Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (4)

Amiche e amici,

oggi è la giornata della memoria. Motivo forse per cui scrivo queste cronachette: così se perdo la memoria me le posso andare a rileggere e chiedermi se ero davvero io quello che scriveva quelle cose là. L’altra settimana, a proposito, quando vi dicevo che con i miei fratelli abbiamo aperto i cassetti di mia madre e tirato fuori i suoi ricordi, c’erano anche delle lettere che conservava gelosamente: quelle che noi fratelli le scrivevamo da bambini per la festa della mamma, le cartoline e le lettere che le mandavamo quando andavamo in gita (per fortuna non esistevano i telefonini, whatsapp e gli sms…), e tra queste una lettera che le scrissi da militare, per raccontarle alla mia maniera come me la passavo a servire la patria. Allora non si tornava a casa molto spesso, io in tutto il militare sono andato in licenza 2-3 volte, ma considerate che ho passato una estate a Sabaudia ed una a Rimini, quindi non è che avessi tutta questa smania di tornare a casa.

Comunque ieri sera ho partecipato ad una serata in preparazione della giornata della memoria, organizzata dai pensionati dei balli popolari del martedì; vi ho parlato poco di queste persone ma sono davvero ammirabili, prima di tutto perché per la maggior parte provengono dal sindacato ed in genere da quella che una volta si chiamava sinistra, dunque anche se provati hanno ancora degli ideali; poi perché hanno ancora voglia di mettersi in gioco, di organizzare, di creare occasioni di partecipazione…  Così ieri sera la serata ha proposto la visione di tre brevi documenti:  il primo un’intervista a Ines Figini, un’operaia comasca nata nel 1922, scomparsa da un paio d’anni, che raccontava come sia stata deportata nel ’44 non perché ebrea, ma perché a seguito degli scioperi nel comasco aveva “osato” prendere le difese dei suoi compagni; e così insieme ad altri operai ed operaie venne portata nel lager di Mauthausen, e poi ad Auschwitz-Birkenau ed infine a Ravensbrück, dove rimase fino alla liberazione ad opera dell’esercito sovietico. Il secondo documento è un’intervista di Walter Veltroni (ogni tanto ne azzecca qualcuna, come quando da direttore dell’Unità fece ripubblicare tutti gli album di figurine dei calciatori Panin) a Sami Modiano, ebreo, che viveva con la sua famiglia a Rodi: qui i tedeschi lo presero il 23 luglio del ’44, con suo padre e sua sorella (la mamma era morta) e tutta la comunità ebraica e li portarono ad Auschwitz-Birkenau, dove ben pochi si salvarono. Sua sorella morì dopo appena un mese dall’arrivo, e suo padre poco dopo la seguì, lasciandosi morire. Sami, così come Ines, quando i tedeschi erano ormai braccati vennero incamminati in quelle che erano chiamate “marce della morte”: i tedeschi non volevano testimoni in vita e non volevano nemmeno sprecare pallottole, perciò facevano camminare i deportati, ridotti spesso a larve di uomini (Sami pesava 23 chili, e aveva 14 anni!) fino a che non morissero per il freddo e lo sfinimento. Sami si salvò solo perché, svenuto durante la marcia, venne messo sopra un mucchio di cadaveri da due compagni; risvegliatosi trovò la forza di tornare al campo per cercare riparo, e venne salvato da una dottoressa russa che lo trovò in fin di vita.

Infine, il terzo documento mostra un viaggio di pochi anni fa di ragazzi delle superiori per visitare Auschwitz, a cui partecipò anche Davide Van De Sfroos, il cantautore laghée: lo sguardo di questi ragazzi, le riflessioni, quello che sono capaci di documentare con foto, disegni e scritti fa ben sperare per il futuro, nonostante tutto.

E’ assurdo, e grottesco per riportare le parole di una amica blogger, che alla commemorazione ad Auschwitz non siano stati invitati rappresentanti russi. Nello stravolgimento della storia in atto, può darsi che tra qualche anno ci faranno credere che i campi di concentramento erano gestiti dai sovietici, ed i nazisti erano i liberatori.

Dopo la parte culturale e memoriale, cibo e danze! Da mangiare le volenterose pensionate e non hanno preparato dei piatti simil kosher: segnalo tre tipi di hummus, di cui avrei fatto a meno perché è un cibo che non riesce proprio a piacermi. Non ho portato il mio salame perché alcuni puristi non lo ritenevano filologico, ma se lo avessi fatto avrebbe avuto molto più successo dell’hummus, ne sono sicuro. Il prosecco comunque, kosher o no, c’era.

Le danze israeliane sono molto divertenti. Io sono uno dei più scarsi perché tendo a dimenticare i passi, anche se orecchio per la musica ce l’ho e quindi almeno il tempo lo tengo; fra qualche tempo, chissà, potrei anche diventare bravo. Sempre che la memoria mi assista…

A presto!

Giusto per rendere l’idea, non siamo noi ma potremmo esserlo…

Olena regina d’Abissinia – 9

Oga-oga-oga-den
Grama la tera püssé mó i gent,
in tel desert non cresc gnent
anca le zuche sun dré a secass
in Ogaden ghen stan sul i sass!

L’Ogaden, storicamente nota come Somalia Abissina, è una delle dieci regioni che compongono l’Etiopia; si trova a sud-est del paese e confina con Gibuti, la Somalia ed il Kenia; è abitata da popolazioni in prevalenza somale, tanto da essere chiamata proprio Regione dei Somali. E’ una terra arida, soggetta periodicamente a siccità e carestie; inoltre ogni tanto, giusto per non farsi mancare niente, ci si fa qualche guerricciola . Ci si potrebbe chiedere perché ci si debba ammazzare per possedere questa terra ingrata: un motivo valido potrebbe essere la presenza di giacimenti di gas naturale e petrolio, o forse semplicemente l’uomo non è molto evoluto dai tempi di Lucy¹, per cui trova buono ogni pretesto per picchiare la clava in testa al vicino.

E’ qui, comunque, in una casupola cotta dal sole nella periferia di Dagabur, che due uomini armati sorvegliano un ragazzo sui venticinque anni con i capelli crespi colorati di arancio, che indossa un paio di pantaloncini, una maglietta verde e gialla della nazionale etiope e un paio di infradito di plastica e strimpella una chitarra non perfettamente accordata inventando strofe che difficilmente potrebbero vincere il premio Tenco a Sanremo.
«Io gli sparo» dichiara il più alto dei due guardiani, che indossa blue jeans attillati e maglioncino dolcevita chiaramento inadeguato alle temperature, portando la mano verso la pistola riposta nella fondina ascellare.
«Non fare stronzate, Surafel. Hai sentito gli ordini del capo, nessuno deve torcergli un capello» lo dissuade il compare, un traccagnotto dal collo taurino.
«Non ce la faccio più a sentirlo!» protesta Surafel. «Ore e ore a cantare scemenze! Ma si può sapere perchè diavolo ce l’hanno fatto rapire, e quanto tempo dobbiamo tenerlo in questa baracca? E che lingua parla, poi?»
«Non farti troppe domande, amico, la curiosità fa male alla salute. Che ti importa che lingua parla, assomiglia all’amarico antico ma per me potrebbe essere pure assiro-babilonese. Lascialo cantare, si stuferà prima o poi… sai come si dice, l’uccellino in gabbia canta per amore o per rabbia…»
«Che ne dite amici, vi è piaciuta? Spacca, vero?» chiede il cantautore, orgoglioso della sua creazione.
«Dacci un taglio, o ti spacco io qualcosa» lo minaccia Surafel, ma l’ispirato rapper non se ne da pensiero e continua imperterrito:
«Ma non è finita! Che ve ne pare di quest’altra?»

Tu-tu-tu-tucul
Qui nel tucul si sta stretti Zietto
ma non c’è bisogno che mi spingi sul letto
eh no non mi sento tranquillo
che fastidio il tuo fiato sul collo
e non spingere dai, chiedi almeno permesso
non sono a mio agio, sono alquanto perplesso
qui in questo tu-tu-tu-tucul.

«Almeno questa si capisce» commenta il traccagnotto.
«Questo è tutto scemo. E c’è anche chi gli compra i dischi, roba da matti» poi, cambiando discorso: «La dispensa è quasi vuota, bisogna andare a far spesa. Vado io, almeno prendo un po’ d’aria»
«Sì, va bene, ma vai al mercato lontano, non quello qua vicino. E poi non comprare solo verdura come l’altra volta, che mica siamo delle capre»
«Si, ok. Ci mancherebbe che ci mettiamo a litigare sulla spesa, come una coppietta di mezz’età. Sai che ti dico? Che se entro tre giorni non ci dicono cosa fare di questo deficiente io gli sparo e lo sotterro, e poi dico che è scappato»

Mentre Surafel si prepara ad uscire, dall’altra stanza si sente ancora la voce di Bronch’io:
«Vi piace la maglietta, amici? Me l’ha regalata Selemon² in cambio del mio ultimo album. Ora fatemi un grande ciao ciao!»

Olena si siede sul letto, e solleva il telefonino che vibra sul comodino. Guarda la notifica che è appena arrivata, e le scappa un sorriso.
«Jemal, penso di non avere più bisogno di te» dichiara all’uomo disteso di fianco.
«Come mai? Ti ho deluso, capitano?» ridacchia Jemal, tirandosi a sua volta a sedere.
«Certo tu non rende più come trenta anni fa» constata la russa «tu imborghesito. Tu deve fare più esercizio. Ma motivo non è questo»
«Ah, no? E perché, allora?»
«Perché io trovato da sola. Guarda qua»
E Olena mostra a Jemal una diretta facebook dove un ragazzo in maglietta verde e gialla inquadra due persone con delle fondine ascellari bloccate in un’espressione tra lo stupito e lo spaventato, finché il più tozzo dei due si riprende e inveisce verso l’altro:
«Cazzo, Surafel, non gli hai tolto il cellulare! E adesso?»

Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (3)

Amiche e amici,

l’anno non è iniziato benissimo, ma cerchiamo di trovare qualche spunto positivo. Ad esempio stamattina ho ricevuto una proposta di lavoro: ma mi faccia il piacere, mi veniva da dirgli! Si tratterebbe di fare le stesse cose che faccio adesso cambiando casacca, dunque più che una proposta di lavoro una offerta di acquisto, come se fossi un cespite (già ampiamente ammortizzato, tra l’altro) o come si fa nel mercato dei calciatori (o delle vacche, forse articolo più pertinente). Abbiamo sentito parlare di lei, diceva questo commerciale (e ti credo, ormai faccio le stesse cose da vent’anni), stiamo pensando di riorganizzare il servizio dell’area di sua pertinenza, lei come la vede? Io la vedo come uno che ha 63 anni e non vede l’ora di andare in pensione, che si è rotto le scatole ormai da secoli dell’informatica e odia ciò che sta facendo, nonché i giovani colleghi entusiasti e rampanti. Tutto questo me lo sono tenuto per me, naturalmente, e sono rimasto abbastanza sul vago, lasciando una porta aperta e rimandando a successivi approfondimenti: a questo punto l’unica cosa che può indurmi a cambiare è solo un consistente o anche moderato aumento di stipendio, tutto il resto sono supercazzole…

Al momento lavoro in subappalto di una ditta che è in subappalto, quindi direi che già saltare un livello potrebbe portarmi benefici: benefici che andrei a perdere nel caso ci sia da lavorare di più, cosa probabile dato che di solito nessuno da niente per niente. Comunque, dato che mi sono venuti a cercare loro e non viceversa, cercherò di mungere lucrare concordare il più possibile.

Per il resto le cose proseguono come al solito: stamattina ho fatto il pieno, la benzina stava a 1,839€ al litro, la settimana scorsa a 1,799 (in autostrada però ho visto un distributore che la veneva a 2,5). Leggevo ieri che gli stipendi italiani sono quelli che, negli ultimi anni, hanno perso in valore di acquisto più di tutti i paesi d’Europa negli ultimi anni: il 12%! E c’è il direttore di Confindustria, Bonomi, che è andato in Ucraina a mostrare solidarietà ai lavoratori ucraini: va bene, ma ai lavoratori italiani quand’è che mostrate solidarietà, Bonomi? Quando vi deciderete a pagare la gente dignitosamente e ve la smetterete di fare contatti a termine, a chiamata, in somministrazione, ad appaltare alle cooperative? Quando ve la smetterete di delocalizzare dove il lavoro costa meno (meno di qua? In Ucraina vi state già preparando la strada, vorrete pagarli una scarpa e una ciabatta, sempre che esista ancora l’Ucraina da qui a qualche mese).

Zelenskji intanto prima si fa intervistare da Bruno Vespa e poi farà un’apparizione al festival di Sanremo (motivo in più per non vedere il festival). Non si sa se parteciperà anche a Miss Italia, è possibile. Ho l’impressione che la terra cominci a franargli sotto i piedi: prima il suo consigliere che deve dimettersi per aver detto la verità, ovvero che il missile russo è caduto sul condominio perché colpito dalla contraerea ucraina (posizionata dove non avrebbe dovuto, dicono i russi), poi l’intera dirigenza o quasi del ministero degli Interni che muore in un incidente (strano che viaggiassero tutti sullo stesso elicottero, di solito si cerca di evitarlo). Ha chiesto al Papa di andare a Kiev, sarebbe un bel segnale dice: non hai voluto nemmeno fare il cessate il fuoco di due giorni per il Natale, e vuoi che venga il Papa a benedirti? Ma contentati di Vespa, dai.

E’ stato catturato il mafioso Matteo Messina Denaro, latitante da decenni. Bene. Ora spero, nonostante tutti i crimini di cui è responsabile, che stia in carcere e che venga curato degnamente. Perché noi, lo Stato, non ci mettiamo al suo livello.

Ieri ho avuto dei momenti di preoccupazione: verso l’ora di pranzo ricevo la chiamata di un vicino, sulla settantina, molto gentile, che mi dice che da un paio di giorni vede che le finestre del fratello di mia cognata sono chiuse: siccome questo, cinquantenne, vive da solo, mi chiedeva se sapessi qualcosa anche perché l’auto era ferma in cortile. Il ragazzo era un po’ isolato, disoccupato da una decina d’anni, ed in passato ha anche avuto degli svenimenti: ho chiamato mia cognata che ha le chiavi di casa; nell’attesa ho continuato a chiamare sia sul fisso che sul cellulare, e sono andato a bussargli alla porta, facendomi aprire il portoncino del condominio da dei vicini. Quando  cominciavo a pensare al peggio, finalmente ha risposto: aveva la vibrazione e non sentiva (come me il 90% delle volte), era andato a Torino a farsi un giro, gli dispiaceva di aver causato trambusto. Mi è venuto un po’ da ridere: uno di cinquant’anni ha tutto il diritto di farsi gli affari suoi senza rendere conto a nessuno; però d’altra parte non posso non pensare con riconoscenza a chi ha dato l’allarme: e se gli fosse veramente successo qualcosa?

E con la consapevolezza che non sempre farsi gli affari degli altri è una brutta cosa, vi saluto. A presto!  

Chiuso per lutto

Amiche e amici,

mi scuso se in questi giorni sono stato assente ma mercoledì scorso è morta mia madre. Se ne è andata in un attimo: al mattino la donna che l’assisteva l’ha trovata incosciente sulla poltrona dove abitualmente si sedeva per vestirsi, appena alzata. I miei fratelli mi hanno raccontato della chiamata al dottore, l’arrivo dell’ambulanza, la corsa in ospedale, la Tac che non dava speranza: emorragia cerebrale estesa.

Non c’era niente da fare, e ringrazio i dottori per non aver nemmeno tentato un intervento; a quel punto l’alternativa era solo tra l’aspettare la fine in ospedale o tentare il trasporto a casa: dopo qualche ora, quando sembrava che la situazione si fosse stabilizzata, i miei fratelli hanno deciso saggiamente di riportarla a casa. E’ arrivata alle 20, alle 23 è spirata, ma almeno nel suo letto.

Mia madre era del 1935, seconda di quattro fratelli, mio padre del 1928 il secondo di cinque; noi siamo quattro fratelli, dunque loro la media l’avevano mantenuta, media che abbiamo provveduto noi figli ad abbassare, dandogli in tutto sette nipoti ed una sola (per ora) bisnipote.

Quando sono arrivato io, e l’altro fratello che abita anche lui lontano, era tutto finito: lei era distesa nel letto matrimoniale, ricomposta con il vestito e le scarpe che aveva preparato da tempo per l’occasione, quasi sorridente, sembrava contenta di vederci tutti insieme,  appuntamento che negli ultimi tempi era diventato sempre più difficile da organizzare. Era bella, lei che alla sua età aveva ancora una carnagione invidiabile, e persino i piedi che tendevano a gonfiarsi erano sgonfi ed aveva potuto indossare le scarpe nuove, laccate, che le piacevano tanto ma non aveva mai potuto mettere.

Non ha sofferto, così ci hanno assicurato i medici, e nel dolore della perdita è almeno una consolazione; aspettava questo momento serenamente, ed a volte si augurava arrivasse presto, perché da quando mio padre ci aveva lasciati, due anni fa, aveva perso ogni interesse, lei che era stata sempre curiosa di tutto. Non riuscivo nemmeno più a tirarle fuori le storie della giovinezza, che pure raccontava sempre volentieri, infiocchettandole ogni volta con qualche particolare nuovo.

Il funerale è stato fatto presto, alle 9 di mattina di venerdì, con la chiesa piena di parenti, amici, conoscenti, e tanti mancavano perché non l’avevano saputo o saputo tardi, ma in paese è così, ci si conosce un po’ tutti e in queste occasioni si cerca di essere presenti, per far sentire la vicinanza anche fisicamente.

Si può dire che la commemorazione è stata quasi una festa: abbiamo pranzato tutti insieme, figli e nipoti nuore e generi, mangiato e bevuto alla salute dei nostri, scambiandoci ricordi e aneddoti (io, essendo il maggiore, sono quello che ne ha di più) ed abbiamo passato il pomeriggio a spulciare le foto che mamma collezionava da una vita, dove abbiamo ritrovato pezzi di noi che avevamo dimenticato (addirittura ho trovato delle foto di militare del ’79: ma chi sono quegli sconosciuti con i quali ridevo e scherzavo?). Ringraziamo che non esistevano le fotografie digitali, e sono rimaste le stampe come testimonianza: ma nel futuro non sarà così e di questo mondo digitale che sembra eterno non rimarrà più nulla, e tutti i ricordi svaniranno. Cosa vedranno i nostri figli e nipoti, le memorie dei nostri cellulari?

Alla fine, il mio stato d’animo è di tristezza ma anche di sollievo, non solo per lei ma soprattutto per i miei fratelli che l’hanno accudita quotidianamente e amorevolmente per tutto questo tempo, e mi chiedo se avrei saputo fare lo stesso.

Sabato sono ripartito; eredità da spartirsi non ce ne sono, e quindi nemmeno occasioni per litigare; delle incombenze pratiche si occupa mia sorella, già pratica avendo seguito le procedure per mio padre; ci rivedremo più in là, a primavera, più sereni, quando tutti avremo elaborato la mancanza e realizzato che ora siamo davvero orfani.

I miei amici, almeno quelli che ho visto, mi hanno chiesto di continuare a farmi vedere anche se i genitori non ci sono più, ho promesso ma lo farò veramente? Oppure, scomparsi loro, anche il richiamo del paese diventerà più blando, fino a sparire?

Confido comunque che i prossimi appuntamenti siano più lieti, ma ho degli zii che hanno superato abbondantemente l’ottantina, e non sono immortali neanche loro…

Amiche e amici, anche se questa è la vita quando accade lascia sempre un po’ d’amaro: ma noi ci rivedremo ancor, ci rivedremo un dì, dice la canzone… chissà. Se proprio non crediamo, almeno speriamo.

Olena regina d’Abissinia – 8

«Mi amor, porqué sei asì pensosa? Domani è il grande giorno, non sei felice?»
Miguel e Paio Pignola, ormai alla fine della loro luna di miele in Marocco dove hanno partecipato al classico tour delle città imperiali con tanto di escursione in cammello, sono seduti al tavolo del ristorante Al corno di rinoceronte del loro amico Farouk, a Casablanca, che ha preso il posto del vecchio Le Zac et voilà del defunto Ahmed Marrakech, marito della bella Fatima, morto per uno sfortunato incidente infilzato proprio da quel corno che campeggia sopra l’insegna del locale rinnovato¹.
«Non lo so, non so spiegarlo, sono preoccupata» confessa Paio, stringendo le mani del suo sposo, di un paio di taglie più piccole delle sue.
«Ma come, mi amor, è da tanto che aspetti questo momento. Il tuo sogno finalmente si realizzerà, sarai quello che hai sempre desiderato essere!»
«Sì, è vero, l’ho desiderato tanto. E i tuoi genitori sono stati davvero carini a regalarmi l’operazione come regalo di nozze. Però…»
«Però cosa, mi amor? Finalmente darai l’addio al vecchio Hector, e sarai solo Paio!» la rincuora il giardiniere.
«E’ proprio questo che mi preoccupa. Tu mi amerai ancora? Sarò una vera donna, ma mi mancherà per sempre qualcosa. Non è che poi andrai a cercare da qualche parte quello che non potrò più darti?» chiede accorata Paio.
«Insomma, querida: quando eri uomo eri gelosa perché sono stata con una donna, peraltro una volta sola e in stato di incoscienza, adesso che diventi donna mica diventerai gelosa degli altri uomini!»
«Ma io potrò farti veramente felice? Non posso avere figli» si strugge il cubano.
«Pazienza. Un figlio io ce l’ho già, ce lo divideremo con la madre. Casomai ne adotteremo qualcuno» propone Miguel, rabbrividendo all’idea di avere per casa degli altri piccoli Chico² pelosi e zampettanti.
«Non so, sono così confusa. Forse sarebbe meglio pensarci ancora un poco…»
«Ma Paio, siamo venuti a Casablanca apposta, abbiamo preso appuntamento con il migliore chirurgo, la visita è andata benissimo, cosa ha detto il professore? E’ un’operazione di routine, un taglietto e non ci pensi più. Niente più bisogno di bendaggi che comprimono, che schiacciano, potrai metterti in bikini senza problemi e nessuno saprà mai che fino al giorno prima hai avuto un pene, e abbastanza ingombrante tra l’altro. Un fastidio in meno!»
«Sì, hai ragione, basta ripensamenti. Domani mattina mi accompagnerai in clinica, come d’accordo, e dopo tre giorni ne uscirò come nuova. Ah, Miguel, che ne facciamo di “lui”?»
«Lui chi?» chiede Miguel.
«Be’, lui, l’ammennicolo, l’indesiderato, il pendente. Pensi che mi permetteranno di portarlo a casa? Vorrei tenerlo come ricordo»
«Paio, non mi sembra il caso. Mi sembra un po’ macabro, non trovi? Vuoi metterlo sopra al caminetto? E poi a che pro rimembrare sul membro perduto? No, no, lascia stare, ci penseranno i dottori a smaltirlo come si deve» cerca di dissuaderla Miguel.
«Forse andrebbe seppellito. So che quando ad esempio viene amputato un arto, questo si seppellisce in attesa che arrivi il resto»
«E che vogliamo fare, Paio, la tomba al tuo uccello? Dai, mi pare ridicolo!» sbotta il messicano, che comincia ad innervosirsi.
«Tu sei un mostro, sei insensibile, sei… sei… etero! Allora sai che ti dico, io non mi faccio operare e rimango come sono. Se non ti sta bene, amen!»
«Ma Paio, a me non frega niente se ti operi o no, a me piaci come sei! Sei tu che volevi farlo. Se ci ripensi per me va bene» dichiara Miguel, comprensivo. Ma subito dopo una domanda gli sorge spontanea: «Sì, ma ai miei che diciamo?»

¹ L’incidente aveva impedito ad Ahmed di concorrere al cooking show “Non aprite quel raviolo” sponsorizzato dalla Rana; Farouk, suo cugino e chef del ristorante, aveva partecipato al suo posto finendo tra i sospettati dell’omicidio del presentatore Alessandro Turchese (cfr. “Tre stelle per Olena”, 2022)
² Chico, frutto di una notte di passione alcolica tra Miguel e Conchita, la donna barbuta, è nato con un accentuato irsutismo che col tempo, assicura lo specialista tricologo, si risolverà; nel frattempo il piccolo si è aggregato ad una colonia di koala che è stata ospite per un periodo a Villa Rana, animaletti con i quali ha fraternizzato a tal punto da essere accolto nella loro tribù e con i quali ora è in vacanza in Australia.

Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (2)

Amiche e amici,

sono iniziati i saldi. Me ne sarei fregato allegramente se non fosse che sono rimasto a corti di pantaloni: non ne compravo più un paio da almeno tre anni! Già che c’ero ne ho presi due, così per altri tre anni sono a posto. Cerco di prendere sempre la stessa marca, anche se non proprio lo stesso modello, perché non ho voglia di fare tante prove e voglio impiegare meno tempo possibile perché, sostanzialmente, le commesse mi mettono in soggezione. Specialmente quando ti squadrano con quello sguardo sornione e ti dicono “le calza a pennello” ma si vede che pensano “voglio proprio vedere se questo cretino ha il coraggio di mettersi questa roba” , e tu specchiandoti velocemente cerchi di cogliere un barlume di umanità nei loro occhi. In particolare le commesse della Rinascente, a metà tra vestali ed entraîneuses, sono bravissime a metterti a tuo agio, come ho raccontato qua.

Sabato sera sono stato a vedere Claudio Bisio al Piccolo Teatro Strehler, che metteva in scena La mia vita raccontata male, tratta dai libri di Francesco Piccolo. Di questo avevo letto Il desiderio di essere come tutti, e in diversi passi mi ci ero ritrovato; anch’io avrei potuto diventare comunista quando la Germania Est batté la Germania Ovest nello scontro fratricida ai mondiali del 1974, Davide contro Golia: invece non lo diventai perché, all’istituto tecnico che frequentavo, i compagni delle ultime classi, che si proclamavano comunisti, costrinsero noi più piccoli a saltare le lezione per assistere a non so quale concione sulle avanguardie operaie. Tra l’altro erano tutti figli di papà e di lavoro sapevano pure poco: il proletario era mio padre, lui sì socialista, e mi mandava a scuola con sacrificio per studiare, non certo per fare la rivoluzione.

Appena morto Ratzinger i conservatori della chiesa sono partiti all’attacco di Papa Francesco, chiedendone addirittura le dimissioni. In questa operazione si distinguono i vescovi americani: Dio ce ne scampi e liberi, se gli americani dovessero prendere la guida anche della Chiesa penso che diventerò musulmano.

Quindici anni fa esatti nella città dove vivo, Como, iniziarono i lavori per la realizzazione delle paratie a lago, sul modello Mose di Venezia (tra l’altro c’era in ballo la stessa impresa); dopo uno sperpero enorme di tempo e denaro, sembra che a primavera si dovrebbe arrivare al dunque. Il progetto è totalmente cambiato: niente più Mose ma paratie mobili, rivista la passeggiata a lago. Su questo lavoro cadde a furor di popolo l’amministrazione che lo volle (centrodestra a guida ciellina) e poi anche la successiva di centrosinistra, che non seppe cavare un ragno dal buco dal pantano che i predecessori avevano lasciato; e poi quella successiva, ancora di centrodestra ma stavolta a trazione fratelliditaliana, che per non sbagliare in cinque anni non fece assolutamente nulla; la attuale, una lista civica con un sindaco che ha messo all’opposizione tutti i partiti e con i quali non vuole nemmeno parlare, ed a ragione, forse arriverà finalmente alla fine. Quindici anni: gli egiziani ci mettevano meno a costruire una piramide!

In Brasile i sostenitori di Bolsonaro, che non hanno digerito la vittoria di Lula, hanno imitato i seguaci di Trump di due anni fa e hanno dato l’assalto ai palazzi delle istituzioni. Hanno scelto per fortuna la domenica, quando i palazzi erano vuoti, e quindi non si sono viste le scene drammatiche di Capitol Hill ma i vandalismi sono stati parecchi. L’esercito invocato dai rivoltosi non si è mosso, probabilmente aspettava un via libera da qualche autorevole vicino, come ai tempi di Salvador Allende in Cile, segnale che fortunatamente non è arrivato. Per ora.

Stasera ho intenzione di andare a vedere un film che dovrebbe far ridere, Triangle of Sadness: lo danno in uno dei pochi cinema rimasti che non siano multisala, gestito dall’Arci, nell’ambito della rassegna che propongono ogni lunedì. In un tempo dove tutto si omogeneizza, questi spazi vanno protetti come i panda. Vi farò sapere se poi ho riso veramente…

A presto!    

Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (1)

Amiche e amici,

ed eccoci entrati nel 2023, con un anno in più ed un Papa emerito in meno. Benedetto XVI, considerato fin dalla sua elezione un pontefice di transizione, dopo l’era del trabordante Woytila, si era dimesso da Papa nel febbraio 2013 lasciando sconcertati i fedeli abituati a ben altre modalità di dimissioni, di solito procurate dalla curia con dei caffè corretti. I nostalgici lo reclamano Santo subito: aspettiamo almeno di vedere prima qualche miracolo.

Stamattina sono tornato a fare la spesa. Alla Coop, sono affezionato. Il latte parzialmente scremato, che fino a settembre dell’anno scorso costava 0,85€, ora sta a 1,40. Un aumento del 64,7%! Sono uscito dal supermercato con la frustrazione della massaia. E meno male che vado in cerca di sconti! La pasta Voiello, tanto per non fare nomi, era in offerta a 0,99€ mezzo chilo. 2 euro al chilo! Fortuna che l’anno scorso ho fatto la scorta…  insomma amici non è che voglio lamentarli, anche se i miei congiunti mi accusano di avere il braccino corto, ma stipendi e pensioni non mi pare che stiano crescendo, anzi! Ah, per strada ho dato un’occhiata al costo della benzina, dopo che il governo Meloni ha ripristinate le accise: 1,899 al litro in un distributore 1,799 nell’altro. Indovinate dove faccio benzina io? Tra l’altro, ed è incredibile, ho dato un’occhiata su Quattroruote al valore della mia auto: è quotata più adesso di quando l’ho comprata, nel 2018! Mi dicono gli esperti che il motivo è che le macchine nuove le fanno tutte ibride o elettriche e costano un sacco di più, e inoltre tutte le case hanno problemi di consegne per mancanza di materiali. Sarà il crollo del consumismo?

Si preannunciano ulteriori aumenti del gas: l’anno scorso rispetto a quello precedente per il riscaldamento ho pagato il 66,6% in più, e per il gas da cucina il 30%. A questo punto non c’è che da sperare nel buon riscaldamento globale che ci permetta di tener spenti i caloriferi e fare il bagno con l’acqua fredda.

Quando dico che l’anno nuovo assomiglia a quello vecchio basta pensare a due argomenti: Covid e guerra in Ucraina. Il Covid, di cui il nostro governo aveva deciso non si dovesse più parlare, ha riguadagnato le prime pagine dei giornali e telegiornali: paura dalla Cina! Prima gli danno dei coglioni perché adottano i lockdown e poi gridano all’allarme quando lo tolgono. Mettetevi d’accordo col cervello! Si sentono ragionamenti assurdi: i cinesi sono in difficoltà perché hanno sbagliato strategia e i loro vaccini funzionano meno dei nostri. Sarà stata buona la nostra di strategia… Il fatto che siano un miliardo e mezzo non conta, così come i nostri vaccini non hanno impedito terze, quarte e quinte ondate, e i nostri morti viaggiano ancora sopra i 100 al giorno. Ma noi siamo più bravi, è ovvio.

La guerra in Ucraina si incarognisce sempre più: gli ucraini bombardano il Donbass ormai da 9 anni, per liberarlo dicono loro, e proclamano di volersi riprendere perfino la Crimea; i russi si sono attestati ad est del Dniepro, martellano le postazioni al di là del fiume,  distruggono sistematicamente le infrastrutture energetiche in tutto il paese, hanno richiamato 300.000 soldati e probabilmente ne richiameranno altri. Gli americani hanno promesso agli ucraini altre armi (i Patriot), i francesi carriarmati, noi nel nostro piccolo stiamo discutendo se mandare gli Aspide, missili terra-aria. Non ne abbiamo molti, e se continuando questo andazzo finissero per servire a noi? In sostanza di pace continua a parlare solo Papa Francesco: tutti quelli che sostenevano che l’invio di armi all’Ucraina avrebbe aiutato i negoziati hanno cambiato narrazione, ora bisogna aiutare l’Ucraina fino alla vittoria. Mi ricorda tanto la storia dell’operazione che è riuscita ma il paziente è morto. Il TG continua a mandare tutte le sere a senso unico storie pietose di vecchiette e gatti randagi.   

A proposito di Ucraina: la mia casella dello spam è intasata da mail ad oggetto “La tua ragazza ucraina”, “Ragazza ucraina per U”, “MeetUkrainianWomen”. Troppa grazia, sant’Antonio! Una alla volta, per carità.

Non vogliamo spendere una parola sul nuovo governo? Che dire, dopo la minaccia terribile dei rave party adesso il nemico sono i divanisti, quelli che nonostante le strabilianti opportunità offerte dal mercato del lavoro si ostinano a voler campare alle spalle del contribuente alla bellezza di 600€ al mese. Solo a titolo di informazione, per affittare un monolocale nella città dove abito di euro ne occorrono non meno di 500. Sempre per fare due conti, mio figlio attualmente sta lavorando a tempo determinato, 20 ore la settimana, alla cifra stratosferica di 6,5€ lordi all’ora. Se non abitasse con noi dovrebbe piazzare il divano sotto un ponte. E’ questo il lavoro che intendete per gli “occupabili”, Meloni & co.?

Bene, amiche e amici, direi che come primo post del 2023 è abbastanza ottimistico, se siete d’accordo la finirei qua, non vorrei esagerare. Buon Anno!

Olena regina d’Abissinia – 7

Addis Abeba, aeroporto internazionale Bole.

«Forse avremmo dovuto aspettare l’arrivo di Natascia…» osserva rispettosamente James, guardando perplesso la padrona che avanza tacchettando inguainata in una tutina leopardata seguita da Svengard che spinge un carrello pieno di valigie, anche loro leopardate, respingendo l’assalto dello stuolo di facchini che vorrebbe guadagnarsi la pagnotta servendo quelli che appaiono come ricchi turisti.
«Sì, dovevamo aspettare Natascia» conferma Svengard, sbuffando.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, mi pare» lo redarguisce Gilda, puntandogli contro il ditino. «E ricordati che sei ancora sub judice, se è la parola giusta. Non capisco il motivo di tutta questa segretezza. Non potevamo viaggiare con il nostro aereo, invece di quello di linea? A quest’ora saremmo già in albergo sotto la doccia» si lamenta la Calva Tettuta, portandosi al nasino un fazzoletto di seta intriso di essenza di Artemisia Arborescens per allontanare l’odore di umanità che ristagna nell’aria.
Giunti all’uscita del gate, uno chauffeur vestito in un completo nero che gli sta un po’ largo di spalle, con i capelli rasta raccolti a stento sotto il berretto di ordinanza, li aspetta mostrando un cartello “Regina di Saba”, il nome dell’albergo dove è stata prenotata per loro la suite imperiale.
«Ecco, avete visto? Sono venuti a prenderci, uomini di poca fede»
L’uomo li guida fino ad un minivan con i vetri oscurati, in vicinanza del quale Gilda si ferma perplessa, guardandosi intorno.
«Senta, buon uomo» chiede rivolta allo chauffeur «giusto per essere sicuri che non ci siano fraintendimenti, a lei l’ha mandata Natascia, giusto?»
L’uomo annuisce, cordiale; apre la porta scorrevole del Van e invitando i tre ad entrare ripete il nome dell’albergo. Gilda, titubante, ignora l’invito.
«Credo sia il caso di chiamare, non credi James? Paese che vai usanze che trovi, non vorrei che ci portassero a fare un giro turistico per spillarci qualche soldo. No giro turistico, compris?» intima all’abissino, aiutandosi sempre con il ditino alzato.
«Regina di Saba» la rassicura l’autista, e più che i denti di madreperla che spiccano sulla pelle olivastra è la pistola Glock 43 che punta verso di loro che li convince a salire in macchina.
«Cominciamo bene» commenta la Calva Tettuta, sistemandosi nervosamente il turbante leopardato.
«L’avevo detto, io» precisa con dubbio tempismo Svengard, beccandosi una borsetta leopardata in testa.

Ethiopian Empire Hotel, centro di Addis Abeba

«Jemal? Qui Olena, tu ricuorda di me?»
L’uomo, un massiccio sessantenne dai capelli rasati ed una lunga cicatrice che gli attraversa il volto, immerso in una grande vasca Jacuzzi, guarda sorpreso il cellulare che gli ha passato una delle due massaggiatrici che lo aiutano con diligenza ad espletare le pulizie quotidiane.
«Olena… tenente Smirnoff?» chiede incredulo, raddrizzandosi di scatto.
«Capitano, prego» precisa Olena.
«Buon Dio» esclama Jemal «è proprio lei? Che piacere sentirla, ma quanti anni saranno passati…?»
«Trenta anni» lo aiuta la russa. «Trenta anni precisi da quando abbiamo aiutato quel criminale di tuo capo Menghistu a scappare da suo compare in Zimbabwe. Avremmo fatto cosa giusta a piazzare lui palla in testa»
«Ah, ah, sempre animosa, vedo. Sì, forse sarebbe stato meglio, in pochi l’avrebbero rimpianto. Ma eseguivamo ordini tutti e due, dico bene? Non stava a noi decidere cosa era giusto e cosa no»
«Già» conferma Olena «qvesto grosso problema. Chi decideva…»
«Capitano, non mi avrà chiamato per parlare di politica, vero? Non mi occupo più di quella roba, ho altro per la testa adesso. Sono un uomo d’affari…»
«Sì, io conosco tuoi affari Jemal. Qat¹, donne e gioco d’azzardo. Nuovo sole di avvenire…»
«Non mi dirà che è nostalgica, capitano. E’ stato bello finché è durato, e ci ho pure creduto. Poi il mondo è cambiato e mi sono dovuto reinventare. Lei invece è rimasta nel giro?»
«Ho bisogno di tuo aiuto, Jemal» chiede Olena, senza rispondere.
«Lei hai bisogno del mio aiuto? Questa è bella. Come le dicevo non sono più nel giro, ma magari potrebbe venire da me e parlarne a quattr’occhi» invita l’uomo insinuante.
«Non sembra molto buona idea» dice Olena «tua vasca da bagno è piuttosto affuollata»
«Che cosa?» chiede l’etiope stupito, notando finalmente il puntino rosso che gli illumina il centro del petto, provocato dal laser del fucile di precisione che Nonna Pina gli sta puntando dal terrazzo dell’albergo di fronte, osservazione che lo spinge ad uscire di scatto dalla vasca e dalla stanza da bagno, fuori dalla quale lo aspetta una bionda in pelliccia che gli sorride beffarda e gli porge un accappatoio di spugna. L’uomo si ferma e sorride a sua volta, sollevato.
«Ma che cavolo, Olena, che scherzi sono questi? Mi hai fatto prendere un colpo!» sbotta passando ad un linguaggio meno formale.
«Vedo che tu tenuto bene in forma, complimenti» dice Olena, soppesando quanto rimasto degli antichi splendori.
Jemal scuote la testa allacciandosi la cintura dell’accappatoio, indica alla russa la poltrona, riempie due bicchieri di vodka e gliene passa uno; le si siede di fronte ed alzando il bicchiere per brindare chiede:
«Dunque? Che posso fare per te? »
«Sto cercando un uomo. Sembra sia stato rapito, e non voglio perdere troppo tempo »
«Chi è?»
«Suo nome è Hacalu Maconnèn, ma lui fa chiamare Bronch’io»
«Bronch’io? Ma che razza di nome è?»
«Lui rapper» chiarisce Olena.
«Musica degenerata» sentenzia Jemal, vuotando il bicchiere. «Ai bei tempi l’avremmo mandato nell’Ogaden² a spaccare pietre. Perché è stato rapito?»
«Non posso dire te»
«Ah, ah, sei sempre la solita…» ride Jemal, battendosi la mano destra sulla coscia.
«Ok, ci sto. Ma a me che ne viene?» chiede l’etiope, divertito.
«Mia riconoscenza» dichiara Olena, alzandosi in piedi e facendo scivolare a terra la pelliccia turchese «E un milione di dollari.»

¹ Il Qat è una pianta, coltivata in Etiopia ed in altre parti dell’Africa, le cui foglie masticate hanno un effetto anfetaminico, reprimendo tra le altre cose gli stimoli di fame e fatica, ragione per la quale erano usate tra i contadini dei poveri altipiani, un po’ come succede sugli altipiani boliviani con le foglie di coca. Uno dei suoi effetti è quello dell’aumento della libido e del desiderio sessuale, sarà per questo che gli etiopi si riproducono tumultuosamente?
² L’Ogaden, grande regione dell’Etiopia che confina con Gibuti, Somalia e Kenya, è abitato da popolazioni di etnia somala e religione musulmana. Più grande dell’Italia, ma con meno di 7 milioni di persone, oggi fa tecnicamente parte della Regione dei Somali, creatura burocratico-amministrativa del governo etiope. Non bastassero siccità e carestie, ogni tanto la gente pensa bene di ammazzarsi con qualche guerra civile.