolto il caso, vi siete rivisti?»
«Te la farò breve, caro Fritz, anche perché la birra è finita e l’autore comincia a spazientirsi. Come saprai Dresda nel ’45 venne completamente rasa al suolo dai bombardamenti inglesi e americani; furono distrutti monumenti, palazzi e chiese di valore storico e artistico inestimabile… la Gemäldegalerie Alte Meister, ad esempio, la stupenda pinacoteca che si trovava nel palazzo dello Zwinger, venne gravemente danneggiata, ma per fortuna gran parte delle opere d’arte erano state messe in salvo. Queste opere d’arte alla fine della guerra furono trasferite in Russia e vennero poi restituite nel 1956, quando eravamo ormai diventati “amici”… Sobolev aveva scoperto che non tutte le opere restituite erano state consegnate al museo e c’era un traffico che coinvolgeva funzionari russi ed ex-nazisti; i primi approfittando dell’immunità diplomatica facevano espatriare le opere ed i secondi, rifugiati perlopiù in sudamerica, le piazzavano presso ricchi compratori. Sobolev stava per denunciare tutto, ma venne zittito prima: si era fidato di qualcuno di cui non avrebbe dovuto…»
«Chi era, commissario? E cosa avete fatto, li avete arrestati?»
«Non proprio, Fritz. Olena mi intimò di non dire niente a nessuno; dopo qualche giorno i funzionari coinvolti sparirono, e pensai che fossero stati rimossi e riportati in Russia. In realtà non si mossero mai da Dresda… a proposito, sapevi che a Dresda c’è uno degli zoo più antichi della Germania?»
«No, ma che c’entra adesso lo zoo?»
«C’entra, caro Fritz, c’entra, chiedilo ai leoni se c’entra… »
«Vuol dire che?…»
«Non lo vidi coi miei occhi, ma Olena mi raccontò tutto per filo e per segno. Non è una ragazza molto tenera con i traditori, quella. Continuammo a vederci per un po’, finché, nell’assalto all’ambasciata dell’anno seguente, aiutai lei ed il suo capo ad evacuare l’edificio…»
«Ricordo quell’episodio, capo, la folla era inferocita, non sapevo che anche lei fosse lì… Olena le sarà stata riconoscente, le ha salvato la vita!»
«Non hai capito, Fritz» risponde Horst, scuotendo la testa. «Non è a lei che ho salvato la vita. A quelli che volevano entrare, l’ho salvata»
¹ Bevi, i fratelli bevono
² Otto e le sue braghe corte