«Bulan, sbrigati amore che è tardi. Papà ci aspetta di sotto, dai che arriviamo tardi in chiesa»
Ratu, la mamma, è chinata sulla figlia minore, di sei anni, Mawar, e la sta aiutando ad allacciarsi il bell’impermeabilino rosso di cui la figlia è tutta orgogliosa, cucito da sua nonna Melati, che stravede per le nipotine.
«Uffa mamma, non ci voglio venire in chiesa» risponde la figlia maggiore, Bulan, dal bagno in cui si è rinchiusa da dieci minuti.
«Nessuna delle mie amiche va in chiesa!» protesta la ragazzina.
«Bulan?» continua paziente Ratu, rialzandosi e squadrando con un sorriso Mawar, che si è messa davanti al grande specchio ovale dell’ingresso, e stira le piccole pieghe dell’impermeabile con le manine.
«Mamma, dopo possiamo andare a mangiare il gelato tutti insieme, anche con Guntur e Kuwat?» chiede la bambina, che ha una vera venerazione per i due fratelli maggiori. Ratu scuote la testa, e pensa a quei suoi figli inseparabili, sempre in giro in due sulla stessa moto e sempre senza casco: “Prima o poi farete qualche incidente!” li ammonisce sempre bonariamente, sapendo bene che tanto non l’ascolteranno.
«I tuoi fratelli hanno promesso di andare anche loro in chiesa, ci vedremo tutti dopo» la rassicura la mamma. Al pensiero dei due figli ha un tuffo al cuore, un velo le offusca per un attimo la vista, ma si riprende subito e richiama ancora una volta la figlia ritardataria:
«Su Bulan, non fare i capricci. Lo sai come la pensa tuo padre. Quello che fanno le tue amiche è affare delle loro famiglie, quando sarai più grande potrai fare anche tu come vorrai. Adesso però esci, che è veramente tardi»
La porta del bagno si apre lentamente e Bulan esce, con il capo leggermente abbassato, non per modestia o imbarazzo, ma solo per non dar modo a sua madre di vedere il filo di mascara che si è passata sugli occhi per sembrare più grande.
Ratu scruta questa figlia che sta crescendo, bella anche lei con il suo impermeabile rosso, e si accorge subito del trucco sugli occhi. Un sorriso di tenerezza e nostalgia le illumina il volto, e il pensiero vola a quando aveva la sua stessa età, il periodo delle prime cotte, quando si sentiva goffa e inadeguata, e va ad abbracciare la figlia, che ricambia, un po’ sorpresa.
Giù in strada Setiawan, il padre, aspetta seduto al posto di guida della vecchia auto, con il motore acceso, e ascolta dalla radio musica tradizionale, con il gomito appoggiato sul finestrino aperto, e con le dita tamburella a ritmo sul tettuccio. Suo zio era stato un discreto suonatore di bonang, ed a Setiawan era rimasto il rimpianto di non aver avuto il tempo di imparare. Era dovuto andare a lavorare presto, e non c’era stato più spazio per il resto… aveva conosciuto Ratu, si erano sposati da giovani, e tutte le sue energie erano andate a mantenere la famiglia, e fare in modo che i figli crescessero bene, educati e rispettosi, e che potessero poi trovare la loro strada per realizzarsi nella vita.
A volte lo accusavano di essere un padre autoritario, ma lo faceva solo per il loro bene; tutti gli riconoscevano di aver cresciuto una bella famiglia, e se avevano dovuto fare qualche sacrificio, come ad esempio rinunciare alla macchina nuova, pensa Setiawan guardandosi intorno, ne valeva la pena.
“Adesso però comincia a farsi tardi ” pensa Setiawan guardando l’orologio dell’auto, e suona il clacson due volte, per richiamare le sue donne.
Che in un attimo sono fuori, controllano che non arrivino auto e attraversano la strada per salire in macchina, Radu davanti vicino a suo marito, e le bambine dietro.
Mawar sporge la testa dal finestrino guardando indietro, e vede qualcosa che le mette allegria:
«Aspetta papà, non partire, arrivano Guntur e Kumat!»
Setiawan controlla dallo specchietto retrovisore e sorride, vedendo arrivare effettivamente i due figli, a cavallo dell’inconfondibile moto.
«Buongiorno padre, buongiorno madre, ciao pesti!» saluta Kumat, mentre Guntur sgasa per non far spegnere la moto.
«Quando la porterai dal meccanico?» chiede Mawar al fratello. «Fa una puzza tremenda!» riferendosi al micidiale gas di scarico emesso dalla moto, senza marmitta da secoli.
«Quando sarai grande te la regalerò, così ce la porterai tu!» la canzona Kumat, scompigliandole i capelli.
«Siete pronti ragazzi?» chiede Setiawan ai due figli, guardandoli negli occhi.
«Siamo pronti, padre» risponde Guntur.
«Allora andiamo, ci troviamo di là» dice Setiawan ai figli, poi si gira verso la moglie, come a chiedere conferma. Anche lei guarda i figli, poi si volta verso le figlie e le accarezza. Infine si sistema sul sedile, e guardando fissa avanti a sé, dice:
«Si, andiamo, ragazzi. Ci troviamo di là»

Domenica scorsa in Indonesia i membri di un’intera famiglia si sono divisi e sono andati a farsi eplodere in tre diverse chiese cristiane. Non c’è Dio che possa chiedere ad una madre di far esplodere le sue figlie, così la penso io. Non c’è paradiso che possa valere tanto.
p.s.
la mente, almeno la mia, non riesce a capire come certe azioni siano possibili. Ho provato ad immaginare gli ultimi minuti “normali” di questa famiglia, convinto che con la ragione non si possa arrivare a comprendere quei genitori, quei fratelli. Le sorelline sapevano? Spero di no. I nomi sono inventati, ed ho usato i nomi più normali possibile, non è vero che nel nome c’è già il destino. Il destino forse è nella fortuna di nascere nel posto “giusto”, e di avere genitori (e di esserlo noi stessi) che si sacrifichino e lottino per farci stare meglio qui ed ora, non nel paradiso dell’ignoranza e del fanatismo.
Ratu (“Regina”) la madre
Mawar (“Rosa”) la figlia minore
Bulan (“Luna”) la figlia maggiore
Melati (“Fiore di gelsomino”) la nonna
Guntur (“Tuono”) il figlio maggiore
Kumat (“Forte”) il figlio minore
Setiawan (“Uomo fedele”) il padre