Italiani, fate figli!

Ogni tanto mi chiedono di scrivere un articoletto per il bollettino parrocchiale domenicale; ognuno deve prendere spunti da una lettera per sviluppare un argomento, nel mio caso era la D ed io ho scelto “D come denatalità” ma forse il contenuto non è stato apprezzato perché non l’hanno pubblicato. Censura? 🙂

La mia generazione è quella del baby boom, quando il gran numero di nascite spinse la crescita demografica  dell’Italia.  Se si considera il decennio tra il mio anno di nascita, il 1959, e quello del mio fratello minore i nati hanno sempre superato i  900.000, con punte di oltre il milione; da allora i numeri sono sempre diminuiti, fino ad arrivare agli attuali 399.000: meno della metà!

I nostri genitori avevano vissuto la guerra con i lutti, le distruzioni, le privazioni, le miserie che comporta; qualcuno aveva anche combattuto e ne portava le cicatrici, nel corpo e nell’anima, ma li accomunava la fiducia, la speranza nel futuro migliore, e la voglia di rimboccarsi le maniche e ripartire. Di ricostruire, a partire dalle loro famiglie.

La popolazione italiana oggi è in calo e in progressivo invecchiamento (l’età media è di 46,2 anni, per fare un confronto quella dell’Etiopia è di 19,3!), l’Istat nelle sue previsioni periodiche arriva a prospettare uno scenario per cui nel 2070 i residenti potrebbero essere 47,7 milioni, ben 11,5 milioni in meno rispetto ad oggi.

Qualcuno potrebbe ritenere che, dato che la popolazione del mondo cresce in maniera quasi esponenziale (si ipotizza di toccare i 10 miliardi nel 2050), con ovvi problemi di sostenibilità, l’Italia che ha il problema contrario stia bene, ma non è così. Se si perde l’equilibrio tra lavoratori attivi e pensionati, infatti, va in crisi tutto il sistema di welfare (oltre al fatto che se diminuiscono i lavoratori anche il benessere che il loro lavoro crea verrà meno).

E’ un modello sociale che non può reggere: se non si incide veramente sulla precarietà del lavoro, se non si danno salari dignitosi, se non si mettono in campo serie politiche abitative e di servizi alla famiglia che non si limitino ai soliti bonus, se non si smette di delegare al terzo settore quello che dovrebbe fare lo Stato (la Caritas deve essere l’eccezione, non la regola!) il trend non si invertirà.

E anche rispetto alla migrazione bisognerà cambiare l’atteggiamento: perché già oggi siamo in difficoltà con tanti mestieri (altro che “vengono a rubarci il lavoro”! Il problema è oggi il contrario, è che senza immigrati certi lavori sarebbero già spariti) e dunque bisognerà ripensare il sistema di ingressi e di cittadinanza.

Altrimenti anche le nostre chiese, con parrocchie in sofferenza sia di vocazioni che di fedeli, si ritroveranno  vuote, come le culle.

Solidarietà alle rifugiate!

Ius soli (ed altre sòle)

Cosa c’è di meglio, quando si truffano i cittadini scippandoli di un referendum abolendo l’oggetto del contendere (l’utilizzo indiscriminato dei Voucher) e passato il pericolo infilandoli con un nuovo nome (PrestO) nella manovrina finanziaria correttiva ponendo la fiducia, che usare una bella arma di distrazione di massa sulla quale i cittadini si possano accapigliare senza disturbare il manovratore?

Mumble mumble avranno pensato i soloni: i matrimoni gay e la stepchild adotion l’abbiamo già usata, la legalizzazione della cannabis la teniamo per la finanziaria, perché non rispolverare lo Ius Soli che in questo momento può essere un bell’argomentino caldo, invece di parlare dei contenuti della manovra stessa (una per tutte: tolgono il centesimo e i due centesimi. Quindi si arrotonderà tutto ai cinque centesimi superiori, nella migliore tradizione euro. Poi dice uno li prende a calci nel didietro) o delle modalità con cui stiamo gestendo migliaia di migranti, pretendendo di salvare tutta l’Africa e caricandoci di ragazzi che teniamo a bagnomaria e non potrebbe essere diversamente dato che non sappiamo cosa far fare nemmeno ai ragazzi italiani?

Ma dell’industria dell’accoglienza parlerò un’altra volta. Ne penso tutto il male possibile ed ogni giorno c’è qualche episodio che conforta le mie convinzioni.

Sfatiamo due convinzioni dettate dall’ignoranza degli opposti schieramenti:

  • NON è vero che per un ragazzo straniero oggi non sia possibile diventare cittadino italiano;
  • NON è vero che la legge che si sta discutendo introduce l’automatismo per cui chi nasce in Italia diventa ipso facto cittadino italiano.

Quindi si confrontano due convinzioni, alimentate da un lato da pregiudizi e dall’altro da una “narrazione” di convenienza, entrambe false.

Per sostenere la necessità e anzi improcrastinabilità di questa legge si assiste allo sfruttamento di qualche storia patetica che coinvolge dei ragazzi, molto utili da usare quando si tratta di muovere a compassione e in modo da avere anche pronta l’accusa di cinismo, insensibilità, beceritudine o razzismo verso chi non fosse d’accordo.

Tattica mediatica standard, anche il Qatar sta usando delle famiglie divise tra Bahrein e Qatar per sensibilizzare sulla disumanità del blocco a cui sono stati sottoposti dai “fratelli” arabi; il bambino siriano morto su una spiaggia in Turchia ha fatto il giro del mondo ma purtroppo non è stato usato per chiedersi perché e da chi la Siria è stata ridotta così, è un esercizio troppo gravoso per le menti caritatevoli. Andava liberata da un “feroce dittatore” a costo di armare i peggiori tagliagole del pianeta e provocare centinaia di migliaia di morti e un esodo biblico ma tanto basta.

Mi si permetta una provocazione: l’altra sera Santoro ha trasmesso un programma sui ragazzi di Napoli che da quando nascono (già vecchi) a quando muoiono (di solito giovani) vivono da delinquenti in mezzo alla delinquenza. Quando questo Stato si deciderà a farli diventare cittadini italiani?

Ma torniamo ai ragazzi stranieri.

 “Può acquisire la cittadinanza italiana lo straniero nato e residente in Italia senza interruzioni fino ai diciotto anni e che dichiara, entro il compimento del diciannovesimo anno, di voler acquisire la cittadinanza italiana.
Si tratta di una forma “condizionata” di ius soli, suscettibile di trovare applicazione soltanto in presenza dei tre suddetti requisiti: nascita in Italia, residenza ininterrotta fino al compimento della maggiore età, dichiarazione entro un anno dal compimento della maggiore età.”¹

Quindi partirei dal fatto che chi non è diventato cittadino italiano, con le regole attuali,  o non ha fatto la domanda o non disponeva dei requisiti necessari .

Con la riforma in discussione si introducono, rispetto alla legislazione vigente, alcune novitಠche riguardano specialmente i minori ma non solo:

  1. Ius soli “temperato”, dove la cittadinanza per nascita è riconosciuta a chi è nato nel territorio della Repubblica da genitori stranieri, dei quali almeno uno sia in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo;
  2. Ius culturae, quando il minore straniero sia nato in Italia o sia arrivato entro il compimento del 12° anno di età, ed abbia frequentato regolarmente per almeno 5 anni uno o più cicli di istruzione;
  3. Naturalizzazione, per lo straniero entrato prima della maggiore età, residente da almeno sei anni, che abbia frequentato regolarmente un ciclo scolastico e conseguito la qualifica.

In tutti e tre i casi l’attribuzione della cittadinanza non è automatica. Per i minori la domanda deve essere fatta da uno dei genitori; e nel terzo caso la concessione è discrezionale e dipende da diversi fattori, non basta certo essere andati a scuola. Se uno è pregiudicato, ad esempio, difficilmente potrà avere la cittadinanza.

Se la legge passerà, alcune stime ipotizzano che il numero dei possibili beneficiari immediati sia intorno agli 800.000, ed a regime saranno un 50-60 mila l’anno (ipotetici perché come detto non c’è automatismo, bisogna vedere quanti genitori chiederanno la cittadinanza, specialmente da quei paesi dove non è ammessa la doppia cittadinanza).

Che dire? Come cittadino italiano mi sento orgoglioso che tanti si sentano e vogliano diventare italiani, in un momento in cui tanti italiani sembrano vergognarsi di esserlo; spero ed auspico che le nuove forze,  fresche e vitali, diano piena completezza a quella cittadinanza che raggiungeranno, con intelligenza e impegno.
Giovani italiani, fatevi onore.

(143 – continua)

p.s. Probabilmente se  vigesse ancora l’obbligo del servizio di leva il numero di aspiranti cittadini calerebbe vertiginosamente, ma questa è solo una mia illazione.

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¹ cit. https://www.cittadinanza.biz/cittadinanza-italiana-per-stranieri/

² cit. https://www.cittadinanza.biz/riforma-della-cittadinanza-italiana-ecco-il-testo-della-nuova-norma/

Italia, Italia, di terra bella e uguale non ce n’è

Basta lamentarsi, basta recriminare! Finiamola di piangerci addosso e gridare al complotto pluto-masso-giudaico. Ci rendiamo conto che il nostro paese è indiscutibilmente il più bello del mondo, meta ambita da ciascuna persona dotata di buon senso risiedente su questa terra? Smettiamola di girare ingrugniti e incarogniti, guardiamoci intorno alla scoperta della bellezza che abbiamo intorno e non solo delle scie chimiche che striano i nostri cieli azzurri.
Intoniamo le canzoni immortali che rendono onore alla nostra terra: L’Italiano di Toto Cutugno e Italia di Mino Reitano!

Cos’è questa botta di ottimismo, vi chiederete? Da dove viene questo rosa che colora l’orizzonte? Semplicemente dall’evidenza dei fatti e dalle nude cifre che di seguito esporrò.
Mille indicatori potrebbero dimostrarlo, ma mi limiterò a qualche accenno che si potrà ampliare a volontà.

La nostra penisola, che si estende al centro del Mediterraneo culla della civiltà  (non vicino al polo Nord o al deserto del Sahara) comprese le isole ha un’estensione che ci pone al 72° posto nella classifica mondiale (appena poco più grande dell’Arizona, si premura di informarci il sito della Cia da cui ho attinto gran parte dei dati che illustrerò).

Per popolazione siamo al 24° posto; stiamo invecchiando, l’età media è di 44,9 anni, vuoi perché fortunatamente campiamo molto (vita media 80,6 gli uomini e 85,1 le donne) sia perché sfortunatamente facciamo pochi figli (il tasso di nascita è fanalino di coda al 215° posto). Su questo si può dibattere: se i governi la smettessero di riempirsi la bocca di famiglia e facessero qualcosa per sostenerla starebbe un po’ meglio, questa benedetta famiglia. Il numero di residenti comunque è abbastanza stabile, sui 60 milioni, grazie (?) all’afflusso degli stranieri (passati da 230.000 ad oltre 5 milioni in appena 25 anni).

La mortalità infantile è ai minimi (4 morti ogni 100.000 nati), ma come dicevamo è ai minimi anche il tasso di fertilità (cioè il numero medio di figli per donna, quell’ 1,4 che ci pone al 208° posto. Sarà forse perché se ne fanno così pochi che ogni tanto qualcuno rilancia l’ideona di poterli comprare?).
L’acqua, oro bianco, è abbondante e disponibile per tutti; ne abbiamo così tanta che ci permettiamo di sprecarne quantità che disseterebbero intere nazioni africane, e siamo così schizzinosi che sdegniamo  l’acqua di rubinetto preferendogli quella minerale (208 litri a testa all’anno in media).

Scuola e sanità pubbliche nonostante i ricorrenti tentativi di farle andare in malora scricchiolano ma reggono e garantiscono istruzione e salute a tutti. Per quanto ancora resisteranno? Dipende da noi, da quanto riusciremo ad opporci alle varie derive liberiste al grido di “ce lo chiede l’Europa”.

Il nostro Prodotto Interno Lordo è il 13° al mondo. Siamo uno Stato tutto sommato piccolino ma che produce molto; non dovremmo dimenticarcene, ogni volta che chiude un’industria o delocalizza. Ed anche sull’energia che serve per farle andare avanti tutte queste attività dovremmo pensare, che il sole ancora non è sufficiente. Voglio dire: e il nucleare no, e il carbone no, e il petrolio no, e il gas no, a qualcosa bisognerà pur dire si se vogliamo continuare a tenere accesi gli smartphone.

Certamente gli ultimi anni di crisi si sono fatti sentire, e sono cresciute disuguaglianze sociali, povertà e divario tra Nord e Sud del paese; a questo proposito rimando a questo articolo http://www.lookoutnews.it/istat-rapporto-2016-italia-economia/ che riepiloga quanto evidenziato dal rapporto Istat.

Il problema dei problemi è la disoccupazione giovanile, che rende difficilmente sostenibile tutto il resto; lo dico provocatoriamente: non è pensabile il continuare a spendere oltre 4 miliardi l’anno per l’accoglienza ai migranti col 40% di disoccupazione giovanile e col precariato che nonostante il (o forse grazie al?) jobs act aumenta invece di diminuire, così si creano solo guerre tra poveri. Il governo, tutti i governi, dovrebbero pensare da mattina a sera al lavoro, lavoro, lavoro: Trump il furbacchione l’ha capito, e infatti cosa è andato a dire ai lavoratori spaventati? Riporterò il lavoro in America. Finché anche qua non si capirà che a chi non ha lavoro poco importa della liberalizzazione della cannabis, della legge elettorale o del matrimonio gay, i Trump nostrani avranno praterie aperte.

Vogliamo parlare della natura? Montagne, colline ubertose, laghi, fiumi, migliaia di chilometri di coste; ospitalità cordiale e professionale dovunque. Posti che non sempre curiamo come dovremmo, anche se la salvaguardia del territorio dovrebbe essere anch’essa in cima alle priorità politiche, più che le correnti di partito. Vogliamo forse definire la varietà e bontà della nostra cucina e dei nostri vini un luogo comune? Personalmente non me la sento.

L’Italia è il paese che detiene il record di maggior patrimoni dell’Umanità dell’Unesco nel mondo; è il paese compassionevole dove nessuno muore di fame, a meno che non voglia; è il paese dove ci sono volontari per tutto: anche per far attraversare la strada ai ricci o alle rane nelle notti di luna; è il paese fantasioso dove si reinventa anche l’acqua calda: così ogni volta che c’è un terremoto la soluzione è sempre nuova e sempre diversa da quella precedente.

Potrei continuare per mesi, ma mi fermo qua: italiani, siamo coscienti di dove viviamo? Chiediamoci anche se ne siamo degni, quanto di nostro di menefreghismo noncuranza cialtronaggine evvabbè ecchessarammai ci mettiamo per renderlo un posto peggiore di quel che sarebbe.

Su la testa, perbacco!

(132 – continua)

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Standing ov(ul)ation

In attesa che la ministra della Salute e della Riproduzione faccia spirare per decreto quel ponentino che tanto stimolerebbe la crescita demografica (di cui sono un serio studioso come ho già dimostrato nel saggio Demografia e libertà ), mi trasformo in Alberto Angela e fornisco alcuni dati che aiutano ad inquadrare il problema. Sulle soluzioni, al momento, i pareri sono discordi.  Non invento niente: quanto riporto è un copia-incolla degli indicatori demografici del rapporto Istat 2015, che confronto (in rosso, per i non daltonici) con quelli di un paese africano preso a caso facendo an-ghin-gò sulla carta geografica: la Tanzania¹

***

Al 1° gennaio 2016 la popolazione in Italia è di 60 milioni 656 mila residenti (-139 mila unità). Gli stranieri sono 5 milioni 54 mila e rappresentano l’8,3% della popolazione totale (+39 mila unità). La popolazione di cittadinanza italiana scende a 55,6 milioni, conseguendo una perdita di 179 mila residenti. Tanzania: 51 milioni 45 mila.

I morti sono stati 653 mila nel 2015 (+54 mila). Il tasso di mortalità, pari al 10,7 per mille, è il più alto tra quelli misurati dal secondo dopoguerra in poi (Tanzania 8 per mille. Da noi l’8 per mille è un’altra cosa). L’aumento di mortalità risulta concentrato nelle classi di età molto anziane (75-95 anni). Il picco è in parte dovuto a effetti strutturali connessi all’invecchiamento e in parte al posticipo delle morti non avvenute nel biennio 2013-2014, più favorevole per la sopravvivenza.

Nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L’età media delle madri al parto sale a 31,6 anni. (Tasso di fecondità delle tanzaniane: 4,89; età media al primo parto: 19,5)

Il saldo migratorio netto con l’estero è di 128 mila unità, corrispondenti a un tasso del 2,1 per mille. Tale risultato, frutto di 273 mila iscrizioni e 145 mila cancellazioni, rappresenta un quarto di quello conseguito nel 2007 nel momento di massimo storico per i flussi migratori internazionali. Le iscrizioni dall’estero di stranieri sono state 245 mila e 28 mila i rientri in patria degli italiani. Le cancellazioni per l’estero riguardano 45 mila stranieri e 100 mila italiani.

Gli ultrasessantacinquenni sono 13,4 milioni, il 22% del totale (in Tanzania il 2,79). In diminuzione risultano sia la popolazione in età attiva di 15-64 anni (39 milioni, il 64,3% del totale) sia quella fino a 14 anni di età (8,3 milioni, il 13,7% _ in Tanzania il 44,34% _). L’indice di dipendenza strutturale sale al 55,5%, quello di dipendenza degli anziani al 34,2%.

Diminuisce la speranza di vita alla nascita. Per gli uomini si attesta a 80,1 anni (da 80,3 del 2014), per le donne a 84,7 anni (da 85). L’età media della popolazione aumenta di due decimi e arriva a 44,6 anni. (In Tanzania per ora si vive meno, e questo dovrebbe sconsigliare dall’ andar da quelle parti a passare la vecchiaia: 61,71 anni; l’età media però è di 17,5 anni).

***

Insomma, a leggere asetticamente le cifre sembra i tanzaniani  si riproducano freneticamente  mentre noi ci estinguiamo come i dinosauri; è evidente che non abbiamo più voglia o non siamo più capaci di fare figli; tutto sommato guardandosi intorno potrebbe anche essere una buona notizia, chissà. 

¹ Fonte: Word Factbook (Cia)

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Cuba! Libre…?

Rimasi molto colpito, tempo fa, da un esempio che l’allora lider maximo cubano Fidel Castro fece a Gianni Minà, che lo intervistava a proposito del modo di vivere occidentale: se tutti gli indiani andassero in bagno  come voi, il mare sarebbe coperto di carta igienica. Ammetto di non essermi  mai posto, fino a quel momento, il problema di come gli altri popoli si pulissero il didietro, dando per scontato che esistesse un solo modo logico, il nostro; è vero che mio padre mi raccontava di quando da ragazzi capitasse, nelle loro scorribande per campi, di mangiare frutta acerba ed a cagione di ciò essere costretti ad utilizzare delle foglie larghe: ma era un’eccezione.

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Ad esempio, pochi mesi fa in Turchia le autorità religiose hanno approvato l’uso della carta igienica, in mancanza di acqua corrente.  Istintivamente tendo a diffidare delle religioni che vogliono imporre comportamenti sessuali e alimentari, in questo caso poi si vuole esagerare: da sotto le coperte, a tavola, al bidet, non c’è un attimo di tregua.

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Non voglio certo fare una dissertazione, tra l’altro poco elegante, sull’argomento. E’ solo per dire che non è detto che quello che a qualcuno sembra giusto e scontato lo sia altrettanto per gli altri.

Tornando a Cuba, ho apprezzato molto che Obama, dopo aver annunciato la fine dell’embargo decennale, abbia colà spedito degli anziani rockettari per convincere la popolazione che non correrà rischi nel passare dall’economia socialista al capitalismo consumista: i cubani, se sono avveduti, se ne guarderanno bene dallo scambiare i loro sigari e la loro salsa con Mc Donald’s e Coca Cola. E’ un po’ quello che noi abbiamo fatto per anni con l’Unione Sovietica, bombardandoli con Al Bano e Toto Cutugno, per fargli credere che fossimo inoffensivi: dagli e dagli, alla fine ci hanno creduto.

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L’apertura probabilmente avrà degli effetti collaterali: ad esempio la concorrenza per cercar moglie a Cuba sarà più agguerrita e di conseguenza l’ultima spiaggia di qualche nostrano cuore solitario si allontanerà. In genere i patti erano: io ti sposo, sto con te il tempo di prendere la cittadinanza, poi ti lascio e amici come prima. A me sembra un contratto vantaggioso per tutti, una forma peculiare di leasing; le clausole scritte in piccolo andrebbero lette bene, però: da nessuna parte si assicura che una salsera cubana venticinquenne rimanga vita natural durante con un imbianchino brianzolo di mezza età (men che meno con un programmatore).

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A proposito di mezza età mi chiedevo l’altro giorno, leggendo di quell’uomo che di punto in bianco a 50 anni ha lasciato moglie e ben 14 (quattordici) figli, se non fosse veleggiato verso l’isola caraibica. La soglia dei cinquant’anni, chi c’è passato lo sa, è particolarmente temibile. Capita di guardarsi indietro e chiedersi che caspita si sia combinato; pochi possono aspettarsi di averne davanti altrettanti  per recuperare il tempo perduto. Nel caso specifico mi sembra che il protagonista si sia dato abbastanza da fare, non dovrebbe patire di eccessivi rimpianti; tra l’altro, avendo a disposizione una squadra di calcio con tanto di riserve, avrebbe potuto attrezzarsi per una carriera da Mister.

article-1358654-0D434280000005DC-849_1024x615_largeSpero ardentemente che il fuggitivo non decida di andare per il mondo a spargere ancora figli: le risorse del pianeta sono limitate, e se i cinesi invidiosi di tanta fertilità iniziassero anche loro a riprodursi senza freni? Amico, dacci un taglio!

(96. continua)

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p.s.
Le immagini sono tutte prese da Internet. A Cuba non ci sono mai stato, e a questo punto penso che non ci andrò più, ma mai dire mai. Un mio amico ci andò in viaggio di nozze, e passò tutto il tempo in camera d’albergo. Non a fare quello che pensate voi, maliziosi. Aveva preso un’insolazione. Sua moglie però intanto andava in spiaggia. C’erano dei validi bagnini, a quanto pare.

 

 

 

Demografia e libertà

Quando è stato il mio turno, in Italia nascevano 900.000 bambini l’anno. Ora poco più di 500.000, e solo perché un quinto di questi ha almeno un genitore straniero: sembrerebbe, insomma, che gli italiani di far figli non ne vogliano più sapere o, peggio, non ci riescano più. Io di lezioni non posso farne a nessuno, essendo rimasto abbondantemente al di sotto delle performance dei miei, ma il dato fa comunque riflettere.

Ai fini pratici, il ridotto nucleo familiare comporta che se una volta il controllo dei figli più piccoli poteva essere delegato ai maggiori ora tocca fare tutto ai genitori, con una notevole riduzione degli spazi di manovra sia per gli uni che per gli altri. Io credo, ma fior di sociologi potranno smentirmi, che i bambini di adesso siano molto meno liberi di quanto eravamo noi. Gli stiamo addosso H24, non gli diamo tregua.

Alcune cose che un tempo erano normali ora sono inimmaginabili. Provate oggigiorno a lasciare solo in casa un bambino di sei anni. Vigili, servizi sociali, se non peggio. Mia madre quando aveva delle commesse da fare mi lasciava eccome, e non da solo ma con la sorellina piccola: ho un’immagine viva di me, in prima elementare, che faccio i compiti seduto al tavolo in formica rossa della cucina; al fianco la culla di mia sorella Cinzia, che faccio dondolare. Ogni tanto qualcuno, qualche zia, qualche vicina, veniva a controllare: il quadretto contribuiva ad alimentare la mia fama di santità. Io su questo un po’ ci marciavo: come diceva il Nerone di Petrolini, il popolo “Quando si abitua a dire che sei bravo, pure che non fai gnente, sei sempre bravo!”. Perciò nessuno avrebbe potuto sospettare che, per calmare i singhiozzi della piccolina, le facessi leccare un cucchiaino intinto nel vino. A lei non dispiaceva: poi è diventata astemia, ma non credo per colpa mia.

Direi che anche la soglia di tolleranza rispetto ai bambini si è abbassata: sembra che si faccia fatica ad accettare che i bambini oltre ad andare a scuola, a nuoto, a scuola calcio (possibile che ci voglia una scuola anche per il pallone?) e di violino possano anche giocare; e che giocando possano fare un po’ di rumore. Certi condomini sono diventati decisamente paesi per vecchi, e anche senza memoria. Bè, non è che le cose siano sempre state rose e fiori, però.

Come ho detto, in banda suonavo il clarinetto; mio fratello Ernesto, per puro spirito di contraddizione, scelse la tromba. Siccome non si nasce “imparati”, nemmeno per una attività a prima vista frivola come suonare la tromba, bisogna esercitarsi: e se si dovesse scegliere un aggettivo per definire le prime note soffiate da una tromba, la scelta non cadrebbe su “esaltante”. Trasferitici nelle nuove case popolari, sotto di noi venne ad abitare una famiglia che veniva dalla campagna; questo non per dire che la provenienza rurale impedisse di avere inclinazioni musicali, ma perché avendo in precedenza avuto a disposizione spazi larghi pativano un po’ la convivenza forzata.

Quando mio fratello iniziava le sue scale Maringio’, il capofamiglia, cominciava ad ululare.
Ricordo uno degli epiteti più gentili che ci lanciava: “Popolo incivile!”, che trovavo sommamente ingiusto: avessimo suonato all’ora del riposino quotidiano avrei capito, ma qualsiasi ora era buona. All’inizio mia madre rispondeva per le rime, poi la moglie di Maringiò (la Maringiona) pregò di portar pazienza: il riflesso era condizionato, purtroppo la tromba gli ricordava la guerra (la prima, credo) e la rimembranza di antichi assalti lo mandava in bestia. Per fortuna mio fratello non suonava la carica!

Anche lo spirito imprenditoriale aveva modo di svilupparsi.

Io e Stelvio facevamo la pesca. Piazzavamo fuori di casa, sulla strada, un tavolino su cui riponevamo le poche cosine che avevamo: perlopiù giornalini vecchi. In un bicchierino mettevamo dei bigliettini piegati, ciascuno con un numerello. Il ricavato ci serviva per comprare altri giornalini, e magari delle figurine. Impietosito da qualche sorriso timido, qualche generoso ogni tanto ci dava 10 lire. Forse calcammo un po’ troppo la mano sul versante pietà, e raccontammo storie di bisogno e denutrizione: allarmato dalle voci che aveva raccolto, Peppe de Sittì (sapete già che il cognome spesso da noi è un accessorio; Sittì _Settimio_ era il padre di Peppe), fotografo, attore comico nonché titolare del negozio di cartoleria in piazza, volle sincerarsi delle nostre condizioni e il nostro stato lo convinse che le notizie non fossero infondate. Ci lasciò ben 100 lire.
Avremmo auspicato un’accoglienza migliore da parte delle nostre mamme ma a quei tempi il ricordo dei patimenti, di guerra e dopoguerra, era ancora vivido.

Non si scherza con la fame,  soprattutto per comprarsi le figurine.

(36. continua)

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