Grazie Olena (già ci manchi)

Devo ringraziare la cara Olena perché la sua letterina ha provocato un picco inaspettato di visualizzazioni; vuol forse dire che la mia iniziale deliberazione di proporre tutte storie con le mutande indossate è velleitaria e poco in sintonia con i tempi?

Capisco che il clima vacanziero sia propizio al rilassamento e che evitare sforzi sia fisici che psichici sia un imperativo categorico; comprendo ed approvo, tant’è che da parte mia lo sforzo fisico più importante una volta era quello,  sciacquettando in costume sul bagnasciuga,  di tirare indietro la pancia mentre passava qualche bella ragazza; ora desisto anche da quello: tanto, oramai.

Mi dichiaro senza vergogna seguace delle letture rilassanti. Ad esempio l’altra sera, sfogliando il Grand Hotel di mia suocera mentre dopo la lauta cena del sabato imperversava una accanita partita a carte alla quale mi sottraggo sempre volentieri, la partita dicevo non la cena, apprendevo di una soubrette nostrana emigrata negli Stati Uniti che dichiarava di essere contenta della sua vita, della qual cosa come compatriota mi compiaccio, e che ora raggiunti i quarant’anni avrebbe voluto coronare la sua felicità con un figlio. Non nego certo il diritto di ognuno di stabilire le proprie priorità. Del resto, senza addentrarmi troppo nel ginecologico di cui peraltro parlerei per sentito dire, saprete anche voi che finché non sia esaurito il tesoretto di ovuli dotatole dalla nascita, alla fine del quale come effetto collaterale diviene vietato chiudere le finestre d’inverno, una donna a patto di trovare un giusto donatore è idonea a procreare. La presenza fisica di un uomo, pur auspicabile, non è più da ritenersi indispensabile. In genere da sposati, dopo una certa età, si tende a dubitare che l’essere col quale si condivide il talamo, ammesso che lo sia mai stato, sia ancora il giusto donatore. Nel suo caso non credo che mancheranno volontari per accontentarla; certo, se dovesse avere una figlia che ragionasse come lei, avrebbe una buona probabilità di non  conoscere i propri nipotini.

La lettura che preferivo sotto l’ombrellone prima che il mare mi venisse a noia è indiscutibilmente, più ancora di Tuttosport, Cronaca vera. A dire la verità, siccome metteva sempre in prima pagina una donnina in vesti succinte, la compravo insieme a Tuttosport, anzi dentro; e appena estratta dall’inutile giornale sportivo mi affrettavo a girare la copertina. Dentro appare come un giornale quasi normale, che pur essendo in bianco e nero colora molto le notizie di cronaca nera: memorabile un articolo, dove un uomo aveva ucciso la madre per futilissimi motivi, con le due foto messe a confronto, l’uno con un ghigno patibolare e l’altra in posa angelica e sotto quella della madre il titolo geniale: “Aveva l’unico torto di averlo messo al mondo”.  Sospetto che il settimanale sia fatto da una sola persona che scrive editoriali, redige articoli, risponde alle lettere del cuore e dispensa consigli sessuali con estrema competenza.

Un anno, per darmi un contegno, portai a bordo piscina “Principi di progettazione dei sistemi informativi”, un tomazzo di 700 pagine. Anche un bambino capirebbe come, specialmente dopo mangiato, dedicarvisi non sia la cosa più assennata da fare; ed infatti mio figlio, avendolo ben intuito, si buttò a bomba dal trampolino lavando interamente sia me che il tomo.  Ringrazio per questo anche lui, e auguro buone vacanze a tutti.

(55. continua?)

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Mi chiamo Olena e voglio un grave uomo

Stamattina, aprendo la posta elettronica in ufficio, vi ho trovato un messaggio curioso firmato da una seria signorina di nome Olena, con un oggetto dal contenuto imperativo: “Voglio trovare un grave uomo!”. Poiché la missiva non è stata ricevuta dagli ilari colleghi, ne sono fiorite le più fantasiose speculazioni sul perché, tra tutti,  come grave uomo fossi stato individuato proprio io.

Non mi sentirei di definirmi l’anima della festa in caso di brigate numerose ma, pur mantenendo una certa riservatezza di fondo, mi considero una persona allegra e positiva. Tranne quando si parla di politica, allora lì spesso il buonumore vacilla e vira verso la depressione; ne risalgo pensando alle parole di Ennio Flaiano: “la situazione è grave, ma non seria”.

Ma non credo che alla giovane ucraina possano interessare le mie convinzioni politiche: nel caso comunque sappia che deploro in toto l’operato di Michail Sergeevic Gorbaciov e che se fosse per me l’Ucraina farebbe ancora parte della gloriosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Certo ci saremmo dovuti attrezzare per sostituire in qualche modo l’esercito di badanti da colà arrivate ma può darsi che, pagandole il giusto, delle signore volenterose le avremmo trovate anche qua.

Scopro poi, scorrendo il testo, una frase commovente: la ragazza, 35enne, si definisce donna romantica e di cuore aperto, facile da fare. In Ucraina tutte le donne romantiche e di cuore aperto saranno facili da fare? O quest’apertura generosa è riservata agli uomini gravi? Nel qual caso, e se non fossi monogamo, non avrei disdegnato ostentare una certa gravità.

Spunterei dal curriculum tutta la parte riguardante il moto, poco consona alle mie caratteristiche. Alla ragazza lodevolmente “piace giocare i giochi sportivi”, a me anche quelli antisportivi purché non implichino sudorazione; lei ama il “riposo attivo”, io cerco di evitare gli ossimori. Della mia attitudine al ballo, che lei dichiara di adorare e praticare a livello professionale, vi  ho già parlato e non ci tornerò su.

Il “saggio, maturo, uomo generoso con un buon senso dell’umorismo e di amare il cuore” sembrerebbe il mio ritratto: in effetti cuore fegatini e rognoni, in padella con le cipolle, li amo molto.

Temo però che tanta maturità e saggezza alla lunga non siano confacenti alla vitalità della sportiva Olena. Voglio dire, 20 anni di differenza sono pur sempre 20 anni. Mi sovviene che il mio amico Enzo, fisioterapista, sosteneva tempo fa che un uomo normale ha almeno quaranta erezioni al giorno, di cui la maggior parte a sua insaputa. La cosa mi preoccupava, specialmente quando mi trovavo steso sul lettino sotto le sue mani; non dubitavo della sua eterosessualità, tuttavia avrei preferito non trovarmi in mutande nel bel mezzo di uno dei suoi attacchi. Senza contare che il concetto di sua insaputa in questo caso mi sembrava un po’, come dire, stiracchiato.

Comunque, non vorrei entrare troppo nel personale ma credo di essere stato sotto la media persino ai bei tempi , figurarsi adesso: pratico il riposo attivo con diligenza ma parsimonia, per capirci.

Pertanto, cara Olena, credo proprio di non essere abbastanza grave da fare al caso tuo; non dubito comunque che con tali virtù non faticherai, entro breve, a trovare qualcuno di così veramente grave da poterti donare, disinteressatamente si intende, tutto quanto tu desideri.

Perché non crediate che mi sia inventato tutto, pubblico il testo della mail ricevuta sabato 18 luglio:
Hi Credi nell’amore a prima vista? forse tu sei il mio destino. Voglio parlare un po di me. Il mio nome Olena. La mia eta di 35 anni. Sono di Ucraina. Io donna romantica e cuore aperto, facile da fare. Sono sportiva e salutare, vivere uno stile di vita sano. Io sono tranquilla e comunicativa, la gente si fida di me i loro segreti e chiedere consigli. Ho molti amici, andiamo spesso al fiume o al bosco, fanno picnic. Mi piace giocare i giochi sportivi e avere riposo attivo. Frequento palestra regolarmente, guardo dopo la mia forma e salute. Mi piace cucinare, sono molto operosa. Inoltre mi piace ballare, che e il mio hobby e il lavoro. Mi piacerebbe incontrare saggio, maturo, uomo generoso con un buon senso dell’umorismo e di amare il cuore. Io non sono una ragazza viziata e non pretendo molto, ma voglio fidarmi di lui e di essere sicuro che non tradira me e non farmi del male. Non mi piace condividere, quindi apprezzo la fedelta e la lealta. Sono una donna molto devota, e spero che godere la mia sincerita e apprezzo il tempo che passiamo insieme. Ho intenzione di aspettare per voi lettera nel mio indirizzo e-mail (omissis) Cordiali saluti. Olena.

(54. continua)

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Ciao mare

Nel 1973 Raoul Casadei scriveva uno dei più grandi successi di tutti i tempi: Ciao Mare. Per dire, nello stesso anno i Genesis pubblicavano “Selling England by the Pound”, un pippone che mi ha perseguitato per tutte le superiori, dove una professoressa di inglese si era messa in testa di insegnarci grammatica e pronuncia facendoci ascoltare dischi dei Genesis: risultato, il poco inglese che so è quello imparato alle medie, ed evito accuratamente il progressive rock.

Quando abbiamo costituito la nostra orchestrina, quindi, eravamo nel pieno del boom del ballo liscio: spuntavano sale da ballo come funghi e di conseguenza la richiesta di suonatori era  alta. Elio, il nostro maestro di banda, non approvava il nostro repertorio, i balli degli anni cinquanta erano un po’ più sofisticati dei valzer, mazurke, polke e tanghi che ci venivano richiesti; noi cercavamo di tenere alto il livello con dei classici sudamericani e degli swing, scelta che ci caratterizzava tra i tanti improvvisatori che imperversavano.

Riguardo le superiori, una delle cose che più mi infastidiva oltre ai lamenti di Peter Gabriel, erano le lezioni di aggiustaggio. Pochi sapranno che nel biennio iniziale degli istituti tecnici, uguale per tutte le specializzazioni, erano previste delle ore da fare in officina. Cosa lodevole questa, anzi a dirla tutta se ci avessero dato anche una zappa e un terreno da dissodare non ci avrebbe certo nuociuto, come non nuocerebbe agli studenti odierni. Il prodotto di queste ore in tuta da meccanico era però misero: si doveva limare un parallelepipedo, tirandolo perfettamente liscio ed in squadra; per controllare che non ci fossero avvallamenti si spargeva del minio su una tavoletta e ci si passava sopra il pezzo; se girandolo fosse stato tutto colorato, bene: altrimenti, ancora lima. Ogni tanto qualcuno provava ad accendere i torni, mettendo a repentaglio la vita dei compagni.

Io ero abbastanza perplesso, pensavo che se avessi voluto limare ne avrei avuto abbastanza nella bottega di mio padre; pensa oggi pensa domani si avvicinò il momento della consegna con il pezzo molto al di sopra delle dimensioni standard. Per recuperare mi portai il benedetto pezzo a casa e lo lavorai.

Ai colloqui con i professori, solitamente regno delle mamme,  quella volta venne mio padre. Il banco del  professore di aggiustaggio era comprensibilmente vuoto ma visto che sull’argomento babbo era ferrato, e per rompere il ghiaccio, ci dirigemmo verso di lui. Il prof, che non ricordava nemmeno che esistessi, disse a occhi chiusi che avrei potuto fare di più; al che mio padre reprimendo l’istinto di dargli ragione e mettermi finalmente in mano quella zappa, elogiò invece la mia presenza a bottega dove davo il mio contributo fattivo, e dove tra l’altro avevo anche portato il prisma metallico. Vidi per un attimo il prof vacillare, non convinto di aver capito bene: uno che faceva i compiti a casa di lima? O era da ricoverare, o da premiare. Discusse per un po’ di ferro e derivati con mio padre, si salutarono calorosamente ed io ebbi 2 punti in più sul registro. Non c’è niente da fare, per certi argomenti ci vogliono gli uomini.

Col professore di italiano fu ancora più facile. Il figlio suonava in un’orchestrina di San Severino; quando babbo gli disse che suonavo anch’io si ricordò di averci sentito e di essergli piaciuti molto, specialmente in quei sudamericani che i Cavalieri del liscio di suo figlio disdegnavano. In questo caso non avrei avuto bisogno di aiutini, ma certo se l’ascolto di Besame mucho gli ispirava larghezza di maniche, chi ero io per contraddirlo?

Ma tornando a Ciao mare, di questi tempi in cui le tedesche non sembra siano rappresentate al meglio ne per simpatia ne per avvenenza,  ricordo invece quell’atmosfera allegra e sbarazzina che c’era a Rimini, quando gli artiglieri in libera uscita sciamavano verso il bagnasciuga animati dalla ferma volontà di sdraiare qualche alemanna. Dovete sapere che gli artiglieri, nel caso specifico della contraerea, non erano dei corazzieri. Altrimenti non sarebbero entrati nei posti di manovra dei cannoni e delle mitragliatrici; perciò l’altezza media era di 1,60-1,65. Ora immaginate questa muta di soldatini assediare gruppetti di biondone,  le quali cercano una via di fuga svettando sopra il branco, inseguite da un coro delle uniche parole italiane che conoscano: ti amo, sei bellissima, vieni con me. Alla fine, lusingata e sfinita, anche la più dura di cuore cedeva. Tra gli inseguitori ce n’era uno, simpaticissimo, siculo: mi faceva ridere guardarlo alzare il braccio, e di molto,  per mettere la mano sulla spalla della sua compagna. Quando, rientrati per il contrappello, per prenderlo un po’ in giro glielo facevo notare, mi rispondeva seriamente: “Che m’importa tenè, e mica devo sposarmela”.  E invece seppi, un paio d’anni dopo, che non la raccontava giusta, quel pezzo di artigliere: si era trasferito a Colonia e si era proprio sposato, se con quella o con un’altra non saprei dire; ed ha anche aperto una pizzeria che si chiama, pensa te, Ciao mare.

(53. continua)

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Negare sempre

Qualche giorno fa, passeggiando sotto i portici in centro città, io e mia moglie ci siamo trovati a seguire due ragazzi con un grosso cane al guinzaglio. Ad un certo punto l’unico che del gruppo avrebbe avuto pieno diritto di fregiarsi del titolo di animale, stimolato dall’arietta lacustre, si è accucciato e abbastanza guardingo ha cominciato a farla; il padrone incurante dei legittimi bisogni ha continuato a tirarlo, costringendolo a lasciare una scia marrone di consistenza molliccia. Davanti a noi un papà ha additato al suo bambinetto i maleducati a due zampe e li ha redarguiti. Avesse parlato con un muro avrebbe ottenuto più soddisfazione per cui quando li ho affiancati, pervaso da spirito civico, è stata la mia volta di esprimere con garbo ma fermezza l’invito ai due barbari di raccogliere quanto lasciato dal loro cane.
Non mi sarei aspettato delle scuse ed ero pronto anche allo scontro nel caso mi avessero consigliato di farmi gli affari miei, mia moglie mi stava già guardando con un misto tra l’ammirazione per l’eroe e la preoccupazione per le coronarie, quando la risposta mi ha disarmato e affascinato: “Il cane non è mio”. Ho guardato negli occhi il ragazzo, cercando nel fondo di cogliervi il guizzo di quella sublime creatività necessaria per tale affermazione. Non l’ho trovato, purtroppo, e rammaricato me ne sono andato con la consapevolezza di aver incontrato un genio, ma a sua insaputa.

Certo niente in confronto al latino col machete che, dopo aver detto di aver voluto solo scherzare, il giorno dopo a totale sprezzo del ridicolo ha dichiarato che il machete non era suo: se l’è trovato in tasca per caso perché gliel’aveva affidato un amico. Come scusa mi è sembrata un po’ deboluccia; se fosse stato un rasoio probabilmente avrebbe detto che lo stava portando ad affilare, il suo avvocato deve essere un estimatore di De Filippo in l’Oro di Napoli.

A volte, quando proprio negare è impossibile, vale sempre la vecchia tattica dell’attaccare per primi.

Un mio collega di Parma ebbe un giorno un abbassamento di pressione, e dovette tornare a casa nel primo pomeriggio. Sentiti dei rumori affannosi al piano di sopra, salì silenziosamente le scale e trovò la moglie a letto con l’antennista. Per un attimo restò frastornato, e forse si chiese che canale il tecnico stesse cercando di regolare; ma poi fu risvegliato dalle rimostranze della moglie: “E tu, perché non sei al lavoro?”. Le persone bisogna saperle prendere per il verso giusto (anche l’antennista la pensava così); il grottesco della situazione non sfuggì al mio amico, che piuttosto che metter mano al cutieddu come si farebbe in zone di mentalità meno aperta, esplose in un “Mo va a caghèr!”.
Colpa anche sua comunque, un colpetto di telefono quando si rientra prima è sempre meglio farlo.

Del resto mi pare di aver sentito dire di un ministro della Repubblica ritrovatosi una casa intestata al Colosseo a sua insaputa, o di un presidente del Consiglio frequentante una certa signorina, minorenne ma a sua insaputa, convinto che fosse parente di Mubarak al punto tale da indurre più di metà del Parlamento a prestargli fiducia. Se ci hanno creduto loro ci credo anch’io, ci mancherebbe altro: però, qui lo dico e qui lo nego, la signorina era marocchina, non egiziana.

(52. continua)

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L’Omino di Burro

L’altro giorno una amica, volontaria in una mensa per poveri (lo dico fintanto che il politicamente corretto non obbligherà a definirli diversamente ricchi), mi raccontava degli episodi che l’hanno messa seriamente a disagio, e non posso negare che altrettanto abbiano fatto con me.

La premessa è che in questo esodo che avviene dall’Africa , nella confusione e inettitudine degli organismi che dovrebbero essere preposti a governarlo, stanno arrivando sì persone duramente toccate da guerre, persecuzione e carestie ma anche persone che si muovono spinte da puro utilitarismo. Avrete già capito che non amo le ipocrisie: e dunque nemmeno quella del tutti bisognosi e tutti buoni. Ne tutti bisognosi ne tutti buoni, e non è poi detto che i bisognosi siano per forza buoni: perché dovrebbero esserlo, poi.

Uno degli episodi, minimo ma emblematico, è questo: una mattina, a colazione, due giovani hanno protestato vivacemente con i volontari, fino ad arrivare a vie di fatto, perché ad uno era stata data una brioche ripiena di marmellata mentre all’altro di Nutella. Volevano entrambi la Nutella. L’ho guardata trasecolato. Non per la scelta: sinceramente, ed in barba all’olio di palma e alle foreste di mangrovia, anch’io avrei scelto la Nutella. Ma perché fino a quel momento non avrei mai creduto possibile che qualcuno, a parte i bei tempi in cui Maria Antonietta aveva ancora la testa sulle spalle,  potesse dare a qualcuno che asserisca di avere fame brioche a colazione.

La giustificazione è stata: questo ci danno i supermercati, è roba ormai in scadenza che va consumata altrimenti va buttata. Bisognerebbe magari valutare se sia più immorale buttar via delle brioche industriali o illudere la gente che questo sia il paese dei Balocchi. Io avrei detto chiaramente: cari signori, qui a colazione si mangia il pane, o al massimo i biscotti se ce n’è; chi non gradisce, vada al bar.

Ad esempio, noi la colazione la facevamo con gli Oro Saiwa, quelli che se non ti sbrigavi a mangiarli dopo averli inzuppati nel latte ti si scioglievano nella tazza, e dove il grande gusto era quello di prenderne un pacchettino e mangiarlo tutto insieme.  Ma usare il pane, anche secco, non mi risulta sia peccato per nessuna religione.

Sicuramente essere circondati da pubblicità che invita a consumare a tutti i costi non aiuta a distinguere il necessario dal superfluo: per questo forse ricordare tempi più sobri non dovrebbe far male.

Una volta non c’era l’abitudine di mangiare il dolce dopo pranzo. I dolci si facevano in occasioni speciali, a Carnevale per esempio: Rosa, la madre del mio amico Stelvio, era una virtuosa degli scroccafusi e delle pesche dolci con le metà inframezzate da uno strato di crema;  mia madre faceva le sfrappe, che potevano anche essere ripiene, e le chiacchiere  che sono delle girelle di pasta arrotolata e fritta. Mi rivedo bambinetto seduto sulle scale della vecchia casetta, qualche gradino sopra Stelvio, intento a confrontare i dolci: ma può darsi che mi confonda con quando Rosa tentava di dare da mangiare al mio amico ed io, da settimino che doveva ancora recuperare appieno il peso forma, cercavo di impietosirla con “No mancia Telvio? Mancia io”. Mia madre imbarazzata mi riportava in casa sollevandomi di peso.

Le torte si mangiavano in occasione di qualche compleanno. I compleanni erano esclusivamente quelli dei bambini, dei grandi non era interessante sapere quando compissero gli anni; invitati al massimo erano i cuginetti in modo che tutto rimanesse in famiglia; non si facevano le feste perché poi non ci sarebbe stato modo di ricambiare. Una sola volta ricordo di essere andato ad una festa di compleanno che non fosse di qualche parente. Adele, di  cui vi ho parlato a proposito della Bianchina familiare in sette, era a servizio in quella casa e ci preparò della cioccolata buonissima. Ad un certo punto tutti si scatenarono creando una piramide umana sopra l’amico Aldo, che aveva fama di forzuto: io rimasi in prossimità della cioccolata e la mia saggia condotta fu da Adele apprezzata ed elogiata.

Quando i tempi divennero più opulenti, e eravamo tutti già grandicelli, certe domeniche mio padre mi mandava a comprare le paste. A me piacevano i diplomatici, quei rettangoli con l’esterno di pasta sfoglia spolverata di zucchero a zelo e l’interno di strati di pasta frolla imbevuta di alchermes e crema pasticcera. Due a testa, tre proprio per le grandi occasioni. Alla fine del pranzo, magari dopo una bella porzione di vincisgrassi, veniva posto al centro della tavola il cabaret. Un’occhiata veloce alla destra e alla sinistra precedeva il momento del prelievo, che veniva fatto quasi con pudore; ma sotto sotto la speranza era sempre che qualcuno rinunciasse alla sua parte per potersene dividere le spoglie.

Io credo, ed anche la mia amica ne è convinta, che bisognerebbe astenersi da certi colpi di genio. Sveliamo il grande imbroglio: non è vero che in Italia si mangi tutti i giorni brioche a colazione e sgorghi Coca Cola e aranciata dai rubinetti. Se qualcuno vi fa credere il contrario attenzione, potrebbe essere l’Omino di burro.

(51. continua)

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