Olena regina d’Abissinia – 16

«Mi sa che qualcuno ce l’ha con noi.»
Nonna Pina osserva perplessa quello che rimane della casa dove erano dentro fino a pochi secondi prima.
«Mi sembra un po’ esagerato, non trovi anche tu Natascia? Voglio dire, passi il rapimento del cantante, ma farci saltare in aria lo trovo scortese. Vorrei sapere tra l’altro come hanno fatto a sapere che lo stavamo cercando. Qualcuno deve aver spifferato qualcosa, non sarà mica stato il tuo amico, ti fidi di lui? Non è che fa il doppio gioco?»
«Io non fida di nessuno» risponde Olena, concentrata. «Però io dubita che se avesse voluto fare saltare in aria avrebbe avvisato noi di uscire, voi non trova?»
Mentre le due si pongono questi interrogativi il telefonino della vegliarda suona, strappando ad Olena una smorfia di disappunto.
«Babushka, io detto voi di spegnere cellulare. E’ rintracciabile» la rimprovera la russa.
«Adesso non vorrai mica dare a me la colpa se ci hanno sgamato?» risponde piccata. Poi, dato uno sguardo al numero, risponde, con Olena che alza gli occhi al cielo.
«Pronto, chi parla?»
«Sono io nonna, dove siete? L’avete trovato?» cinguetta Gilda in apprensione, poi senza dare il tempo di rispondere continua:
«Noi siamo stati rapiti dai rastafariani, ma non ci hanno fatto del male. Anzi, loro dicono che l’hanno fatto per il nostro bene perché c’è qualcuno che ha brutte intenzioni nei nostri riguardi. Vi risulta?»
«Avevo detto di aspettare me» commenta Olena scuotendo la testa, a cui fa eco il controcanto di Svengard «Se aspettavamo Natascia non sarebbe successo niente» interrotto dal rumore di una borsetta calata con energia sulla zucca.
«E adesso che si fa?» chiede la Calva Tettuta, ricomponendosi.
«Voi adesso aspetta lì dove siete. Io manda miei amici a prendere voi» ordina Olena, strappando il cellulare dalle mani di nonna Pina. Poi lo spegne, e rimane a guardarlo pensierosa.
«Così non va» dichiara poi la russa «Dobbiamo ricominciare da capo»
«Torniamo ad Addis Abeba? Avrei giusto bisogno di un bel bagno ed un massaggio» dichiara la vecchia avventuriera.
«Voi fate pure bagno» concede Olena. «Io devo sistemare una faccenda in Svizzera»

Intanto a Villa Rana regna l’anarchia.

«Slava Rani!»
Kocca la gallina, Fiona la cavalla e Riitta la renna squadrano perplesse Flettàx, il pappagallo ex-sovranista diventato fervente atlantista, che dall’alto del trespolo su cui è poggiato, petto in fuori e becco volitivo, arruffa le penne in atteggiamento bellicoso.
«Speriamo che i padroni tornino presto» auspica la cavalla preoccupata «qui la situazione degenera di giorno in giorno»
«Strapperemo le penne agli invasori!» garrisce ancora l’Ara Macao padano, sempre più agguerrito.
«Ma si può sapere con chi ce l’hai, Flettino? Stai rendendo la vita impossibile a tutti, finiscila una buona volta!» lo esorta Kocca, che comincia a diventare impaziente.
«Con chi ce l’ho? Ma sentitela, proprio lei parla¹. A parte che ti ho detto mille volte di non chiamarmi Flettino, ma casomai Spartacus, o al limite Volodimiro, sai bene con chi ce l’ho! Ce l’ho con certi parrocchetti di mia conoscenza, che s’insinuano con l’inganno come serpenti, e poi colpiscono alla schiena come scorpioni. Con quelli che si fingono amiconi, e appena possono ti pugnalano alle spalle. Ma è finita la pacchia, cara mia, questo giardino è troppo piccolo per tutti e due. Uno di noi se ne deve andare, e quell’uno non sono io!»
«Ho capito, hai litigato ancora con Spread» constata Riitta, ruminando dell’erba cipollina. «Ma come, eravate pappa e ciccia quando si trattava di abbindolare quelle due padovanelle². Che è successo, ti ha cornificato?» ipotizza la renna, perfida.
«Io non ho litigato con nessuno, e non pronunciare quel nome in mia presenza! E per tua norma e regola, nessuno cornifica il sottoscritto» insorge il pappagallo, fingendo di non notare le risatine delle tre amiche alla sua ultima affermazione.
«E’ arrabbiatissimo perché Spread si è spacciato per lui e ha portato nel cespuglio anche la sua padovana» bisbiglia ridacchiando Fiona a Kocca, strappandole un allegro coccodè.
«Perciò da questo momento proclamo: sanzioni! Niente becchime al parrocchetto. E chi verrà sorpreso a fornirgliene dovrà vedersela con me» conclude Flettàx, dondolandosi minacciosamente.
«Autocrate!» lo rimbecca Riitta, sincera democratica.
«Prepotente! Io faccio quello che mi pare e piace» lo sfida la cavalla, scuotendo la criniera.
«Ma quant’è carino quando si arrabbia?» sospira Kocca, che per amore tutto perdona.

¹ I lettori più affezionati ricorderanno che nell’avventura precedente, Olena à Paris, la gallina Kocca aveva condiviso le attenzioni dei due pappagalli.
² Idem per le due galline padovane venute a rinforzare il pollaio.

Troppa grazia sant’Antonio! – Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (14)

Amiche e amici,

in questi giorni funesti per le località dell’Emilia Romagna e delle Marche vittime delle piogge che hanno causato inondazioni, frane, distruzioni e lutti, mi è capitato di pensare blasfemamente: non avremo esagerato con le preghiere? Voglio dire, visto che erano mesi che non pioveva, fiumi e laghi erano ai minimi storici, gli invasi faticavano a riempirsi tanto da temere per l’agricoltura e per la stagione estiva, ci siamo ridotti persino a disturbare Dio per chiedergli il dono della pioggia. E cavolo, se ci ha esaudito! Anche meno, Onnipotente.

Naturalmente le polemiche non mancano. Si cercano le responsabilità, politiche e amministrative, ma la sensazione è che la responsabilità sia sempre degli altri. Voglio dire: se la causa sono i cambiamenti climatici, la colpa è di noi tutti, specialmente della parte ricca del mondo che è quella che consuma e inquina di più. Certo, con un territorio ben monitorato, curato, con opere idriche di drenaggio, senza cementificazione selvaggia le conseguenze sarebbero forse state meno devastanti, ma anche questo alla lunga non dipende dagli amministratori e dal modo di vita che ci siamo scelti, dove tutto quello che è pubblico è lasciato spesso in malore e invece di cambiare l’andazzo perseveriamo nelle nostre scelte e comportamenti irresponsabili? Che poi, a che serve continuare a cementificare? L’Istat segnala che in Italia ci sono 7.000.000 (sette milioni!) di case vuote. Non si potrebbero usare quelle, magari abbattendole e ricostruendole, prima di farne di nuove?

Comunque, dato che la colpa a qualcuno bisogna darla, esponenti del governo non hanno trovato di meglio che dare la colpa agli ambientalisti, che a loro dire si oppongono alle opere che sarebbero necessarie per contenere la furia delle acque. Potranno anche esserci ambientalisti fondamentalisti, ma mi pare che anche qua si faccia ormai uso della neolingua e si cerchi sempre la criminalizzazione di chi ha un pensiero critico. Chi sosteneva che il greenpass era una forzatura discriminatoria e che i vaccini antiCovid avevano anche degli effetti collaterali gravi e dunque era stupido farli ai ragazzi sani era un oscurantista, un antiscientifico se non un untore manzoniano; chi fa notare che continuare a mandare armi in Ucraina non sta per niente favorendo la pace come si asseriva all’inizio ma anzi sta portando ad una tragica escalation, dato che tutti i tentativi di negoziato vengono soffocati e a volte ridicolizzati sprezzantemente, bene questo è un nemico della patria e ovviamente putiniano (proprio qualche giorno fa un gentile frequentatore di un blog che seguo mi ha invitato ad andare in Siberia _ la stessa cosa me l’aveva più o meno detta un blogger purtroppo scomparso di recente: chissà dove sarà lui adesso, RIP_); di conseguenza un ambientalista che denuncia da anni il disastro che si stava preparando viene adesso messo lui sotto accusa, come se fosse toccato a lui stanziare le risorse per tutte le opere che sarebbero state necessarie e non sono state fatte.

Però si dovrebbe stabilire che chi ci sta portando in guerra, perché è chiaro che è a questo che stanno puntando, mandino prima di tutto i loro figli al fronte: e mi viene in mente la storia della nonna paterna di mia moglie, che nel ’44 quando la Repubblica di Salò aveva stabilito la coscrizione obbligatoria, saputo che il figlio del podestà della stessa età del figlio non era stato richiamato si presentò dal medesimo podestà con un falcetto e glielo mise alla gola, facendolo riflettere, diciamo così, che o partivano tutti e due o non partiva nessuno. Nessuno partì: però poi lo zio di mia moglie andò lo stesso in montagna con i partigiani, perché fidarsi è bene ma non fidarsi è meglio.

Chiudo, amiche e amici, con una nota buffa: sembra ormai evidente che non riusciremo ad avere ne tantomeno spendere tutti i soldi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, lo ricordo per chi negli ultimi tre anni fosse vissuto su Marte. Anche se, diciamocelo, quanto ci hanno fatto capire i TG? Parlano solo di Ucraina, di Harry e Meghan, con brevi intermezzi se c’è una catastrofe. Poi dicono che sta aumentando il sostegno degli italiani alla guerra: con quel po’ po’ di lavaggio del cervello è già un miracolo se non siamo favorevoli al 120%)  e questo perché non siamo stati capaci evidentemente di fare i progetti. Ma come, il Migliore dei Migliori, che era stato messo al posto di Conte proprio per gestire il PNRR, non aveva detto che era tutto a posto, tanto che era pronto a fare il presidente della Repubblica? E allora che ha fatto, tranne mettere al sicuro i soliti noti, le banche e gli im-prenditori? Infatti adesso dicono che la colpa è di Conte, perché ha chiesto e ottenuto troppi soldi. Che bel paese che siamo… magari mi converrà davvero andare in Siberia? A presto!  

Olena regina d’Abissinia – 15

Il Gran Rift Africano è una profonda spaccatura della crosta terrestre, visibile perfino dallo spazio, che si estende per 6.440 chilometri dal Libano al Mozambico. L’Etiopia ne è attraversata da nord a sud, a partire dal Mar Rosso fino al lago Turkana, al confine con il Kenia; a nord la depressione assume la forma di un grande imbuto: è la regione della Dancalia, il cui territorio è posto in gran parte a più di cento metri sotto il livello del mare, dove le temperature del deserto possono diventare infernali tanto da raggiungere i 160° centigradi, quanto basta per cuocere un pollo senza bisogno di legna, ammesso di trovare un pollo che scorrazzi da quelle parti. Le uniche persone che ci vivono sono i pastori nomadi Afar, tribù poco amichevoli use a sbarazzarsi degli ospiti sgraditi uccidendoli ed evirandoli, non necessariamente nell’ordine indicato. E’ nel bel mezzo di questo paradiso terrestre, e precisamente nella cittadina di Tendaho, che quattro uomini di nostra conoscenza, per non parlare dell’ascaro¹, dopo una giornata di lavoro nei campi e stanchi di mangiare la sbobba della mensa dell’azienda agricola a cui sono stati aggregati si ritrovano nell’unico ristorante decente, o per meglio dire l’unico, della zona. Dopo essersi lavati le mani nel secchio appeso ad un palo nel retro del locale i nostri beniamini si siedono, piuttosto affamati, sperando di poter mettere sotto i denti qualcosa di decente. Luisito Lenìn, gravato da pensieri cupi, la testa incassata tra le spalle, gli occhi fissi sulle mani poggiate sulla tavola, sbotta.
«Compagni, non ce la faccio più. Io scappo e torno in Italia. Che vadano a farsi fottere le relazioni bilaterali, gli scambi culturali, l’amicizia tra i popoli. Ne ho le palle piene di sole, caldo e di zappare la terra. Era meglio mille volte la catena di montaggio!»
Gli amici annuiscono concordi ma è il capodelegazione, Attilio Trozzo, che si incarica di riportare i depressi terzomondisti sui giusti binari della dialettica democratica.
«E la solidarietà dove la metti?» chiede retoricamente Trozzo. «Stiamo toccando con mano le condizioni di lavoro di questi nostri compagni, di questi fratelli, esperienza che non avremmo certo potuto fare rimanendo con le chiappe al fresco nelle nostre officine dotate di ogni comfort»
«Parla per te» lo contraddice Memo. «Io sto in fonderia, altro che chiappe al fresco. E poi, insomma, ha ragione Luisito, mica c’è bisogno di mettere le mani nell’acqua bollente per sapere che ci si scotta! Questi qua mi sembrano imbambolati, devono darsi una mossa, mica possiamo venire noi dall’Italia a fargli la rivoluzione!»
«Sento puzza di reazione» proclama Attilio. «Ci stiamo imborghesendo? Potevate fare a meno di menare le mani al ricevimento, cosa vi aspettavate, che ci ringraziassero? Se a qualcuno» e ammicca ad Ambrogio Cantaluppi, seduto avvilito vicino al vecchio ascaro «non fosse venuto in mente di mettersi a difendere la patria, a quest’ora eravamo ad Addis Abeba. Chi è causa del suo mal pianga sé stesso!»
«Ci avevano offeso, dovevamo fargliela passare liscia?» protesta Ambrogio, torcendosi le manone.
«Offeso, offeso! In fondo che ci avevano detto?» lo rintuzza Attilio.
«Ci avevano dato dei fascisti!» insorge Luisito, che ha ancora un occhio bordato di violetto dopo la scazzottata che li aveva portati là.
«E allora? Non avevano ragione forse? Basta guardare chi abbiamo al governo! Quando la capirete che prima di muovere le mani bisogna usare la testa?» li redarguisce Attilio, abituato alle maratone sindacali.

I vecchi delegati toccati sul vivo stanno per replicare, anche con argomenti contundenti, quando al loro tavolo si avvicina la cameriera, che arrivata a pochi passi punta loro la matita che utilizza per scrivere le ordinazioni.
«Ehi, ma io vi conosco!» li saluta la ragazza, e continua « Che ci fate da queste parti? Non pensavo che vi piacesse così tanto la cucina etiope!» conclude con una risata squillante.
«Ma è la cameriera del ristorante del Lazzaretto!» la riconosce per primo Memo, il più fisionomista.
«Sì, sono proprio io» conferma la ragazza. «Non mi aspettavo di trovarvi qua. Siete turisti? Devono avervi consigliato male, ci sono posti migliori da vedere nel mio paese…»
I quattro, ripresosi dallo stupore, recuperano parte della loro giovialità e salutano la cameriera come se fosse una vecchia amica:
«Lei piuttosto che ci fa qua, ha deciso di tornare in Etiopia?»
«Ah, ah, no grazie!» risponde la ragazza con un’altra risata. Sono venuta a trovare mia madre: questo locale è suo, anzi era di mia nonna, ma l’anno scorso è morta ed è rimasto a lei. E’ lei la cuoca. Che vi faccio preparare, signori? Direi injera e shirò², va bene? Vado ad avvisare la mamma che ci sono clienti speciali!» e senza dar loro il tempo di replicare corre in cucina, da dove ricompare pochi secondi dopo con una grande caraffa di tella³ e le posate.
«Scommetto che non avete ancora imparato a mangiare con le mani, vero?» e scompare di nuovo, sempre ridendo.

Dopo un paio di caraffe l’atmosfera si è notevolmente rasserenata, le ombre si sono dissipate e persino l’ambiente sembra meno duro di quel che è; all’arrivo poi del grande vassoio di doro wot che la cuoca ha preparato per loro, ritenuto più indicato del meno nutriente shirò, i nostri riacquistano la naturale bonomia e la joie de vivre che li contraddistingue. Perfino l’ascaro apprezza la libagione, e non manca di sottolinearlo sventolando ogni tanto la bandierina del regio esercito. Spazzolato tutto, e fatta la doverosa scarpetta con la injera, i quattro si appoggiano pesantemente alle spalliere delle sedie, mentre l’ascaro esce con il suo grammofono ed attacca una marcetta coloniale.
«Ci vorrebbe un bel caffè» dichiara Memo, satollo. Come se gli avesse letto nel pensiero, la ragazza arriva con una cuccuma fumante e la piazza in mezzo alla tavola, insieme alle tazzine.
«Non guardate male la caffettiera. Vi conosco voi italiani, pensate di essere capaci solo voi di fare il caffè. Lo sapevate che la civiltà del caffè ha avuto inizio proprio qui, in Etiopia? Per la precisione nella città di Harrar. Su, bevete prima che si raffreddi» esorta i sospettosi avventori. Che, dopo aver assaggiato la nera bevanda, non si fanno scrupolo di versarsene un’altra tazza, sotto gli occhi divertiti della cameriera.
«Vedo che avete apprezzato, sono contenta. Certo, i piatti qua sono un po’ diversi da quelli che avete provato a Milano…»
«Era tutto buonissimo signorina, faccia i complimenti alla cuoca» dice Memo, soddisfatto.
«Grazie, ma perché non glieli fate direttamente voi? Aspettate, la vado a chiamare»
«Ma no, non la disturbi, avrà da fare…» ma la ragazza non li ascolta, e corre sul retro.

Dopo qualche minuto la tenda che divide la sala dalla cucina si apre, ed il vociare dei vecchi compagni si interrompe. La donna che avanza verso di loro lentamente, alta, formosa, con lunghi capelli neri e labbra carnose, vestita di una semplice tunica bianca di cotone orlata di ricami dorati, sembra un’apparizione. La camminata quasi indolente, lo sguardo fiero, un sorriso orgoglioso che fa intravedere i denti bianchissimi; con le mani regge un vassoio su cui sono poggiati dei dolci e dei bicchierini di tej, l’idromele, che poggia delicatamente sulla tavola.
«Benvenuti» sussurra la donna in amarico, con un leggero inchino, ravviandosi una ciocca di capelli scesa a coprire gli occhi neri.
«Vi presento mia madre» dice la cameriera, con naturalezza. «Si chiama Mariam»
«Piacere, signora» saluta Attilio, a nome dei compagni. Mariam sorride, e poi si avvicina ad Ambrogio.
«Tu come ti chiami?» chiede la donna, sempre in amarico. E, come se avesse capito, il rude metalmeccanico, diventato rosso come un peperone, risponde:
«Mi sunt Ambroeus… cioè, io sarei Ambrogio. Per servirla, signora» balbetta il Cantaluppi, ormai perso nella profondità di quegli occhi neri.

¹ Chi non riconosce la citazione, peste lo colga.
² Lo shirò è un piatto tipico che consiste in una vellutata di ceci e berberè. Il berberé è un ingrediente chiave delle cucine eritrea ed etiope. E’ una miscela di spezie, la cui composizione è tradizionalmente: peperoncino, zenzero, chiodo di garofano, coriandolo, ruta comune, ajowan (cumino d’Etiopia) e può comparirvi anche il pepe lungo.
³ La tella è la bevanda alcolica tradizionale più comunemente consumata. Viene prodotta facendo fermentare luppolo, malto e vari cereali, tipicamente orzo, grano, teff, sorgo o mais.

Olena regina d’Abissinia (14)

Alle prime luci dell’alba l’aliante ultraleggero Taurus Electro G2, a motore elettrico, si avvicina silenziosamente all’obiettivo. Giunto a cinquecento metri, il pilota adocchia un pascolo e manovra il velivolo fino a farlo atterrare, sobbalzando sul terreno irregolare, tra i belati di una decina di pecore curiose e la perplessità di due cammelli da soma, che scuotono la testa in direzione di quello che reputano un grande uccello disturbatore.
«La prossima volta guido io» dichiara il passeggero, scendendo lentamente imbracciando la sua pistola mitragliatrice Beretta PMXs.
«Raffiche brevi» gli ricorda il pilota increspando appena le labbra in qualcosa che assomiglia ad un sorriso, accarezzando il suo fido ShAK-12, in grado di penetrare qualsiasi giubbetto antiproiettile in commercio nonché in grado di abbattere un elemento ostile anche se riparato dietro un muro. Poi, con un gesto, indica all’altro il retro della casa verso cui sono diretti, e gli fa cenno di appostarsi da quella parte; quindi con il calcio del fucile rompe il vetro di una finestra e butta dentro una granata stordente e appena dopo l’esplosione spalanca la porta con un calcio ed entra, pronto a usare la sua arma contro chiunque gli si pari davanti.
Dentro la casa nessun segno di vita tranne quella del suo compagno che si gratta la testa in mezzo alla stanza.
«Pare che siamo arrivate tardi» constata Nonna Pina, osservando uno smartphone in terra, ridotto in mille pezzi.
«Babushka, io detto te di aspettare fuori» la rimprovera Olena, la pilota. «Io poteva sparare te!»
«Se c’era qualcuno dentro era meglio se prima sparavano a me che a te» risponde la centenaria «Così li avresti presi tutti facilmente. Se invece non c’era nessuno, come è successo, che importanza ha chi è entrato per primo? Vogliamo farne una questione di precedenza? E’ proprio vero che la riconoscenza non è di questo mondo!» conclude Nonna Pina, beffarda.
«Prossima volta io lascio voi a casa» dice Olena scuotendo la testa, facendo finta di arrabbiarsi con l’indisciplinata vegliarda.
«Comunque, adesso che si fa? Questi hanno chiaramente tagliato la corda, devono aver sentito puzza di bruciato»
«O qualcuno avvisato loro» ipotizza la russa.
«In ogni caso, chissà dove saranno finiti adesso. Dove l’avranno portato? Sempre che non l’abbiano fatto fuori»
«Niet, io non credo loro fatto qvesto»
«E perché no? Non sarebbe il primo cantante che ammazzano in Etiopia¹»
«Appunto. Se volevano uccidere lui, bastava sparare. Perché rapire?»
«Magari per il riscatto, no? E’ abbastanza famoso, magari qualche soldino da parte ce l’ha, avranno pensato» suggerisce Nonna Pina. Ma Olena non ascolta, impegnata ad aprire armadi, rovesciare cassetti, sventrare materassi.
«Si può sapere che stai cercando?» chiede la stagionata commando.
«Una traccia» risponde la russa. «Come qvesta» dice tirando fuori dalla spazzatura i pezzi di un biglietto che sembra pieno di scarabocchi.
«Che roba è?»
«Amarico. Lingua ufficiale di Etiopia, ma scrittura difficile, io non conosce bene. Sentiamo mio amico.» Quindi estrae il cellulare e compone un numero, al quale dopo pochi squilli risponde una voce nota:
«Sono lusingato, capitano Smirnova, non pensavo che ti sarei mancato così presto. Mi chiami per un appuntamento? Allora è amore!» ridacchia l’uomo all’apparecchio.
«Jemal, tu molto divertente. Anche a letto fai ridere molto me. Sto mandando te foto di scritta, tu traduci subito prego»
E, senza dare a Jemal il tempo di protestare, Olena invia la foto; il silenzio che segue viene rotto dalla voce concitata dell’etiope:
«Merda, Olena, vieni via subito di lì. E’ una trappola.»

¹ Nel 2020 ad Addis Abeba venne ucciso a colpi di arma da fuoco il famoso cantante e attivista Hachalu Hundessa, 34enne, che con le sue canzoni promuoveva la libertà e i diritti per il suo gruppo etnico Oromo, il più numeroso del Paese ma che per buona parte della storia recente dell’Etiopia ha subìto la repressione sistematica del governo centrale. La sua uccisione ha provocato un’ondata di indignazione e proteste, e le manifestazioni vennero represse con violenza dalle forze di polizia, tanto che negli scontri morirono circa 250 persone.

Il popolo non è lucido! – Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (11)

Amiche e amici,

siamo già arrivati al Venerdì Santo, come passa il tempo quando ci si diverte! Domenica scorsa, domenica delle Palme, il sottoscritto per mancanza del titolare ha dovuto cantare il salmo Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato, suscitando viva commozione nell’assemblea. La mia stessa consorte, arrivata come al solito in ritardo e quindi posizionata dietro una colonna della chiesa, non voleva credere che la voce ispirata dell’ignoto cantore fosse la mia. Troppo bella, ha detto, scuotendo la testa. Che soddisfazione!

La settimana scorsa vi avevo detto che avrei partecipato alla Camminata dell’Amicizia, a Bosisio Parini, ed ho mantenuto la promessa: 12 chilometri fatti in compagnia di un gruppetto di amici in mezzo ai 10.000 partecipanti: tanti, ma non ancora a livelli pre-Covid, quando nell’ultima edizione eravamo il doppio. A metà percorso prosecco corroborante ed alla fine risotto e salamelle, e c’è stato spazio anche per un ballo: infatti c’era un duo che proponeva balli popolari, proprio quelli che vado a salticchiare con i pensionati del martedì, e non mi è parso vero poter dimostrare la mia maestria nella Chapelloise! Dalla smania non ho nemmeno fatto togliere lo zainetto dalle spalle della consorte di cui sopra, che quindi se l’è fatta con il peso addosso, ma per la verità non si è lamentata, era troppo sorpresa. A proposito di balli, finito con gli emiliani abbiamo attaccato con gli occitani: per me cambia poco, tanto li mischio e dimentico i passi, a differenza degli agguerriti ex-lavoratori a riposo.

In settimana ho sentito un’intervista all’ineffabile senatore a vita Mario Monti, a cui una buona parte di commentatori si è subito allineata, in cui il salvatore della patria, a proposito della contrarietà degli italiani a continuare a mandare armi agli ucraini, diceva “Il popolo non è lucido. Per fortuna ci sono i decisori”. Non che mi aspettassi qualcosa di diverso da uno che solo una decina di anni fa sosteneva che la macelleria sociale a cui è stata sottoposta la Grecia sarebbe stato uno “shock salutare”, ma poi ripensandoci forse il senatore ha ragione. Non è così fin dai tempi di Gesù o Barabba? Il popolo non è lucido. Ma nemmeno tanto i decisori, se vogliamo: se Pilato e i sacerdoti del Sinedrio non avessero condannato a morte Gesù non ci sarebbe stata la resurrezione e la nascita di una religione che ha contribuito a distruggere l’Impero Romano e a combattere per secoli gli ebrei, fino ad arrivare alla Shoa del Gott mit uns.

Del resto io è da un bel pezzo che sostengo che il popolo non è lucido, almeno da quando ho l’età per votare, ma anche da prima sentendo i discorsi dei miei genitori, vedendo i risultati di ogni elezione. Fino ad arrivare alle ultime…

Però sostenere che i decisori siano più lucidi del popolo, per quelli che aspirano ad esportare democrazia in tutto il mondo, mi sembra un po’ una contraddizione: scusate, dite tutti i giorni che Putin, tanto per fare un esempio, se ne frega del popolo _ a dire la verità io per quel poco che ho visto della Russia non mi è sembrato che il popolo stesse così male, sicuramente stava molto peggio dopo la caduta del comunismo con l’ubriacone Eltsin _ allora vuol dire che ha sempre avuto ragione lui? O il popolo è solo quello che vi fa comodo, come Macron che definisce “folla” quelli che protestano, a differenza del popolo che lo vota? (magari avercela anche noi quella folla. Non ci avrebbero ridotto la sanità come l’hanno ridotta, e le multinazionali dell’energia non avrebbero fatto extraprofitti mentre le bollette sono raddoppiate).

Avrei voluto chiudere qua, ma come non rivolgere un pensiero al nostro presidente del Senato? Un nostalgico (memorabile un suo scontro con Di Pietro in cui questi gli dava del fascista e quello rispondeva “grazie!”) che giura sulla Costituzione antifascista, però evidentemente ogni tanto ritorna ai vecchi amori perché gli parte la scheggia e critica le azioni dei partigiani in via Rasella. Si decida, presidente: o di là, o di qua!

E a proposito di presidenti, un augurio di pronta guarigione a Silvio Berlusconi, che se la sta passando male. Sono convinto da sempre che per questo paese il ventennio (ormai trentennio) politico berlusconiano, preceduto dall’avvento delle sue TV commerciali, sia stato quanto di peggio potesse capitare al nostro paese. Mi sono sorpreso spesso però ad ammirare quella simpatica canaglia, e credo che lo stesso sia stato per tanti italiani. Evidentemente ci ritroviamo  gli stessi nostri difetti, solo che lui ha molti più soldi.

Amiche e amici, ci sarebbe ancora tanto da dire, ma si è fatta una certa e mi è venuta fame: stiamo leggeri, in attesa dell’abbuffata di Pasqua e pasquetta… tanti auguri a voi tutti, comunque la pensiate. Non si sa mai, no?

il costume è facoltativo

Olena regina d’Abissinia – 13

Gilda sposta lo guardo perplesso dal viso dell’anziano uomo che le si è genuflesso davanti a quello del fido maggiordomo James, perplesso per la verità quanto lei.
«James, sono perplessa» ribadisce infatti la vedova Rana. «Passi per qualche cugino, ma addirittura un fratello mi pare esagerato. Tra l’altro questo signore ad occhio e croce si avvicina più all’età di mio nonno che di mio padre, come posso essere sua sorella?» Decide quindi di chiedere lumi direttamente alla fonte, e invita l’uomo ad alzarsi.
«La prego, si alzi, mi fa sentire in imbarazzo. Posso sapere con chi ho il piacere di parlare? Lei è il capo qua? Ah, se poi en passant ci potesse spiegare perché ci ha fatto rapire, mi farebbe un favore» conclude la Calva Tettuta, sistemandosi la bandana in seta stampata con motivi floreali, estremamente indicata per un paese come l’Etiopia che è uno dei massimi esportatori al mondo di fiori freschi¹.
L’uomo si alza, e uno dei ragazzi del seguito si affretta a portare una sedia dove farlo accomodare.
«Grazie, sorella» insiste l’uomo. «Risponderò volentieri a tutte le tue domande, ma prima permettimi di presentarmi. Mi chiamo Paul, Padre Paul², e sono l’ultimo rimasto dei dodici, come gli apostoli, che per primi accolsero l’invito di Hailé Selassié di tornare in Africa dalla Giamaica, nel 1955. Era il sogno che si avverava, i discendenti africani che ritornavano nella terra di origine, la terra promessa, la terra da cui i nostri antenati erano stati sradicati, catturati e venduti come schiavi. Il sogno di riunirsi con i nostri fratelli di sangue, uniti nella fede, senza più divisioni: sogno che si avvera ogni giorno, qui a Sciasciamanna, in questa comunità dove si acquisisce consapevolezza spirituale e si ricerca la verità e la giustizia»
«Magari con qualche piccolo aiutino?» insinua Gilda, ammiccando al gruppetto seduto in circolo che si sta passando uno spinello. Padre Paul sorride, annuendo.
«La ganja aiuta, ma se la mente e il cuore non sono aperti serve a poco»
«Ne sono convinta» concorda Gilda «del resto noi siamo persone di grande apertura mentale, glielo può confermare chiunque. Vivi e lascia vivere è il nostro motto! E l’amore universale è il nostro ideale. Pensi che sotto la rude scorza di questo maggiordomo si nasconde un sorcino, e ho detto tutto»
La fronte del vecchio rastafariano, già rugosa di suo, si corruga ancor di più nello sforzo di immaginare cosa sia mai quel sorcino che si nasconde sotto i panni impeccabili di James; la sua cultura musicale infatti non spazia oltre il reggae, ed è ben lungi dal conoscere le gesta dell’autore di “Il triangolo no, non l’avevo considerato”. Ma ci pensa la vedova Rana a toglierlo dall’imbarazzo:
«Bene, adesso che abbiamo fatto le presentazioni, possiamo sapere perché diavolo ci avete portato qui?»
«Ma è semplice, sorella: perché tu sei l’erede!» risponde serafico Padre Paul, allacciando le mani sulla pancia. Gilda rimane interdetta, ed è il suo turno di corrugare la fronte:
«Io l’erede? Guardi, deve esserci un errore. Io non posso essere l’erede, si figuri, mia madre e mio padre sono di Serrapetrona. Credo che si possa notare anche dalla carnagione, che non sono l’erede. E’ mio nonno quello che ha dato vita ad un nuovo ramo della famiglia, tra l’altro all’insaputa degli altri e soprattutto di mia nonna, ma io non c’entro niente. Insomma, io non posso essere l’erede del vostro Hailé Selassié, se lo metta bene in testa!»
Padre Paul sorride divertito.
«Scusa, sorella, ma chi ha parlato di Hailé Selassié? Tu eri la moglie di Evaristo, giusto? E dunque sei l’erede. O sbaglio?»
La Calva Tettuta, a sentire il nome del defunto consorte, perde il consueto aplomb e si erge in tutto il suo metro e sessanta di furia tascabile:
«Cosa c’entra Evaristo adesso? E lei come fa a conoscerlo? Non sarà venuto a caccia con Roby Baggio³ anche qua?»
«Dunque tu non sei al corrente delle attività di tuo marito?» chiede sorpreso il vegliardo.
«Il mio ex marito, prego. Poco rimpianto, tra l’altro. Evaristo aveva l’abitudine di tenersi qualche segretuccio per sé, di tanto in tanto. Insomma, cosa ha combinato stavolta?»
«Tuo marito aveva delle grandi idee! Era un visionario»
«Su questo non c’è dubbio. Pensi che una volta voleva riempire il ripieno dei tortellini con dei manometri. Ce n’è voluto per convincerlo che non ci stavano⁴. Con l’aiuto delle vostre erbe chissà che visione avrà avuto questa volta. Ma non preoccupatevi, la maggior parte delle sue idee erano strampalate.»
«Ma non questa, sorella! Anzi, siamo ormai in fase avanzata di realizzazione. La società è aperta da tempo, ed eravamo quasi pronti per avviare la produzione; poi però la morte di Evaristo ha bloccato tutto, ma ora ci sei tu e possiamo riprendere da dove ci siamo fermati. Fifty-fifty, come concordato!»
«Fifty-fifty? Ma di che, si può sapere? Non sarà una cosa illegale, vero? No, perché nel caso credo che la prima cosa da fare sia nominare un amministratore delegato a cui dare la colpa. Oppure sperare in qualche condono: come siete messi in Etiopia con sanatorie e affini? Da noi sono abbastanza frequenti, ma capirete, noi siamo una democrazia liberale» ragiona Gilda, addentrandosi in considerazioni politiche.
«Niente di illecito, ti assicuro. Evaristo avevano comprato un appezzamento di terreno per coltivare la canapa alimentare; con questa noi produrremo farina di canapa, che ha delle straordinarie proprietà nutrizionali: aiuta a regolare l’intestino, abbassa il colesterolo, rinforza il sistema immunitario, rallenta l’invecchiamento dei tessuti, riduce la pressione arteriosa e molto altro…» elenca Paul.
«Insomma, un toccasana» commenta Gilda «sì, ma noi che c’entriamo con tutto questo? Evaristo voleva lanciare una linea di integratori alimentari? Non è proprio il nostro settore, ma ci si può pensare. I vegani sono d’accordo?» chiede la Calva Tettuta, immaginando un florido commercio con gli alimentaristi alternativi.
«No, niente integratori. Tuo marito era contrario alle pillole. La sua idea era quella di usare la farina di canapa al posto di quella di grano, e lanciare una nuova linea di ravioli»
«Non mi dica. E come avrebbe voluto chiamare questa nuova linea?» chiede Gilda, che rabbrividisce immaginando la risposta.
«Te l’ho detto che tuo marito era un visionario! L’avrebbe chiamata Kasta, la pasta rasta!»

¹ L’Etiopia esporta oltre due milioni di fiori recisi al giorno; il prodotto principale è la rosa: le serre sulle rive del lago Ziway, nell’Etiopia centrale, sono il più grande centro di produzione di rose del mondo.
² Padre Paul esiste veramente: le cronache riportano che dei dodici pionieri che lasciarono la Giamaica undici partirono in barca, ed uno a piedi. All’Autore sfugge come quest’ultimo abbia fatto, a meno di camminare sulle acque.
³ cfr. Olena a Paris, 2021. I lettori più attenti ricorderanno che in quell’avventura Evaristo Rana possedeva una hacienda in Argentina dove talvolta si incontrava con il divin codino Roberto Baggio, straordinario calciatore, per delle battute di caccia.
⁴ cfr. Natale con Olena, 2017. Dopo tanto tempo Gilda confonde ancora i nanometri con i manometri.

Ma non dovevano fallire le banche russe? – Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (10)

Amiche e amici,

è arrivata la primavera! Veramente è già da qualche settimana che la temperatura si è alzata, il mio balcone è tutto fiorito; piante dai nomi sconosciuti fanno capolino dai vasi curati amorevolmente (non da me); i marciapiedi dissestati di periferia sono abbelliti, oltre che da deiezioni di cani, da scivolosi petali di magnolia e friabili infiorescenze di mimosa; i colori di queste foreste cittadine allietano la vista, così come quelli delle auto di tutte le cilindrate e dimensioni che, monumento viaggiante all’inefficienza ed allo spreco, si dirigono incolonnate a passo d’uomo verso il centro città, guidate da anime perse e solitarie che schiumano rabbia ed aggressività verso gli sfortunati compagni di marcia.

Che pace, che serenità!

La primavera è propizia per intraprendere nuove attività, dopo i cupi mesi invernali: le giornate si allungano, c’è più voglia di uscire; dal guardaroba vengono estratti gli abiti più leggeri (di mezza stagione, si diceva una volta, prima che le mezze stagioni scomparissero). I sensi si risvegliano, in tutti i sensi. Ad esempio, venti anni fa Bush jr. decise di attaccare l’Iraq per abbattere il governo di Saddam Hussein, senza alcuna risoluzione Onu e dunque contro il diritto internazionale, con motivi dimostratisi tutti falsi (appoggio ad Al Qaeda, possesso di armi di distruzione di massa…), sicuramente fu colpa della primavera. La guerra causò centinaia di migliaia di morti, distruzioni a non finire (chi non ricorda il museo di Baghdad saccheggiato?) e conseguenze che ancora oggi il mondo si porta dietro (la nascita dell’Isis è una di queste, ad esempio). Si potrebbero anche ricordare i bombardamenti di Falluja con il fosforo bianco, agente chimico vietato, ma se a usarlo sono i buoni non è crimine. Ti ho fatto male, ma per il tuo bene, canta Loredana Bertè.

E giusto per fare del bene, gli inglesi hanno annunciato che manderanno munizioni all’uranio impoverito agli ucraini. I nostri TG si sono subito affrettati a dire che l’uranio non fa male. Agli ucraini, poi, che si sono già sorbiti e assorbiti Chernobyl, fa un baffo. Peccato che, dopo la guerra in Jugoslavia, tra militari e civili italiani che sono venuto in contatto con queste armi ci siano stati 8000 casi di tumori sospetti, di cui circa 400 riconosciuti ufficialmente da tribunali per causa dell’uranio impoverito; e pensare che la UE prima di entrare armi e bagagli nella Nato stava considerando di promuovere una legge per mettere al bando questo tipo di armi. Adesso tutto bene? Del resto, quando i verdi tedeschi sono tra i primi sostenitori dell’invio di armi e dunque della guerra, e accettano degassificatori e carbonizzazione senza fare una piega, quando avevano il gas che gli arrivava con i tubi (pagati profumatamente), anzi bastonando la povera Greta, che ci si può aspettare? Ma il re Carlo III, così attento all’ambiente (quello del suo cortile), non ha niente da dire? Che farisei.

Che poi, a sentire gli analisti della prima ora, l’economia russa a quest’ora sarebbe dovuta crollare, la gente a Mosca sarebbe dovuta andare con le pezze al culo o magari ricominciare a mangiare bambini, come ai bei tempi del baffone. E invece, caso strano, falliscono le banche in Usa e addirittura in Svizzera! Ma, sempre gli stessi analisti, ci assicurano che l’economia russa crollerà, è solo questione di tempo, un anno o due. Cioè, ancora un anno o due di guerra? E’ questo che stiamo sostenendo? E’ questo il bene dell’Ucraina? O magari mettersi a discutere di un serio piano di pace, come quello dei cinesi? Ma del resto, se l’omino in maglietta verde (pardon, ora ha cambiato colore: il nero sfina) ha messo addirittura per legge che i negoziati sono vietati, e l’imperatore supremo ha detto che nemmeno il cessate il fuoco è da prendere in considerazione, come se ne esce? Davvero qualcuno pensa di sconfiggere la Russia senza che questa usi le bombe atomiche? Ma come, se dall’inizio della guerra ci si affanna a dire che Putin è pazzo, poi ci si affida al suo senno? Mi pare un controsenso.

Concludo con una nota gioiosa e positiva: in questo weekend ci sono le giornate Fai di primavera, io andrò a vedere una bella villa in un paese qua vicino; domenica invece parteciperò alla Camminata dell’Amicizia, manifestazione che si svolge tutti gli anni in questo periodo per contribuire ai progetti di una struttura di assistenza di alto livello a disabili fisici e psichici (“La nostra famiglia” di Bosisio Parini, davvero di alto livello); sono 12 chilometri senza difficoltà, che inframezzeremo con pausa aperitivo ed alla fine risotto preparato dalla Confraternita del Risotto, che su padelle enormi prepara altrattanto enormi risottate.

Sempre che non piova: sono mese che non si vede una goccia d’acqua, il presidente Zaia del Veneto dice già di usare l’acqua solo se indispensabile: diamogli ascolto, amiche e amici, laviamoci col vino!

Manfrina e manfrone – Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (9)

Amiche e amici,

il periodo è convulso. Non ho tempo per fare quello che più mi piace, cioè oziare sul divano o scrivere qualcuna delle mie stupidate: e non posso nemmeno prendermela con qualcuno perché la colpa è solo mia. Ho deciso di accettare quel lavoro di cui vi parlavo, non avevo considerato però che questo mi avrebbe impegnato di più, e per ora anche parecchio perché devo addestrare un team di persone, mentre prima ero responsabile di me stesso e poco più. Sono così tornato indietro di qualche anno, quando ero capoprogetto con potere di vita e di morte sui sottoposti (potere sempre adoperato con avvedutezza e direi magnanimità: sono intervenuto duramente solo in un caso, quando uno picchiò un collega presso un cliente _ fosse stato da un’altra parte, forse se la sarebbe cavata _) solo che adesso per quanto me ne frega si potrebbero anche accoltellare.

Per fortuna al lunedì sera è cominciata la nuova serie del Commissario Ricciardi con Luca Guanciale, e quella è sacra; poi al martedì c’è il ballo popolare, questo mese spazio ai balli dell’appennino emiliano: abbiamo iniziato con manfrina e manfrone, nomi evocativi, e una delle figure si chiama tresca, anche se non ho ancora capito perché. A ballare sono una pippa, ma per fare un po’ di movimento è sempre meglio che andare in palestra.

Al mercoledì ci sono le prove del coro: si avvicina Pasqua e quindi l’impegno non si può derogare. Il triduo, come sanno i fedeli, è abbastanza impegnativo. Non rispettiamo esattamente il digiuno quaresimale in quanto nel mese di marzo diversi coristi compiono gli anni e quindi ad ogni prova ci sono cioccolatini o pasticcini. Io sono ghiotto di Mon Cherì, e ogni volta che ne addento uno ripenso a mio cognato, camionista, che venne fermato alla frontiera con il tasso alcolemico alto dovuto proprio all’ingestione di uno di questi cioccolatini (sulla correttezza di mio cognato come camionista metterei la mano sul fuoco); per fortuna i doganieri svizzeri furono comprensivi e gli chiesero di ripetere l’esperimento; gli fecero bere dell’acqua, lo tennerò lì una mezzoretta, gli fecero mangiare un altro cioccolatino e rifecero la prova. Quindi, autisti ad ogni livello, evitate di mangiare cioccolatini con liquore prima di mettervi alla guida!

Al giovedì, siccome ero relativamente libero, ho visto bene di farmi tirar dentro in un’attività culturale. Il nostro aiuto parroco, uomo di grande cultura, storico, scrittore, ha proposto di rivitalizzare la chiesa più antica di Como che guardacaso si trova nel nostro quartiere ed è quasi sempre chiusa e allestire una rassegna estiva di musica, arte e teatro; sono stato ingaggiato in qualità di esperto di teatro, forse perché ho l’abbonamento al Piccolo Teatro di Milano con i pensionati, o forse perché ho scritto e diretto una decina di commedie per ragazzi: ad ogni modo dovrei trovare delle compagnie o attori singoli che propongano dei pezzi stimolanti e adatti all’ambiente; il limite che a me pare invalicabile è che si vogliono avere gratis, cosa che va contro la mia morale perché gli artisti a mio parere vanno pagati, magari poco ma pagati; del resto avendo un figlio che ha fatto le Belle Arti andrei contro i miei interessi. Dunque dovrò rivolgermi a buoni dilettanti, o attori affermati interessati al progetto, o magari qualche compagnia che vuol fare delle prove generali in un luogo comunque suggestivo. Conoscete qualcuno che possa andar bene? Per la musica invece non c’è problema: pare che ci sia la fila di gente, di buon livello, che vuol venire a cantare e suonare gratis (o si accontenta al massimo di un rinfresco).

Al venerdì serata libera. Mi sta capitando sempre più spesso però di dover fare da assistente sociale; abbiamo come vicini una famiglia con madre divorziata (di marito delinquente) e due ragazzi adolescenti che la fanno impazzire. La poverina non sa più cosa fare; ieri sera ad esempio strillavano come pazzi e sono dovuto intervenire prima con uno e poi con l’altro. Hanno dei problemi di nervi, e quando hanno delle crisi non sentono ragioni; bisogna mettersi lì e aspettare che gli passi, tranquillizzandoli con la voce e con i gesti. Mi sono anche un po’ spaventato perché il più piccolo mi sembrava da esorcizzare, aveva gli occhi sbarrati e ripeteva le stesse parole, dopo aver strillato appunto come un matto: “io non voglio, non voglio, non voglio… “ e tutto perché la madre avrebbe voluto che preparasse la cartella di scuola per il giorno dopo! I servizi sociali li seguono, ma sinceramente temo il peggio. E’ doloroso dirlo, ma forse se glieli tolgono e li mettono in qualche struttura in grado di gestirli le farebbero un favore, anche se lei sta dedicando loro tutta la vita.

Al sabato, o la domenica a pranzo, c’è la cena o il pranzo dalla suocera. Lì effettivamente mi riposo, perché mi piazzo sul divano, tranne le volte dove serva un quarto per giocare, cosa che faccio sempre malvolentieri perché non sono capace di concentrarmi e dopo qualche minuto comincio pure a sbadigliare, suscitando rimostranze e ire degli sfortunati compagni,destinati alla sconfitta. Chissà se all’età di mia suocera, ammesso che ci arrivi, qualcuno vorrà venire a giocare a carte da me, magari pensando di farmi un favore?

Cari amici oggi non vi tedierò con guerra, politica, Covid: è arrivata la primavera in anticipo sui tempi, il balcone è assolato e i fiori stanno tutti sbocciando; ho anche come ospiti due cavallette che sembrano passare tutto il tempo a fare l’amore (almeno sembra, dato che il cavalletto sta in groppa alla cavalletta: lo sapevate che la cavalletta maschio è più piccola della cavalletta femmina? Io l’ho scoperto ora).  Buon per loro! A presto.

Io NON sono quello con la parrucca rosa

Olena regina d’Abissinia – 12

One love, one heart
Let’s get together and feel all right
Hear the children crying (one love)
Hear the children crying (one heart)
Sayin’, “Give thanks and praise to the Lord and I will feel all right”
Sayin’, “Let’s get together and feel all right”
Whoa, whoa, whoa, whoa¹

Sciasciamanna (“Shashamane”) è una località del sud, nella regione di Oromia, a circa quattro ore di distanza da Addis Abeba, dove vive una comunità di rastafariani; può sembrare strano trovare dei seguaci di questa religione in Etiopia ma non lo è affatto, considerando che questi considerano appunto l’Etiopia, e non la Giamaica, la Terra Promessa, la Nuova Israele.
E’ in questa località beata che Gilda, sorbendo un tè sotto un gazebo alzato in uno spiazzo erboso circondato da una decina di basse casette variopinte con i tetti in lamiera, osserva divertita il compagno che, a torso nudo, cerca di muovere il corpo, più adatto per tagliare tronchi nelle foreste che per ballare,a ritmo di reggae, suscitando l’ilarità del gruppo di ragazzi e ragazze che l’ha adottato.

«James caro, non trovi che le treccine donino al mio Svengard? Dev’essere l’anima vichinga che affiora. Anche se, a essere sinceri, dubito che sotto l’elmo cornuto ci fosse lo spazio per tutti quei capelli. Tu che ne pensi?»
«Effettivamente, signora» risponde l’interpellato, osservando con una certa perplessità i dread locks posticci che il norreno si è messo in testa.
«Ma che mi stavi dicendo a proposito di questa gente? Non mi aspettavo di trovarne da queste parti. Mi sembra che uno del nostro ufficio marketing sia rastafariano. O mi confondo, ed è pastafariano? Del resto noi facciamo pasta, anche se ripiena, lo capirei se la adorasse »
James, con un lieve tossicchiare, sorvola sulla seconda domanda della padrona.
«Alla metà degli anni ’50 un gruppo di giamaicani, eredi di schiavi africani come la maggior parte dei neri che si trovavano a quei tempi in giro per il mondo, emigrarono dalla Giamaica quando Hailé Selassié, venerato da loro come il nuovo Gesù, donò 500 acri di terra per quelli che volevano fare ritorno in Africa. Rastafariani significa infatti “seguaci di ras Tafari”, cioè Tafari Maconnèn che era il nome di Hailé Selassié prima di diventare negus nel 1930. La religione rastafariana è molto aperta, dialoga con tutte le altre religioni, è pacifista, e per scopi meditativi i seguaci assumono marijuana, o ganja come preferiscono chiamarla»
«Non vorrei passare per agnostica, se è questa la parola giusta » dice Gilda abbassando la voce «ma perché mai, tra tante persone al mondo, questi giamaicani avevano scelto proprio Hailé Selassié come nuovo Cristo?»
«Per una serie di motivi» risponde il maggiordomo «il primo è la discendenza, fatta risalire addirittura all’incontro fra il Re Salomone e la regina di Saba; poi i titoli che ha assunto all’incoronazione, cioè Re dei Re, Eletto di Dio, Luce del Mondo, Leone Conquistatore della tribù di Giuda; loro sostengono inoltre che nelle Sacre Scritture si trovino segni del suo avvento e delle sue opere, così come delle sue iniziative politiche»
«James caro, come divulghi tu divulgano in pochi e non sarei sorpresa se un giorno qualcuno ti proponesse di condurre una trasmissione in qualche rete televisiva, magari in coppia con Licia Colò» dichiara la Calva Tettuta, ammirata.
«Comunque, anche se possono sembrare un po’ strambi² sono tutti molto gentili, non trovi? E poi quelle sigarette sono molto stimolanti, direi stupefacenti. Ad ogni modo, hanno sicuramente un effetto benefico. Mi sfugge tuttavia il motivo per cui questi tizi ci hanno rapito. Se è per il riscatto li potrei anche capire, in fondo siamo abbienti, per non dire sfacciatamente ricchi almeno secondo i loro parametri, ma non mi sembrano molto interessati a ricompense economiche. Chissà che vorranno?»
Quasi come se gli avessero letto nel pensiero, da dietro una delle capanne avanza un piccolo corteo, con in testa un uomo anziano non molto alto, con una lunga barba bianca e sul capo un rasta tam³; al suo fianco l’uomo che li ha prelevati all’aeroporto, con i capelli non più costretti sotto il cappello da autista. La musica si ferma, e tutti si stringono intorno ai nuovi arrivati. L’uomo saluta tutti affettuosamente, si avvicina a Gilda e prima che questa possa riprendersi dallo stupore le si inginocchia davanti e la saluta commosso:
«Benvenuta a te, sorella! E’ da molto che ti aspettavamo»

¹ “One love”, Bob Marley, 1977
² L’Autore ricorda quando, in occasione della Pasqua di qualche anno fa, l’anziano prete che stava benedicendo il condominio in cui vive suonò all’appartamento del vicino di pianerottolo e questi si schermì con un “io sono rastafariano” al che il nostro sant’uomo, confuso, rispose “piacere, e io sono il parroco”.
³ Berretto tipico, spesso con i colori dell’Etiopia, ovvero verde, giallo e rosso.

Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (8)

Amiche e amici,

come passa il tempo quando ci si diverte! Sembra ieri che con un gruppo di amici eravamo andati a vedere la mostra “Divisionismo: la rivoluzione della luce” al castello di Novara, bello il castello trasformato in museo e bella la mostra: era una bella giornata di sole, il museo aveva riaperto da poco perché per gli allarmi Covid i luoghi a rischio contagio erano tutti rimasti chiusi per un po’. Ci avevano fatto entrare a piccoli gruppi, cosa che ci aveva permesso di godere pienamente dei dipinti, nessuna ressa; alla fine eravamo andati a mangiare la famosa paniscia, questo risotto con fagioli e salame sbriciolato, in uno dei posti di Novara dove la fanno meglio, e poi dopo un diretto turistico per la città eravamo andati ad Arona, per respirare un po’ d’aria di lago (come se la nostra non bastasse). Lì mi aveva raggiunto una telefonata di mia madre, allarmata; c’erano già le avvisaglie ma noi l’avremmo scoperto solo la sera a casa mia, dove avevamo finito la giornata in compagnia, con due spaghetti e una bottiglia di vino: il governo aveva deciso di stabilire la zona rossa per tutta la Lombardia, non solo qualche zona ristretta come era stato fatto fino ad allora, ed anche le provincie limitrofe, tra cui Novara, c’erano dentro. Ricordo la coppia di amici che, alla fine della serata, prima di tornare alla loro casa loro andarono a far spesa al Carrefour che rimaneva aperto tutta notte: non si sa sai, ci dissero poi.

Sembra ieri, dicevo, e invece sono passati tre anni: il Covid è ancora tra noi e miete ancora vittime, anche se abbiamo imparato a “conviverci”, come qualcuno profetizzava avremmo dovuto rassegnarci a fare; i vaccini hanno aiutato a contenere i morti , anche se non i contagi, e hanno creato dei problemi sui quali dubito si farà mai la luce.

Chi c’era se lo ricorderà: nessuno ci capiva niente, le mascherine erano introvabili e quelle che c’erano costavano un occhio della testa; mancavano i ventilatori polmonari (addirittura un mio amico, uno di quelli della gita a Novara, costruì con la sua stampante 3D un boccaglio che permetteva di attaccare due tubi ad una unica macchina); i sanitari non avevano nemmeno i camici, i medici di famiglia erano introvabili… pochi giorni dopo arrivarono persino delle missioni dall’estero per aiutarci: dalla Russia (sì, dalla Russia, non dagli Usa. Ora qualcuno dice che vennero non per aiutarci, ma per spiarci. Cosa dovevano spiare, come non si fa sanità pubblica?), da Cuba (ai quali come ringraziamento qualche mese dopo votammo ancora le sanzioni. La prossima volta rimanete a casa).

La procura di Bergamo ora ha annunciato la chiusura delle indagini riguardo a episodi dolorosi come la riapertura dell’ospedale di Anzano senza che si fossero messe in atto tutte le azioni di sanificazione, la mancata chiusura della zona di Nembro, in Val Seriana, allo scoppiare del focolaio come invece avveduto a Codogno, o il fatto che contagiati lievi furono portati nelle RSA, le residenze per anziani, dove fecero strage. Indagati i vertici del governo nazionale, del governo regionale, e i membri più esposti del CTS, il comitato tecnico-scientifico. Nello stesso momento il governo, composto per la maggior parte da quelli che all’epoca negavano il Covid e contestavano le chiusure come strumento per combattere il contagio, ora annunciano commissioni parlamentari.

La domanda che tutti dovrebbero porsi è: in questi tre anni si è fatto qualcosa per rafforzare la sanità pubblica? Come mai si sente parlare ancora di carenza di medici e infermieri? Come mai i pronti soccorso sono in affanno, costretti a far fronte a tagli e mancanze? Come mai gli esami vanno alle calende greche, anche quelli che per legge dovrebbero essere fatti entro limiti stringenti? Ancora oggi, dopo tre anni, si chiede ai sanitari sacrifici per tappare buchi che non sono stati riempiti. Non doveva essere questo il primo impegno, le risorse non dovevano essere indirizzate per la maggior parte alla sanità? Allora si fecero grandi titoloni sugli eroi delle corsie, e siamo ancora punto e capo.

A questo dovrebbe servire una commissione parlamentare seria, ma non sarà così; per carità, ben vengano le inchieste anche se col senno di poi son buoni tutti, ma quelli che sono stati falcidiati dal Covid per le mancanze essenzialmente della sanità regionale lombarda hanno continuato a votare quelli che li avevano precipitati in quelle condizioni: forse è il caso di indagare gli elettori, oltre che gli eletti.