Moderata proposta per mettere i padroni fuori legge

Una trentina di anni fa andavo a portare la mia sapienza informatica¹ in una piccola società che, per conto di alcune aziende farmaceutiche, stampava le etichette per le riviste che venivano distribuite ai loro clienti.
Da allora la mia sapienza informatica non è cresciuta di molto e quella società, nella quale lavoravano delle gentili e simpatiche signorine, ha chiuso i battenti da un pezzo. Ignoro se ancora oggi qualcuno riceva quelle riviste, ma non credo.

Una volta per sbaglio inserii anche il mio indirizzo nell’anagrafe dei destinatari e ricevetti una copia di “Donna e mamma” o giù di lì, che nonostante le evidenze mise in allarme quella che si accingeva a diventare mia moglie.

Una mattina, dopo essermi liberato dall’impermeabile e sorseggiato il caffè che mi veniva offerto amorevolmente, mi sistemai nella scrivania che mi veniva riservata ed estrassi il fido block notes per iniziare a prender nota dalla viva voce della giovane responsabile della produzione, Enza, le richieste del giorno.
Dopo pochi secondi iniziai a sentirmi a disagio, e cominciai a sbirciare di traverso la mia vicina. Non nego di essere sensibile al fascino femminile, limitato naturalmente ad una pura contemplazione estetica², ma quel giorno mi sembrava di essere capitato in una savana dove un qualche tipo di scimmia stava lasciando dei richiami odorosi per attirare i maschi refrattari della specie: non so se avete mai sentito l’odore che lasciano i circhi quando tolgono le tende, io lo conosco perché il mio cane si rotolò sopra a quella paglia, che era probabilmente nella gabbia delle tigri: mi ci volle un mese per fargli andar via l’odore.
Cominciammo comunque a stilare l’elenco dei lavori, ed in breve non potei non notare che anche Enza non era a proprio agio. Stava un po’ sulle sue, tendeva ad allontanarsi; sul momento pensai che avesse capito di avere un problema quantomeno di traspirazione pesante, e si spostasse per non darmi fastidio, ma io cavallerescamente feci finta di niente, e anzi avvicinai di più la mia sedia alla sua.
Solo in quel momento, incrociando il suo sguardo preoccupato, mi resi conto che il problema non era suo, ma mio; guardai in basso, e sotto la sedia vidi delle strisciate inequivocabili: avevo pestato una cacca di cane con le suole a carrarmato.
“cxazzo!” mi scappò detto, e balzammo tutti e due in piedi. “Ma te n’eri accorta?” le chiesi. “Si” mi rispose lei, “ma non volevo offenderti, pensavo te ne accorgessi da solo”.
“Ah, meno male” risposi io non proprio galantemente, “pensavo che fossi tu…”

Tutto è bene quel che finisce bene, messa in quarantena la sedia, disinfestata la scarpa e lavato il pavimento con l’alcool denaturato ricominciammo il lavoro, stavolta con maggior fiducia nella reciproca igiene personale.

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Stamattina entro in ufficio, in realtà un Open Space contenente circa 200 “risorse” che ai tempi in cui eravamo un popolo virile sarebbero state impiegate con maggior utilità sociale nella bonifica delle paludi Pontine, accendo il PC e mi accingo a leggere i messaggi di posta elettronica.
Abbiamo già parlato della stima che ho riguardo il livello di educazione e pulizia degli Ingegneri Informatici, la cui evoluzione è l’anello mancante tra la Cita di Tarzan e il Bluto Blutarsky³ di John Belushi, perciò non mi sono meravigliato eccessivamente dell’effluvio che aleggiava nell’aere.
Purtroppo, e credo sia voluto dai progettisti per evitare che in occasione di progetti falliti interi team di sviluppo si catafottano di sotto, i finestroni non si possono aprire, per cui l’unico modo per smaltire gli odori, si tratti di Chanel n° 5 o stabbio di mucca, è che quel grande filtro che sono i polmoni umani li assorba e renda inoffensivi.

Mentre digitavo un bel “niet” al mio capo che mi chiedeva di accelerare il rilascio di un pacchetto di programmi che avevo stimato in 30 giorni/uomo, ma che tra appaltatore-subappaltatore-sub-subappaltatore-sviluppatore indiano-multinazionale di consulenza dove tutti vestono di nero era lievitato a 90 giorni, ho avuto un flash della faccia della mia dirimpettaia mattutina.

Ero infatti seduto casualmente davanti a questa ragazza, solitamente elegante, credo turca dai libri che ogni tanto maneggia, e mi ero sorpreso nel captare un effluvio non proprio rinfrescante. Ho passeggiato lungo il Gran Bazar di Istanbul e non ricordo che emanasse odori simili, anzi: è vero che ogni mattina è un’esperienza nuova, può essere curry, possono essere scarpe da tennis, può essere olio fritto, è la lotteria del pendolare, ma oggi questa incongruenza tra aspetto e odore mi aveva colpito particolarmente.
Ed allora mi sono reso conto che il lieve arricciamento del naso e la sottile increspatura delle labbra non indicavano concentrazione o peggio indisposizione, ma assomigliavano molto di più al disgusto.
Altro che Gran Bazar!

Mi sono guardato sotto le scarpe, e “cxazzo!” ho pestato un’altra merda, va bene porterà pure fortuna secondo credenze protostoriche ma mi è ovviamente partita la scheggia contro cani, proprietari di cani e chi li difende senza se e senza ma, Brambilla compresa.

Allora le mie modeste proposte, che giro per competenza al ministro della Salute e per conoscenza al ministro dell’Interno, che tanto si impiccia di tutto, sono:

  • ripristinare la tassa sul possesso dei cani. Una volta c’era, e giustamente, perché i proventi servono a coprire parzialmente le spese per la pulizia che i padroni non fanno;
  • istituzione del patentino per il possesso di cani (a pagamento, ovviamente). Con diversi livelli, fino al possesso di animale da difesa (con la stessa logica della patente di guida, un esame più facile per i chihuahua ed uno più difficile per i pittbull);
  • obbligo di circolazione per i possessori di cani con sacchetti per la raccolta delle deiezioni, un po’ come l’obbligo di catene per le auto. I vigili urbani possono e devono fermare, controllare, e redigere multe: in casi estremi obbligo di rieducazione per padrone e cane.
  • obbligo di lavori socialmente utili per i padroni beccati a far defecare il cane senza raccogliere la cacca. Lavori che consisteranno ovviamente nel raccogliere la cacca che altri padroni menefreghisti come loro non raccolgono.

Potrei continuare, ma mi fermo qua. Ho posseduto per anni un cane, ma è più corretto dire che ho vissuto per anni con un cane, che era educatissimo e cercava di farla solo se vedeva uno spicchio d’erba; uscivo mattina e sera con i miei sacchettini senza per questo sentirmi menomato nella mia virilità, e mi vanto che nessun piede umano abbia pestato qualche ricordino lasciato dal mio cane.
Perché, dovreste ricordarvelo teste di rapanello che pensate che il vostro cane e soprattutto voi siate il centro del mondo, sul marciapiede non passano solo brontoloni come me, ma anche donne con le carrozzine, anziani che magari faticano a camminare e si appoggiano a dei bastoni, invalidi che spingono la sedia a rotelle: e un giorno potreste essere voi, e non vorreste ritrovarvi merda di cane, e non d’autore, tra le mani.

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¹ In quei bei tempi se qualcosa non funzionava si dava senza problemi la colpa alla “macchina”. Ora la si può dare all’”algoritmo” ma la sostanza non cambia di molto: e cioè che chi dovrebbe risolvere il problema non ha la minima idea di quello che sta succedendo.
² Come disse Paolo Panelli a Nino Manfredi nell’indimenticabile “Questo e Quello” del 1983, la ciccia baffetta piace a tutti ma bisogna mangiarci il pane.
³ John “Bluto” Blutarsky, indimenticabile personaggio del film Animal House del 1978 interpretato da John Belushi

Aprono la bocca e gli danno fiato!

Un bel tacer non fu mai scritto, come disse il sommo Poeta o chi per lui, e quanto è lontano il tempo in cui quei bei politici democristianoni parlavano per ore senza dir niente e specialmente senza farsi capire da nessuno!
Ora invece il vanto del politico è parlare come si mangia, pane al pane e vino al vino, parlare come il “popolo”: ma il popolo che scimmiottano e solleticano è la plebaglia, perché il vero popolo ha decenza, educazione ed orgoglio; ed eccoli allora esprimersi come avvinazzati al bar, o ultras delle curve degli stadi, e allora l’insulto e il turpiloquio invece di qualificare come buzzurri diventano bandiere da agitare ai propri supporters, e manca solo che ci si metta a fare delle pernacchie in stile Bombolo o la gara di rutti come alla sagra della birra di Pontellazzo sul Manubrio.

In questa deriva quelli che dovrebbero essere i “moderati” rincorrono i “barbari”, in un corto circuito verso il degrado generale: così è possibile che il signor Guy Verhofstadt, rappresentante europeo di un partito che nel suo paese, il Belgio, rappresenta poco più dell’11% degli elettori, si senta autorizzato ad insolentire il Primo Ministro Italiano che rappresenta un governo i cui partiti che ne fanno parte sono stati votati, piaccia o non piaccia, da oltre la metà dei nostri concittadini¹, chiedendogli (in un italiano peraltro apprezzabile) quando la smetterà di essere il burattino di Salvini e Di Maio, invitandolo poi a prendere riferimento da italiani illustri come Spinelli, Ciampi, Mario Draghi e Napolitano.

verhofstadt

Non mi è assolutamente piaciuto che il pessimo presidente del Parlamento Europeo, l’italiano antonio tajani (il minuscolo è voluto), uno dei miracolati da Berlusconi, non abbia battuto ciglio durante l’esibizione del guappo fiammingo, che tra l’altro non si capisce a che titolo, essendo un noto liberista, sia andato a citare Spinelli: gli va bene che è morto, perché sennò gli farebbe mangiare il Manifesto di Ventotene, lui e il suo tatcherismo.

Il premier Conte ha incassato con abbastanza signorilità, ricordandomi il Rocky Balboa di “Non fai male! Non fai male!”, rispondendo che burattino è chi risponde alle lobby, ma poteva anche dire che “stupido è chi lo stupido fa” come Forrest Gump, sarebbe andata bene lo stesso.

La cosa che mi sembra che non capiscano, questi fustigatori di altrui costumi, è che mettendosi sullo stesso piano di chi contestano non li indeboliscono, anzi: personalmente quando sento parlare un Verhofstadt o un Dombrovskis o altri vattelapesca mi viene solo da pensare “senti da che pulpito viene la predica”, e penso che se avessero un minimo di umiltà (ma avrei potuto dire di intelligenza) invece di riempirsi la bocca di Spinelli (con la S maiuscola)  dovrebbero fare un mea culpa sulle ragioni per cui l’idea di Europa si è ridotta così come l’hanno ridotta, e ragionare sul fatto che la crescita di quei movimenti che condannano indignati in gran parte è colpa loro e delle loro stupide politiche.

Dedico pertanto a Verhofstadt & c., a conclusione di questo sfogo, una canzone di uno dei nostri rappresentanti più illustri, che meglio di tutti ha saputo rappresentare gli italiani in casa e nel mondo:

“Te c’hanno mai mannato a quer paese?
Sapessi quanta gente che ce sta’
a te te danno la medaja d’oro e noi te ce mannamo tutti in coro.
E va… e va….. chi va co’ la corente e’ ‘n’baccala’
io so’ salmone e nun me mporta gnente a me me piace anna’ contro corente….
E va….. e va….. che piu’ sei grosso e piu’ ce devi anna’
e t’aritroverai ner posto giusto e prima o poi vedrai ce provi gusto….”
Alberto Sordi

sordi

¹Come questo sia stato possibile sono fatti nostri, e non è certo un belga che deve venircelo a spiegare. Tra l’altro il Belgio è stato per anni senza governo e nessuno se ne è accorto, a dimostrazione di come sono utili i politici da quelle parti.

Questa piramide s’ha da fare!

Gli archeologi egiziani guidati da Zawi Abbass hanno riportato alla luce un documento di eccezionale importanza, si tratta nientemeno che di un antico papiro che riporta un colloquio tra il famoso architetto Imhotep ed un suo collaboratore.

«Thon-n-Hell, per Osiride, è pronta questa analisi costi-benefici? Il Faraone Djoser si sta rompendo i coglioni, vedi di darti una mossa che quello ci fa tagliare la testa a tutti e due!»
«Maestro Imhotep, la commissione dei sommi sacerdoti di Eliopoli ha terminato i lavori, ed a breve verranno trasmessi i papiri ufficiali.»
«Bene, mio geometra. A proposito, preferisci essere chiamato geometra o ginecologo? Il geroglifico cambia, lo sai»¹
«Geometra, mio signore, grazie. Pratico la ginecologia da dilettante»
«Me ne compiaccio, caro Thon-n-Hell, del resto non serve essere dei professoroni per dare una sbirciata tra le gambe delle egiziane e sparare due fregnacce. Ma adesso dimmi, o testa di geometra, che c’è scritto in questo rapporto: positivo o negativo? Dammi in anteprima il responso, orsù!»
«O gran dottore, la conclusione dei saggi è stata ferma e inequivocabile»
«Questo mi sorprende, di solito questi saggi fanno tanto di quel fumo che non si vede più ad un palmo dal naso. E dunque, non lasciarmi sulle spine, parla geometra!»
«I saggi hanno detto testualmente: la piramide a gradoni è una gran cazzata. Con i soldi che il faraone sprecherà per questo ammasso di pietre si potrebbe migliorare il sistema idrico, dotare il popolo di abitazioni più decenti, e costruire persino delle scuole»
«Sistema idrico, abitazioni, scuole? Ma per Amon, Thon-n-Hell, ma siete impazziti? Ma che caspita vuoi che gliene freghi al Faraone delle scuole! La tua commissione del menga doveva solo decidere se era meglio una piramide a gradoni o una sfinge con la testa di Horus, che cacchio c’entrano le scuole? No, no, questo è inaccettabile! Sono già stati stampati i papiri?»
«Ci stanno lavorando mille amanuensi, o gran direttore»
«Mille amanuensi? Ok, si può fare. Adesso ti dirò esattamente quello che faremo, apri bene le orecchie geometra»
«Vi ascolto, signore.»
«Prendi tutti i saggi e gli amanuensi e li porti a Saqqara. Lì gli metti in mano una zappa ciascuno, e cominci a fargli spianare il terreno. Chiamala rivoluzione culturale, se ti fa piacere, così la sinistra non ci romperà le scatole. Se qualcuno protesta, buttalo ai coccodrilli del Nilo e amen. Tutto chiaro, testa di geometra?»
«Tutto chiaro, o gran costruttore. E… il rapporto?»
«Ficcatelo dove vuoi, Thon-n-Hell»
«Grazie, maestro»

 

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¹ In quei tempi non era raro che architetti fossero anche valenti medici, lo stesso Imhotep lo era. La tradizione è continuata per millenni tant’è che in Italia 4700 anni dopo un geometra ha esercitato abusivamente la professione di ginecologo per 35 anni prima di essere scoperto.

Ferragosto con Olena (XV)

Nella cantina del convento, seduti sulla panchina alla quale sono legati, Ivan Kozlov e Victor Gusev si lanciano un’occhiata impaurita, scostandosi per quanto possibile dal loro amico Petr Prostakov che, con un sorrisetto beffardo dipinto sul volto, sta sostenendo lo sguardo di Olena che sembra aver perso per un attimo la consueta fermezza.
La russa è costretta a prendere un lungo respiro e poi, con calma gelida e battendosi lo scudiscio su uno stivale, si rivolge a Petr scandendo bene le parole:
«Che. Cosa. Hai. Detto?»
Petr, messa da parte la sua baldanza, deglutisce e cerca con la coda dell’occhio l’aiuto di Ivan e Victor, che a cenni gli suggeriscono di non continuare. Petr esita, ponderando i pro ed i contro di una ritrattazione parziale, quando Olena decide di dargli un aiutino assestandogli prima un pagnottone a mano aperta sull’orecchio sinistro facendolo lacrimare, e poi chiedendo gentilmente a Nonna Pina:
«Babushka, potete lasciarci soli un attimo, per favore?

«Gilda, ma sarà prudente lasciare suor Katiuscia, ehm, cioè, la tua ragazzona, da sola con quei brutti ceffi?» chiede una preoccupata suor Matilda, seduta alla grande scrivania del suo studio, alla vecchia amica.
«Non preoccuparti Marisa, l’ho vista con i miei occhi suonare un fottìo di cinesi come zampogne, figurati se le mettono pensiero tre babbi natale. Spero solo che non decida di buttare quei tizi dentro una delle tue botti, mi dispiacerebbe far andare a male del vino così buono.»
«Nelle botti? O Signore benedetto» – commenta la Superiora – «Speriamo almeno che li infili in quelle in fondo al corridoio, lì c’è l’aceto» conclude, facendosi il segno della croce.

La calma della discussione viene interrotta dall’improvvisa irruzione di Suor Burialda, la portinaia, seguita a ruota dalla giovane Suor Pulcheria.
«Superiora, Superiora! Non è colpa mia! Ci ho provato, ma non c’è stato niente da fare, non ce l’ho fatta a fermarli!» dice la suora, affannata e rossa in volto.
«Ma che dici Burialda, ma certo che non è colpa tua. Come potevi fermarli, erano pure armati! Preghiamo piuttosto il nostro Protettore, il Beato Turoldo Cesanese del Piglio, che le cose non siano andate peggio!»
«No reverenda madre, non dicìo de quilli» continua concitata la guardiana, passando al dialetto. «Non gliel’ho fatta a ‘vvisavve, issi non m’ha dato tempu, è ‘bboccati e …»
«Per la miseria Burialda ma che diamine stai dicendo, non capisco un accidente!» sbotta Suor Matilda.
«Suor Burialda voleva dire, reverenda Madre» interviene Suor Pulcheria dal di sotto dei suoi baffetti, «che è arrivato il…»

«Sua Eccellenza il Vescovo!» annuncia suor Emerenziana, affacciandosi sulla soglia dello studio con l’espressione di chi pensa: “E mo’ sono tutti cavoli nostri”, e mettendosi poi di lato alla porta per godersi la scena.
Suor Matilda sgrana gli occhi, impietrita, ma riprende subito il controllo, si alza dalla scrivania e indossato il miglior sorriso d’ordinanza avanza di tre passi verso il Vescovo. Infine, prima di inginocchiarsi a baciare l’anello cinguetta:
«Vescovo Ardizzone, ma che sorpresa! Qual buon vento la porta da queste parti?» lanciando a Gilda un’occhiata che equivale ad un SOS.
Ardizzone Lambruschini, vescovo di Ladispoli e dintorni, è un omone sanguigno di una sessantina d’anni, con una gran barba, una gran pancia ed una voce tonante con la quale fa tremare le vetrate della cattedrale durante le omelie appassionate nel corso delle quali non manca di invitare le pecorelle smarrite a contenersi, non indulgere ai vizi e soprattutto resistere ai piaceri della carne. E’ accompagnato dal suo segretario, don Martino Gattolin, un biondo veneto venticinquenne che attrae l’attenzione ammirata delle suore e della Calva Tettuta.
«Suor Matilda!» tuona il vescovo.
«Eccellenza?» chiede la Superiora fingendo stupore, prevedendo tempesta.
«Suor Matilda, sono contrariato con voi!» proclama il Pastore.
«Me ne dolgo, Eccellenza Reverendissima» dice Matilda, umilmente. «Posso sapere in che cosa ho mancato?»
«Suor Matilda, non prendetemi per il c… ehm, non mi prendete in giro, va bene? Dove siete sparita tutto questo tempo? Vi siete fatta negare al telefono per settimane, mi è toccato venire a trovarvi in incognito come Maometto alla montagna!» ma prima che la Superiora possa rispondere il suo Superiore continua: «No, no, lasci stare, non voglio saperlo. Quello che voglio che mi diciate, ora e subito, è che tutto va bene e non ci saranno intoppi. Me lo assicurate?»
Suor Matilda resta un attimo interdetta, poi si azzarda a chiedere:
«Ehm, assicurarvi in merito a cosa, eccellenza?»
Il vescovo sembra prendere lo slancio prima di eruttare.
«Come di cosa dovete assicurarmi? Come vanno i preparativi? Tra pochi giorni ci sarà la grande processione per l’anniversario della fondazione dell’Istituto, cinquecento anni, e voi che state facendo? Niente! Dove sono le pie donne? Dove sono gli uomini delle Confraternite che reggono le statue? Bisogna sistemare la chiesa, i fiori, tutto il percorso, prendere accordi con le autorità, ci dev’essere la banda! Verrà gente da tutta Italia, ed anche dal mondo! Gli ostelli, gli alloggi, li abbiamo sistemati? Siamo in ritardo, in ritardo! Ed inoltre quel vostro Santone che fine ha fatto?» e qui il vescovo coglie uno sguardo di disapprovazione del suo assistente « Si, si, lo so che non dovrei incoraggiare questa caz.. ehm, devozione popolare! Ma la gente ci è affezionata, che diamine! No, cara suor Matilda, non ci siamo, non ci siamo proprio! »
«Ecco, Eccellenza, lasciate che…» inizia a parlare suor Matilda, subito interrotta da una voce amica.

«Eccellenza, permettete che le spieghi io, invece» dice Gilda, decisa, abbrancando la mano del vescovo e baciandogli l’anello, estraendo inavvertitamente la puntina della lingua.
Ardizzone ritrae la mano sorpreso, e chiede a suor Matilda:
«Ehm… chi è questa signora, una parrocchiana?»
«No, Eccellenza, non sono una parrocchiana… sono un’umile devota del beato Turacciolo»
«Turoldo» corregge il segretario, beccandosi un’immediata occhiataccia di Gilda.
«Turoldo, Turoldo» continua Gilda. «Sono la vedova del cavaliere Rana, l’avrete sentito… tortellini, ravioli…»
«”Quel” cavaliere Rana?» chiede il Vescovo, comprendendo che la faccenda si stia facendo interessante.
«Proprio lui, Eccellenza» conferma Gilda con un movimento del capo, riuscendo a farsi scappare persino una lacrimuccia.
«Voglia accettare le mie condoglianze, signora» dice il vescovo, facendo cenno al segretario di porgere a Gilda un fazzoletto.
«Grazie, eccellenza» dice Gilda, tenendo un secondo di troppo la mano del segretario tra le sue, e lanciandogli da dietro al fazzoletto un lampo di malizia che lo fa arrossire.
«Sono qui per adempiere alle ultime volontà del mio povero Evaristo, anche lui grande devoto del Beato Turac.. ehm Turoldo, che in punto di morte mi disse: “Gilda, cosa possiamo fare per quelle povere suore che dispensano bene per ogni dove? Mi vergogno di essere stato per tutta la vita così egoista mentre quelle suorine che non hanno mai visto un’estetista in vita loro”» e così dicendo squadra dall’alto in basso le suore «sono costrette a scavare nell’orto a mani nude per ricavarne il duro sostentamento della giornata. Si, questo era l’uomo che amavo, signori» e così dicendo, Gilda scoppia in un pianto dirotto.
«Oh, che animo nobile!» esclama il Vescovo, che si affretta ad abbracciare la sofferente, constatandone una consistenza ragguardevole.
«E dunque» continua Gilda, sciogliendosi dall’abbraccio «ci siamo detti: “Sai che c’è? Due soldarelli fanno comodo a tutti. Andiamo al convento e sentiamo i bisogni di quelle povere sventurate”. Ma purtroppo mio marito non ha fatto in tempo a vedere realizzato il suo sogno ed eccomi qua in sua vece, sola» calcando forse un po’ troppo l’ultima parola «Mi sono incontrata con la vostra Suor Matilda, una Santa!» esclama Gilda, incocciando lo sguardo divertito della vecchia amica «e l’ho pregata di mantenere il riserbo sui nostri incontri e sui preparativi. Capirà, Eccellenza» dice Gilda guardandosi intorno con circospezione «Questo è un paese pieno di Santi e Beati. Se si sparge la voce, hai voglia a far tortellini…»
«Certo, certo, Signora, capisco benissimo, e sono lieto che la Provvidenza vi abbia indirizzato a noi…»
«E dunque, Eccellenza» continua Gilda «tutto è bene quel che finisce bene, la buonanima è sepolta e noi siamo qua. Le assicuro che tutto sarà pronto per il momento opportuno, non deve preoccuparsi, ci penserà la ditta Rana a coprire le spese (tanto le scaricheremo dalle tasse). Però, Eccellenza, devo chiederle un favore» dice Gilda, avvicinandosi ed abbassando la voce.
«Dica pure, signora Rana, se posso…» dice il presule.
«Ecco… siccome noi non abbiamo grandi esperienze in materie canoniche… ci servirebbe, come dire, un aiutino…»
«Ma certo, capisco, ovviamente… metterò a disposizione tutto ciò che le serve…»
«Non potrebbe prestarci il suo segretario per qualche settimana?»
«Il mio segr… don Martino?» chiede il vescovo confuso.
«Ah, si chiama don Martino? Si, proprio lui» dice Gilda fissando il giovane come una gatta fissa un topolino di passaggio, leccandosi lievemente i baffi.
«Ma Eccellenza, io devo finire gli esami di Antropologia teologica, non posso… » prova ad obiettare il segretario.
«Don Martino, non mi rompere i… ehm, don Martino, gli esami possono aspettare. Dai una mano a queste brave suore, che un po’ di pratica non potrà farti che bene. Anzi, già che ci sei dai una mano anche nell’orto, ce l’avete una bella zappa per il mio collaboratore?» chiede il Vescovo, che poi si rivolge a suor Matilda.
«Suor Matilda, mi scuso se sono stato un po’… impetuoso. Voi avete fatto un ottimo lavoro e vedo che mi sono preoccupato per niente… ora, cara Superiora, già che sono qui procederei all’ispezione.»
«L’ispezione, Eccellenza? Adesso?» chiede la Suora, allarmata.
«Si, l’ispezione, l’ispezione, e insomma suor Matilda, non vorrete che torni apposta per l’ispezione? Già che sono qua, facciamo questa benedetta ispezione, suvvia. Vi dispiace accompagnarmi alle cantine?»
«Le cantine?» ripete suor Matilda, che presa alla sprovvista non riesce ad inventare una scusa plausibile.

In quel mentre un uomo elegante che indossa un clergyman firmato Girifalchi entra sorreggendo un vassoio con tazzine e caffettiera, con cioccolatini e biscottini di mandorla:
«Gradite un caffè, Eccellenza? Arrivato fresco fresco dalle missioni del Togo»

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Ferragosto con Olena (XIV)

«Contigo en la distancia, mi amor!» dichiara enfaticamente Miguel il giardiniere a Paio Pignola, al secolo Hector García, il transessuale cubano che si è intrufolato di soppiatto nel giardino di casa Rana.
«Miguel querido, ti ho detto un sacco di volte di non essere così appiccicaticcio. Tra l’altro, il tuo “amico” maggiordomo mi ha detto che vi esercitate insieme quotidianamente con la salsa. Non sarai un po’ troppo… zelante?» chiede Paio con una punta di gelosia nella voce.
«Tu me ofendes Paio, come puoi pensare una cosa simile! Lo sai che io amo solo te!» protesta Miguel.
«Bien, bien, Miguel. No pretendo l’exclusiva, ma non voglio che gli insegni i miei passi segreti, comprendi?»
«Ma certo, ma certo! E comunque… lui… no se mueve como ti!» la adula il giardiniere, cingendole la vita con un braccio.

Flettàx il pappagallo celtico interviene intempestivamente, imitando alla perfezione la voce di Miguel:
«Craaa!!! Craaa!!! James tu si che sei un vero macho!» – dice gracchiando – «Craaa… Non come quella zoccola cubana! Craaa!!!»

Miguel avvampa mentre il pomo d’adamo di Paio sobbalza su e giù.
«¿Qué dijo el pájaro?» chiede la cubana stizzita «Che ha detto l’uccello?»
«Quale uccello?» chiede Miguel, fingendo di non vedere l’enorme Ara Macao padano che torreggia sul trespolo dietro di lui.
«Como qual uccello! El papagallo aquì! Me ha dato de la socola!»
«No, ma quale socola mi amor! Ah, ah, il pappagallo ha detto trottola, trottola… voleva dire che balli come una trottola… ha qualche difettuccio de pronuncia…» e così dicendo strappa una penna dal didietro di Flettàx, che lo ripaga beccandogli il dito.
Miguel lancia un urlo e si appresta a strozzare il volatile impertinente, ma Paio lo richiama al dovere.

«Miguel, basta giocare, all’uccello penserai dopo. Veniamo a noi, ahora»

«Certo mi amor, dime todo. Che posso fare per te?»
«Sono stata umiliata, capisci Miguel? Insultata e umiliata. Devo vendicarme de quela bagascia russa»
Miguel si guarda intorno con apprensione.
«Volevi dire Natascia, non è vero Paio? » chiede il giardiniere, facendo segno a Paio di abbassare la voce, già stridula di suo.
«Potresti per favor non llamarla bagascia, perlomeno en mi presencia? Sai, querida, quella mena»
«Anch’io meno!» – proclama Paio che a volte fatica a contenere l’Hector che è in lei – «per tua norma e regola sono stata campeon regionale dei superwelter, entiendes?»
«Non ne dubito, cara, e non vorrei mettere el dito nella piaga, ma me parece che a Cuba te le abbia suonate… e qui sparso nel parco c’è ancora qualche pezzo di pigmeo e di cinese che gli si è messo di traverso…» dice Miguel, con un fremito di preoccupazione.
«E’ stata solo sfortuna!» grida Paio in falsetto. «Ho inciampato nella gonna, e quella ne ha approfittato! Ma la prossima volta non sarà asì fortunata, e la vedremo chi mena di più! E adesso basta parlare, Miguel, mi vuoi aiutare o no? Guarda che se me tradisci te stacco le bolas!»

Se c’è una cosa che non si può dire di Miguel è che, se messo di fronte a proposte ragionevoli, non sia collaborativo: tempo mezz’ora e ritroviamo i nostri due eroi a bordo di un furgoncino della impresa di pulizie Rana, diretti alla volta di Ladispoli.
Miguel è concentrato al volante mentre al suo fianco Paio, con le gambe sollevate ed i piedi nudi appoggiati sul cruscotto, canticchia “Yolanda”, una vecchia canzonetta. Dal vano di carico proviene un raspare metallico e delle grida soffocate che assomigliano stranamente a quelle di un pennuto al quale sia stato legato il becco con un bavaglio ed il quale nonostante l’impedimento si sforzi di insultare tutti i nati al di sotto del parallelo della Brianza.
«C’era proprio bisogno di portarsi dietro il pappagallo?» chiede Paio, spuntandosi le unghie dei piedi con una tronchesina.

«Mi amor, Natascia es terribile ma è niente in confronta alla mia padrona. Se succede qualcosa al pappagallo yo soy un hombre muerto»

furgone

Conti aperti

Girovagando per siti politicamente scorretti ho trovato questa canzonetta che deve essere andata in voga nel 1940, sebbene testimoni dell’epoca sulla cui memoria faccio affidamento non la ricordino affatto.

I tempi ed i protagonisti erano drammatici mentre quelli attuali sono ridicolmente patetici: abbiamo inventato la perniciosa categoria dei sovranisti-interventisti,  che spero gli italiani (non i francesi, anche se a questo punto forse ne avrebbero una gran voglia) mettano al più presto in condizione di non nuocere. Per fortuna c’è Sanremo.

CONTI APERTI

Allungato è lo stivale
Fino all’Africa Orientale,
ma allargato adesso sia
con Biserta e Tunisia!

Torna Corsica rocciosa
Gemma italica preziosa
Villafranca? Il patto muoia
E a noi torni la Savoia!

Fuori fuori da Gibuti
Gli slombati ed i cornuti
Via aperta, è naturale,
di Suez per il canale!

Baldanzoso Deladier
Ripeteva i suoi “jamais!”
Ma per forza “aujourd’hui”
Dovrà dire sempre “oui”!

Cuginanze e sorellanze
Son finite, addio speranze!
Con i pianti e con i preghi
Francia tu più non ci freghi!

Con le buone e senza stizza
All’Italia torni Nizza
E l’inglese in tutta fretta
Ci ridia Malta e Valletta!

Con Badoglio e con Graziani
A Parigi gli italiani
Entreranno rosei e freschi
Incontrandovi i tedeschi!

O francesi ecco i nodi
Degli inganni e delle frodi
L’ora è giunta e certi conti
Siano resi tutti e pronti!

Aridatece Parmalat!

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Nababbi con 780 euro!

Confindustria sostiene che l’importo del cosiddetto reddito di cittadinanza è troppo alto, e noi ne siamo straconvinti! Diamo spazio agli aridi numeri e vediamo cosa può fare un single che vive da solo con tanto ben di dio. Ognuno può variare la tabella come vuole e fare le sue considerazioni. Tolte le spese fisse (che sono molto sottostimate per la mia esperienza, vorrei vedere chi riesce ad affittare un’appartamento _ ma anche una stanza _ a 100 euro) rimangono ben 14 euro per attività voluttuarie giornaliere come mangiare, bere, vestirsi, lavarsi e magari uscire a cercar lavoro. Adesso farei provare un mesetto al direttore di Confindustria per vedere se magari gli riesce di moltiplicare i pani ed i pesci.

REDDITO DI CITTADINANZA 780
SPESE FISSE:
telefono con collegamento Internet 30
ricarica cellulare 5
energia elettrica 40
gas/riscaldamento 70
tv 9
acqua 10
affitto 100
auto (bollo, assic. tagliandi, carburante) 100
totale spese fisse 364
rimanenza mensile per altre spese 416
a disposizione giornalmente 13,87

Io dico che se risparmia qualcosina sullo champagnino ci sta dentro…

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Sovranisti a casa loro!

I paesi ricchi hanno finalmente deciso: la povertà va sconfitta!
E, giusto per far vedere che non si scherza, non si comincia mica con i paesi in fondo alla lista dei paesi con il Pil/pro capite più basso, ad esempio la Repubblica centrafricana ed il Burundi con i loro 700$ annui, o la Repubblica Democratica del Congo con i suoi 800$: no no, si comincia dall’alto, con un paese che è 47° nella classifica del Pil mondiale e con un Pil/pro capite di 12.500$ (126 al mondo, a metà classifica circa): il Venezuela.¹

Il paese è sicuramente in crisi economica, ma ha soprattutto il grosso guaio di essere ripieno di petrolio e con dei vicini molto premurosi per il benessere dei cittadini altrui ed un po’ meno per i propri: non si capisce ad esempio come gli Stati Uniti, con 40.000 morti ammazzati all’anno per armi da fuoco, i metal detector nelle scuole, la popolazione carceraria più alta del pianeta ed una spesa per armamenti stratosferica debba andare a dar lezioni di democrazia agli altri prima di risolversi i problemi di casa propria (non era mica America First lo slogan?) o a che titolo la Colombia, per decenni ed ancora oggi paradiso di narcotrafficanti, debba andare ad insegnare agli altri come vivere…

Alcuni paesi europei, con dei governi che rappresentano a malapena il 30% dei loro cittadini (Francia e Spagna, ad esempio), si sono permessi di dare un ultimatum al Presidente eletto dai venezuelani appena l’anno scorso (carina poi la manfrina dell’opposizione: non andare a votare per poi gridare che il voto non è stato democratico. Potrebbe provarci anche il PD qui da noi… ma forse non c’è bisogno, qua non c’è bisogno di sollecitare la gente per non andare a votare visto che l’affluenza cala in continuazione…), nonostante il consiglio di sicurezza dell’Onu si sia espresso a maggioranza per la non ingerenza negli affari interni di quello Stato. Sulla UE stendiamo un pietoso velo, la sua politica estera è ridicola. Abbiamo sentito una parola non dico di condanna ma almeno di preoccupazione per il sicuro proliferare delle bombe atomiche in Europa a causa della decisione americana di stracciare l’accordo con la Russia sulle armi nucleari? Eppure le bombe ce le metteranno in casa nostra (oltre quelle che già ci sono), e i russi le ripunteranno su di noi… ma no, invece preoccupiamoci delle elezioni in Venezuela…

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Il nostro sovranista per eccellenza, il ministro delle felpe, ha deciso che il presidente venezuelano deve andarsene perché è un dittatore rosso, manco fosse Pol Pot. Strano, non mi pare che le carceri venezuelane siano piene di oppositori come, per dire, quelle dell’alleato turco o dei paesi arabi a cui riserviamo salamelecchi quotidiani. Ricordo che il suo partito fu molto più prudente ai tempi della guerra in Jugoslavia, nell’intervento in Iraq ed anche in Libia: sovranisti a corrente alternata, diciamo.

Auspico che il destino del Venezuela sia deciso dai venezuelani, ma se così non fosse che poi i benefattori dei popoli proseguano nell’opera meritoria, dal basso in alto: Repubblica Centrafricana, Burundi, Repubblica Democratica del Congo…

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¹ dati Cia World factbook 2017. Da notare che nella nostra regione più povera, la Calabria, il Pil pro capite è di 17.100€, quindi sappiamo a chi toccherà tra poco.