Una mano en la cabeza
Una mano en la cabeza
Un movimiento sexy
Un movimiento sexy
Una mano en la cintura
Una mano en la cintura
Un movimiento sexy
Un movimiento sexy
L’orchestra esegue La Bomba, con la sinuosa ballerina Sibilla che guida il gruppo con movimenti provocanti e sensuali. La bella Sibilla mette generosamente in mostra la dotazione di cui madre natura l’ha fornita, appena ritoccata qua e là in punti strategici: la ragazza si avvicina ormai alla trentina e la forza di gravità, pur contrastata con ore di palestra ed esercizio fisico, tende ad avere il sopravvento su un seno della quarta misura. La ballerina, di carnagione olivastra, si spaccia per cubana (da qui il suo nome d’arte, Sibilla Cubana) ma i documenti rilasciati dall’anagrafe del comune di Belforte sul Chienti la contraddicono, riportando le generalità di Michela Pignataro, cugina di secondo grado della cantante Luana. Gilda, in prima fila, è impegnata a ruotare a tempo i fianchi, affiancata da James che fa del suo meglio ma è distratto dagli orecchini pendenti Diva’s Dream di Bulgari che la sua padrona indossa con elegante nonchalance, facendoli oscillare a ritmo.
«James, caro, ma che fine hanno fatto tutti gli chef? Sono spariti. Spero che Natascia li tenga d’occhio, non vorrei altra pubblicità negativa. Passi un presentatore, ma uno chef morto ammazzato sarebbe tutt’altra cosa, qualcuno potrebbe pensare che lo abbiamo fatto fuori noi perché era contrario ai nostri tortelli di zucca. Questo della pasta fresca è un mondo spietato, James» conclude Gilda, cambiando direzione con un piccolo balzo.
«Decisamente, signora. Mi duole dirle che oltre agli chef anche Natascia è sparita; tuttavia a quanto ho appreso ha portato con sé la pistola, che a voler essere positivi potrebbe interpretarsi come un segnale di speranza per la conclusione di questa vicenda» informa James, intrecciando le mani dietro la testa e scuotendo il bacino in modo professionale.
In cucina intanto Amaru Timu, sempre più stupito, chiede spiegazioni alla cuoca Palmira, tenendo tra le mani i due pezzi di quello che ad ogni evidenza era stato un unico ciondolo.
Palmira annuisce, e con un gesto della mano invita il maori a sedersi al tavolo di legno massiccio dove prepara le pietanze, su una sedia di vimini solitamente occupata dal gatto Ringo.
La cuoca apre l’anta di un pensile e tira fuori due bicchieri; poi dalla credenza prende una bottiglia di Vernaccia di Serrapetrona appena portata su dalla cantina, la stappa e riempie i bicchieri fino all’orlo; poi si siede davanti ad Amaru ed inizia a raccontare. Per favorire la comprensione del lettore riporteremo la conversazione in italiano, anche se Amaru non ha avuto nessun problema a capire la cuoca dato che il dialetto serrapetronese ha molti punti di contatto con la lingua maori.
«Tu conosci Greenpeace, vero?» chiede Palmira.
«Greenpeace? Gli ambientalisti, quelli delle lotte per l’Amazzonia, il Polo, la plastica nel mare? Sì, certo che li conosco, perché?»
«Sì, proprio loro… nel 1985 manifestavano contro gli esperimenti nucleari, le bombe atomiche che le “grandi potenze” facevano esplodere per testare la distruttività dei loro ordigni di morte. Riuscirono a bloccare gli esperimenti americani, ma i francesi andarono avanti. Usavano un’isoletta del Pacifico, Mururoa, che faceva parte della Polinesia francese; se ne fregavano delle proteste dei vicini, non dico delle isolette più piccole ma nemmeno di Australia e Nuova Zelanda, ed erano decisi a fare scoppiare l’ennesima bomba. Così Greenpeace decise di provare a fermarli, la loro intenzione era quella di avvicinarsi all’isola con la loro nave, la Rainbow Warrior, pensando che, finché loro fossero stati presenti, i francesi non avrebbero potuto mettere in atto i loro propositi ed inoltre contavano di riuscire a dare risalto all’operazione, in modo da sensibilizzare tutto il mondo»
«Ricordo vagamente…» risponde Amaru «io sono nato proprio in quell’anno, so solo quello che mi è stato raccontato»
«Come dicevo» continua Palmira «i vicini iniziavano a protestare, preoccupati che le radiazioni si diffondessero e causassero morti, come in effetti fu dimostrato qualche anno dopo; i francesi perciò avevano fretta di concludere l’esperimento, e per togliersi di mezzo quei rompiscatole di Greenpeace progettarono di affondargli la nave prima che salpasse per Mururoa»
Palmira si ferma, con le nocche delle mani nodose che impallidiscono stringendo il bicchiere.
«Furono due agenti dei servizi segreti, un uomo e una donna, che si spacciavano per turisti svizzeri, a piazzare le bombe sullo scafo, ad Aukland; la prima doveva essere dimostrativa, doveva servire a far abbandonare la nave a tutti; purtroppo un fotografo invece di scappare tornò in cabina per salvare la sua attrezzatura, fu sorpreso dallo scoppio della seconda bomba e ci lasciò la pelle.»
«Già… ma fu un vero e proprio boomerang se non ricordo male, perché la vicenda fu clamorosa ed ebbe una risonanza mondiale… dopo di allora gli esperimenti vennero bloccati. Sì, ma io che c’entro in tutto questo?» chiede Amaru, versandosi un altro bicchiere di Vernaccia.
«Pazienza, e non fermarmi troppe volte che se no perdo il filo… hai ragione, l’avvenimento fu troppo clamoroso: il ministro della Difesa dovette dimettersi, e i due autori furono messi in un carcere francese, da dove furono liberati dopo nemmeno due anni. Sai come si dice, cane non mangia cane… gli esperimenti vennero bloccati, ma non per molto, anzi poco dopo ripresero e andarono avanti fino al 1996. In tutto ne hanno fatti più di duecento» conclude con amarezza Palmira, vuotando il bicchiere ed alzandosi verso la credenza, dove apre un cassetto e ne estrae un vecchio album di foto con la copertina in pelle. Lo poggia sul tavolo, di fianco ad Amaru, e lo sfoglia fino ad arrivare alla foto che cercava, dove una bella ragazza riccia, in piedi sul molo di un porto, sorride con alle spalle una nave colorata.
Amaru guarda la foto, attratto dalla collana che la ragazza indossa al collo.
«Ma questo?» chiede il maori, stupito, riconoscendo nella foto il ciondolo che ha in mano. «Che vuol dire, chi è questa ragazza?»
Palmira sospira, prendendo dalle mani di Amaru uno dei due pezzi del ciondolo.
«Chi era… già, bella domanda. Era una che non si accontentava di vivacchiare, era una che amava la vita. Era dolce e determinata, aveva la testa dura: voleva cambiare il mondo. Si chiamava Eleonora» dice Palmira, accarezzando la foto, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime.
«Era mia figlia, Amaru. Era tua madre» conclude Palmira, poggiando la sua mano su quella del gigante.
