Quello di fratello maggiore è un mestiere impegnativo. Vi si accede senza meriti particolari, ma non tutti possono intraprenderlo; il requisito indispensabile credo lo sappiate è quello, tra almeno due fratelli, di essere nato per primo. In tempi civili ad esso era riservato il patrimonio della famiglia, mentre i cadetti venivano mandati a fare i militari e le sorelle le monache; a dire la verità ho appreso recentemente che i punici usavano immolare i loro primogeniti a non so quale divinità, al che nonostante l’ ammirazione per Annibale di cui vi ho già parlato mi sono sinceramente rallegrato per la vittoria dei Romani. Non mi è ben chiaro se il sacrificio rappresentasse un estremo segno di devozione oppure si tendesse ad una selezione eugenetica del tipo “va bè, questo è venuto così così, la volta prossima vedremo di fare meglio”.
Il fratello maggiore viene sottoposto ad una educazione particolare. Finché rimane solo, e la condizione può durare solo qualche mese nel qual caso non può essere apprezzata appieno oppure qualche annetto ed allora si avrà tempo di crogiolarvisi, è ricoperto da ogni sorta di attenzioni. Genitori, nonni, zii, sono tutti per lui: figurarsi poi quando è anche il primo nipote. AI miei tempi comunque si era molto più sobri di adesso, persino nelle effusioni: difficilmente avreste visto nonni o babbi baciare nipoti e figli maschi, se non in partenza o di ritorno da un viaggio. Poi, quando il bambino si è convinto di essere al centro del mondo, arriva la domanda: “Non ti piacerebbe avere un fratellino (/sorellina)?”.
A proposito di centro del mondo, i moderni sistemi educativi non mi convincono. Una volta la prima cosa che si insegnava ai bambini era che, quando parlavano i grandi, bisognava stare zitti. E che, quando si riceveva un ordine, bisognava eseguirlo senza indugi. La domanda “perché?” non aveva bisogno di ricevere spiegazioni che partissero dalla teoria della relatività o dal big bang. La risposta era: “perché si” o “perché no” e se si insisteva sull’argomento lo si faceva a proprio rischio e pericolo. Insomma, i bambini erano trattati da bambini; provo una sensazione di disagio quando al ristorante genitori affannati cercano di inculcare al loro pargolo urlante le proprietà benefiche dei cavolfiori: o gli prendete le patatine fritte e la finite lì, o se proprio volete prendergli i cavolfiori non cercate di convincerlo, un “mangia e zitto” basta e avanza.
Lì per lì la domanda fratellino vs. sorellina sembrerebbe innocua, ma lascia sempre frastornato il ricevente. Innanzitutto fratellino o sorellina non è che siano proprio la stessa cosa. Pur non avendo ben presenti le differenze anatomiche, intuivo che a breve termine con l’uno avrei potuto giocare a pallone o ai cowboys, mentre con l’altra sarei finito a pettinare le bambole; la bilancia sembrava quindi pendere verso il primo, ma d’altro canto avevo anche un bellissimo bambolotto, del quale non ricordo il nome ma solo che quando traslocammo nelle nuove case popolari me ne rimase solo la testa, per cui condividerne la pettinatura non mi avrebbe pesato più di tanto.
In realtà, bisognava essere pronti a tutto. Non c’erano le ecografie a svelare anzitempo il sesso del nascituro; ci si basava su forma o altezza della pancia, o la posizione della luna durante il concepimento: previsioni basate su rilevazioni empiriche e soggette ad elevati margini di errore.
Così, un bel giorno, divenni il fratello maggiore, o grande come si dice da noi, di mia sorella. Che era bellissima, e non parlo a vanvera ma ci sono prove fotografiche che lo dimostrano. Secondo mia zia Emanuelita (omaggio di nonno Gaetano a Vittorio Emanuele III imperatore d’Etiopia nonché Re di Italia e Albania) si sarebbe dovuta chiamare Maria Stella; alla lunga credo che Cinzia sia stato più appropriato.
Iniziò così la mia carriera di fratello grande che si impennò nei seguenti cinque anni, quando arrivarono a distanza più o meno regolare altri due pargoletti. Mi sembra istruttivo, per i futuri fratelli maggiori, dare alcune indicazioni sul come poter minare la fiducia che i minori ripongono in loro in modo da liberarsi da ogni responsabilità; ed è ciò che farò nel prossimo racconto ma avvertendovi fin d’ora che io ci ho provato, ma finora non ci sono riuscito.
(58. continua)