L’uomo che reggeva l’ombrellone (III)

Ed eccoci arrivati amiche e amici all’ultima puntata di questo mini diario. Gli ultimi giorni li abbiamo passati a Bosa, che è una cartolina più che un paese; credo sia l’unico paese della Sardegna che è lambito da un fiume, il Temo (a proposito: la Sardegna è piena di acqua, con tante falde sotterranee e, anche se la siccità si fa sentire, finora sembra reggere); le sue case colorate arrampicate su per la collina sono pittoresche anche se ormai poco abitate. E’ sovrastata da un castello dai cui camminamenti si gode il panorama sottostante: chiude alle 19, noi siamo andati alle 18 con un caldo micidiale rischiando il collasso. La sera i negozi sono tutti chiusi, tranne bar e ristoranti; segnalo un bistrot lungo la strada principale dove ho preso un tagliere di affettati che non sono riusciti a finire, compatito dalla cameriera. La spiaggia vicina, Bosa Marina, è di sabbia ferrosa che nelle ore più calde si arroventa ed è impossibile camminarci sopra senza ciabatte. Le cale più pittoresche sono a pochi minuti e ci si arriva solo a piedi; noi ci siamo limitati a guardarle dall’alto perché solo il pensiero di affrontare la discesa e la conseguente risalita ce l’ha sconsigliato. Belle, ma non fanno per noi. Mentre invece è accessibile, a qualche chilometro verso Alghero, la spiaggia di S’Abba Drucche; la spiaggia (in realtà due) è libera, ma in loco si possono noleggiare lettini. L’ombrellone ce l’avevo; l’avevo comprato prima della partenza dopo attenta ricerca, robusto e leggero; mi ero anche munito di trivella per scavare nella sabbia per piazzarlo; mi sono dimenticato però la cosa più importante: la corda. Infatti, per quanto l’ombrellone sia fissato bene, quando tira il maestrale c’è sempre il rischio che ve lo faccia volare via ed infatti i più esperti (quasi tutti a dire la verità) lo ancorano con una o più corde legate a dei picchetti piantati nella sabbia. In mancanza di corda quindi il vostro cronista stringeva con la mano sinistra, con molta eleganza direi, il palo dell’ombrellone, ma ad un certo punto mi sono dovuto arrendere e l’ho chiuso; da quel momento ho preso il sole (si fa per dire) disteso sul lettino ma ricoperto da maglietta e asciugamano.

Come sapete, amiche e amici, il sole può essere un grande amico ma anche un grande nemico: fa bene alle ossa ma può fare molto male alla pelle, specie se di carnagione chiara e se preso nelle ore più calde. Dopo questa piccola informazione medica dirò che la mia pelle, sebbene tenda a diventare presto scura, è meglio che sia riparata. Da giovane entravo e uscivo dall’acqua, l’ombrellone era roba per effeminati e diventavo nero come un tizzone: probabilmente ora il corpo mi sta porgendo il conto, non voglio sfidarlo troppo.

A pochi minuti da Bosa c’è un paesino, Tinnura, famoso per i murales disegnati sulle case; ce ne sono un centinaio, e riportano scene di vita contadina del passato. Qui abbiamo incontrato (quanto è piccolo il mondo!) nell’unico negozietto aperto, un ceramista che ha lavorato per anni a Cantù e conosceva benissimo la zona dove abitiamo, forse meglio di noi. Siccome ha lavorato anche per dei mobilieri (Cantù è la patria del mobile d’arte) abbiamo parlato delle ripercussioni dell’embargo alla Russia sugli ordinativi; lui sosteneva che non incide molto perché gran parte di quei mobili li acquistano gli arabi, e per prezzi stratosferici rispetto al reale valore. Insomma, è una questione di prestigio: se li paghi poco vuol dire che valgono poco… così sedie da 700 euro vengono vendute a 5000, e quelli pagano senza battere ciglio. Tanto poi basta che aumentino un po’ il prezzo del petrolio…

La proprietaria del b&b dove abbiamo alloggiato, una persona davvero squisita, più o meno della nostra età, ci ha raccontato di non essere proprio sarda. O meglio, è figlia di genitori sardi, ma emigrati in Belgio perché il papà lavorava in miniera; lei è nata là, ed ha imparato a parlare solo il sardo (che è una vera e propria lingua, anche se diversa da zona a zona) ed il fiammingo. Tornava a Bosa solo d’estate, per le ferie, e alloggiavano appunto in una delle case colorate; ma poi il padre si è ammalato di silicosi e sono dovuti tornare: lei aveva già finito le medie, e non conosceva l’italiano! Così ha dovuto ripetere la terza media (due volte, perché aveva una professoressa che voleva darle le basi giuste: e ce l’ha fatta, perché poi la signora si è anche diplomata). Giusto per farsi un’idea dell’epoca, sua madre era l’ultima di dieci figli, e lei l’ultima di cinque.

L’ultimo giorno, prima di riprendere il traghetto, siamo passati ad Alghero, che avevamo già visitato l’altra volta ed è sempre carina e piena di movimento. Alghero è stata fondata dai catalani e la lingua assomiglia al catalano. Abbiamo comprato qualche regalino ed ovviamente una bottiglia di mirto che berrò alla vostra salute.

Al ritorno, in attesa della partenza, dal traghetto si vedevano i preparativi per un concerto di Ivana Spagna. Ne avevo perso le tracce, nonostante abiti proprio a Como. Avrei voluto fare il cambio di cuccetta ma il prezzo era troppo alto e quindi mi sono rassegnato al letto a castello: vi dico solo che la prima volta che sono salito mi è preso un crampo al piede e poi non sapevo come scendere. Ho accarezzato l’idea di mettere il materasso per terra ma poi l’orgoglio ha vinto. Nella notte sono sceso quattro volte (colpa del Vermentino) e l’ultima volta posso dire che l’uomo scimmia sarebbe stato orgoglioso di me, se non fosse che in quel momento indossavo una delle magliette di mia moglie, dato che le mie erano tutte sudate. Infatti di solito nelle cabine c’è un freddo polare, stavolta invece o non funzionava l’aria condizionata oppure il caldo saliva in alto, mi sono dovuto cambiare più volte. Avevo promesso ad una cara lettrice di postare la foto, ma è troppo compromettente.

E’ finita, amiche e amici! Spero di non avervi annoiato troppo. Adesso ho ancora qualche giorno di relax, andrò al paesello a festeggiare insieme ai miei fratelli la nostra mamma che tra qualche giorno compie 87 anni ed a salutare parenti e amici superstiti. Al ritorno mi aspetta Olena impaziente, che ha voglia di andare in vacanza anche lei!

A presto!

L’uomo che reggeva l’ombrellone (II)

Da Stintino è molto bello partire per un tour dell’Asinara (Stintino è stata fondata dagli abitanti dell’Asinara che sono stati cacciati perché l’isola diventasse un carcere, e tale è rimasta fino a poco tempo fa; nel carcere di massima sicurezza fino a qualche decennio fa erano rinchiusi terroristi e mafiosi). La gita noi l’avevamo già fatta, ma a chi non ci fosse stato la consiglio per il valore storico e naturalistico (oltreché per le spiagge). A Stintino c’era anche una tonnara, e c’è un museo ad essa dedicato. Era una vita dura! Tra l’altro si trovava in località Le Saline, dove si trova una bella spiaggia; purtroppo però quando siamo andati noi era piena di posidonia (a causa del caldo, ci ha detto la gestrice del chiosco) e l’odore delle alghe in putrefazione non era proprio delicato. Gli stagni retrostanti ospitano colonie di uccelli migratori che vi si riproducono, ed ho visto con i miei occhi gente attrezzata con ciabatte, costume e binocolo per osservarli. De gustibus eccetera eccetera… io sinceramente al mare osservo altro, finché almeno guardare è consentito..

Un passetto indietro: in Sardegna siamo andati in traghetto, da Genova a Porto Torres. Ho prenotato in ottobre ed ho risparmiato molto; a quel tempo pensavo che a luglio non ci sarebbe più stato problema di Covid e invece ci siamo ancora dentro forse più di prima. Sul traghetto la regola della mascherina era rispettata quasi totalmente, ma in quanto a distanziamenti e pulizia (specialmente la disinfettazione dei tavoli, e questo l’ho notato anche nei bar e nei ristoranti) ormai siamo al liberi tutti. Ora degli amici mi dicono che un biglietto costa anche 800 euro, mi sembra un’enormità. Però confesso di aver fatto una cavolata: nell’euforia della corsa allo sconto non mi sono accorto di aver prenotato una cuccetta con letti a castello, e naturalmente il posto di sopra è toccato a me (al ritorno, perché all’andata ho fatto il cambio cabina con un piccolo sovrapprezzo). Ma delle evoluzioni ginniche vi racconterò più in là.

Cabras.

Da Stintino ci siamo spostati a Cabras, cittadina famosa per la bottarga di muggine; oltre questo non ha molte attrattive ma è strategica per recarsi alle spiagge della penisola del Sinis; noi siamo stati a Maimoni e Mari Ermi (a me è piaciuta più la prima anche se la seconda è quella più famosa dopo Is Arutas); il primo giorno invece ci eravamo fermati a Marina di Torre Grande, abbastanza anonima. L’Oristanese è ricco di storia e di vestigia storiche e archeologiche: abbiamo visitato i resti di Tharros, città punica e poi romana (ultima visita alle 17:15: a momenti ci lascio le penne dal caldo…), il nuraghe Losa, il pozzo di Santa Cristina con il villaggio nuragico, stiamo parlando dell’età del bronzo, almeno 1500 anni prima di Cristo… Diversi luoghi sono incustoditi, considerando che in tutta la Sardegna ci sono 9-10.000 nuraghi è difficile sorvegliarli tutti. La particolarità di Cabras è che si affaccia su uno stagno, l’attività principale della gente infatti fino a poco tempo fa era quella della pesca; pesca regolata con metodi autoritari, con zone di pesca tramandate da famiglia a famiglia e con regole che spesso venivano fatte rispettare con metodi molto spicci. L’ultimo di questi capi è sparito (fatto sparire) e non se ne è saputo più niente, si ipotizza sia stato ucciso e dato in pasto ai maiali. E poi dicono che la pesca rilassa i nervi! Poco lontano segnalo, sempre per appassionati di uccelli, che c’è lo stagno di Mistras dove passano i fenicotteri rosa.

I gestori del b&b che ci ha ospitato si sono inventati questa attività dopo essere stati entrambi licenziati. Lavoravano per la Provincia, anzi per un ente partecipato dalla Provincia; in questo paese strano che è l’Italia siamo andati avanti fino agli anni ’90 con le stesse province che c’erano dall’unità d’Italia o quasi; poi ad un certo punto sono cresciute in maniera esponenziale, seguendo la moda leghista del federalismo ad cazzum, e infine ci si è accorti che erano carrozzoni improduttivi. La cosa strana è che sono ancora lì, anche se non si sa quali sono le competenze: le strade provinciali fanno pena quindi amici cari (dico a quelli che verranno eletti nel prossimo parlamento dato che da questo ormai non c’è da aspettarsi più niente di buono) o le togliete per bene o le rimettete (quelle originarie però, non quelle farlocche aggiunte dopo). E soprattutto, si può lasciare sulla strada da un momento all’altro intere famiglie? Comunque i due si sono rimboccati le maniche ed hanno creato proprio una bella struttura, chi fosse interessato me lo dica e gli farò avere i riferimenti.

 Ovviamente è obbligatorio farsi un piatto di spaghetti alla bottarga.

A proposito di bottarga, Nancy Pelosi, la speaker democratica della Camera Usa, è appena andata a sfruculiare i cinesi andando in visita a Taiwan; è buffo che i nostri media hanno riportato che “caccia cinesi hanno violato lo spazio aereo taiwanese” sorvolando sul fatto che per la Cina (e per quasi tutto il resto del mondo) Taiwan è una provincia della Cina. Taiwan che è uno dei massimi costruttori di semiconduttori, che fornisce per la maggior parte agli Usa; peccato però che la sabbia al silicio la prenda dalla Cina ed ora la Cina ha deciso di non dargliela più. E adesso con che cosa ve li farete i vostri semiconduttori? Quindi, riepilogando, questi pazzi che governano il mondo ci hanno apparecchiato una crisi delle materie prime (già prima della guerra in Ucraina), poi una crisi delle fonti energetiche (approfittando della guerra in Ucraina), ed ora una bella crisi dei semiconduttori (i cui prezzi erano già alle stelle, grazie ai bitcoin). Per fare un dispetto a chi, alla Russia? Mi pare quello sposo che per fare dispetto alla moglie si taglia gli zebedei.

Adesso amiche e amici voi lascio, vado a preparare una bella marmitta di pasta fredda, con pomodorini fiori di cappero olive nere e tonno. Seguirà pennichella. A presto con la continuazione!

Se in qualche stagno avvistate questo tipo di fenicottero attrezzatevi di binocolo!

L’uomo che reggeva l’ombrellone (I)

Amiche e amici,

sono purtroppo tornato da questa vacanzina in Sardegna, dove per dieci giorni non ho voluto sapere niente di quello che succedeva per il mondo, ristorato e sollevato. Sollevato perché quando sono partito il governo dei Migliori era ancora in bilico e gli aruspici in caso di caduta pronosticavano piaghe d’Egitto con inondazioni e moria delle vacche, e invece niente di tutto ciò si è verificato, anzi: addirittura il prezzo della benzina è calato e la borsa, dopo un primo momento di assestamento, è in crescita. Perfino il temibile spread è in calo! Mi viene un dubbio: che alla fine il governo non ci serva affatto?

Sono stati, come ci si aspetta in Sardegna, giorni di sole e mare, molto caldi tranne gli ultimi quando in tarda mattinata iniziava a soffiare il maestrale. Abbiamo girato la parte nord-occidentale, con Stintino, Bosa, Cabras e le spiagge del Sinis; non starò a elencare le bellezze di questi luoghi perché sono famosi in tutto il mondo e comunque basta fare qualche ricerchina per trovare guide molto più brave di me. Darò solo qualche impressione, qualche consiglio, riporterò qualche storia che mi ha colpito.

La Pelosa.

La spiaggia più famosa di Stintino si chiama La Pelosa, nome decisamente accattivante come quello della attigua Pelosetta ma che non c’entra niente con quello che i più maliziosi di voi penseranno. E’ una vera piscina naturale che ha poco da invidiare alle spiagge tropicali; per evitare iper-affollamento l’accesso è a numero chiuso e bisogna prenotarlo on-line (3,5€ al giorno a persona). E’ vietato portar via la sabbia e se si viene beccati a farlo si prende una multa molto salata; il parcheggio è parecchio costoso ed i controllori molto pignoli: io avevo sforato l’orario di tre minuti e mi hanno fatto pagare un’ora in più.

Non si vive di solo pane carasau

A proposito di Pelosa e Pelosetta, le ex ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna hanno abbandonato Berlusconi, artefice di tutte le loro fortune, per salire sul carro (o carretto) parecchio sopravvalutato, a parer mio, di Calenda, che si presenta con il suo partitino Azione nello schieramento del cosiddetto centro-sinistra dove non si capisce quale sia la sinistra. Auguri ad entrambe, ma non aspettatevi cene eleganti da quelle parti…

Stintino, rispetto alle altre cittadine dove abbiamo fatto tappa, la sera è più viva, ci sono diversi negozietti aperti ed anche una libreria: qui ho acquistato il bel libro di Luca Telesa “La scorta di Enrico”, la storia degli uomini che vennero scelti per proteggere Berlinguer , il rimpianto _ almeno da me anche se comunista non sono mai stato _ segretario del Partito Comunista Italiano, l’integerrimo sassarese, fino alla morte sul fatale palco di Padova, nell’84. Storie di uomini, e di tutta un’epoca; si intrecciano i racconti di quelli più anziani, che avevano l’età di mio padre ed avevano visto la guerra e combattuto nella resistenza ai nazifascisti  e di quelli più giovani, che avrebbero potuto essere miei fratelli maggiori. Li univa la convinzione incrollabile di contribuire a realizzare un mondo migliore e, se non altro, ci provarono. Confesso di essermi commosso e su qualche pagina di aver pianto: nostalgia, o forse tristezza nel confrontare la statura di certe personalità con i protagonisti di oggi.

Ma perbacco, mi sono accorto ora di aver divagato e di non aver raccontato quasi niente della vacanza: ci vorrà un’altra puntata, o forse due. A presto!

Pelosa o Pelosetta? Non saprei. Comunque si chiama Daniay Sharipova ed è del Tatarstan.

Cronachette dal paese dei migliori (13)

Amiche e amici, torno dalla breve vacanza veneziana ritemprato e dolorante: ritemprato perché ho sgombrato la testa dalle nuvole fosche che vi si stavano addensando, e dolorante perché ho camminato probabilmente troppo e mi fa male un’anca, oltre ad essermi sgarbellato un dito mettendo il trolley nella rastrelliera dell’Italo, per fortuna al viaggio di ritorno.

Girare Venezia senza la folla di turisti è bellissimo, quasi irreale: non so quanto tempo passerà ancora prima di vedere Piazza San Marco semivuota come era venerdì, forse ci vorrà un’altra pandemia. Già sabato e specialmente domenica l’affluenza era aumentata, quasi tutti italiani ma anche qualche straniero, in prevalenza tedesco. Anche a Como, leggevo oggi sul giornale locale, sono tornati i tedeschi: il tassista che ci ha portati a casa ieri sera dalla stazione minimizzava e poi si lamentava che i tedeschi spendono poco, insomma amico contentati, anche loro hanno avuto i loro problemi mi pare…

A Venezia ero stato diverse altre volte ma mai per più di un giorno e confesso che ero andato poco oltre i luoghi canonici come Piazza San Marco, il Palazzo Ducale, il ponte dei Sospiri ed il ponte di Rialto; tra l’altro c’ero stato un paio di volte in occasione della regata storica e non si riusciva nemmeno a camminare, mentre la primissima volta ero stato insieme al mio coinquilino siculo di Parma per il Carnevale: e incredibile tra le migliaia di persone presenti, fatti pochi passi fuori dalla stazione incontro una ragazza del mio paese, sorella di un mio caro amico, che era a Venezia a studiare architettura: fenomeni paranormali, serendipity, non so. Fatto sta che ci siamo dati appuntamento al pomeriggio, avrebbe dovuto portare un’amica ma non ci siamo più visti.

L’albergo era in posizione strategica, tra Piazza San Marco e Rialto, comodo per ogni spostamento, sia a piedi che ovviamente con il vaporetto. Che costicchia, ma è indispensabile e comunque il biglietto cumulativo si ripaga dopo pochi viaggi. Il distanziamento è aleatorio, viene fatto un controllo sul numero massimo (ridotto rispetto ai tempi normali ma pur sempre notevole). Certo che una volta quando a Venezia si parlava di maschere si pensava a tutt’altro… Sabato sera assembramenti a Rialto, ma non li posso biasimare perché sicuramente se avessi avuto venti anni e con tutte quelle ragazze intorno mi sarei assembrato anch’io.

Abbiamo visitato con tutta calma S.Maria della Salute, San Giorgio con il Campanile con visuale su tutta Venezia, Burano e Murano (Burano splendida con le sue casette colorate, sembra di essere a Copenaghen o forse viceversa); certo questi non vedono l’ora che si riempia di nuovo perché campano con i turisti, ma egoisticamente io sono stato molto contento di camminare senza essere spintonato.  A San Marco, che avevamo visitato in passato abbastanza bene, siamo entrati solo per ammirare la Pala d’Oro; l’arte ha avuto una buona parte con la Scuola Grande di S.Rocco con le sessanta tele del  Tintoretto e le Gallerie dell’Accademia, dove mi ha colpito il ciclo restaurato di S.Orsola. Ma naturalmente questa per me era solo una scusa: quello che cercavo era solo camminare all’aria aperta, mangiare e godere di altre attività ricreative sacrificate ai lockdown. L’aria aperta mi ha fatto bene, il colore bianco smart-working si è un po’ attenuato; per pranzare e  cenare abbiamo trovato diversi posticini dove mangiar bene senza svenarsi e per le altre attività non mi posso lamentare. I ristoranti erano abbastanza pieni; sabato ho fatto fatica a prenotare, ho richiamato anche quello dove eravamo stati il giorno prima che mi ha detto che all’esterno era tutto pieno però se avevo la partita Iva mi poteva far mangiare all’interno, facendo una specie di contratto di somministrazione. Io la partita Iva l’avrei ma mi è sembrato un po’ esagerato, considerato poi che da domani si potrà mangiare dentro; comunque siccome la sera minacciava pioggia (che non ha fatto) in un’altro ristorante ho chiesto di mangiar dentro e non hanno fatto un plissé, avranno applicato le regole della Repubblica Serenissima?

Rombo di 1,2 kg al forno con patate, pomodorini e olive taggiasche. Altro che Pfizer!

Mia moglie avrebbe voluto visitare la Biennale di Architettura ma non me la sono sentita; siamo arrivati solo fino all’Arsenale, dove c’è il Salone della Nautica, senza però entrare.  Una visita strana, perché casuale, è stata invece alla Chiesa di San Giovanni Battista dei Cavalieri di Malta o San Giovanni dei Furlani, dove il custode vedendoci avvicinare ci ha invitati ad entrare e ci ha raccontato tutta la storia. I Cavalieri di Malta avevano moltissimi possedimenti lì intorno, Napoleone glieli ha portavi via (non senza ragioni) ed una parte è poi ritornata. Contiene una bella pala d’altare di Giovanni Gentile recentemente restaurata (curiosità: siccome l’opera è ora dello Stato Italiano che l’ha data in usufrutto perpetuo ai Cavalieri di Malta il restauro si è dovuto fare completamente dentro il priorato).

Quando lavoravo per una ditta di Padova il fratello di un mio collega aveva abbandonato un posto fisso per mettersi a fare il gondoliere: chissà se l’avrà rimpianto in questo anno?

Abbiamo viaggiato con Italo, puntualissimo sia all’andata che al ritorno; il distanziamento viene mantenuto bene, le coppie o le famiglie possono viaggiare insieme facendo il biglietto apposito. Sul treno locale che ci ha riportato da Milano a Como una scena indicativa dei tempi: una signora continuava a tossire, ed un ragazzo che le sedeva davanti ad un certo punto si è alzato e l’ha giustamente apostrofata, dicendole di mettersi almeno le mani davanti alla bocca.

Ed eccoci qua, amiche e amici, ritornati al tran tran: domani avrà le sue pene, ma intanto questi giorni ce li siamo goduti. A presto!

E la mascherina?

Marsala all’uovo!

Cronachette della fase tre (30-31 agosto)

Durante questo weekend avrei voluto scrivere un po’ ma invece mi sono immerso nella lettura di un bel libro, “I leoni di Sicilia”, la saga della famiglia Florio, quella del marsala e della Targa Florio per capirci, un racconto che parte dalla fine del Settecento attraversando la storia della Sicilia e del mondo. Era da un bel pezzo che non leggevo così di gusto, sarà un buon segno?

Leggendo ripensavo a quando siamo stati  nella parte occidentale della Sicilia, qualche anno fa, girando per Trapani, Erice, Mazara del Vallo, Marsala, le Egadi… a Favignana abbiamo visitato la vecchia tonnara Florio, ora museo, in una interessantissima visita guidata dove ci sono state spiegate tutte le fasi della mattanza e  della lavorazione del tonno fino alla messa sott’olio e l’inscatolazione. La mattanza era una pesca senz’altro cruenta, ma aveva una sua nobiltà ed a suo modo salvaguardava la continuazione della specie; le navi di alto mare (giapponesi, anche: che cavolo vengono a fare fino qua?) che pescano a strascico non risparmiando nemmeno le altre specie sono migliori solo perché non spargono sangue? Non mi pare.

Il mio interesse principale, a Marsala, più che lo sbarco di Garibaldi era ovviamente quello di visitare le cantine Florio; obiettivo fallito miseramente perché mi sono presentato di sabato, quando gli stabilimenti sono chiusi: un fallimento che ancora mi brucia. Anche perché al marsala è legato un ricordo dell’infanzia: al mio paese infatti in un Sali e Tabacchi che faceva anche da merceria c’era la titolare Chicchina, che io ricordo da sempre anziana e burbera con una crocchia di capelli grigi in testa, che teneva le bottiglie nel retrobottega che era diviso dal negozio da una tenda di stoffa, e le malelingue dicevano che non disdegnasse di appartarsi ogni tanto per farsi un bicchierino di marsala all’uovo magari in compagnia di qualche estimatore delle virtù corroboranti della bevanda.

A proposito di Sali e Tabacchi, una volta vendevano anche i francobolli: adesso non è detto, e infatti è diventato difficile anche spedire una cartolina.

Paesaggi da cartolina come quelli che si possono godere in Val Chiavenna, Valtellina, dov’ero stato prima di ritornare al lavoro: ad esempio le Cascate dell’Acquafraggia, a Borgonuovo di Piuro, certo non a livello delle Cascate delle Marmore appena viste ma spettacolari e soprattutto accessibili gratis ed infatti sulle rive del fiume Mera e nei prati sottostanti un sacco di persone prendevano il sole, si bagnavano e stendevano tovaglie per i picnic. Noi non eravamo attrezzati e quindi abbiamo prenotato al non distante Crotto del Belvedere (notate che era venerdì ed era tutto pieno, per riprendere il discorso sulla crisi…). Antipasto di bresaola (anzi brisaola, come dicono lì) e sciàtt, e poi ovviamente pizzoccheri, piatto estivo per eccellenza. Il mio colesterolo ha fatto salti di gioia ed anch’io; la sala dove ci hanno ospitati era accogliente e soprattutto aveva una bella vista.

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Sotto al locale è possibile visitare il vecchio crotto, ovvero la grotta dove erano tenuti (e ancora vengono tenuti) il vino ed i salumi a stagionare. Una frescura deliziosa, piacevolissima dopo la grappa alle erbe offerta dal gestore. Nel pomeriggio siamo andati a visitare Palazzo Vertemate Franchi, a Piuro, una dimora del ‘500 con un bel giardino ed un castagneto; sono ammesse solo visite guidate che bisogna prenotare, ma ne vale la pena. Come tutte le dimore antiche anche su questa sono state costruite delle leggende, una è quella che tutte le donne debbano fare una riverenza al  ritratto del vecchio proprietario, altrimenti il fantasma andrà a infastidirle…

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La dimora ha una lunga storia, perché in origine era solo una dependance, il Palazzo nobile di trovava in paese, che allora si chiamava Belforte ma venne spazzato via da una frana che seppellì l’intero abitato uccidendo quasi tutta la popolazione.

Dopo la visita ci siamo diretti a Chiavenna, alla Collegiata di S.Lorenzo, per un saluto a suor Maria Laura Mainetti, la suora uccisa ormai 20 anni fa da tre ragazzine (16 e 17 anni…) che nella loro mente offuscata intendevano compiere un rito satanico. Se Satana esiste non ha certo vinto: le ragazze si sono distrutte la vita, e la suora verrà beatificata l’anno prossimo…

Da Chiavenna partono diverse passeggiate, qualcuna alla portata di tutti e qualcuna più impegnativa; bisognerà assolutamente tornare, anche perché l’altra specialità, gli gnocchetti (non pensate a quelli di patate: sono fatti di acqua e farina, e conditi con burro, bitto o casera _ o entrambi_), non li abbiamo assaggiati.

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Certo, a questo punto mi direte “e grazie al cavolo che ti viene mal di stomaco se pensi sempre a mangiare”, in realtà non sareste originali perché è la stessa cosa che mi dice sempre mia moglie, ma dico io altrimenti come si fa a sopravvivere alle notizie che ci bombardano? Referendum si/no; apertura delle scuole si/no; Lukaschenko che in Bielorussia ha appena vinto le elezioni con l’80% ma è un dittatore e che vi devo dire, se la democrazia che vogliono questi oppositori è la stessa che si è trovata la Russia quando è caduta l’Unione Sovietica, con Eltsin e la sua cricca che hanno depredato tutto il depredabile, non penso che ne potrà venire niente di buono per i bielorussi; Erdogan invece è nostro amico, tanto che facciamo le esercitazioni navali insieme a Grecia, Cipro e Francia per non farlo allargare ancora di più nel Mediterraneo, però non è un dittatore ma un  “importante partner”, tra l’altro non solo ha riaperto come moschea Santa Sofia, ma anche l’altro gioiello che è San Salvatore in Chora _ per fortuna ho fatto in tempo a visitarle entrambe prima che il nazional-islamismo prendesse il sopravvento_ ; in Germania i “no-mask” (una volta si chiamavano nazi) danno l’assalto al Parlamento; in America si sparano addosso bianchi e neri come ai bei tempi (anzi, ai bei tempi erano solo i bianchi a sparare ai neri: si vede che la musica sta cambiando…);  l’Egitto, altro nostro grande amico nonostante quel “piccolo inciampo” che è Giulio Regeni, tiene in carcere da mesi un ragazzo che era venuto a studiare a Bologna (cospirazione contro lo Stato se non ho capito male, per essersi occupato di diritti civili…) e se ne sbatte dei richiami della UE e non solo; Navalny avvelenato si/no (e nel caso da chi: perché si vocifera che i servizi russi lo tenessero d’occhio per proteggerlo, dato che evidentemente un Navalny morto fa più danno a Putin di un Navalny vivo, e allora come in tutti i gialli bisognerebbe forse chiedersi cui prodest…).

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Amiche e amici come al solito mi sono lasciato prendere la mano, e saltando di palo in frasca partendo dal marsala sono arrivato al thè corretto; tra i due comunque la mia preferenza pensi si sia capita…

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 5

Ed eccoci giunti alla fine di questo miniviaggio attraverso questo bel pezzetto d’Italia; dulcis in fundo come dicevo, anzi panforte in fundo, Siena.  Di passaggio però siamo prima andati a Todi, bella cittadina umbra piena di storia, basti pensare che ha tre ordini di mura, etrusche, romane e medievali; la bella piazza del Popolo con la Cattedrale a cui si accede da una scenografica scalinata, il palazzo del Popolo, il palazzo dei Priori; la chiesa di San Fortunato ed la vicina statua a Jacopone da Todi, le cui vicende si intrecciano con quelle di Pietro da Morrone ovvero Celestino V, il papa del gran rifiuto visto a L’ Aquila: un periodo oltremodo interessante, di grandi fermenti in seno alla cristianità; una chicca, la Chiesa della Nunziatina, completamente affrescata… la città merita una visita più approfondita e con un clima più fresco e non a Ferragosto come abbiamo fatto noi…

Dopo un rapido spuntino dirigo le vele verso Siena e a questo punto i due navigatori, quello dell’auto e quello del telefonino, litigano tra di loro. Commetto l’errore di ascoltare quello dell’auto e patatrac, questo ci porta su una strada interrotta, costringendoci ad allungare il tragitto di un’ora. Chiediamo ad una persona del luogo e questo seraficamente ci dice che la strada è interrotta da tempo, chissà quando la riapriranno. Ora, senza polemiche, mi chiedo: secondo me è giusto revocare la concessione autostradale a chi non effettua la giusta manutenzione, ma non bisognerebbe anche revocare cariche e stipendi a tutti i direttori degli enti che dovrebbero garantire che le strade statali, provinciali, comunali e chi più ne ha più ne metta non siano nello stato pietoso in cui nella quasi totalità si trovano? Da questo viaggio inoltre ho imparato, e quasi mi dispiace ammetterlo, che il navigatore di Google Maps vince sugli altri perché è aggiornato in tempo reale o quasi.

Chiusa la parentesi arriviamo a Siena; siamo stati fortunati a trovare una camera libera ci dice la gentile addetta alla reception, perché Siena è sold-out e lo sarebbe stata ancora di più se si fosse potuto disputare il Palio dell’Assunta, di norma in programma il 16 agosto: non sappiamo se ringraziare il Covid-19 per l’opportunità avuta o preoccuparci per la massa di gente che comunque incontreremo… perché di gente ce n’è veramente tanta, italiani e stranieri (francesi, tedeschi, russi…), abbiamo usato spesso la mascherina all’aperto perché davvero evitare gli assembramenti era impossibile. Appena arrivati, uscendo dalla scala mobile che porta dal parcheggio vicino la Fonte Fontebranda (dove delle ragazze si tuffano facendo il bagno…) ci troviamo nel mezzo di una contrada che festeggia con una grande tavolata open-air…

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Siena è un gioiello di arte, storia, esperienza gastronomica ed enologica; l’unica volta che c’ero stato era stato più di trent’anni fa e non avevo visto praticamente niente, solo piazza del Campo e di corsa… la nostra intenzione era fermarci solo il 15 e 16, ma quando siamo andati a visitare il Duomo, domenica, abbiamo scoperto che era chiuso perché si stava preparando la scopertura del pavimento, opera d’arte nell’opera d’arte, che è visibile un solo mese l’anno, così abbiamo prolungato la visita sacrificando la tappa successiva, che avrebbe dovuto essere San Gimignano. Non ce ne siamo pentiti, nemmeno della coda di quasi un’ora fatta per entrare; peccato che, dato il numero di persone ed il distanziamento, è stato possibile rimanere nella libreria Piccolomini contenuta al suo interno solo un paio di minuti: la sensazione che ho avuto è stata la stessa dell’ultima volta che ho visto la Cappella Sistina, e non solo lo stupore per la grande bellezza ma la convinzione che così non ha quasi senso, bisognerà porre un limite… ma se nemmeno il Covid è bastato, forse non c’è soluzione, il turismo di massa è così.

Il Duomo, il Battistero, Santa Maria della Scala, il Museo del Palazzo del Popolo, il Convento di S.Caterina, la  Chiesa di San Domenico, su e giù per le vie calpestate da secoli con la sensazione quasi di profanarle. Ce li meritiamo? Nel dubbio, abbiamo pasteggiato entrambe le sere in piazza del Campo, turisti fino in fondo, pici al ragù di cinta senese e Chianti; forse non c’è nemmeno bisogno di conoscere la storia per apprezzare certe bellezze, basta aprire gli occhi e rendersi conto di quanto si è fortunati a poterne godere…

E così, con queste meraviglie negli occhi, siamo tornati a casa: chi se ne frega delle code, dei contagi che aumentano, delle solite montature contro il “nemico” di turno, bielorusso o vattelapesca che sia, delle polemiche politiche su chiusure o aperture delle discoteche… addolorati per la poca pietà umana e cristiana avuta per la povera donna morta in Sicilia con il suo bambino, mal trattata e mal cercata; per la stupidità di quei giapponesi che hanno portato una petroliera a spezzarsi sulla barriera corallina delle Mauritius, perché non avevano linea per telefonare; per l’ottusità di quei poliziotti americani che in sei avevano circondato il solito nero e invece di immobilizzarlo gli hanno sparato tredici colpi, per gli incendi disastrosi in California, in una nazione dove il presidente e tanta parte della popolazione continua a negare la correlazione tra l’uso di combustibili fossili e riscaldamento globale… per fortuna ci rallegra il “governatore” della Sicilia, che ha fatto una ordinanza per vietare la pioggia, ovvero di vietare lo sbarco di immigrati… chissà come mai nessuno ci aveva pensato prima!

Amiche e amici, spero di non avervi tediato troppo con i miei piccoli racconti che non ho fatto tanto per esibizionismo ma per ricordarmi, tra qualche mese o anno, cosa si poteva ancora fare quando se ne aveva la possibilità (in tutti i sensi). La vacanzina è finita, una volta avrei detto che si torna alla normalità… ma la normalità, oggi, che cos’è?

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 4

Lasciata L’Aquila troppo presto per il pranzo e rifocillati da un centrifugato disintossicante (una volta si chiamavano spremute e costavano un decimo) ci dirigiamo verso Rieti. L’attraversamento della valle reatina, piena di verde, ci fa ben sperare; la fama della cittadina laziale, definita dai classici “Umbilicus Italiae” ovvero centro d’Italia (e quindi del mondo a mio parere e con buona pace del cantante Jovanotti) ci predispone a goderne le delizie. L’anno scorso eravamo stati a Viterbo, con monumenti importanti e a pochi chilometri da ville papali spettacolari (basti pensare a Villa Farnese), ci aspettavamo altrettanto: invece, e mi perdonino gli amici reatini, a Rieti non c’è niente. Il giudizio sarà forse condizionato dal fatto che, arrivati in centro dopo la scalata a cui ci siamo sottosti verso le 14:30 e con 35°, c’era un solo bar aperto che ci ha propinato una piadina indecente al modico costo di 10 euro; o dal fatto che l’ufficio turistico avrebbe dovuto aprire alle 15:30 ed invece l’omino si è presentato dopo le 16 e si è degnato di rivolgermi la parola dopo una ventina di minuti, indispettito dall’essere interrotto dalla sua senz’altro interessantissima storia di Rieti a quattro ragazzi, ed alla mia richiesta di una mappa me l’ha quasi tirata, argomentando che tanto Rieti si gira tutta in un’ora e mezza; o sarà per il fatto che, nonostante tutto, la sera la città si è misteriosamente animata ed ho fatto fatica per trovare un ristorante libero, e quando sono riuscito a prenotare un tavolo in uno abbastanza ben recensito su Tripadvisor (di solito abbastanza attendibile, secondo me) ho pagato poco, è vero, ma mangiando una amatriciana preparata con pancetta affumicata anziché guanciale (eresia!) e passata di pomodoro tipo mensa aziendale ed una cacio e pepe acquosa. Non ci siamo proprio, amici! Per non parlare del fatto che un insetto di qualche sorta ha punto mia moglie causandole un bozzo preoccupante. Io sono sempre terrorizzato dal ragno violino, qualche mese fa il ragazzo di mia nipote ne fu punto e se la vide brutta: per fortuna non di quello si trattava ma probabilmente di una vespa annoiata, e la pomata al cortisone è bastata in qualche giorno a far rientrare l’allarme. E’ evidente che con queste premesse non posso che parteggiare per i Romani che si fotter.. ehm, rapirono le Sabine.

A voler grattare qualcosa di trova: delle belle mura, la Chiesa di San Francesco, il ponte romano (non un granché), la movida serale lungo il fiume Velino frequentate da ragazze molto carine (l’occhio vuole la sua parte, amici, sapete che la mia è una valutazione meramente estetica senza assolutissimamente secondi fini); ma soprattutto Rieti è una base per escursioni nei dintorni, per gli sciatori che vanno al Terminillo o per i pellegrini che affrontano il cammino francescano. A proposito di San Francesco, siamo andati ovviamente a Greccio, dove la tradizione narra che Francesco d’Assisi “inventò” il presepio; la grotta è molto suggestiva, e il contrasto tra la semplicità delle origini ed il Santuario che ci è stato costruito sopra (pur cercando di rimanere abbastanza spoglio) è evidente. Di Francesco potrei scrivere per dei giorni, era un uomo coerente alla lettera del Vangelo, oggi forse sarebbe definito un integralista (ma anche alla sua epoca lo era). Salvatore o foglia di fico della Chiesa? Nei nostri tempi di consumismo esasperato la risposta pare quasi scontata ma se si ha l’onestà di guardarsi intorno si può vedere che, tra tante storture, il suo insegnamento ed il suo esempio sono ancora vivi… forse il destino dei francescani è quello di essere voce profetica per ogni tempo: che il tempo non finisce oggi, Covid o no…

Dopo questa divagazione mistica, fatemi dire che abbiamo visitato anche il Borgo di Greccio, che fa parte del circuito dei Borghi più belli d’Italia; è carino e soprattutto vi abbiamo mangiato, sotto il fresco di un albero nella piazzetta principale (l’unica), un tagliere di affettati e formaggi che ci ha riconciliato con il Creato. Il simpatico gestore, essendosi sbilanciato sul fatto di avere una quantità bastevole di birra Ichnusa, dato che non ce l’aveva per farsi perdonare mi ha offerto un Peroncino. Santi posti!

A questo punto avevamo di fronte un’altra mezza giornata e di tornare a Rieti non se ne parlava: direzione Lago di Piediluco e lungo la strada ci siamo resi conto che le cascate delle Marmore sono lì vicino e come non farci un salto? Abbiamo dovuto lottare con il navigatore che si ostinava a farci passare in un paesino che si chiama Papigno; dopo non so che giro arriviamo alle Cascate, spettacolo meraviglioso. Ci eravamo stati più di trent’anni fa, con i miei fratelli ed i miei genitori, per una scampagnata di quelle di una volta con teglie di vincisgrassi, vino a litri e cocomeri da mettere in fresco: allora l’organizzazione era alla buona, chi prima arrivava meglio alloggiava, si stendevano le tovaglie e poi si andava a vedere le Cascate. Ricordo che, dato che il fiume (Nera) viene sfruttato a fini idroelettrici, non sempre le cascate erano aperte, e si aspettava l’orario di apertura per vedere il getto iniziale, tutti con il naso all’aria e la bocca aperta…

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Ora è tutto molto organizzato; c’è un parcheggio ben segnalato (a pagamento) e alle cascate si accede pagando un biglietto; sono state predisposte passerelle, itinerari numerati; c’è un mercatino, bar, ristoranti… lo spettacolo è sempre meraviglioso, personalmente rimango un po’ perplesso e preoccupato: fra quanto dovremo pagare per osservare i fenomeni della natura, comprese albe e tramonti?

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Poi ci siamo diretti al Lago di Piediluco, certo per uno che arriva dal lago di Como il confronto è impari però direi che è carino, c’è una bella passeggiata, il lago non è piatto come altri dell’Umbria e del Lazio, tipo il Trasimeno o il lago di Bolsena, ma è incastonato tra colline verdi che gli danno un certo fascino. Ci sono delle spiaggette attrezzate per prendere il sole e ci siamo fatti uno Spritz beneaugurante. Tornati a Rieti per la cena, segnalo una delle ragioni per cui si potrebbe tornare nell’ombelico del mondo: l’Osteria delle Tre Porte, vicino al lungofiume, gestito da giovani che propongono piatti della tradizione rivisitati e propongono una buona lista di vini: notevoli le polpette di coda alla vaccinara. Prezzo giusto. Tornando all’albergo, anche Rieti ci sembrava più bella.

Ancora una volta mi sono dilungato ma vi rassicuro, le tappe sono quasi finite…

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 3

La seconda tappa del viaggio è L’ Aquila. Ero stato in questa città più di trent’anni fa per lavoro, e le uniche cose che ricordavo erano la lunghissima pausa pranzo, la faticosa salita per arrivare in centro, il freddo (credo fosse ottobre-novembre), i colori della Basilica di Collemaggio e lo stupore nell’imbattermi per caso nella Fontana delle 99 cannelle. Perché L’ Aquila dunque? Per prima cosa perché mia moglie non c’era mai stata, poi per verificare di persona come la città si sta riprendendo, dopo il terremoto disastroso del 2009; non per voyeurismo macabro ma con molto rispetto, con amore direi. Cosa abbiamo trovato? Il centro storico è tutto riaperto, i monumenti ed i palazzi in travertino bianco sembrano addirittura brillare; a volte si ha l’impressione di camminare tra una scenografia teatrale, perché le facciate sono rimesse a nuove ma magari dietro gli edifici sono puntellati, e se si scende man mano lontani dal centro diversi edifici sono ancora lesionati. La città mi è sembrata comunque viva, tanta gente per strada, turisti e non solo; la sera addirittura giravamo in alcuni tratti con le mascherine a causa dell’affollamento. Nella bella Piazza del Duomo abbiamo visitato la chiesa di Santa Maria del Suffragio, perché il Duomo è ancora in ristrutturazione; la sera nello spazio del mercato, nella stessa piazza, trasmettevano un film per bambini, ed era pieno di famigliole; abbiamo mangiato in un ristorantino in una via laterale, scelto a caso dato che ho cercato di prenotare telefonicamente in tre posti suggeriti da Tripadvisor ma erano tutti pieni (questo è stata una costante del viaggio: i locali per mangiare erano sempre pieni. Sarà che hanno dovuto mettere meno tavoli, o forse sarà che di gente in giro ce n’è comunque tanta, certo che si fa fatica a pensare ad un paese in crisi… tra l’altro devo dire che grazie al Covid i ristoratori sono obbligati a fare quello che avrebbero dovuto fare anche prima: disinfettare i tavoli quando cambiano avventori, e non mettere un tavolo appiccicato all’altro permettendo di godersi la cena. Quasi tutti, mi sembra, si sono adeguati a queste norme di normale igiene).

Abbiamo visitato la Basilica di Collemaggio che con i colori del tramonto è ancora più bella e visto la Porta dell’Indulgenza; ho preso un libriccino di poche pagine su Celestino V ma non sono ancora riuscito a leggerlo, ogni volta che lo apro mi si chiudono gli occhi; visitato la Fontana delle 99 cannelle, tutte funzionanti, e più su la Chiesa di San Bernardino da Siena con le spoglie del Santo, siamo arrivati fino alla Fortezza Spagnola, questa chiusa, con intorno un parco tenuto veramente bene nel quale è stato costruito da Renzo Piano il nuovo Auditorium (non so come mai ma ad ogni disastro Renzo Piano costruisce qualcosa).

Una sera abbiamo lasciato l’auto in un parcheggio vicino a Collemaggio che avrebbe dovuto essere collegato con il centro con delle scale mobili: peccato fossero tutte ferme e ce le siamo fatte tutte a piedi, in questi tunnel vuoti ed inquietanti. A L’ Aquila non abbiamo mangiato gli arrosticini e questo è già da solo un motivo per tornare.

Siccome il nostro albergo era vicino alla Stazione, per salire in centro dovevamo prendere l’auto (avremmo anche potuto andare a piedi ma con 35 gradi non era consigliabile) e passare in via XX Settembre, dove si trovava la Casa dello Studente nel crollo della quale persero la vita otto ragazzi; e si sarebbe potuto evitare, se ognuno avesse fatto il proprio dovere, a cominciare da chi fece i lavori che ne indebolirono la struttura per finire a chi non fece evacuare gli studenti dato che le scosse si succedevano ormai da mesi. Ma in questo paese siamo spesso a piangere i morti perché chi deve controllare non controlla, e sembra che non impariamo mai. Sembra passata un’era geologica: al governo c’era Berlusconi, ci furono polemiche a non finire, costruttori intercettati mentre se la ridevano pregustando i guadagni, G9 spostato dalla Maddalena a L’ Aquila, New Towns… il disastro usato come occasione di affari e vetrina mediatica: un vero e proprio schifo dal quale fortunatamente gli aquilani, gli abruzzesi, sono usciti con l’orgoglio che li contraddistingue.

Mi accorgo di starla buttando in politica e non è mia intenzione, anche perché come la penso su quei personaggi lo sapete. Continuiamo in leggerezza: la sera del ritorno in albergo c’è stato il primo scontro con il navigatore, che ci ha fatto fare un giro assurdo e sarà solo il primo tanto che a un certo certo punto l’ho dovuto esautorare e tornare alle usanze di una volta, ovvero chiedere ai passanti. La tecnologia ci salverà? Non credo.

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Ottimismo, per carità!

“Gianni, l’ottimismo è il profumo della vita!” proclamava Tonino Guerra, poeta, scrittore e sceneggiatore nonché pittore, in una nota réclame per una catena di elettrodomestici; e ne aveva ben donde, dall’alto della sua lunga vita che l’aveva visto attraversare la seconda guerra mondiale ed essere sopravvissuto all’internamento in Germania nel ‘44.

A proposito di Tonino Guerra, nel mio giretto in Russia mi sorprese molto (ma per mia ignoranza) trovare a Suzdal, nel bel monastero dalle mura rosse che ospita tra l’altro un museo che ricorda gli italiani che vennero lì internati dopo la battaglia del Don, una stanza dedicata proprio al nostro Guerra, che all’Unione Sovietica e a quel luogo fu molto legato, venendone peraltro molto apprezzato come cineasta.

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Mi sembra che l’atmosfera sia un po’ troppo cupa, e non si tratta solo di smog o della nebbia che è ricomparsa dopo non so quanto tempo: venti di guerra, incendi devastanti, scioglimento di ghiacciai, frane ed alluvioni; movimenti millenaristi che proclamano la prossima fine del mondo brandendo non i cilici ma gli smartphone ultimo modello: che se non saremo sepolti dalle plastiche ci estingueremo per il riscaldamento globale, e se ci salveremo dall’innalzamento dei mari periremo per qualche altra catastrofe provocata da noi stessi.

Nel posto dove lavoro sono state bandite le bottiglie di plastica e la plastica monouso. Per carità, bravi bene bis: ma l’ecologia dovrebbe essere integrale, se uno toglie le bottigliette e contemporaneamente esubera migliaia di persone faccio fatica a credere che sia davvero convinto di quel che fa.

Al momento sulla terra siamo in 7,7 miliardi, in aumento irrefrenabile dato che alcune previsioni stimano che nel 2050 saremo 10 miliardi (e sfoggio subito ottimismo contandomi tra quelli) : chissà, forse qualche evoluzionista potrebbe interpretarla come una riproduzione frenetica in vista di un taglio sostanzioso, una spending review, una messa in esubero di una buona fetta del genere umano; e forse una sfoltita non sarebbe negativa tutto sommato, a non essere dalla parte degli sfoltiti.

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Certo il nostro osservatorio è ben più comodo di chi si trovasse, per dire, in Libia, Siria, Iraq, Yemen, o anche in Congo, in Nigeria, etc. etc. Ma ce lo meritiamo, siamo virtuosi: se non altro, con i pochi figli che facciamo non possiamo certo sentirci responsabili dell’incremento demografico.

L’umore naturalmente tende ad essere condizionato dalle vicende che accadono intorno e da come vengono raccontate: se tutte le sere che Dio manda in terra si sentono gli stessi quattro fannulloni ripetere in televisione che il governo ci porta sul baratro, le tasse aumentano ed il lavoro diminuisce, la criminalità dilaga e i barbari sono alle porte uno non è che sia portato a sprizzare gioia; piuttosto a spegnere la Tv o addirittura a romperla che sarebbe meglio.

Per fortuna ci pensano i cinesi a sollevarci l’umore! Ringraziamo quindi il maestro Muhai Tang, un uomo un mito, che ha perso i pantaloni mentre dirigeva un concerto sul palco del Teatro Dal Verme, a Milano: bastava un paio di bretelle per evitarlo, ma lui è stato troppo ottimista!

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Una birra per Olena (XX)

«O Svengard, compagno di mille bisbocce» dice il più giovane degli Uppalli osservando preoccupato la bottiglia di Kostenkorva ormai vuota ed il pianista riverso sul barile «che bisogno c’è di fermarci in quell’isola disabitata? Non è meglio tirare fino a Gotland finché il sole è alto nel cielo? Non abbiamo a bordo né cani né bambini né nonni che giustifichino soste all’Autogrill, mi pare»
Svengard scuote l’elmo cornuto e rivolge all’amico uno sguardo benevolo, introduttivo alla spiegazione che si appresta a fornire.
«Vecchio amico, tu sai quanto ti stimi. Le tue qualità sono conosciute ed apprezzate dal mare di Barents fino al canale di Skagerrat. E non mi riferisco alla maestria nel comporre canzoni, per essere chiari»
«Ah, no? E di che si tratta allora? Della mia simpatia, della mia arguzia?» chiede curioso il cantautore.
«Niente di tutto questo, caro mio: faccia tosta ed ignoranza, quelle sono le tue doti. Impareggiabili entrambe, specialmente l’ignoranza. Come si fa a definire “isola disabitata” Gotska Sandön? E’ persino parco nazionale!»
«Sarà anche parco nazionale, mare dune e uccelli in libertà, ma non c’è anima viva!» protesta Uppallo IV.
«Questo non è assolutamente vero» spiega il vichingo. «Gotska Sandön, oltre ad offrire rifugio e protezione a specie animali e vegetali, ospita custodi e personale del parco; numerosi visitatori si recano a visitarla, specialmente d’estate.»
«E sia pure» concede il cantante «ma da quando in qua ti interessi di dune o migratori? Non per farti fretta, o cornuto (mi riferisco all’elmo, naturalmente) ma la tua donna ti sta aspettando e, a differenza delle sue poppe, non mi sembra che la pazienza sia uno degli aspetti più sviluppati del suo carattere. Guardami negli occhi, per quanto il copricapo te lo consenta, e vuota il sacco: che diavolo dobbiamo fare a Gotska Sandön?»

Il vichingo inspira profondamente e poi, indicando il pappagallo Spread, inizia a parlare:
«Gilda non crederà mai che quello sia Flettàx… ma lo hai sentito? “Venti gradi e dieci decimi a dritta…” è troppo preciso! Troppo educato, troppo rispettoso, non insulta, non dice una parolaccia, niente!»
«Bè, effettivamente… magari potresti dire che ha sbattuto la testa, o magari sbattergliela veramente da qualche parte…» suggerisce Uppallo IV.
«Questa è in effetti una possibilità» concede Svengard «ma prima vorrei tentare un’altra strada. Tu sai che su quest’isola vive il più grande addestratore di pappagalli del mondo? Qualcuno lo considera uno sciamano, dicono sia un fenomeno…»
«Sciamano? Ma tu vaneggi amico mio, non avrai mica mangiato aringa fermentata andata a male, vero? Non ti sarai convertito al new age? O è l’astinenza che comincia a darti alla testa? E chi sarebbe poi questo fenomeno, e in che modo dovrebbe esserci di aiuto?»
«Frena, frena, piccolo Uppallo! Una cosa per volta, mi confondi» lo ferma Svengard. «Il nostro uomo è un italo-brasiliano, si chiama Giuseppi Tronfionaro»
«Tronfionaro? Mai sentito. Ma chi è?»
«Si dice» riprende Svengard «che fosse un potente capotribù, costretto a lasciare la sua terra a causa degli incendi»
«Una vittima della deforestazione, un combattente ecologista?» chiede Uppallo IV, con un fremito di indignazione.
«Ehm, ecco, non proprio… Tronfionaro più che combattente era un visionario… sognava di trasformare l’intera Amazzonia in un grande condominio pieno di boschi verticali ed orti urbani. Scopo più che nobile, se ci si pensa, e molto democratico: assemblee di condominio, amministratori eletti, manutenzione programmata…»
«Assemblee di condominio? Ma che diamine…» mormora l’aedo, che inizia a capire.
«Naturalmente, come ogni rivoluzionario ben sa, prima di costruire il nuovo bisogna abbattere il vecchio… e così Tronfionaro e i suoi seguaci si misero di buzzo buono a incendiare la foresta. Sottovalutarono il fatto che nella foresta ci abitavano anche loro, e così si ritrovarono senza foresta, senza case e ricercati dalla polizia di mezzo mondo»
«Un deficiente, insomma!» sbotta infine il cantante «E tu vuoi andare a trovarlo, quello è capace di darci fuoco alla nave!»

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