Tre stelle per Olena – 23

«Svengard Sundström, dove credi di andare?»

Nell’oscurità della sera l’aitante Svengard, che si dirige circospetto verso il torrente che scorre ai limiti del parco, sobbalza al richiamo inaspettato.
«Perché sei vestito da marinaretto? Non mi risulta che sia in corso un ballo in maschera. E quella? Intendi portare anche lei? Fareste una bella coppia, in effetti» continua la voce, riferendosi alla canoa che l’uomo tiene alta sopra la testa con entrambe le mani.
Liza Maelström, la giovane chef svedese, emerge dall’ombra, vestita semplicemente con un paio di jeans ed una maglia girocollo bianca, con in mano un lungo coltello da pesce.
Svengard, memore delle raccomandazioni di sua nonna che gli sconsigliava di discutere con una donna che impugna un coltello, men che meno se è da pesce, indietreggia indeciso se darsela a gambe o tirare la canoa addosso alla sua connazionale.
«O intendevi forse svignartela?» continua Liza divertita, controllando il filo della lama. «Tsk, tsk, cattivo bambino. La tua bella ti sta aspettando dentro, e tu avresti il coraggio di abbandonarla così, senza nemmeno un saluto? Ah già, ma tu sei esperto in queste cose, non è vero? A proposito, come mai sei qui solo, senza i tuoi compagni di bisbocce? Non mi dire che ti hanno lasciato anche stavolta con il cerino in mano…»
Svengard, timoroso, poggia la canoa a terra, sempre mantenendosi a distanza di sicurezza, poi con le braccia tese avanti a sé ed i palmi delle mani bene in vista risponde alla donna:
«Liza, ehm, potresti posare quel coltello? Capisco che sei ancora arrabbiata, ma non potremmo parlare da persone civili? E’passato tanto tempo, e io…» cerca di giustificarsi il vichingo, interrotto dalla chef.
«Coltello? Ah, dici questo? Scusa, lo porto sempre con me, ho appena finito di squamare le aringhe. E poi sai, non si sa mai che brutti incontri si possono fare…» continua Liza guardandolo ammiccando. «Comunque, se proprio ti dà fastidio lo metto via, ecco qua» conclude buttandolo nel torrente dove Svengard avrebbe voluto calare la canoa.
«Liza, fammi spiegare, è stato solo uno scherzo… pesante, lo ammetto, ma non volevamo farti soffrire…»
La svedese si ferma, colpita. Rimane qualche secondo immobile, poi pian piano inizia a ridere, finché la risata diventa irrefrenabile.
«Ah, ah, soffrire… soffrire? Per tutto questo tempo avete creduto questo, tu e i tuoi amici svitati?» chiede Liza, tenendosi la pancia dalle risate.
Svengard guarda la donna scompisciarsi, chiedendosi se per caso non le fosse dato di volta il cervello, poi chiede sconcertato:
«Quindi non sei arrabbiata con noi?»

Alla domanda Liza scoppia in una risata ancora più forte finché, riuscendo finalmente a riprendersi, risponde.
«Quindi è questo quello che avete pensato da allora? Che carini che siete. E dimmi un po’, è per questo che avete messo la boccetta di veleno nel mio armadietto? Questo però non mi pare molto carino. Volevate liberarvi di me?»
«Di che boccetta parli?» protesta Svengard. «Noi non c’entriamo niente! I gemelli se ne sono andati, se no te lo confermerebbero anche loro»
«Se ne sono andati? Che peccato, avremmo potuto brindare ai vecchi tempi, fuori uno dentro l’altro, che pacchia, non è vero Sven? Be’ certo per te sarebbe potuto essere imbarazzante, non so se la signora Rana avrebbe approvato»
«Liza ti prego, farò quello che vuoi, ma lascia fuori Gilda da questa storia!» supplica il nerboruto norreno, allarmato. Liza lo guarda come se lo vedesse per la prima volta:
«Ma davvero pensavate che non mi fossi accorta di niente? Santo cielo, allora siete pure più scemi di quello che pensavo» afferma scuotendo la testa, incredula.
Svengard, confuso, si gratta la testa e si siede su uno dei tronchi da lui abbattuti a colpi di ascia nel corso della ginnastica mattutina.

«Tu sapevi? E da quanto? E perché non hai detto niente?»
«Ma perché avrei dovuto dire qualcosa?» ribatte la chef. «Era così comodo! Ci divertivamo, facevo l’amore tutte le sere, non avevo certo da lamentarmi. Poi quando i due furboni hanno cominciato a perdere colpi ho attaccato con te, e devo dire caro mio che tre è il numero perfetto. Non ho mai capito perché accidenti siete scappati così, da un momento all’altro, andava tutto così bene!»
«Ma come bene? Liza, tu volevi sposare Uppallo I !» protesta Svengard, accorato.
«Uffa, come siete noiosi voi uomini. Uppallo I, Uppallo IV, avrei sposato anche te, ma che differenza avrebbe fatto? Avremmo potuto continuare come prima, solo molto più comodi. E poi magari avrei potuto cercarmi anche un amante» ridacchia Liza, maliziosa.
«Quindi non sei venuta a cercarci per vendicarti?» chiede lo svedese, definitivamente sconcertato.

«Per vendicarmi? E di che, è stato il periodo più bello della mia vita! Sono rimasta sorpresa quando vi ho rivisti qua, lo ammetto, e magari una spaventatina ve l’avrei data volentieri ma quei cagasotto se la sono data, mi avete tolto tutto il gusto» conclude Liza con un pizzico di delusione nella voce.
«E allora che sei venuta a fare?» chiede il compagno della padrona di casa, ormai nel pallone.
«Ma che dovevo venire a fare? Santo cielo, Sven, sono una chef! Il povero Turchese è capitato l’anno scorso nel mio ristorante, ci siamo conosciuti, siamo andati a let… ehm, abbiamo fatto amicizia, e mi ha invitato nel suo programma. Sono venuta per vincere la gara, chi se ne frega di voi! »
Svengard si alza lentamente, con la testa china, e si rivolge a Liza in un sussurro.
«Scusaci Liza, siamo stati degli stupidi»
«Sì, lo so, non c’è bisogno di ribadirlo. Adesso Sven ti consiglierei di andare a cambiarti al più presto e raggiungere la tua donna. Dimmi, avete fatto anche a lei lo scherzetto? No, eh? Ci credo, quella non è mica accomodante come me, vi avrebbe strappato le palle, le avrebbe trifolate e messe in uno dei suoi ripieni mari e monti. Vai, vai…» conclude Liza sospirando mentre Svengard, sollevato, saltella a piedi nudi verso la villa.

Super! (Cronachette della quarta ondata)

Stamattina ho fatto una super colazione. Era come quella di ieri, caffelatte con un cucchiaio di miele di castagno, biscotti, spremuta di arancia, però mi è bastato chiamarla super per sentirla diversa, migliore, più gustosa. Poi sono andato a prendere il super giornale: stesse notizie di ieri, Covid contagi in aumento, salviamo il Natale ed i suoi mercatini, Covid vacciniamo anche gli infanti, infiltrazione della ‘ndrangheta che sorpresa, Covid variante africana plus, ancora morti sul lavoro /basta morti sul lavoro, la nazionale di calcio è alla frutta. Passata la giornata contro la violenza sulle donne gabbato lo santo: la donna oggi non fa più notizia, è la giornata del cane randagio, salviamo l’amico dell’uomo abbandonato dall’uomo di cui è amico. Stessa solfa ma volete mettere? E’ super!

Nella cassetta della posta la bella sorpresa di una busta con i confetti di una collega di Roma, graditissimi anche se le avevo detto di non disturbarsi,  e quella brutta della convocazione dell’assemblea di condominio per il 3 dicembre: tra tutti abbiamo speso 3.000 euro in più di acqua, ma quanto ci laviamo? Risulta un 17% di mancati pagamenti, l’anno prima erano “solo” il 12: e non è super questo?  Oggi sarebbe la giornata della raccolta alimentare, ogni anno si raccolgono sempre più generi alimentari da distribuire a chi ne ha bisogno, vuol dire che aumentano quelli che hanno bisogno e sembra un cane che si morde la coda: di lavoro, uguaglianza, lotta al precariato non si sente quasi più parlare, in compenso si progetta di diminuire o togliere l’Irap che sovvenziona il sistema sanitario, e proprio in questo momento: super!

Oggi pomeriggio sono sceso in centro per una commissione. Sono andato presto, perché poi sapevo che si sarebbe riempito: ed infatti quando sono venuto via c’era una fila di macchine in ingresso, con gente vogliosa di approfittare della coda del black Friday e visitare i famigerati mercatini. Intanto l’amministrazione comunale uscente ha confessato di non avere uno straccio di progetto per accedere ai fondi europei del PNRR, dando la colpa all’amministrazione precedente. Ma amici, sono passati cinque anni, che diamine avete fatto in questo tempo? Certo che siete proprio super!

Mentre andavo a prendere il bus per tornare a casa sono passato vicino alla manifestazione no-pass/no-vax che ormai si ripete da settimane. Manifestanti pacifici, sembrava quasi un flash-mob; devo dire che rispetto all’ultima volta che li avevo visti mi sono sembrati molti di più, parliamo comunque di sessanta-settanta persone, non certo una adunata oceanica. A occhio e croce di non poter andare al cinema, al teatro e nei ristoranti non gliene può fregar di meno (e sinceramente, a parte sporadicamente qualche ristorante, nemmeno a me) e sicuramente chi era già contrario al green pass non diventerà  favorevole per questa alzata di ingegno dei Migliori, così come quelli contrari a farsi vaccinare non credo saranno tantissimi a cedere, considerato che hanno davanti la prospettiva di doverlo ripetere ogni cinque-sei mesi e comunque di potersi infettare lo stesso e magari da uno vaccinato.  

Stasera spaghetti al ragù dalla suocera (che non cucina: lei mangia quel che c’è); sarebbe stata in programma pasta al forno ma uno dei commensali è intollerante al lattosio, eccheppalle; per secondo dovrebbe esserci l’arrosto ma la sua fidanzata è diventata vegetariana e quindi non so se la carne arriverà in tavola, o dovremo accontentarci del contorno. Eccheppalle super!

Commessa sfinita per il Black Friday

Tre stelle per Olena – 22

Olena, con un giubbotto in pelliccia di volpe rossa siberiana ed una minigonna mozzafiato fa il suo ingresso nel salone al braccio di Miguel, che per l’occasione sfoggia una copia dell’abito indossato da Rodolfo Valentino nell’ultimo film girato prima di morire, “Il figlio dello sceicco”. La coppia si dirige lentamente verso il tavolo in prima fila a loro riservato, di fianco a quello della Calva Tettuta, sollevando un unanime mormorìo di ammirazione.
«Zoccola»

Vedendo la coppia arrestarsi bruscamente il brusìo si placa, presagendo la tragedia imminente. Olena, lasciando il braccio di Miguel, si dirige verso il tavolo leggermente defilato sulla destra da cui ha avuto origine il sibilo. Arrivata ad un passo, increspa l’angolo destro della bocca in quello che potrebbe essere un sorriso di compatimento, e saluta il suo ammiratore.
«Dici a me, finuocchietto? Tu ha memoria corta, e non solo quella. Stai attento a come tu parla, se non vuoi finire come ultima volta che ci siamo visti»
Joao do Patimento, lo chef brasiliano commensale della persona a cui Olena ha rivolto il benevolo avvertimento, si rivolge sorpreso al compagno/a:
«Voi vi conoscete? Paio, non sapevo che conoscessi gente anche da queste parti. Signora, sono sicuro che la mia amica non volesse offenderla»
«Signuorina, prego» lo corregge Olena. «Da, noi vecchie amiche, non è vero “Paio”?»
«Ah, davvero? Ma pensa un po’ com’è piccolo il mondo! Volete sedervi con noi? Ci farebbe piacere, non è vero cara?» invita l’ospitale cavaliere.
«Cicci, non rompere los cojones» intima fermamente Paio Pignola allo chef. «Non siamo affatto amiche, e poi la “signorina“ ha già il suo tavolo, non è vero carina? E comunque, tanto per la cronaca, zoccola non era diretto a te»
«Ah, davvero? E a chi allora?» chiede la russa, pronta alla battaglia.
«A quello là» dice indicando Miguel, e poi alzando la voce che vira sullo stridulo: «A quello stronzo! Traditore… Etero!»
Miguel sentendosi accusato cerca di difendersi, perlomeno dall’ultima accusa:
«Paio, ti ho già detto che Conchita non ha rappresentato niente per me! Ero ubriaco!¹»
«Niente! Ci hai fatto un figlio, e lo chiami niente!» risponde la cubana, guardandosi intorno in cerca approvazione alla sua affermazione.
«Cosa tu venuto a fare qua, Hector?» interrompe l’idillio la russa.
«Perché, non posso andare dove mi pare e piace? Ho accompagnato il mio fidanzato, va bene? Diglielo, Cicci, mi amor» lo incita la cubana, infilandogli la lingua in un orecchio.
«Sì, ma io non sapevo che tu conoscessi qualcuno qua… non è che mi hai usato per tornare in Italia? Paio, guardami negli occhi. Sei ancora innamorata di lui? Devo saperlo» chiede Joao, a cui il tarlo del sospetto si è insinuato nel cervello, o quello che è.
«Ma che ti salta in mente, testiña» risponde Paio. «Io amo te, è chiaro, no? Il re dei fagioli, ci mancherebbe altro. Quello là è un giardiniere, un morto di fame, ed in più con figli a carico, non sono mica matta. Acqua passata non macina più, si dice dalle mie parti a Cuba»
«Hai ammazzato tu Turchese?» chiede Olena, senza girarci troppo intorno.
«Che cosa?» urla Paio, alzandosi in piedi e avvicinandosi pericolosamente alla siberiana. «Non fare la furba, carina, io non c’entro niente con questa faccenda. Se proprio avessi voluto ammazzare qualcuno, non era certo Turchese» dice la cubana, lanciando uno sguardo eloquente a Miguel.
«Ah no? E che ci facevi al tavolo della giuria, vestita (male) da cameriera?»
«Stavo lì per controllare che qualcuno non imbrogliasse! Perché il mio Joao doveva, anzi deve vincere, è il migliore, e se vince mi ha promesso che mi porta a fare il giro del mondo in crociera, non è vero Cicci? E poi senti chi parla di vestire, con quella pelliccia sembri una bagascia della Novedratese!»
A questa affermazione Miguel sbianca e per precauzione fa qualche passo indietro; il bassista Giorginho Torres, notato il movimento, come accaduto in passato poggia il suo strumento, apre il fodero e ne estrae una bottiglia di rhum Matusalem Gran Reserva, con la quale si appresta a godersi lo spettacolo. Olena sbuffando dal lato destro della bocca sposta una ciocca di capelli e, avvicinandosi ancora di più a Paio fino a sfiorarla, lancia la sfida.
«In pista. Adesso. Salsa all’ultimo sangue.»

¹ I lettori più affezionati ricorderanno che Miguel e Paio Pignola stavano per coronare il loro sogno d’amore convolando a nozze quando Paio _ al secolo Hector Garcìa _ aveva scoperto che Miguel aveva avuto un figlio da Conchita, la donna barbuta protagonista della telenovela Lacrime e Laterizio. Miguelito, o Chico come viene affettuosamente chiamato, insomma il frutto della colpa, è venuto alla luce mostrando un accentuato irsutismo che l’ha fatto adottare come fratellino dalla nutrita colonia di koala che in quel periodo era ospitata nella tenuta Rana, colonia alla quale si è aggregato quando i simpatici animaletti sono tornati in Australia.

Quarta ondata (Cronachette dall’ex zoccolo duro)

L’anno scorso di questi tempi ero da poco entrato in isolamento, confinato nella cameretta che è il mio studiolo e da cui sto appunto scrivendo. Siamo ormai alla quarta ondata della pandemia; siamo più bravi degli altri in Europa ma non abbastanza, almeno così si premurano di ripeterci i cosiddetti virologi, politici e  giornalisti a reti unificate. Ormai sono quasi due anni che ne dicono di ogni e di più, nel frattempo la soglia dell’immunità di gregge si è alzata e quella della durata del vaccino si è abbassata. Lo dico solo come semplice dato statistico, non vorrei beccarmi del no-vax e ritrovarmi magari in casa la Digos manco fossi un terrorista dell’Isis. C’è un nervosismo crescente alimentato dalla parte dei vaccinati dalla frustrazione che nonostante gli sforzi non se ne esca, con il retropensiero che la divina scienza non la racconti giusta, e dall’altra parte dalla rabbia per essere trattati come appestati da criminalizzare. Un brodo di coltura ottimale per i fuori di testa: l’altro giorno mia moglie si è beccata della “satanista di merda” per aver osato richiamare sull’autobus un uomo che, dopo essere entrato con la mascherina sul volto, se l’è tolta immediatamente. Molto probabilmente se al posto di mia moglie ci fosse stato un altro sarebbe andata a finire male; nel suo caso fortunatamente la fermata era vicina e si è limitata ad avvisare l’autista, che ha bloccato il bus e minacciato di chiamare la polizia.  

Ho messo in vendita gli scarponcini. Domenica, dopo la prima passeggiata abbastanza seria anche se non certo una scalata, sono tornato a casa con piede e ginocchio dolorante: probabilmente per la paura di toccare l’alluce ho camminato male e ho salvato l’unghia, ma rischiato di rovinare il resto. Se riesco a recuperare la metà della spesa bene, altrimenti le porterò al mercatino della Caritas che troveranno sicuramente qualcuno a cui darle. Peccato perché il giro era stato bello, qua intorno ci sono ancora tante zone verdi, anche se minacciate dalle costruzioni:  siamo arrivati fino alle sorgenti del Lura, in realtà un torrentello, dove c’è un piccolo laghetto nel bosco che mi ha ricordato quello di Claude Monet.

La parola d’ordine è: salvare il Natale. Che ovviamente vuol dire consumare il più possibile, acquistare merce di cui non abbiamo alcun bisogno e ingrassare commercianti in crisi di astinenza, il tutto condito con smielature su bontà, generosità, fratellanza…  quasi quasi mi verrebbe da auspicare un bel lockdown, magari ci farebbe riflettere sul vero significato del Natale, se ancora ne ha uno.

Il corso di danze greche procede bene. Dimentico i passi un attimo dopo averli fatti, ma questo mi capitava anche con i balli dell’Ottocento, dunque non dipende dagli insegnanti ma solo da me. Non mi applico, diciamo. Balliamo quasi sempre in cerchio, ovviamente con le mascherine, in una grande sala; quando per esigenze coreografiche ci si da le mani poi ci si disinfetta. Sarà la mia ignoranza ma mi pare che i passi tra i vari balli siano abbastanza simili; il livello dei ballerini non è eccelso, per usare un eufemismo, tranne qualche sporadico caso. Noto che parecchi confondono la destra con la sinistra e quindi si assiste  spesso a dei tamponamenti, a cui segue per fortuna una constatazione amichevole. Come dicevo, i balli greci sono l’inizio della fine, dopo quelli ci sono le bocce ed il burraco. Per le bocce se ne può parlare, ma vi autorizzo se un giorno dovessi dirvi che partecipo ad un corso di burraco di togliermi il saluto.

Si chiamava Himal Perera e veniva dallo Sri Lanka. Abitava a poche decine di metri da casa mia, con la famiglia; forse l’avrò anche visto, quando durante le passeggiate serali estive mi fermavo, nella grande piazza d’armi dove d’inverno arrivava il circo, a guardare un gruppo di indiani giocare a cricket. Sport che praticava e anche bene, dicono le cronache. Aveva trovato lavoro da poco, da appena tre mesi, e aveva un contratto a tempo determinato: stava installando un macchinario in un salumificio vicino Parma, città a cui sono affezionato, e non si sa ancora bene che sia successo, il macchinario lo ha schiacciato. Aveva solo 22 anni… il funerale si terrà nella nostra parrocchia, la sua famiglia è cattolica. Spero che la fede riesca a consolarli, io non so se ce la farei.

Amiche e amici, mi scuso se il finale non è molto allegro, sarà l’autunno…   

Scarponi (Cronachette dall’ex zoccolo duro)

Lo scorso weekend il tempo è stato brutto e quindi non sono riuscito a fare passeggiate all’aria aperta, estremamente necessarie per chi come me ormai da 20 mesi vive in regime di arresti domiciliari, o quanto meno in semilibertà; ma per coltivare un minimo di ottimismo sono andato a comprare degli scarponcini adatti per fare delle camminate. Una volta bastava chiedere “scarponcini”, adesso bisogna specificare: trekking? Avvicinamento? Hiking? Se li avessi comprati da solo al Decathlon come mi ero ripromesso durante la scappata a Milano della scorsa settimana avrei già risolto, invece complice appunto il tempo inclemente sono andato in un negozio specializzato e mi sono rimesso alla clemenza del commesso. Veramente quella che doveva comprare le calzature era mia moglie perché sfornita di quelle adatte: nel primo negozio non c’è stato niente da fare: troppo lunghe o troppo alte o troppo strette o di colore non gradito. Benissimo! A quel punto, considerato che mi sono reso conto dei prezzi, rabbrividendo (“ma caro signore, lei non immagina quanta tecnologia ci sia dentro queste scarpe?”) speravo che la mia consorte si accontentasse di un onesto paio di scarpe da tennis ed in verità era quasi convinta quando è entrato in azione un pensionato, probabilmente pagato dalla concorrenza. Questo signore distinto, con una bella barba risorgimentale, si è avvicinato discretamente e, con modi molto garbati e lievemente cospirativi ci ha suggerito di ricercare in un altro negozio, ad una quindicina di chilometri di distanza, dove lui si serve spesso e dove si trova molto bene.

La domenica, visto il perdurare del tempaccio, siamo andati dunque in questo negozio (fosse per me la domenica i negozi dovrebbero rimanere tutti chiusi, come una volta quando eravamo un paese civile); stavolta le scarpe adatte ai piedi della mia signora c’erano, al prezzo di un rene del sottoscritto; sulle ali dell’euforia, dopo essere stato edotto su solette, tomaie, goretex e distretti della scarpa (sapevate che il Veneto è leader della scarpa tecnica? Io lo ignoravo, pensavo lo fosse solo del prosecco), visto che il negozio proponeva anche dei saldi, ho chiesto se ci fosse qualcosa anche per me. Certamente! Il simpatico addetto, molto competente in tutti gli sport, mi ha portato un paio di scarpe, sottomarca di una di quelle famose ditte venete, fabbricate in Romania: niente contro gli amici rumeni, naturalmente, solo che il colore era un po’ improbabile, un giallo ocra che mi faceva assomigliare ad un caddy di golf, ma visto che la forma mi piaceva ne ho scelto un paio dello stesso modello ma in un più sobrio blu. Lì per lì mi sembrava che andasse tutto bene, ma al lunedì è emersa la magagna. Secondo voi come si fa a provare una scarpa? Camminandoci, o almeno così pensavo io. Così le ho indossate per andare a prendere il giornale dal mio amico Giuseppe e ci ho fatto quei tre chilometri tra andata e ritorno, durante i quali mi sono reso conto che: a) mi stringevano troppo la pianta del piede e soprattutto b) in discesa l’alluce destro tocca la punta della scarpa.

Così al pomeriggio, dopo aver ripulito le suole, sono tornato al negozio per restituirle. Dovevo capire subito che l’operazione non sarebbe stata delle più agevoli perché appena entrato, avendo un’urgenza idrica, prima di intavolare negoziati di sorta ho chiesto alla cassiera se c’era un bagno ma la ragazza, desolata, mi ha risposto che il bagno lo avevano ma i clienti non potevano accedervi. Sono trasecolato ed ho fatto le mie rimostranze: “Ma io ho il green pass!” ma sembra che il lasciapassare non abbia questo potere. Cioè, fatemi capire, ci si può andare a lavorare ma non in bagno? Viene da solidarizzare con chi invita a pulircisi il didietro, con tale talismano. La signorina mi ha invitato a recarmi al vicino centro commerciale ma non ce l’avrei mai fatta, perciò sono uscito di corsa e arrivato al primo angolo semi-coperto (a quel punto comunque non ero molto preoccupato della privacy) e l’ho fatta. Rientrato ho commesso un errore (no, non quello di non essermi sanificato le mani), infatti la commessa mi avrebbe fatto un buono spesa ma alla domanda se volessi cambiarle ho risposto sì, e così sono andato in reparto con la mia scatola. Il commesso, desolato anche lui, mi ha detto che siccome le scarpe le avevo messe non poteva cambiarmele: ho fatto notare che per provarle dovevo per forza camminarci, decisione con la quale avrebbe concordato a condizione che io avessi usato l’accortezza di camminarci in casa. Ora, care amiche e amici, non so voi ma purtroppo in casa mia non ci sono discese e quindi mi sarebbe stato difficile accorgermi del problema; a nulla sono valse le lamentele e quindi me ne sono dovuto tornare a casa con le pive, e le scarpe, nel sacco. Non so se ci siano gli estremi per rivolgersi al Codacons: non vorrei, come si dice, farla fuori dal vaso.  

Martedì, nel tentativo di salvare il salvabile, ho portato la scarpa destra dal calzolaio di quartiere, un ometto in pensione da ormai un centinaio di anni che ha le sue belle fisse: ad esempio non vuole che al sabato gli si portino le scarpe. Ho chiesto se si potesse fare qualcosa, ha guardato l’oggetto un po’ schifato (lui tratta pelle e cuoio, non la plasticaccia mi ha amichevolmente fatto sapere: non me la sono sentita di raccontargli la storia della tecnologia contenuta in quella che chiamava “plasticaccia”). A malincuore ha accettato di mettermela in forma in una delle sue macchinette; ieri sera quando sono andato a riprendermela aveva una curiosa bozza in punta, sembrava una bolla, un ematoma, ma mi ha detto di non preoccuparmi che poi portandola andrà via. In effetti stamattina sembra un po’ rientrata,  speriamo bene…

Amiche e amici, quante storie direte per un paio di scarpe! E avete ragione, con tutti gli argomenti su cui ci sarebbe da ragionare, tipo i dittatori buoni e quelli cattivi, il green pass che ritorna a nove mesi, i cattolicissimi polacchi che si mettono a fare i muratori, il lockdown selettivo per “salvare il Natale”… veramente da piccolo mi hanno insegnato che il Natale è la ricorrenza della nascita del Salvatore, se sapeva come sarebbe andata a finire non so se si sarebbe preso la briga.

Ma di questo e di altro ancora vi parlerò magari un’altra volta, se il lavoro me lo permetterà e se i piedi non mi faranno male. A presto!

Commessa accaldata che indossa scarpe comode

Sòle! (Cronachette dall’ex zoccolo duro)

Ieri, dopo ben 382 giorni, sono tornato a Milano. Non al lavoro, perché a quello temo proprio che non tornerò più: i dipendenti stanno rientrando a turno due giorni la settimana, ma per i consulenti come me il ritorno non è previsto. Tanto da casa si lavora lo stesso; si diventa degli asociali alienati, ma si lavora.

L’occasione per la rentrée era quella di un aperitivo con dei vecchi compagni di merende, ovvero con degli ex colleghi con i quali siamo sempre rimasti in contatto e tre o quattro volte l’anno ci si ritrovava a bisbocciare (moderatamente per la verità, tranne quando andavamo a cena alla Trattoria La Fornasetta , in via Breda, dove allora ci si sbizzarriva perché il menù era composto da una decina di antipasti, 3 primi dove non manca mai la pasta e fagioli e tre secondi, oltre a formaggio dolce caffè e ammazzacaffè, ad un prezzo onestissimo. C’era un mago ottantenne che allietava i commensali, le ultime notizie lo davano per  ritirato dall’attività, mi mancherà, l’ambiente senza  di lui non sarà più lo stesso…).

L’appuntamento era per le 18, ma mi sono preso mezza giornata libera ed ho fatto il turista; ho preso il mio amato trenino delle Ferrovie Nord che porta fino alla Stazione Cadorna, e poi mi sono avviato verso piazza Duomo intenzionato a fare shopping. Crepi l’avarizia! (E del resto il governo dei Migliori non ha vietato i cortei in centro per salvaguardare bottegai e negozianti? Mi sentivo in dovere di dare un contributo a quei poverelli.) Sono entrato nel  grande negozio Decathlon che c’è in piazza Cordusio, di fronte al Castello Sforzesco, con buone intenzioni: avevo in mente di prendere degli scarponcini da trekking ma dopo una mezzoretta mi sono arreso: troppa roba! Non riuscivo a scegliere, io ho bisogno di una commessa che mi convinca anche se non ne ho intenzione. Commesse convincenti che non mancano certo alla Rinascente! Entrando dall’ingresso principale in Corso Vittorio Emanuele (II) ci si trova nel reparto profumeria, dove schiere di entraîneuses (senza offesa) cercheranno di spruzzarvi addosso le loro essenze mirando alla carta di credito. Non mi sono fatto irretire e mi sono diretto nella direzione dove mi sembrava di ricordare fosse lo stand dove vendono il profumo che piace alla mia signora: incredibile, era ancora lì. Alla commessa non pareva vero che arrivassi di mia spontanea volontà, così si è spicciata il prima possibile per evitare che ci ripensassi una volta sentito il prezzo. Per la miseria, ma ci mettono dentro l’oro?  

A proposito di aumenti, stamattina sono andato a far spesa alla Coop e mi sembra davvero che tutto stia aumentando. La carne sta diventando una roba per ricchi, poco male si dirà che se ne consuma anche troppa, ma attacca qualche centesimo qua, un eurino là, il piatto piange. Ad esempio, la Sweppes che prendo per mia suocera (anche lei ha i suoi vizi) è passata da 1,85 a 1,95: sembra una sciocchezza, ma è un aumento del 5,41%! In casa mi prendono in giro perché io comprerei solo roba in sconto, ma mi pare sia legittima difesa…

Sono andato in Duomo ad accendere una candela per la figlia di un’amica che sta lottando contro un melanoma; ricordavo delle lunghe file di turisti e di fedeli, ieri niente di tutto questo; devo dire che sia in treno che in giro non ho visto gente spericolata o assembramenti, anzi tutti abbastanza prudenti. Io ad ogni buon conto ho sempre indossato la mascherina, mi sentivo più sicuro. Anche la Galleria era semivuota, cosa che mi ha dato modo di notare un negozio che c’è sempre stato ma mi era sfuggito, che vende pipe, sigari e liquori; c’erano delle bellissime pipe in offerta e sono stato tentato di prenderne una, anche se non fumo, giusto per vedere che effetto fa tenerne una in bocca. Immancabile la coppia che saltava sulle palle del toro, uno dei mosaici che ci sono sul pavimento: dicono che porti fortuna ma al toro dà fastidio.

Il rendez vous era fissato all’agone di Gae Aulenti, di fronte alla stazione di Cadorna, e da lì al Bar Magenta. Purtoppo durante la giornata il drappello si è assottigliato: dovevamo essere in cinque, e man mano le defezioni (due causa Covid! Ed una per impegni lavorativi) ci hanno lasciato in due. Mi sa che ormai il Covid è usato come una volta l’allarme bomba quando si andava a scuola: se uno non ha voglia di fare una cosa dice di essere raffreddato, o di avere un amico positivo, ed è fatta. Compagni di merende, ma anche vecchie sòle!

Prima del Covid, al Magenta come in quasi tutti i locali, c’era un buffet dove ci si poteva rifornire quanto si voleva e tutte le volte che si voleva; di solito facevamo un giretto per salami , pizzette e formaggi, uno per i primi (perché magari ne portavano più di uno), ed uno per i secondi e la verdura; insomma, con 8-9 euro era un bel mangiare, ed anche un bel vedere perché è pieno di giovani. Adesso invece si può fare un giro solo, ovviamente serviti, ed il prezzo è 10 euro compresa la bevanda: ci si può accontentare, dai.

Era attesa una ospite a sorpresa che avrebbe abbassato l’età media ed alzato il livello di simpatia e allegrezza; non si trattava di Nicole Minetti come fantasticava il malizioso compare e del resto non eravamo né in uno studio dentistico né ad una cena elegante. Sarebbe stato un incontro tra due titani della scrittura contemporanea con tanto di scambio di copie autografate ma è solo rimandato, probabilmente al prossimo Strega (l’amaro, non il premio).

Amiche e amici, per mezza giornata mi è sembrato di rinascere: anche le polveri sottili non erano così male. Non ho fatto caso se in piazza Duomo hanno tolto i baobab, mi toccherà tornare a controllare il prima possibile. A presto!

Impiegata di un call center in pausa pranzo

Sirtaki! (Cronachette dall’ex zoccolo duro)

Amiche e amici,

ho dovuto tirar fuori dagli scatoloni maglioni pesanti e magliette della salute di lana, perché la temperatura si è abbassata di colpo; oggi va meglio, ma l’altra mattina alle 6:30 il termometro segnava 3 gradi e mezzo, la qual cosa non invogliava certo a tirar fuori il naso dalle coperte. C’è un’escursione termica pazzesca tra il lato della casa al sole e il lato in ombra: verso le undici sul balcone caldo ci sono 25-26 gradi, e in quello freddo 11-12. Non credo sia colpa del cambiamento climatico, comunque.

Domenica ho abbandonato il coro parrocchiale e approfittando della splendida giornata siamo andati insieme a degli amici a fare una passeggiata in Val d’Intelvi; l’ultima volta, prima del pandemonio, avevo prenotato con Groupon un ristorantino a San Fedele e ci eravamo rimpinzati di pizzoccheri e brasato, stavolta invece ci siamo portati dietro un triste panino. Come cambiano i tempi! Per fortuna il mio amico ha pensato di riempire una fiaschetta di barbera corroborante e ricostituente.

Per gli spostamenti in auto valgono ancora le vecchie regole, perciò se si è dello stesso gruppo familiare si può stare in macchina tutti insieme se invece non si è conviventi il massimo è tre, perciò essendo in cinque abbiamo dovuto prendere due auto, alla faccia dell’inquinamento. Eppure siamo tutti vaccinati ma evidentemente il salvifico green pass in auto non funziona.

A proposito, la settimana scorsa una corista aveva fatto un tampone rapido positivo, che fatto poi il molecolare  si era rivelato un falso allarme; ero preoccupato perché avendo fatto le prove di canto un paio di giorni prima, anche se con la mascherina e mantenendo il distanziamento, temevo di dovermi rimettere in isolamento. Un’altra del coro, infermiera, ha detto che lei non ci pensava nemmeno a mettersi in isolamento: le linee guida diramate (a loro?) parlano di contatti ravvicinati e senza protezione per almeno un quarto d’ora. Lei non è in un reparto Covid, e ha detto che a loro fanno i tamponi ogni 45 giorni (!). A me sembra un’eternità per delle persone che lavorano in ospedale, dice che in altre regioni li fanno più spesso ma in Lombardia è così. Alla faccia!

La nostra meta era la Chiesa di San Zeno, un balcone sulla Val d’Intelvi a poco più di mille metri di altezza, a cui si arriva dopo aver lasciato Casasco d’Intelvi  andando verso Erbonne (strada stretta, al ritorno c’era una Bmw che avrebbe voluto che facessimo retromarcia per farla passare: abbiamo fatto valere la legge del numero anche se non proprio quella del codice della strada, ed è retrocesso lui); ad un certo punto si arriva ad un’area picnic ben attrezzata e molto frequentata, noi ci siamo fermati prima lasciando l’auto a bordo strada in uno spiazzo. La passeggiata, con qualche strappo ma non impegnativo, è di circa tre quarti d’ora, noi ci abbiamo messo di più solo perché andavamo ad un’andatura molto blanda contandocela sù, e poi c’era una del gruppo che non aveva le scarpe adatte e dato che il sentiero era ingombro di foglie cadute avevamo paura che cadesse; ed io e il mio amico da veri cavalieri con delle frasche le pulivamo la strada, manco fosse la regina Cleopatra. Il sentiero sale per un dislivello di un centinaio di metri, percorso inframezzato da stazioni della Via Crucis; è stato buffo perché nessuno di noi, anche se non digiuni di questi argomenti,  ricordava l’esatta sequenza delle quattordici stazioni. Io ricordavo solo che nella processione del Venerdì Santo litigavamo per tenere la frusta e la lancia, ma ero leggermente off-topic. Non c’è più religione! Per fortuna la sera, all’Eredità, c’è il buon fra’ Insinna che si occupa di fare un po’ di catechismo.

In cima la vista è davvero stupenda, ci siamo fermati per rifocillarci ripromettendoci la prossima volta di organizzarci meglio, distribuendoci i compiti e le vivande da preparare: ho ricordato con nostalgia una estate in Puglia dove siamo incautamente andati a trovare dei parenti che ci hanno dato appuntamento in spiaggia: avevano un’attrezzatura di tutto rispetto, gazebo, tavoli, panche e teglie e teglie di melanzane, pasta al forno, braciole (involtini, ovvero), dolci e damigiana di vino. Naturalmente alla fine cocomero…

Che tempi, amiche e amici, ero ancora nel fiore degli anni e senza problemi di digestione. La parabola è ormai in fase discendente: lo dimostra anche quello che mi accingo a intraprendere da stasera: balli tradizionali greci organizzati dall’Auser! Dopo di quello rimane solo il circolo delle bocce, non avendo nemmeno più un cane da pisciare. Da domani dunque potrete pure chiamarmi Zorba, e non proprio come Anthony Quinn, e forse nemmeno come il gatto che insegnò alla gabbianella a volare.

(Ma quante ne so? E soprattutto, quante ne fò?)  

Vi chiederete, e anch’io me lo chiedo: perché? Purtroppo un amico comune è caduto in depressione, e sembra che con questa cura vogliano impedire anche a me di prendere la stessa china. Queste premure mi commuovono, davvero. Vi saprò dire come è andata a finire… a presto!

Tre stelle per Olena – 21

Romagna e Sangiovese, sei sempre nel mio cuore
Quest’aria di paese ci invita a far l’amore
La briscola e il tresette, si gioca all’osteria
E col bicchiere in mano si canta in allegria

Nel salone delle feste di Villa Rana l’orchestra spettacolo “Bigio Corbatti e i Compagni di Merende” scalda l’atmosfera proponendo agli ospiti una selezione di classici del liscio; Bigio ha dovuto ingaggiare all’ultimo momento vecchie conoscenze come Kuz Guardatì alla tromba, Peter Petersen al clarinetto, Marco Cubillas al trombone, Walter Cotequinho al sax tenore, Dieguito Tiberito alla fisarmonica e Giorginho Torres al basso elettrico in sostituzione di un gruppetto di suoi musicisti colpiti da una fastidiosa intossicazione intestinale dopo aver partecipato alla Sagra del Mosto di Rosolini, in Sicilia, e osserva inquieto i nuovi arrivati sfoggiare folte parrucche, baffoni e basettoni anni ’70, camuffamento reso necessario a causa di piccole divergenze con l’Agenzia delle Entrate in merito a cartelle esattoriali non pagate. La procace cantante Luana, le cui qualità migliori non sono quelle canore, sgambetta mostrando generosamente le cosce forti, tenendosi a distanza di sicurezza dagli esperti orchestrali e specialmente dal loro alito che emana un inconfondibile odore di Varnelli¹. I tavoli sono quasi tutti pieni, come spesso accade quando c’è la possibilità di mangiare e bere a scrocco.
Gilda, fasciata in un abito rosso fuoco biodegradabile in fibra di mais disegnato dal giovane stilista Zibaldó, nome d’arte del recanatese Oreste Pertecaroni, batte impazientemente la manina sopra e il piedino sotto il tavolo.
«James, non sembra anche a te di essere sulla plancia, se plancia è la parola giusta, del Titanic? Qui si balla, ma sento che la catastrofe è vicina. E poi non mi sembra delicato, in fondo c’è stato un morto, è vero che si tratta di un presentatore ma era pur sempre una persona umana!» ragiona Gilda, preoccupata.
James, seduto di fianco alla Calva Tettuta, stacca gli occhi dalle spalle del maori Amaru Timu e annuisce comprensivo.
«Quando Natascia ha “suggerito” di allestire l’evento ho fatto presente che una festa sarebbe potuta sembrare, come dire, irrispettosa. Ma lei ha insistito» continua James, omettendo la parte in cui la russa aveva minacciato di ridurre a brandelli la sua collezione di pochette se non avesse smesso di discutere «e il maresciallo non ha avuto nulla da eccepire. Tra l’altro sono presenti dei suoi uomini, per rafforzare la sorveglianza»
«Speriamo bene, James. Ma Svengard dov’è finito, si può sapere? Spero non sia andato a spaccar legna come suo solito quando c’è qualche impegno mondano. Lo so che si annoia, poverino, ma qualche volta bisogna che inizi a sacrificarsi anche lui per la ditta. Oltre ai piaceri ci sono anche i doveri, non è vero James?» chiede Gilda in cerca di approvazione.
«Noblesse Oblige» conferma il maggiordomo, con un inchino partecipe.
«Il tuo latino è sempre rassicurante, caro. Non te l’ho mai chiesto, ma hai studiato in qualche collegio gestito da religiosi?»
«In effetti, signora» risponde James sorvolando sullo sbaglio di lingua «ho frequentato le superiori in un collegio di gesuiti. Ad un certo punto ho anche accarezzato l’idea di entrare in seminario»
«Non mi meraviglia, con la tonaca saresti stato magnificamente, avresti fatto un figurone con il tuo bel talare, ti vedo incensare attorniato da chierichetti con i boccoli biondi dispensando benedizioni. Anche da cardinale ti avrei visto bene, con una bella stola rossa, e poi chissà, chi avrebbe potuto porre limiti alla provvidenza? Dal rosso al bianco è un attimo. Un vero peccato!» commenta Gilda.
«La ringrazio, signora. Ma la mia vocazione non era abbastanza forte» risponde James con modestia, lasciandosi tuttavia sfuggire un sospiro al pensiero dei chierichetti dai boccoli biondi.
«James, sai che ti dico? Prima che mi si gonfino i piedi, facciamo un balletto. Tanto Svengard non è capace, e mi toccherebbe trascinarlo tutto il tempo. Miguel ha provato a dargli qualche lezione, ma non c’è stato niente da fare, un baccalà sarebbe meno rigido di lui. Non che io sia una che non apprezza la rigidezza, quando ci vuole, ma farmi schiacciare i piedi da un marcantonio di cento chili non mi alletta. Ah, ecco, sta arrivando Natascia. Sbrighiamoci a buttarci in pista, che non si sa mai cosa può succedere quando c’è lei nelle vicinanze. Come te la cavi con la mazurca, James?»
«Discretamente, signora. Anni or sono ricevetti un premio, alla Sagra del Cicciolo di Reggiolo»
«Ottimo James, spero che il tuo colesterolo non ne abbia risentito. Maestro?» grida Gilda, avanzando verso Bigio Corbatti sventolando un fazzoletto con il braccio alzato per richiamarne l’attenzione.
«Mo cosa possiamo fare per questa bëla burdëla²?» chiede il musicista, ammiccante.
«Burdela sarà tua sorella» risponde Gilda, equivocando. « Io sono la signora Rana, la padrona, quella che paga per capirci. E adesso vedi di darti da fare e dì a quello con l’organetto di attaccare la mazurca di Migliavacca. E non risparmiate sulle variazioni, eh? Che vi decurto il cachet e vi faccio pagare tutti gli spritz che si sono bevuti i tuoi amici capelloni»

¹ Liquore a base d’anice prodotto a Pievebovigliana e Muccia (MC), ideale come cicchetto nel caffè.
² Bella ragazza.

Famose du’ spaghi (Cronachette dall’ex zoccolo duro)

Amiche e amici,

il weekend lungo è stato uggioso, tempo brutto anche se non così brutto come in Sicilia dove ci sono stati allagamenti e morti; il clima cambia ed ogni volta che piove ormai c’è da farsi il segno della croce e sperare che non succeda qualche disastro.

Per fortuna i 20 “grandi della terra” si sono riuniti a Roma per dire finalmente basta e cambiare rotta. Ah, no, dite? In effetti sembra anche a me che gli impegni siano un po’ vaghi (mantenimento dell’aumento del  riscaldamento sotto 1,5 gradi, e azzeramento delle emissioni da metà secolo: di quale secolo però non si sa). Greta ha ragione a parlare di bla-bla, di questo passo diventerà vecchia anche lei prima di vedere qualche cambiamento. Il clima amichevole si è notato anche dal fatto che i consorti sono stati portati in giro per Roma a fare i turisti ed a mangiare (pajata e coratella: mortacci loro, e io pago direbbe Totò). Draghi ha stretto la mano ad Erdogan, dopo averlo definito “dittatore con cui bisogna dialogare”, Macron e Biden hanno fatto la pace dopo che gli Usa hanno fottuto alla Francia una commessa da 5 miliardi di dollari per la fornitura di sottomarini atomici all’Australia, già firmata; una nota di colore è stata portata da una rappresentante degli indigeni dell’amazzonia in costume tipico (era necessario? Che siamo, al circo?) che si è rivolta con accenti toccanti ai convenuti, anche a quel Bolsonaro che si è distinto per lungimiranza consentendo la deforestazione di una bella fetta di territorio, ed ora si è impegnato a fermarla ed a ripiantare gli alberi. E daje a ride! Si è notata la presenza di quegli squisiti democratici dei sauditi, Boris Jonhson in vista della riunione in Scozia del Cop26 ha scimmiottato Greta dicendo che è l’ora di finirsela con i bla bla. Naturalmente tra qualche anno altri rappresentanti diranno le stesse cose, tanto la gente ha la memoria corta. E poi diciamocelo chiaramente: ma siamo sicuri di voler cambiare rotta? Si tratta di consumare meno, di sprecare meno risorse, di richiedere meno energia: non mi pare che su questo i governati siano tanto meglio dei governanti. Leggevo l’altro giorno che per produrre i bitcoin, la criptovaluta, il consumo annualizzato è di 97 terawattora, una quantità simile a quella necessaria alle intere Filippine. Per i bitcoin, vi rendete conto? Cioè per far fare soldi a chi già ne ha. Però poi si protesta per il reddito di cittadinanza, ovvero se si dà un aiuto a chi è in difficoltà (se qualcuno mi dimostra che col reddito di cittadinanza si diventa ricchi gli regalo un bitcoin. Anzi, al prezzo a cui sono arrivati un millesimo di bitcoin). Comunque tranquilli, si parla ora di bitcoin “verdi”, cioè usare energia pulita per produrli. Cioè, mica per cambiare il sistema di trasporti pubblici, per eliminare il carbone, no, per produrre i bitcoin. Ditemi se non siamo matti…

Ho sentito una rappresentante delle Barbados arrabbiata, in pratica ha detto che ce ne fottiamo se la sua terra si sta sommergendo, come le altre isole delle Antille, e la gente è costretta a scappare: e non è vero, forse? Forse si farà qualcosa quando non ci si potrà più andare in vacanza.

Temo che l’approccio sia sbagliato; forse si sta chiedendo in modo troppo educato, forse non bisogna proprio chiedere, e lo dico ai ragazzi perché se aspettano noi campa cavallo, dovete pigliarvelo. Fateci fuori… altro che vaccinare i giovani per salvare i vecchi! Ma dovete sterminarci, altro che salvarci. Noi siamo il problema, non potremo mai essere la soluzione. Certo, poi diventerete vecchi pure voi, ma noi non ci saremo, come dicevano i Nomadi.

Stamattina sono andato a cambiare le gomme dell’auto, nella sala d’aspetto c’era un bel calendario di quelli da officina, devo dire anche elegante, quasi quasi volevo fregarglielo. Adesso spero che non torni il caldo subito se no le gomme termiche andranno a pallino!

Avete sentito del bonus terme? Contributo fino a duecento euro per cure termali, a pioggia, senza nessun controllo sul reddito Isee. Cioè, reddito di cittadinanza no e terme sì? Ma in che paese viviamo?

Il prete della mia parrocchia, con cui sono in ottimo rapporto, ogni volta che mi vede mi dice “coraggio”. Comincia a essere fastidioso, ma sostiene che mi vede abulico, senza energia. A parte che magari ho qualche preoccupazione in più di lui, in effetti non ho voglia di far niente, qualcuno dice che è long Covid, qualcuno che mi imminchio troppo con politica e cronaca, qualcuno che devo smetterla di pensare alla pensione e che dovrei invece farmi un po’ di più i fatti miei. E allora detto fatto, amiche e amici: ottimismo, ho prenotato già la vacanza per l’anno prossimo e un viaggio a Roma imminente. E che, la pajata devono mangiarla solo i potenti?

A presto!

Il riscaldamento climatico ha i suoi vantaggi