Milan col coeur in man

Avviso i lettori che questo pezzo è scritto su commissione, in cambio di dolciumi ed altre prebende. E’ lunghino e con riferimenti che solo alcuni potranno cogliere, perciò se non ve la sentite di leggerlo non ve ne farò una colpa.

Galvanizzate dall’esperienza romana del Giubileo, le gaie coriste del Piccolo Coro mi hanno chiesto di fare il possibile per poter essere presenti alla messa del Papa al parco di Monza, il 25 marzo.
La mission non era impossible, dato che circa un milioncino di persone ha avuto la stessa idea; appena un po’ complicata dal cercare di andarci come corale, ed anche dal fatto che quando ci siamo accorti che avremmo potuto andare come corale i termini di iscrizione erano scaduti.
Ma vuoi la buona grazia con cui ho inoltrato la richiesta vuoi il fatto che, su ottomila coristi previsti, quindici in più o in meno non è che facessero tutta questa gran differenza, la nostra domanda è stata accettata e siamo quindi stati ammessi.
La preparazione è stata una passeggiata di salute: biglietti comitiva con Trenord, cartelline antipioggia per gli spartiti e sgabellino pieghevole per riposare le membra nell’attesa. Quest’ultimo in particolare è stato apprezzatissimo perché con soli 4,99 euro alla Decathlon ci ha consentito di elevarci al di sopra di cori sicuramente più bravi di noi ma non altrettanto scaltri.

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Anche Drupi era abbastanza soddisfatto

I canti non erano tali da sollevare l’entusiasmo di queste cantanti rotte ad ogni repertorio e sprezzanti di pericoli e vergogna; del Credo in un unum Deum ho già detto, per il resto era roba abbastanza pallosetta in puro stile ambrosiano. Digiuno di liturgia, mi è sembrato di capire che la differenza più significativa sia il momento in cui ci si scambia un segno di pace, ovvero ci si stringe la mano; momento sempre imbarazzante dove ciascuno cerca di non incrociare lo sguardo di sconosciuti per evitare il contatto fisico.

Il sottoscritto fin dal mattino, sarà stata la meraviglia della bella giornata sbucata a sorpresa dopo una settimana bruttarella, aveva una gran fame e nonostante la colazione abbondante si è visto costretto ad acquistare un panino con la mortadella in uno dei numerosi punti di ristoro situati durante i 4 chilometri e mezzo di distanza tra la stazione ed il parco; le coriste si sono poi, tranne deplorevoli eccezioni che ho annotato, prodigate nel rifocillarmi con paninetti barrette energetiche e persino dei grissinetti al kamut che però mi stavano rimanendo nella strozza.

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Gli zaini contengono esclusivamente generi di prima necessità

Nonostante la buona volontà non eravamo preparati al meglio: ugole debilitate e conoscenza dei canti approssimativa. La nostra direttrice Antonella da circa un mese aveva una caviglia dolorante; mi ero premunito di chiedere il permesso agli organizzatori per portarla in carrozzina ma lei stoica non ha voluto. Ha indossato delle scarpe da cantiere con dei bei rinforzi laterali e si è apprestata alla sua personalissima Via Crucis. Ricorderete forse che a Roma era stata la nostra Gemma a soffrire nei piedi, a causa delle scarpe nuove: non contenta ha rimesso le stesse scarpe, o forse da allora non è più riuscita a toglierle. Gemma è di grande utilità perché, quando ci si perde nella folla, basta tendere un attimo l’orecchio e se si sente una risata squillante è lei, insieme alle altre componenti del trio delle meraviglie Gianna (che non per lanciare accuse ma nonostante sia una valente cuoca si è dimenticata di preparare i dolcetti) e Melissa. Ad ogni modo noi schieravamo una infermiera professionale, Maura, ed un volontario della Croce Rossa, Giobatta diversamente cantante, quindi avremmo potuto infortunarci sicuri di essere degnamente assistiti.

Behind The Scenes At Taronga Western Plains Zoo

La nostra direttrice al ritorno a casa si appresta alla pedicure

La nostra Dina si aspettava di rincontrare il maestro Columbro ma il messinese stavolta a causa di impegni improrogabili non ha potuto partecipare, o quantomeno noi non l’abbiamo visto ma se ci fosse stato l’avremmo senz’altro sentito.

Il clima era quello di una bella scampagnata: plaid, sgabellini, panini e magliette a maniche corte; mancavano purtroppo le salamelle e la birra reputati non consoni all’occasione.

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Fedeli in raccoglimento in attesa del Santo Padre

L’organizzazione ha pensato bene, da mezzogiorno all’una e mezza, di intrattenere i fedeli con cantanti veri ovvero presi da Amici di Maria De Filippi o giù di lì; sinceramente non ne conoscevo nemmeno uno ma questo per mia ignoranza, non voglio togliere nulla ai bravi artisti. Giusto, il nostro fornitore di ‘nduja, cercava nel frastuono la giusta concentrazione, senza successo.

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Un oblato scozzese impartisce con competenza lezioni di gregoriano ad un ospite del Sol Levante

Lo stile ambrosiano si manifesta anche nella solerzia con cui si intraprendono le attività. Questo è il motivo per cui non appena il Papa ha lasciato il carcere di Opera, dove era stato in visita ai detenuti, il grande coro sul palco ha intonato il “Tu es Petrus” a cui ci siamo accodati; dopo un quarto d’ora si iniziavano a vedere degli sguardi smarriti, in particolare Marianna che orfana di Barillari non sapeva chi andare a importunare, e qualcuno iniziava a pensare che fosse il caso di risparmiare un po’ il fiato per arrivare fino in fondo. I nostri 3 oriundi, Cristina Sconsy e Andri erano venuti a rinforzare il plotone, ingaggiati anche stavolta a parametro zero; Cristina si è distinta per aver cercato di porsi sul tragitto del Papa ma Francesco ha girato il parco in lungo e largo tranne che sotto l’albero sul quale la nostra contralto si era stabilita. Anche uno straniero avevamo: Jolanda che più di tutte si è goduta la giornata ed ha mostrato perizia nel fabbricare cappelli di carta in stile Napoleone.

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Foto artistica di fotoreporter diversamente sobrio

Appena arrivato Francesco ci è parso un po’ provato, tanto da farci pensare che qualcuno gli avesse tirato uno scherzo da prete a farlo girare come una trottola fin dall’alba con l’obiettivo  di fiaccarlo; se era questo lo scopo non ci sono riusciti.
La messa è stata molto partecipata, e l’omelia del Papa ha richiamato come al solito tutti alle proprie responsabilità, peccato che la tendenza sia di farsi uscire da un orecchio quello che entra dall’altro, e i buoni propositi rimangono in prevalenza lettera morta.

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Utilizzo alternativo della sciarpetta

Finita la messa ci siamo incamminati verso la stazione per riprendere il nostro trenino; dopo due ore di attesa che hanno generato diverse intemperanze tra i fedeli che evidentemente avevano già perso lo spirito fraterno, alcuni dei quali sono stati ripresi dalla nostra Gemma ed invitati a riacquistare quel minimo di serenità necessaria (“e che caspita!”) è stata finalmente la nostra volta di salire, e la nostra Lorella è riuscita a farsi redarguire da una ragazzina che avrebbe potuto essere la nipote per il volume della voce. Il nostro pincher argomentava giustamente che il concetto di “alta voce” è relativo in mancanza di rilievi scientifici. Per fortuna siamo arrivati e la dimostrazione è stata rimandata.

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Cartello strappato a dei profughi polacchi ai tempi della caduta del muro

Una bella giornata, che ci ha sollevato per un po’ dalle miserie umane che ci circondano; non c’è solo del marcio, in Danimarca¹, a saperlo cercare.

(131 – continua)

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¹ credo sappiate tutti che Monza non è in Danimarca, nel caso vi stiate chiedendo che c’entri adesso l’Amleto.

 

Epitramma

Faccio parte di quella larga fetta di popolazione maschile che, quando la temperatura corporea raggiunge i 37,2° Celsius, si appresta a fare testamento. In quei momenti, per fortuna rari dato che come consulente non mi posso permettere molti giorni di malattia, o meglio potrei prenderne quanti voglio ma non verrei pagato e questo mi è sempre servito da buon incentivo a non ammalarmi, divento intrattabile. Noioso, scorbutico, lamentoso, floscio, svogliato, malmostoso:  un criceto in gabbia, più che un leone, ma con nessuna voglia di far girare la ruota.

Gli scorsi giorni sono stato vittima di uno di questi momenti: le mie difese immunitarie, di norma garanti di salute e fatturato, stavolta hanno fatto cilecca e lasciato passare qualche batterio o virus o vattelapesca che mi ha lasciato tramortito.
Stoico di natura mi sarei recato ugualmente al lavoro, se non altro per evitare che non notando l’assenza qualcuno potesse chiedersi se effettivamente la presenza fosse indispensabile; ma ne sono stato sconsigliato da fonti sia mediche che paramediche, per cui mi sono disposto con la calma che mi contraddistingue ad aspettare la discesa della febbre.

Il mio abbigliamento da malato consiste in una tuta blu con righe bianche modello Fidel Castro, con barba non tagliata e capelli scarmigliati che donano quell’aspetto tra il sofferente e il trasandato che induce, passando davanti allo specchio, a confidarsi da soli: “Madonna che brutta faccia che hai”; abbigliamento completato da una copertina rossa gettata sulle spalle a mò di capo indiano, e impreziosito infine da un paio di croc’s gialle che pur offrendo un indubbio tocco di frivolezza  non scolpirebbero nell’eventuale visitatore un’impressione di pronta ripresa.

Le mie attività consistevano in: a) ciondolare sul divano b) passeggiare avanti e indietro tra stanza da letto e divano; c) passeggiare avanti e indietro tra stanza da letto e divano cantando “Credo in unum Deum” in gregoriano: alla seconda strofa sono stato diffidato dal continuare ed a malincuore ho dovuto smettere; d) sedermi o sdraiarmi sul divano tentando di leggere “Il grande gioco” di Peter Hopkirk, la bella storia della lotta che nell’ottocento si svolse tra impero russo e impero britannico per il controllo del Caucaso e dell’Asia Centrale; lettura quantomai interessante ma forse non proprio adatta a menti surriscaldate, tant’è che immaginando questi avventurieri in azione mi lasciavo spesso andare ad esclamazioni di ammirazione come “Aha!!” “E certo, cavolo!” “ca**o!” al che venivo invitato a lamentarmi in silenzio che non ero ancora terminale.

Rinfrancato dalla constatazione mi dedicavo allora ad un’altra occupazione soddisfacente, e cioè la e) accendere la televisione e passeggiare avanti e indietro tra stanza da letto e divano commentando le notizie del telegiornale; alla vista di Erdogan però devo aver esagerato perché sono stato invitato a spegnere la  televisione (“quella ca**o di tele”, per la precisione) e riprendere a cantare “Credo in unum Deum”.

Ma finalmente, a lenire il dolore e la sofferenza, arrivava il momento del gioco: L’Eredità di Fabrizio Frizzi! Alcuni miei conoscenti si sono meravigliati che sia un estimatore di tale programma. Rivendico il diritto alle mie piccole perversioni: insomma, c’è chi si fa frustare, chi si fa picchiare e mi fermo qua, e a me non può piacere Frizzi? Come quiz non lo trovo malvagio. E’ un misto di bravura, intuito, fondello e cultura, a differenza di altri giochi (i pacchi!) dove solo una delle componenti sopra citate è preponderante. Alcune risposte sono esilaranti; ad esempio l’altra sera, secondo un ragazzo, Ernesto “Che” Guevara sarebbe nato nel 1955¹; bambino prodigio quindi, morto a soli 12 anni cercando di accendere la rivoluzione anche in Bolivia; ho sentito attribuire a Italo Svevo la scrittura de La Coscienza di Zeno nel 1980, romanzo ben postumo dunque; e infine ieri, in uno dei giochi sfida, dove si affrontano due concorrenti e a turno devono individuare una parola, avendo a disposizione all’inizio una sola lettera e poi man mano che il tempo scorre ne vengono messe a disposizione altre. La domanda, non facile, era: “scrittore di brevi poesie satiriche” e la parola, lunga, iniziava con E. Alla terza lettera avevo buttato lì epigrammista¹, ma la signora annaspava e man mano il tempo passava e le lettere si accendevano. Alla fine era rimasta solo la lettera tra EPI e RAMMISTA ed io da venti secondi stavo suggerendo “epigrammista! epigrammista!” mentre dalla cucina arrivava l’eco: “non ti sente! te la finisci che non ti sente?” e la signora ha risposto epiTrammista. Epitrammista? Ma cos’è un epitrammista, un epigrammista in tram? Mi sono lanciato nelle più fantasiose ipotesi, al che sono stato ancora rintuzzato con il classico “e vacci tu allora se sei tanto bravo!”.

Non andrò alla trasmissione del buon Frizzi, ma ispirato dalla recenti nomine del governo ai vertici degli enti pubblici ho composto il mio epitramma:

“O tu che per cognome hai olezzo
non fosti dunque di prebende sazio
non ti bastaron di Unicredit i milioni?
Fattelo pur dire o insaziabile duce:
‘sto giro c’hai proprio rotto li cojoni!”

(130 – continua)

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¹ Invece è del ’28, la stessa età di mio padre. Andrebbe ancora in giro per il mondo a cercare di raddrizzare storture? Ce ne sarebbero ancora parecchie.

² Se uno mi chiedesse a bruciapelo: cos’è un epigramma? barcollerei. Ma con qualche parolina di aiutino, avendone sentito parlare qualche volta, uno ci arriva. Sia chiaro, non è che perché uno sa che cos’è un epigramma è meglio di uno che non lo sa, così come se non sa chi è Italo Svevo pazienza. Io mi diverto anche a vedere tutte le cose che non so, anzi mi diverto anche di più, ma non lo dico per far finta di saperne tante di più di quelle che so.

Si bussa e si chiede permesso

Le persone educate, prima di recarsi a casa di qualcun altro, avvisano e si premurano di essere gradite. Perché può capitare per qualsiasi motivo che non sia il caso: magari perché si ha voglia di rimanere in ciabatte davanti alla Tv, oppure semplicemente perché non si vogliono rotture di scatole.

Capita quindi che prima la Germania e poi a distanza di qualche giorno l’Olanda abbiano rifiutato l’ingresso a dei ministri del governo turco che volevano fare campagna elettorale per il prossimo referendum che assegnerebbe ancora più poteri al presidente turco, come se non se ne fosse presi già abbastanza; e sarebbero affari interni turchi, uno potrebbe dire, se non fosse che la Turchia vorrebbe entrare nella U.E. (ci mancherebbe solo questo) e nel contempo ricatta la stessa U.E. facendosi pagare il pizzo per trattenere i siriani che sono dovuti scappare dal loro paese per colpa della guerra che gli stessi turchi hanno contribuito ad alimentare.
Nel più classico dei “chiagni e fotti” l’uomo che si era portato avanti nello smantellamento della costituzione turca e che benignamente bombarda i suoi cittadini (curdi), arresta giornalisti giudici politici insegnanti sgraditi, ebbene quest’uomo ha dato dei nazisti e antidemocratici a tedeschi olandesi ed ora anche danesi, e minacciato misure “adeguate”.
I giorni a venire ci permetteranno di valutare l’adeguatezza di tali misure; mi permetto non richiesto di dare dei consigli al Presidente: a) boicottaggio dei formaggi olandesi, in special modo Erdam e Gouda, mentre per il Leerdammer potranno passare solo i buchi; b) immediato rimpatrio dei calciatori Wesley Sneijder e Robin van Persie, considerando che hanno pure una certa età; c) sequestro di tutti i tulipani, considerando che sono originari dell’impero ottomano; d) messa al bando di tutte le lampadine Philips, anche quelle costruite in Malaysia.

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A proposito di andare in casa d’altri, è gustosa la vicenda di quel leader lombardo, esponente di quel partito omeopatico che con l’obiettivo di combattere il marcio della politica ha inoculato nei suoi stessi dirigenti quella dose di marciume necessaria a usare i rimborsi elettorali per acquistare diamanti in Tanzania, o mettere a rimborso spese i pranzi di matrimonio dei figli, o dare posti di lavoro pagati dai contribuenti a figli ritardati. Quel partito che sosteneva che quell’invenzione chiamata Padania non è parte dell’Italia e quel leader che, allo stadio, cantava cori scanzonati verso i tifosi della squadra avversaria (“senti che puzza, scappano anche i cani: sono arrivati i napoletani”). Ora quello stesso leader, messosi in testa di diventare la Marie Le Pen de noantri, ha avuto la faccia di andare a Napoli a chiedere ai napoletani di votarlo; individuato un nemico comune, l’Europa dei burocrati (Italy is not Europe sostiene il parlamentare europeo, mentre intasca stipendio e rimborsi spese dall’organismo aborrito), chiede di dimenticare il passato e a chi chiederlo meglio di gente avvezza alla celeberrima “Simmo ‘e Napule paisà”?
Purtroppo sembra che le giovani generazioni amino canzoni un po’ meno melodiche; e quindi hanno aspettato il leader in felpa verde per assestargli una congrua scarica di mazzate; al che è dovuta intervenire la polizia per proteggere quello che, se solo avessero messo a confronto i rispettivi  stipendi e con un occhio alla Tanzania, avrebbero dovuto bastonare per bene anche loro. Purtroppo sembra che in questo paese, e bisogna riconoscere che su questo punto il presidente turco  è molto più avanti di noi, si debba consentire a ciascuno di dire le proprie castronerie a costo di prendere a manganellate chi per il suo bene glielo impedirebbe.
Tra qualche anno magari vedremo il leader padano rimangiarsi anche le ultime intemperanze e andare in cerca di voti persino in Olanda o Lussemburgo, sostenendo che Europe is not World e prendendosela contro la burocrazia mondiale pluto-masso-giudaica.

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Chiudo con una vicenda tragica di questi giorni: a Lodi una banda di ladri si è introdotta di notte in un negozio; il titolare che viveva al piano di sopra con la famiglia, sentiti i rumori e preoccupato per l’incolumità propria e della propria famiglia, è sceso armato di fucile da caccia. Dal racconto dell’uomo sembra che sia nata una colluttazione con i ladri, ed è partito un colpo: uno dei ladri, colpito alla schiena, è rimasto ucciso. A freddo e da lontano rifletto sulla proporzionalità della difesa all’offesa, sui limiti della legittima difesa, sul valore della vita, ma sinceramente mi chiedo: ma io, se avessi trovato in casa mia quattro uomini e avessi avuto a disposizione un fucile, cosa avrei fatto? E non vorrei dovermi rispondere.

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(129. continua)

 

 

Dombrovskis chi?

C’è voluta una intera bottiglia di Passito del Veneto, ma ora possiamo affermarlo con certezza: la faccenda del debito pubblico è un gigantesco imbroglio.

Come mai non se ne siano accorti fior di economisti e politici ha diverse spiegazioni: la prima è che a studiare troppo non sempre si guadagna in lucidità (“tròp stüdià dipend dal pòc savée”, sostengono da queste parti vecchi saggi) e l’altra che le soluzioni più semplici sono spesso a portata di mano ma solo gli ingegni più vivi sanno coglierle, e tra le categorie sopra citate evidentemente non ce ne sono molti. Un’altra spiegazione, forse la più allarmante, è che non facciano adeguato uso di Passito e di conseguenza le cellule cerebrali non vengano correttamente irrorate.

Attenzione perché i numeri che darò di seguito non me li sono inventati, come potrebbe pensare qualcuno che mi conosce e che sa quanto sia capace di dare i numeri, ma sono tratti dal bilancio dello Stato.

Dobbiamo partire da una premessa, come nei migliori saggi di scienza.
Supponiamo che nonno Ubaldo debba fare dei lavori di ristrutturazione alla casa di famiglia. Non avendoli tutti i soldi, se li fa prestare dai figli. E’ evidente che io con il debito di Ubaldo non c’entro niente. Sono fatti della sua famiglia, ed in ogni caso che Ubaldo restituisca o meno i soldi la casa, alla fine, rimarrebbe sempre ai figli, che sono gli eredi. Diverso è se nonno Ubaldo si fa prestare i soldi da una banca: allora dovrà si restituire i soldi e se non lo farà, in caso di dipartita, saranno gli eredi a dover pagare, altrimenti la casa la perderanno.

Consideriamo che il nostro paese ha 2.172 miliardi di debito pubblico¹ a fronte di 1.642 di Prodotto Interno Lordo. Questo debito, per l’84% consistente in titoli di Stato (bot, Btp, Cct…), è contratto per la maggior parte con gli italiani (in famiglia, quindi) e solo per meno del 40% verso l’estero
Quindi sono ricchezze degli italiani, su cui gli altri dovrebbero metter bocca con moderazione.

Parliamo del deficit. Se io spendo più di quello che guadagno, sono in deficit. Per le regole divine stabilite a Maastricht, questa simpatica cittadina dei Paesi Bassi, il deficit non può superare il 3% del Pil³, altrimenti sono cavolini amari.
Poco importa se il deficit è causato (anche) dalle minori entrate determinate da una crisi globale, alla quale sarebbe naturale rispondere con un po’ più di spesa pubblica; No, dice l’oracolo di Strasburgo, diminuisce il Pil dovete diminuire anche la spesa, in una spirale che da ormai otto anni non ha fine. Poi ci si domanda come mai la Le Pen rischia di vincere le elezioni in Francia e da noi non si sa.

Insomma, sembra (pare) che abbiamo violato questo tabu di ben lo 0,2%; questo comporterebbe una manovra aggiuntiva (ancora tagli, o più tasse, non si scappa) per 3,2 miliardi. Poco importa, anche qua, che spendiamo 4 miliardi per l’accoglienza² dei migranti, così come poco importa che diversi paesi europei specialmente all’Est si rifiutino di prendersene una parte.
Allora se dobbiamo farcene carico da soli quei costi togliamoli dal conto, ed ecco che saremmo ben lontani dal penoso limite, anzi saremmo in condizione di impiparcene di tutti i divieti e prescrizioni di tutte le trojke che frequentano Bruxelles e dintorni e inizieremmo ad esser noi ad impartire lezioncine a destra e manca.

A proposito di trojke e figli, l’altro giorno mr. Dombrovskis (non pensiate ad errori di battitura o di un T9 impazzito: si chiama così), che è il vicepresidente della commissione europea si è espresso abbastanza duramente sulla tenuta dei conti italiani, dicendo che secondo lui si sarebbe già dovuta avviare la procedura di infrazione.
Provenendo da un esponente di quella potenza mondiale che è la Lettonia la sua opinione è da tenere nella massima considerazione; opinione per opinione, anche se non così autorevole, secondo me la Lettonia non avrebbe mai dovuto essere ammessa nell’Unione Europea finché non avesse risolto la questione della minoranza russa a cui da più di vent’anni è negata la cittadinanza; mica pochi, più del 10% (se vogliamo parlare di percentuali) della popolazione che non arriva nemmeno a 2 milioni di abitanti.

Noi però, come italiani, dovremmo farci un serio esame di coscienza: ma in Europa chi abbiamo mandato a rappresentarci? Abbiamo il presidente del Parlamento europeo, mr. Tajani, e persino il capogruppo dei socialisti è italiano: infatti dopo mr. Schultz, il famoso kapò di Berlusconi, è arrivato mr. Pittella, mandato là tra l’altro da un partito costituito da ex e neo-democristiani ed ex-comunisti spretati, che non so che c’entri col socialismo.
Ora dico, questi nostri rappresentanti che fanno, dormono? Invece di stare a disquisire sul burro cacao e la lattuga bio, quando si alza uno come mr. Dombrovkis a dire quello che dice, due schiaffi o almeno quattro pernacchie non potrebbero appiopparglieli tutti insieme, destra sinistra e ics?
Amici cari, ricordatevi sempre che vi paghiamo noi, sarà inelegante ricordarvelo, ma non è che vi abbiamo mandato in vacanza a Bruxelles, che sarà pure carina, patatine birra cioccolata il pisserottino etc., ma per fare quello che fate voi scusate ma sono tutti capaci! Per dire, almeno Iva Zanicchi sa cantare, ma gli altri? Che cavolo fate? Allora facciamo a rotazione, la prossima volta a fare il turista vado io, le patatine piacciono anche a me!

(168 – continua)

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¹ dati tratti dal Rapporto sul Debito Pubblico 2015 – Mef

² documento programmatico di bilancio 2017 – Mef – sull’accoglienza a breve farò un post molto antipatico che mi attirerà le ennesime accuse di becerismo

³ Pil (Prodotto Interno Lordo): semplificando, è il valore dei beni e servizi prodotti nell’anno. Da un paio d’anni comprende anche alcune attività illegali, secondo me sottostimate. Non per fare paragoni, ma il Pil italiano è il 13° al mondo e ci vogliono più di 40 lettonie per uguagliarlo. Tié, Dombrovskis.

Cappelli

Mio nonno materno, Gaetano, è nato nel 1911. In quello stesso anno suo zio, il fratello di suo padre, emigrava in Argentina; se l’intenzione era quella di tornare, non la realizzò mai.

Il mio nonno paterno invece, Ernesto, che non ho mai conosciuto perché scomparso (letteralmente: disperso è la dicitura burocratica) nelle pieghe delle vicende di guerra civile che occorsero anche nel maceratese, era arrivato qualche anno prima dall’Argentina; purtroppo chi lo portò qua, orfanello, non si prese cura di regolarizzarlo, e rimase così con lo status di apolide, con tutto quel che ne conseguiva, fino alla morte.

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Ci sarebbe molto da discutere di Argentina, emigrazione, apolidi, fascismo e guerra
 civile; ma adesso veramente volevo parlare di cappelli, lo faremo un’altra volta.

Da che ricordi nonno Gaetano indossava sempre il cappello. Non in casa, intendo, ma quando usciva aveva sempre il suo cappello in testa. Anche la giacca, sopra la camicia ed una maglia o gilet. Me lo raffiguro sempre vecchio anche se, quando sono nato io, era molto più giovane di quanto sia io adesso; fumava Nazionali senza filtro e beveva bianchini con gli amici. Forse in gioventù era una buona forchetta, dato che era soprannominato “magnó”, ma io invece non lo ricordo mangiare tanto, anche perché era tornato dall’Etiopia con la malaria ed i postumi se li portò dietro per sempre: pollo lesso e patate lesse erano la sua dieta quotidiana. Verso la fine lo ricoverarono e gli proibirono fumo e vino. Scappò dall’ospedale e lo ritrovarono in piazza in pigiama: a chi lo ammoniva che così si sarebbe ammazzato rispondeva: “Oh, c’ho settantacinquanni, non me vole fa fumà, non me vole fa bé, che campo affà?” Così continuò a fare di testa sua ed accorciò probabilmente di qualche minuto la permanenza su questa terra.

A proposito di Etiopia, l’altro giorno un padre comboniano ha tirato fuori la strage fatta dai fascisti di Graziani ad Addis Abeba nel ’37 per dire che gli italiani dovrebbero accogliere gli immigrati, se non altro come risarcimento per le atrocità commesse all’epoca. Detto con rispetto, non mi sento di assumere questa colpa. Accogliamo chi va accolto e chi merita di essere accolto, ma non mi va di assumere responsabilità di altre epoche e fasi della storia. Pensiamo alle responsabilità attuali, che sarebbe già abbastanza, e cerchiamo di capire i fenomeni e governarli, non subirli passivamente. Chi è innocente scagli la prima pietra,e mi fermo qui.

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Ma nemmeno di immigrazione, stragi, divieti assurdi e accanimenti terapeutici volevo
 parlare; dicevamo: ah, si, i cappelli.

Il fatto è che i cappelli non è che li portassero solo i “signori”. Li portavano tutti, almeno alla domenica, insieme a quel vestito buono, spesso solo l’unico, con cui si andava alla messa; o anche, per quelli a cui il fumo delle candele dava l’orticaria, per chiacchierare con gli amici in piazza. La generazione successiva, quella dei nostri padri, aveva perso questa abitudine, quella del cappello dico, perché quella del vestito buono invece rimase; la domenica poi per i lavoratori era l’occasione per “sistemarsi”, cioè andare dal barbiere a farsi accorciare i capelli e radere la barba.

Mi sembra che oggi abbiamo più vestiti ma siamo diventati un po’ più sciatti di una volta. Va bene, concordo che lo scopo primario del vestirsi è quello di ripararsi dal freddo e dal caldo. Ma forse, almeno in certe occasioni, un po’ più di cura andrebbe usata. Io di cura ne ho anche troppa, ad esempio quando compro un vestito nuovo lo lascio ad invecchiare nell’armadio per paura di sciuparlo. Così quando lo tiro fuori è già vecchio e se si rovina ho meno rimorsi. Forse perché non sono abituati a vedermi in ghingheri, ogni volta che mi presento al mio coro con un bel completo ed una bella cravatta qualcuno si preoccupa di non essere stato avvisato della cerimonia incombente. Tutto perché non siamo più abituati a metterci il vestito buono. Lo riteniamo un’esagerazione, quasi uno sfoggio; un anacronismo, diciamo.

La forma è sostanza, ci insegnavano a militare; l’affermazione è un po’ forzata, specie quando si applicava alla capacità di piegare perfettamente in squadra il materasso; la forma è forma e la sostanza è sostanza, ma se si intende come forma non tanto il mero rispetto pappagallesco degli aspetti esteriori quanto l’abitudine alla cura e la disciplina applicata prima di tutto a se stessi si deve ammettere che sono attitudini che possono irrobustire la sostanza.

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Oggi mi sto proprio perdendo, che c’entrano forma e sostanza con i cappelli?

Il cappello tra l’altro può essere usato come unità di misura. Ad esempio, volendo intendere a qualcuno di testa grossa ma di scarso comprendonio, da queste parti gli si dice “te ghé ul cò che ghé va ben ul capèl del to nono!”. Ma se i nonni i cappelli non li portano più, tra poco questo affettuoso rimbrotto non avrà più senso! Per questo ho deciso: da oggi, mai più senza cappello! Deve pur rimanere un metro di paragone per tutti i testoni del mondo.

(167 – continua)

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Extraterrestre portami via

L’altro giorno la Nasa ha annunciato di aver scoperto ben sette nuovi pianeti compatibili con la vita così come la conosciamo. Nemmeno troppo distanti, a soli 40 anni luce da qua; considerando che la velocità della luce nel vuoto è di circa 300.000 chilometri al secondo, con i mezzi attuali ci metteremmo qualche secolo ad arrivare, e personalmente purtroppo non credo che me lo ricorderò, come si dice dalle mie parti quando si dispera di veder completata un’opera prima di dipartire; sarà già difficile vedere la fine della vicenda paratie sul lago di Como, figuriamoci andare su Alienia.

Tuttavia la prospettiva è affascinante, ed apre scenari stimolanti in tutte le branche dello scibile. Innanzitutto non è detto che i nostri vicini siano al nostro stesso livello evolutivo; potrebbero essere al livello scimmiesco come invece molto più progrediti di noi e in questo preciso momento si stiano chiedendo, se già non l’hanno fatto, come raggiungere quel lontano mondo nel sistema solare che pare interessante.

Pensiamo alle implicazioni religiose: mettiamo che non abbiano per niente l’aspetto umano. Che assomiglino che so, più a dei porcelli che a degli antropoidi. Pretenderanno anche loro di essere stati creati ad immagine e somiglianza? E perché queste disparità? Non è che magari uno dei due mondi è una brutta copia venuta male (e vedendo quello che succede a volte dalle nostre parti c’è da sospettare che il brogliaccio siamo noi), tenuta solo per essere usata come minaccia: fate i buoni che sennò diventate come gli uomini?

A proposito di vita come la conosciamo, l’altro ieri un uomo, rimasto paralizzato e cieco a seguito di un incidente stradale, ha deciso di togliersi la vita (non potendolo fare da solo come avrebbe fatto se ne fosse stato in grado, si è fatto accompagnare in una clinica Svizzera dove il suicidio assistito _ non l’eutanasia come è stato erroneamente detto _ è ammesso). Non giudico e non condanno; quando uno non ce la fa più non ce la fa più, non dovrebbero certo essere degli estranei a decidere quanto sopportare; deploro solo che la fine dei suoi giorni non sia potuta avvenire a casa sua, vicino ai suoi cari, ma abbia dovuto accontentarsi della compagnia del radicale Cappato.

Tornando agli extra-galattici, siamo ovviamente nella fantascienza, e potremmo chiederci se questo mondo ci sarà ostile o amichevole; se ci sarà ostile che armi avrà, e se saremo in grado di contrastarle; se invece sarà amichevole che risorse avrà, e se saremo capaci di depredargliele.

Riusciremo a vivere da buoni vicini nell’Universo senza cedere alla tentazione di cancellarci l’un l’altro? Delocalizzeremo aziende per abbassare il costo del lavoro? Li inviteremo ad entrare nella UE per poi imporgli i parametri di Maastricht? Ah, avere una macchina del tempo per poter vedere come andrà a finire!

Ma, nell’attesa degli alieni, potremmo avere qualche problemino con le nuove tecnologie. Saprete che esistono già oggi dei robot che vengono usati come animali da compagnia. Costano parecchio; per ora ce li hanno dei ricchi americani, anziani, che li usano al posto di cagnolini. Ma ben presto arriveranno robot umanoidi e sarà sempre più difficile riconoscere gli originali; un po’ come quel film con Yul Brinner, dove lui era un pistolero in un villaggio del West ricostruito, o come i replicanti di Blade Runner; e non sarà impossibile che un uomo si innamori di una bella androide (molto comodo tra l’altro: si potrebbe programmare a dire sempre di si), o che la robot venga usata come governante e che il bambino si affezioni. Sarà ammesso cambiare modello, in caso di malfunzionamento?¹

Se invece questi alieni fossero compatibili con noi, ben presto si arriverà a qualche intreccio di popoli… speriamo senza esodi galattici su gommoni spaziali. Si dovrà istituire un tribunale intergalattico? E chi ne farà rispettare le sentenze? Una polizia intergalattica? Non basterà più l’Onu, ci vorrà l’Ogu (Organizzazione delle Galassie Unite). Sfide enormi per i governi del futuro. Non è detto che tutto il male venga per nuocere, ad esempio le xenofobie locali verranno abbandonate a favore di quelle universali: “Mogli e buoi dei pianeti tuoi!”² “Padroni nel mondo nostro!” “Aiutiamoli nel mondo loro!”.

Per carità, niente che non sia già stato immaginato, scritto e persino visto sul grande schermo. Ma, mi sono chiesto, dovessero arrivare adesso chi manderemmo a parlare per rappresentarci? Forse il presidente dello Stato con più abitanti, la Cina? O quello più potente o che si crede tale, come il presidente Usa? Un’autorità morale come Papa Francesco, il Dalai Lama, un Ayatollah? Un indios dell’Amazzonia? Potrebbero pensare che sulla Terra esistano solo uomini, però. Allora Fraulein Merkel? La premier britannica? La first lady mrs. Melania? (personalmente voterei quest’ultima, lei sa già come trattare con gli alieni). Pensiamoci, insomma! Avremo giusto quei 100-200 anni di tempo ma prima o poi accadrà, se nel frattempo non ci saremo estinti da soli.

(126 – continua)

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¹ Su questo tema ho scritto una commedia che, se non mi fossero spariti gli attori principali per questioni di ingaggio, sarebbe già stata messa in scena.

² Questo invece è proprio il titolo di un’altra commedia, seguito della fortunata “Sono strani questi umani”, che vorrei rappresentare prima che la cronaca superi la fantasia.