Fritz Gunnerbaum arriva a casa, nell’appartamento al terzo piano in un condominio di Werinherstrasse, non distante dal cimitero Ostfriedhof, infila la chiave nella toppa e apre la porta con delicatezza.
«Tesoro? Sono io, cara, il tuo coniglietto» si annuncia appena varcata la soglia. Dalla saletta lo accoglie un grugnito:
«Umpf, grumpf… pattine! Crunch, tele? Munch, coglione del vostro capo…»
Fritz decifra i suoni emessi da sua moglie, Ursula Schutzentagger, ex campionessa di sollevamento pesi della DDR, e risponde con calma:
«Si cara, ho messo le pattine. No, non ho sentito la televisione. Cosa sta dicendo quel coglione del nostro capo?» ed entra finalmente nel piccolo soggiorno dove Ursula, 130 chilogrammi di peso per 1,66 centimetri di altezza è sprofondata nel divano con in mano un bretzel al formaggio, davanti al televisore 52” dove troneggia il faccione del giornalista Leo Breitner che intervista il capo della polizia.
«Herr Muller, a che punto sono le indagini su questi attentati?» chiede a Dieter Muller, capo della polizia federale. Muller, un quarantacinquenne alto, biondo, molto attento all’immagine, risponde senza scomporsi:
«Le indagini procedono a 360 gradi, abbiamo messo in campo le nostre migliori risorse» e su questa affermazione Ursula commenta con uno “Sgrunt” che trasuda scetticismo «e stiamo circoscrivendo il campo dei sospetti»
«Ci sono state rivendicazioni?» chiede il giornalista. «Dieci attentati in pochi giorni sembrano opera di un gruppo organizzato. Sarebbe azzardato ipotizzare una pista islamica, o di anarchici ambientalisti-vegani?»
Questa volta è Fritz a commentare scuotendo la testa «Si, come no… e perché non la mafia, allora? » e come se gli avesse letto nel pensiero il capo della polizia risponde:
«Come dicevo, al momento non escludiamo alcuna pista, compresa quella della criminalità organizzata, dato che sono stati colpiti solo stabilimenti italiani. Rassicuro l’opinione pubblica che stiamo producendo il massimo sforzo e non lasceremo niente di intentato per assicurare alla giustizia i responsabili. Grazie, signori» e così dicendo Dieter Muller saluta l’intervistatore e se ne va.
«Chomp… crunch… scoperto niente, eh? Munch, figurarsi, crunch, ubriacone…»
«No cara, ancora non abbiamo scoperto, raccogliamo indizi. E non parlare così del commissario capo, non è un ubriacone… anzi, scusa un attimo…» e Fritz va in bagno a chiamare al telefono il suo superiore, cercando di non farsi sentire da sua moglie.
«Pronto, commissario Tupperware, chi parla?» risponde Horst.
«Capo, sono Fritz. Ha sentito alla tele quel cogl… ehm, il capo della polizia?»
«Si Fritz, ho appena spento l’apparecchio, perché?»
«Capo, non pensa che una volta tanto possa avere ragione? Che sia una faccenda di mafia, sa, questi italiani…»
«Fritz, Fritz, mio buon Fritz» lo interrompe il commissario capo «Ragiona: hai visto in giro delle Punto, delle Panda, delle pizze, dei mandolini, per caso?»
«No capo, ma….»
«E dunque come possono essere stati gli italiani? Senza contare che i calzini bianchi nel belpaese sono vietati per legge. Rimaniamo con i piedi per terra, Fritz, niente voli pindarici. Come sta Ursula? Salutami la tua dolce metà» e chiude la comunicazione.
Fritz rientra nella saletta e lancia uno sguardo alla moglie, considerando che la definizione di “metà”, data la stazza, è abbastanza riduttiva, poi tanto per cambiare discorso chiede:
«Cara, cosa c’è per cena?»
Ursula, senza alzarsi dal divano, indica al marito il forno; Fritz lo apre spargendo per la casa un delizioso profumo di stinco di maiale e patate arrosto.
«Ti amo, Ursula» dichiara il vicecommissario.
«Sgrunt, vaffanculo» risponde l’amorevole mogliettina.
Horst Tupperware entra nel piccolo bilocale che si affaccia su piazza Karlsplatz e si toglie l’impermeabile, poi rivolge uno sguardo di saluto al poster dell’Ispettore Derrick che ha appeso su una parete del corridoio e si dirige verso il frigorifero, dove può solo constatare che è desolatamente vuoto a meno di due bottiglie di birra, una confezione di rape ed un tubetto di senape. Sconsolato ritorna sui suoi passi e riprende l’impermeabile per dirigersi verso la vicina birreria Augustiner, quando si accorge della segreteria telefonica che lampeggia. Schiaccia i tasti per avviare la riproduzione:
«Bip! Volete risparmiare sulla bolletta telefonica? Offertona, un anno intero a 20 euro ed in più avrete a casa Ulla, la segreteria telefonica multilingua…»
«Bip! Passa a Sofronia, l’energia rinnovabile e ecologica! In regalo Frida, la bicicletta collegabile al contatore di casa…
«Non sanno più che inventare…» commenta Horst scuotendo la testa, prima di passare all’ultimo messaggio.
Il messaggio è in russo e la voce inconfondibile:
«Ciao Panzerotto, sono Marlene Dietrich. Chiamami.»
Horst Tupperware ha un sussulto, e la cornetta del cordless gli scivola di mano e cade a terra.
Dresda, 9 novembre 1989.
Davanti all’ambasciata russa una folla è accalcata ai cancelli e preme per entrare. Il muro è caduto e la DDR sta crollando con esso, la sede della Stasi è già stata presa d’assalto ed ora tocca a quella del Kgb. All’improvviso la porta dell’ambasciata si apre, e dalla scalinata scende un giovane tenente-colonnello, con una pistola in mano, che si rivolge con calma a quelli più vicini:
«Signori, questo è territorio sovietico, vi prego di allontanarvi. Questa pistola ha 12 colpi. Gli undici che vogliono morire si facciano avanti, l’ultimo colpo lo tengo per me»
Mentre gli invasori si chiedono se sia il caso di andare a vedere se quanto minacciato dall’uomo che hanno davanti è un bluff, al suo fianco si materializza una giovane donna alta, con dei capelli biondi a caschetto, due occhi blu ghiaccio ed un paio di stivali che le arrivano al ginocchio.
«Questo ha qualche colpo in più» afferma la donna senza accenno di sorriso, mostrando il Kalashnikov AK-47 che imbraccia. «Tornate a casa e nessuno si farà male»
La determinazione dell’amazzone consiglia i primi della fila a frenare, considerando che in fondo è stupido farsi sforacchiare poco prima di poter vedere i supermercati pieni di salami. Dall’interno un uomo, anch’esso con un’arma in pugno, richiama la coppia:
«Andiamo, compagni, dietro c’è un’auto che vi aspetta. I documenti sono stati tutti distrutti»
La donna si volta verso l’uomo, un bell’uomo sui trent’anni, e gli sorride.
«Alla buonora, Panzerotto, ce ne hai messo di tempo» lo saluta «Solo un attimo, arriviamo subito» dice risalendo la scalinata, facendo scudo al colonnello. Una volta dentro e chiusa la porta, chiede al suo superiore:
«L’avreste fatto veramente, colonnello? Voglio dire, sparare sulla gente»
L’ufficiale guarda la pistola, poi rivolge lo sguardo verso la ragazza e, con un sorriso beffardo, le chiede a sua volta:
«Secondo voi, sottotenente Smirnoff?»
