Olena à Paris – 18

Il pranzo è ormai finito, la tavola è stata liberata e sono rimasti seduti solo nonna Pina e Juanito, mentre tutti gli altri hanno spostato le sedie davanti, come per assistere ad uno spettacolo teatrale; i bambini siedono in terra, affascinati da quella donna che racconta di quella Evita di cui hanno sentito parlare tante volte dal nonno; Olena è in piedi sulla porta, pronta a intervenire in caso di allarme da parte di Osvaldo, che è rimasto fuori di guardia.
«Alla fine della guerra l’Italia era tutta da ricostruire; io mi tuffai nel lavoro insieme a mio marito, e di fatto abbandonai le scene» riprende nonna Pina, bevendo un bicchierino di sherry.
«Che peccato, un’artista come voi…» si rammarica Juanito, tirando fuori un sigaro cubano, vincendo le occhiate di riprovazione di figlie, nuore e nipoti.
«In un certo senso fu una scelta obbligata, per me si erano chiuse tutte le porte; gli impresari dicevano che ero troppo compromessa col vecchio regime, che bisognava far calmare le acque… Evita mi fece sapere che alcuni suoi amici stavano allestendo una rivista e sarebbero stati felicissimi di avermi come soubrette; confesso che ne fui lusingata e ci feci un pensierino, ma evidentemente non era destino.»
«Perché, che successe?» chiede l’anziano gaucho.
«Dovresti saperlo, Juanito… nell’ottobre del ’45 Perón venne arrestato. Era diventato troppo popolare, pericoloso; Evita dopo un primo momento di smarrimento si batté per la sua liberazione e  facendo appello al popolo, ai lavoratori, a quelli che vennero poi chiamati sprezzantemente “descamisados”, senza camicia, costrinsero il governo a liberarlo: pochi giorni dopo si sposarono e divenne Evita Perón.  Lei non dimenticò mai questa gente, e da allora si dedicò anima e corpo a loro, seguendo le idee del suo uomo, ed il popolo la contraccambiò, la adorò… La rividi nel ’47 quando venne visita in Europa, in visita diplomatica in Spagna, Italia e Francia, splendida ambasciatrice del proprio paese; in Italia fu persino ricevuta dal Papa, Pio XII; era ormai una leggenda, e fui molto sorpresa quando quella sera mi chiamò: “Eusebia, sono Evita, perché non sei venuta a salutarmi?” Ma come facevo, le sue visite erano strettamente programmate, e gli invitati attentamente selezionati… “Quante storie!” mi disse, “Senti, sono in partenza per la Francia ma prima dobbiamo assolutamente incontrarci. Ti aspetto domani sul lago di Como, va bene? Per favore però non parlarne con nessuno, non voglio fotografi o giornalisti a disturbarci, c’è già abbastanza gente a controllarmi…” Ci demmo appuntamento al Grand Hotel Britannia di Cadenabbia, pieno di turisti, ci truccammo un po’ con dei cappelli a falde larghe, occhiali neri, nessuno fece caso a noi. All’inizio feci fatica a riconoscerla, sembrava un’altra persona, persino più alta, più bella, matura anche se aveva solo 28 anni… Era conscia ed anche un po’ spaventata dalla responsabilità che il marito le aveva accordato, di rappresentare all’estero l’intera nazione, ma in realtà quel furbone sapeva bene che lui non sarebbe certo stato accolto bene quanto sua moglie… Parlammo per ore, mi raccontò del lavoro che stava facendo per il popolo, per le donne, delle resistenze che aveva dovuto superare ed anche delle umiliazioni… aveva sposato ed amava incondizionatamente Perón e le sue idee, si definiva una fanatica della giustizia sociale, odiava gli oligarchi e quelli che pensavano di ripulirsi la coscienza con un po’ di carità, soffriva fisicamente per quelli che non riconoscevano la grandezza della rivoluzione che stavano portando avanti… io non mi occupavo di politica ma ammirai nelle sue parole una passione genuina, e temetti anche che si stesse mettendo contro forze troppo grandi, che ne finisse stritolata. Mi chiese anche del mio lavoro, e mi disse che l’Argentina era una grande produttrice di carne, se ne avessimo avuto bisogno per la nostra attività sarebbe bastato chiederla… Ci salutammo con affetto, al momento di lasciarci però mi disse una cosa che mi fece preoccupare: “Eusebia, mi prometti una cosa?” Ma certo, le dissi, qualsiasi cosa. “Promettimi che se dovesse capitarmi qualcosa difenderai la mia memoria” Cercai di sdrammatizzare, dicendo che non le sarebbe di certo successo niente, con la sua forza e la sua grinta, ma mi lasciò dentro un brutto presentimento… Juanito, posso chiederti una cosa?» cambia discorso per un attimo la centenaria.
«Certo, donna Pina, che cosa?»
«Tu sei stato peronista?»
Il vecchio allevatore scoppia in una risata:
«Sono un figlio del popolo, donna Pina, come potevo non esserlo? Ma aspettate, ve lo faccio dire dai miei nipoti. Pronti, muchacos?»
Ad un cenno del nonno i nipotini di Juanito si alzano in piedi e iniziano a cantare:
Los muchachos peronistas
todos unidos triunfaremos,
y como siempre daremos
un grito de corazón:
¡Viva Perón! ¡Viva Perón!¹

«Ah, ah, okay, okay, ho capito, basta così» ride nonna Pina, applaudendo alla performance dei nipotini, che avevano iniziato a marciare inquadrati per tre. Poi, dopo un altro sorso di sherry, continua:
«Continuammo a sentirci di tanto in tanto, lei era sempre impegnatissima ai limiti dello sfinimento; aveva fondato il partito peronista femminile, qualcuno cercava persino di contrapporla a Perón stesso…»
«A dicembre del 1951 mi arrivò a casa un libro, “La ragione della mia vita”, con una dedica autografata che mi commosse “Alla cara amica Eusebia, la splendida Wanda da cui ho imparato tanto”. Provai a chiamarla per ringraziarla non so quante volte, ma ogni volta rispondeva una persona diversa, sembrava facessero apposta a non passarmela… chiesi ad amici a Buenos Aires e mi dissero che era molto malata. Seppi dopo che aveva un tumore che non aveva voluto operare; e la sua morte mi lasciò inebetita, senza parole… aveva solo 33 anni, avrebbe potuto fare ancora tanto… Ma la sua storia non era ancora finita.»
«Raccontaci della mummia!» la incita uno dei nipotini.
«Nestor! Un poco de respeto!» lo sgrida la mamma.
«No, lo lasci dire, señora» lo difende nonna Pina «ha ragione il ragazzo, la mummia c’entra, eccome… Alla sua morte Perón volle che Evita fosse mummificata, per questo chiamò il migliore specialista del tempo, che fece un lavoro superlativo, chi la vide disse che sembrava viva… per sicurezza ne vennero fatte tre copie, identiche anche loro, tanto che era impossibile distinguere la vera dalle false. E infine successe l’inimmaginabile: nel ’55 Perón fu deposto e pur di evitare una guerra civile rinunciò a battersi ed andò in esilio e sono sicura, Juanito, che se la moglie fosse stata in vita non si sarebbe mai arresa così facilmente; la salma di Evita rimase in Argentina ed era un grosso problema per il nuovo governo, troppo ingombrante… i nemici di Perón la odiavano e avrebbero voluto farla sparire perché il popolo l’adorava, gli amici invece avrebbero voluto prenderla per usarla come bandiera della loro lotta. Decisero così di sotterrare la salma e le copie in posti nascosti e diversi, in modo che non potessero essere ritrovate. Un giorno mi chiamò un vecchio amico, un repubblichino che dopo la guerra era riparato a Buenos Aires; mi disse che mi stava arrivando un container di carne, e di preparare la cella frigorifera. Veramente non aspettavo nessuna carne, chiesi spiegazioni ma mi disse che le avrei avute a tempo debito. Il giorno dell’arrivo della nave ero sul molo in attesa, mi si avvicinò un uomo e mi mise in mano un biglietto. Si diceva che nel container c’era una bara che conteneva la salma di Evita, e che avrei dovuta farla sotterrare nel Cimitero Maggiore di Milano, in una tomba intestata ad una certa Maria Maggi De Magistris. “Perché io?” Mi ricordo che chiesi. “Perché Evita di fidava di lei” mi fu risposto, e tanto mi bastò. E lì è stata per tredici anni, ed ogni settimana passavo a portarle un fiore…»
Una lacrima scivola attraverso le rughe del volto della vecchia, che se la asciuga col dorso della mano. Juanito, commosso, le porge un fazzoletto, mentre il più piccolo dei nipoti le porge un mazzo di fiori di Ceibo.
«Muchas gracias niño» lo ringrazia nonna Pina che poi si raddizza e rischiara la voce e, finito lo sherry, si volta verso il vicino e gli dice:
«Bene Juanito, adesso che ne diresti di parlare di affari?»

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¹ Prima strofa del vecchio inno argentino “Los Muchacos peronistas” – Hugo del Carril (1949)

Siamo seri, please!

Cronachette della fase tre (23-25 settembre)

Ieri il nostro Presidente della Repubblica prof. Sergio Mattarella (che il Signore ce lo conservi) ha dovuto rispondere all’ineffabile premier britannico Johnson, sofferente di incontinenza verbale e alcolica, che per giustificare il fatto che i contagi nel suo paese crescono molto di più che nel nostro (segno che nonostante i vari Porto Cervo e Billionaire qualcosa abbiamo imparato…) ha detto che gli inglesi si stanno contagiando più di noi perché amano la libertà più degli italiani e dei tedeschi. Che il premier di uno Stato che si dice amico possa pronunciare frasi così sconclusionate fa temere che il Covid gli abbia danneggiato irreversibilmente le cellule cerebrali, già deboli di loro; per non infierire il nostro Presidente, con la moderatezza e la classe che lo contraddistinguono, ha precisato che anche noi amiamo la libertà, ma amiamo anche la serietà.

Qui sono entrato in crisi di identità. Ma siamo proprio sicuri, Presidente? No, perché per quanto arbitrario possa essere il tracciare i caratteri distintivi di un popolo non mi pare che la serietà sia al primo  posto tra le nostre qualità, e nemmeno al secondo. Si potrà dire che siamo fantasiosi, a volte geniali, cordiali, allegri e spesso caciaroni, laboriosi nonostante le apparenze (siamo pur sempre una delle maggiori potenze industriali: ma per quanto ancora?), che ci piace il buon cibo ed il buon vino, che sappiamo improvvisare ed arrangiarci; ma sulla serietà ho dei dubbi.

Non siamo noi ad aver iniziato due guerre mondiali da una parte ed averle finite dall’altra? Non siamo noi nell’ultimo quarto di secolo, per non tornare più indietro, ad aver votato massicciamente un uomo che ci ha dato lustro con i suoi bunga-bunga, le sue bandane, le corna nelle foto ufficiali e i cucù alle cancelliere teutoniche? Non siamo noi a coltivare un debito pubblico che ci pesa sulle spalle come un macigno, senza riuscire peraltro a risolvere problemi annosi come disoccupazione, l’arretratezza di buona parte del paese, la mafia (pardon, la criminalità organizzata)? Non siamo noi ad aver fatto diventare questo un paese per vecchi, costringendo le menti giovani più brillanti ad andarsene in cerca di fortuna all’estero, perché qua gli si chiudevano tutte le porte? Non so a voi cari amici, ma a me tutto questo non sembra tanto serio, anzi a dire la verità mi pare desolante e tafazzianamente autolesionista.

Vi faccio solo un piccolo esempio, e lo faccio a futura memoria perché quanto racconto non si è ancora avverato ma si avvererà.

Prima partiamo però da una buona notizia, e cioè che le Ferrovie Nord rimborsano gli abbonamenti per il periodo del lockdown. In verità non ci speravo ma non credo che sia farina del loro sacco, saranno stati obbligati; comunque rilasceranno un voucher da usare per i prossimi abbonamenti. Io di solito faccio l’abbonamento annuale, con il quale si risparmia abbastanza: ma l’anno prossimo non so, se non mi fanno tornare in ufficio che lo faccio a fare l’abbonamento? E in quel caso dove me lo ficco il voucher? Ma, a parte questo che giustamente direte sono fatti miei, continuo con le Ferrovie Nord per dire che stanno mettendo in funzione un nuovo sistema di apertura delle sbarre dei passaggi a livello, più sicuro e controllato dicono loro. In merito potrei aprire una parentesi sulla scelta illuminata di questi ultimi anni  di aver eliminato casellanti e lavoranti, che mantenevano se non altro il presidio del territorio, e poi lamentarsi che le stazioni diventano terra di nessuno, oltre al fatto che si elimina del lavoro e quindi poi si deve dare il reddito di cittadinanza a chi non lavora: solo a me sembra assurdo?

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Comunque, non divaghiamo. Dovete sapere che Como e Milano sono collegate da due linee ferroviarie, quella di cui parlo parte a Milano dalla stazione di Cadorna, a due passi dal Castello Sforzesco quindi in pieno centro, ed arriva proprio sul lago, basta scendere dal treno ed attraversare la strada. Una comodità pazzesca per i milanesi ed i turisti che da Milano vogliono venire a visitare la bella cittadina lariana, treni abbastanza frequenti, nessun bisogno quindi di utilizzare l’auto. Ma, come capirete, l’area a ridosso del lago è molto appetibile per chi voglia fare una bella speculazione immobiliare; e già ci aveva provato l’amministrazione di centrodestra una decina di anni fa (giunta Bruni, formigonian-berlusconian-leghisti, quelli del disastro delle paratie e dello spostamento dell’ospedale dalla città ad una periferia paludosa in cui si è sospettato _ e indagato male _ fossero  stati interrati rifiuti tossici) con tanto di rendering e nuova skyline (quando si vuol fregare la gente semplice un po’ d’inglese va sempre bene); allora però non ci riuscirono perché furono travolti dallo scandalo paratie, ed i comaschi con un sussulto di dignità se ne liberarono alle elezioni successive; purtroppo però anche la giunta di centrosinistra si insabbiò sulle paratie, quando sarebbe bastato portare i libri in tribunale, ma come si dice cane non mangia cane ed alle elezioni successive ritornò in sella il centrodestra, stavolta a trazione leghista-fratelliditaliota. Quelli per dire che hanno un’assessore ai servizi sociali che, nel punto dove è stato ucciso don Roberto la settimana scorsa, aveva fatto togliere le panchine dove sedeva qualche immigrato, ha fatto chiudere la fontanella ed i bagni chimici, col risultato che potete immaginare: ah, è anche andata di persona a togliere le coperte a dei senzatetto, dopo aver fatto chiudere il dormitorio. Uno strano concetto di servizi sociali, non trovate?

Bene, siccome l’area è ancora là, come fare per convincere la cittadinanza ad alienarla, anzi farselo proprio chiedere per piacere? Ed ecco che entrano in gioco i compari, pardon gli amici alle Trenord, ed i giornalisti compiacenti: il nuovo sistema allungherà il tempo di attesa di un minuto (1) in centro città; questo provocherà inevitabilmente, secondo loro, ingorghi da girone dantesco: addirittura è stato calcolato (probabilmente con lo stesso criterio dell’aumento/diminuzione dei contagi) che ci sarà una perdita di tempo giornaliera di 2 ore e mezzo. Ora, siamo seri amici, primo perché l’aumento sarà di un solo minuto, perché per perdere due ore e mezzo uno dovrebbe stare tutto il giorno ad attraversare il casello; secondo le auto in centro non dovrebbero nemmeno andarci se fossimo un paese civile; terzo in periferia, come da me, i tempi diminuiranno e non di poco perché attualmente le sbarre stanno chiuse quasi dieci minuti e poi lo saranno per due minuti e mezzo. Giornale locale con titoloni, allarme peggio della pandemia: sarà il disastro, il collasso, l’apocalisse. La soluzione qual’è stata? Chiedere alle Trenord di non mettere in funzione il nuovo sistema nella tratta in città; e se non possibile, far fermare il treno nell’ultima stazione prima di entrare in città, e da lì poi raggiungere il centro con navette. Una mossa subdola, si crea un allarme fasullo, qualcuno a cui dare la colpa (i compari di Trenord, che a loro volta troveranno qualcuno su cui buttarla, il ministero va benissimo all’uopo) ed ecco imbastita una bella speculazione: posso sbagliarmi, ma non credo.

Se davvero fossimo seri questa gente non dovrebbe amministrare nemmeno una casa derrena, come non si vergognò di dire l’allora Presidente della Repubblica Cossiga (che se fossimo stati seri non avrebbe mai dovuto occupare quella posizione) a proposito del giudice Livatino, di cui proprio l’altro giorno si sono ricordati i trent’anni dall’uccisione; e invece sono lì, perché sono stati votati da persone serie.

Amiche e amici, in questo momento sta infuriando una bufera con pioggia torrenziale e grandine; osservo dalla finestra le piante del balcone, ed anche i nanetti, sballottati di qua e di là; se fossimo seri (ma tutti stavolta, non solo noi italiani) dovremmo preoccuparci un po’ di più del clima, e un po’ meno dell’esame di italiano di Luis Suarez… adesso vi saluto, spero almeno i nanetti di salvarli!

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Autunno, cadono i marroni

Cronachette della fase tre (11-22 settembre)

L’estate è finalmente finita, con i tormentoni quotidiani sull’aumento o diminuzione dei contagi (a seconda di quanti tamponi venivano fatti), l’allarme per le scuole con alti lai su mancanza di mascherine, di aule, di banchi, di insegnanti e perfino di mense: come se senza Covid tutto andasse per il meglio, infatti come è noto ad inizio anno ci sono sempre stati tutti i professori, negli anni non si sono create classi con numeri sempre più alti di studenti, per razionalizzare s’intende,  e le mense funzionavano a meraviglia, specialmente quelle smantellate o privatizzate dagli stessi che oggi strillano allo scempio; nel passato se vogliamo mancava anche la carta igienica, di questo si saranno dimenticati o almeno a questo si è posto rimedio?  Briatore e Berlusconi poverini, “quasi quasi mi dispiace” dice mia madre,  pensa a te ma’ che già hai i tuoi problemi, riapriamo gli stadi ai tifosi (ma si, e teniamoceli dentro), non criminalizziamo i luoghi del divertimento, ma no per carità ci mancherebbe, non criminalizziamo nemmeno chi ha deciso di andare ad impestarsi in Grecia, in Spagna, a Malta, in Croazia: ma vi sembrava il momento giusto? Non criminalizziamo nessuno, nemmeno quelli che hanno ammazzato di botte il ragazzino a Colleferro, o quello che ha ammazzato il prete a Como, poverino anche lui, aveva tanti problemi…

Oh Gio’ ma che hai, direte, ti ha morso la tarantola? Non sarai mica arrabbiato per l’esito del referendum? Tranquilli amici, del referendum non me ne importava una cippa anche se alla fine sono andato a votare, ma giusto per mettere un timbro sulla scheda elettorale e per controllare le misure di sicurezza; data l’affluenza non è che corressi tutto ‘sto gran rischio, ma comunque devo dire che sono state prese tutte le precauzioni possibili, anche quella di disinfettare la matita dopo l’uso. No, è solo che sono un po’ nervoso, e non solo perché continua la cattività ovvero il telelavoro ma, non bastasse questo, mi tocca condividere la gabbia con mia suocera. Che, poverina anche lei, è venuta a svernare a casa nostra perché  nel condominio di fronte al suo stanno facendo dei lavori di rifacimento dei tetti coibentati con l’ethernit; e per evitarle di respirare qualche fibra di amianto, che peraltro avrebbe digerito senza problemi, è stata portata a distanza di sicurezza. Ora, non vorrei dare cattive impressioni ma a mia suocera voglio bene, solo che non abbiamo niente da dirci e le sue storie ormai le conosco tutte a memoria; in più è una sorda selettiva che tende a capire solo quello che le fa comodo. D’altro canto lei penserà che io sia un orso selvatico, non fosse altro perché qualsiasi gioco delle carte mi fa venire sonno e di solito non parlo per slogan ma cerco di argomentare qualche opinione, sforzo che viene puntualmente vanificato dalle convinzioni eterne e immutabili della vecchia. Aggiungete che la stanza dove è il mio studiolo è anche la stanza degli ospiti e quindi sono dovuto sloggiare in soggiorno e capirete che la mia gioia di vivere non è alle stelle.

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A proposito di marroni l’altra domenica sono andato in visita al Castello di Masino, bene FAI, poco distante da Ivrea, per una visita guidata al giardino e soprattutto per la degustazione di Erbaluce, il vino tipico della zona, che un mio collega originario di quelle parti mi ha promesso per anni e non mi ha mai portato, vatti a fidare. Così, se Maometto non va all’Erbaluce, ecco che si muove Gio’… la visita è stata molto interessante, il castello è ricco di storia ed il parco è curato con tutti metodi naturali; i giovani del FAI vendevano anche della marmellata fatta nel Giardino della Kolimbetra, ad Agrigento: noi ci eravamo stati sei anni fa quando il Giardino era stato riaperto da poco, e quella di fare la marmellata era solo un’idea. E’ strano però trovarsi a Torino a parlare di Giardini di Agrigento!

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Masino è un piccolo borgo dove è rimasta una trentina di persone, tutti anziani; noi ne abbiamo incrociato una decina, quindi un buon trenta per cento; da una di queste abbiamo comprato delle castagne, anzi appunto dei marroni (confesso che alla mia veneranda età non avevo mai visto dei ricci così grandi). In settimana mi sono esibito in qualcosa che non avevo mai fato in vita mia e cioè lessare delle castagne (facile: ma ricordarsi di mettere un po’ di sale e una foglia di alloro, e poi pelarle ancora calde) e poi al forno. Purtroppo quest’ultimo esperimento non è andato bene perché a) ho aspettato troppi giorni e le castagne cominciavano a seccare e b) le ho cotte troppo. Risultato: le prime ancora calde sono riuscito a sgranocchiarle ma per le altre nessuno si è sentito di rischiare la dentiera. Che peccato, mi toccherà tornare! E ne ho ben donde, dato che alla fine l’Erbaluce non l’ho comprato, e nemmeno il passito di Caluso (un paese lì vicino dove fanno un passito favoloso) perché abbiamo deciso di andare a visitare Ivrea. Ora,a Ivrea c’ero stato nel 1982 in visita alla Olivetti dove si progettavano e realizzavano circuiti elettronici integrati: erano all’avanguardia e nessuno ha mai fatto un mea culpa per la fine che ha fatto quell’azienda. Tutta gente che ancora oggi pontifica per il bene del paese, eh! Allora mi colpì il terreno brullo intorno, di un ocra che mi metteva tristezza; ma forse il ricordo è fallace, perché oggi la cittadina l’ho trovata carina, non ho visitato niente perché era tutto chiuso ma in compenso ho visto che ci sono molti ristoranti e trattorie per future puntate.

Che strano, anche stavolta finisco con un richiamo alle trattorie; sarà che in questa prigionia sto mangiando tanta di quell’insalata che temo di trasformarmi presto o tardi in una capretta. Ma che marroni!

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E’ morto Aldo Anghessa?

Stamattina sfogliando il giornale locale mi è caduto l’occhio su un articolo che mi ha rattristato: “Morto Aldo Anghessa, l’ex 007 protagonista dei veleni in procura”. Ne avevo sentito parlare negli anni ’90, personaggio decisamente controverso e affascinante; trovarlo qui, tra blogger, confesso che mi ha incuriosito molto; nelle sue vicende passate, 007 o no, non mi addentro perché ha vissuto sicuramente tempi turbolenti e del resto su Internet si potrà trovare di tutto (e il contrario di tutto), io ho sempre trovato i suoi post interessanti, spesso caustici, nella sua rubrica delle “Cattiverie” raccontava spesso vicende sconosciute al grande pubblico, e dovremmo chiederci come mai lo siano… profondo conoscitore dell’Africa, colto, esperto (credo anche per lavoro) di geopolitica e di armamenti; guardava al mondo con occhi disincantati e mi trovavo spesso a concordare su qualche sua riflessione con un pizzico di nostalgia, anche se quando succedeva era il primo a dire che bisognava reagire virilmente senza lasciarsi abbattere. Era un estimatore della mia Olena, forse perché di donne come Olena nella sua vita ne avrà conosciute parecchie; in questi anni di frequentazione virtuale ci siamo sempre dati del “lei”, come si fa tra persone che si stimano ma senza quella confidenza che può portare alla mancanza di rispetto o forse per rimarcare che eravamo stati entrambi ufficiali, e tra gradi diversi ci si da del lei… mi mancheranno anche i suoi commenti su vicende della Seconda Guerra Mondiale o anche della Prima, spesso sconosciute, dove non mancava di elogiare gli eroismi dei singoli a fronte troppo spesso di gravi incapacità quando non connivenze degli alti gradi. A suo modo è stato dentro un pezzo di storia italiana; mi mancherà come sono sicuro che mancherà a tanti che seguivano i suoi scritti. Ma magari il giornale si è sbagliato, e non è vero niente…

Martire della porta accanto

Stamattina a poche centinaia di metri da dove vivo è stato ucciso un prete. All’ingresso della città, nella piazza S.Rocco che è in fondo alla Via Napoleona e non è una vera piazza ma un crocevia di strade; da qui parte Via Milano, la lunga strada dritta che arriva fino in Piazza Garibaldi, la grande piazza prospiciente le mura romane e dalle quali si apre Porta Torre attraverso la quale si accede al centro storico. Una strada che faccio spesso a piedi, l’ultima volta qualche giorno fa, per andare proprio in Via Milano in uno di quei negozietti di “cinesi” (in realtà in questo caso pakistano) che aggiustano cellulari e computer, a prezzi modici. Una via che è divisa fisicamente in due: da una parte via Milano bassa, la parte più vicina alle mura e quindi più pregiata, dove resistono diversi negozi eleganti, anche se con difficoltà; e dall’altra via Milano alta, dove i residenti sono ormai solo immigrati e le attività commerciali, almeno quelle rimaste perché molti negozi sono chiusi, sono decisamente multietniche. Piazza S.Rocco è all’imbocco di questa parte della via; la parrocchia confina con la nostra, era una parrocchia fiorente fino a qualche anno fa poi, a causa dello svuotamento dei residenti e della penuria di sacerdoti, ha subito diverse vicissitudini. Io l’ho frequentata per un breve periodo perché i miei amici congolesi ci si ritrovavano a cantare al sabato, e ogni tanto andavo a trovarli; davanti alla chiesa c’è un piccolissimo spazio con qualche panchina, che l’ultima amministrazione comunale ha fatto togliere perché favoriva assembramenti di ragazzi di colore, rifugiati o richiedenti asilo. Così si risolvono i problemi, spostandoli da qualche altra parte…  Ricordo un’assemblea cittadina, qualche anno fa, dove persino il rappresentante della comunità islamica chiedeva di intervenire contro il degrado della zona…

Il sacerdote si chiamava don Roberto Malgesini, l’avevo conosciuto insieme al coro qualche anno fa, lui giovane vicario in un paese vicino che veniva a sostituire il nostro parroco per la messa domenicale quando questi, anziano, andava in ferie (fino a quel momento non avevo mai saputo che i preti andassero in ferie) o doveva curarsi. Anche il nostro parroco ebbe una brutta disavventura, nel 2016, con una persona che lo trovò da solo in Chiesa e lo picchiò per farsi dare dei soldi, causandogli problemi che si porta dietro ancora oggi. Mi sono meravigliato quando oggi ho letto che don Roberto aveva 51 anni, lo ricordo giovane e con un sorriso timido, buono, con occhi che brillavano di entusiasmo e che dopo la messa veniva sempre a salutarci. Ho saputo che aiutava in parrocchia e si prodigava per aiutare i senzatetto, portandogli persino la colazione: ed era questo che stava facendo quando l’assassino l’ha colpito, non si sa ancora perché, se c’è un perché.

L’uomo che l’ha ucciso, un tunisino, era anche lui un senzatetto e alcuni amici della Caritas mi dicono che era conosciuto anche da loro dato che era stato ospite del dormitorio; aveva un decreto di espulsione dal 2015 nonchè problemi psichici, e veniva anche seguito dai servizi sociali. Ha accoltellato don Roberto e si è andato a costituire. Si possono fare le più svariate congetture, ma tali appunto restano per il momento.

In questa vicenda noto diversi elementi che mi fanno pensare che non stiamo gestendo queste situazioni nel modo migliore, sembra quasi che vogliamo mentire a noi stessi: decreto di espulsione ed era ancora qua, non nascosto dato che se è vero quello che mi dicono era seguito addirittura dai servizi sociali; ma che possono seguire i servizi sociali in questi casi, quando non riescono a seguire le povertà “normali”? Ricordo un paio di anni fa l’uomo che uccise i quattro figli per paura che glieli portassero via…

Nel 1999 qua vicino, a Ponte Chiasso, venne ucciso un altro sacerdote, sempre a coltellate, don Renzo Beretta: era un sacerdote di frontiera e non solo perché era vicino alla Svizzera, ma perché aiutava anche lui gli ultimi, emarginati, tossicodipendenti, immigrati (allora per la maggior parte dell’Est Europa, infatti fu ucciso da un ragazzo rumeno); il Vescovo di allora arrivò a dire che se l’era cercata, per dire che aria tirava…

Oggi, se non altro, almeno nella Chiesa la sensibilità è diversa; al di fuori non mi sembra, e sicuramente saranno in molti a dire che “se l’era cercata”. Un martire della porta accanto, l’ha definito l’attuale Vescovo: in questo tempo balordo dove si è perso il senso dell’essere comunità, e dove per fare i missionari non c’è più bisogno di andare in Africa.

donRoberto

Sbloccato impallamento

Ho dovuto cancellare la cache di Chrome, ovvero cookies, cronologia e compagnia bella. Poi mi sono ricordato che probabilmente mi era già successo in passato ed avevo fatto la stessa cosa, ma non è che posso ricordarmi tutto… L’editor a blocchi non ha colpe, poverino (o almeno credo), se non quella di rendere la vita difficile a chi è abituato con il vecchio editor e non ha nessuna voglia di cambiare. Scrivo questo solo perché, se in futuro dovessi ancora fare post di impallamenti, saprete cosa rispondermi… 🙂 Buona serata!

Olena à Paris – 17

Nonna Pina inghiotte un boccone di chorrizo¹, beve un sorso di vino per stemperare la paprika e continua:
«Nel periodo che rimasi in Argentina continuammo a frequentarci, quando i nostri impegni ce lo permettevano; grazie anche ai miei consigli, o almeno lei così diceva anche se io ho sempre pensato che fosse esclusivamente merito suo, la sua carriera procedeva discretamente, iniziava a recitare in qualche film e anche la sua situazione economica migliorava. La mia tournée intanto era finita e sarei dovuta tornare in Italia ma Emilio, il ballerino che era il mio amante,  mi convinse a rimanere con lui a Buenos Aires dove aveva intenzione di aprire una scuola di ballo, o così mi fece credere. Mi convinsi che fosse più sicuro, per il bambino che stava per nascere, non affrontare lo strapazzo di quella dozzina di giorni in mare, o forse non volevo farmi vedere in giro con il pancione o forse, chissà, avevo anche un po’ di paura perché qualche piroscafo era stato affondato… sia come sia rimasi a Buenos Aires e con Emilio ci sistemammo in un alberghetto in periferia; pensavo di partorire lì, senonché ebbi delle complicazioni e mi portarono incosciente in ospedale: quando mi svegliai mi dissero che avevo perso il bambino, e come se non bastasse Emilio era sparito… »

Juanito maschera la propria emozione stappando una nuova bottiglia di vino tinto, mentre qualcuno si asciuga una lacrimuccia con l’angolo del tovagliolo.
«Eva, venuta a sapere delle mie vicissitudini, voleva ospitarmi a casa sua ma io ormai avevo solo voglia di tornare a casa, così dopo pochi giorni partii. In Italia la situazione non era rosea, la guerra che sembrava dovesse finire in pochi giorni invece continuava e la preoccupazione era evidente. Anche per gli artisti era dura, io iniziai a partecipare a spettacoli per le truppe, ma divenne sempre più difficile… passava il tempo, con Eva ci tenevamo in contatto scambiandoci lettere e sentendoci ogni tanto al telefono, le notizie che le davo la rattristavano: lo sbarco degli alleati, la caduta di Mussolini, la resa, e poi la guerra civile, italiani che combattevano contro altri italiani, questo specialmente la angosciava. Io ero rimasta al Nord, del resto le persone a cui volevo bene erano tutte lì;  tra l’altro avevo conosciuto Gervasio, un bravo ragazzo che aveva un pastificio e tanti sogni, e stavamo per sposarci: la mia carriera insomma era in fase calante mentre la sua era in ascesa, tra l’altro era diventata rappresentante sindacale degli artisti ma non le bastava, dentro di lei ardeva un fuoco, sentiva di dover fare qualcosa per il suo popolo, ma non sapeva ancora come… la ragazzina era diventata donna, e che donna…»

Nonna Pina si ferma un attimo, attirata da una pietanza che la incuriosisce.
«Cosa c’è in quella scodella, Juanito? Manda un bel profumino»
«Salsa criolla, donna Pina, è squisita. La prepara mi nuera, mia nuora Andreina, verdure a tocchetti, olio, aceto, cipolla, origano, peperoncino, aglio ed altri ingredienti segreti che non rivelerebbe nemmeno sotto tortura… il tutto lasciato riposare l’intera notte.  Assaggiatela sul pane, vedrete che bontà…»
«Mmhh, buonissima, brava Andreina» commenta nonna Pina dopo aver morso la fetta di pane che Juanito gli ha preparato.

«Finché, verso il febbraio del ’44, mi raggiunse una telefonata. Era Eva, allegra ed emozionata, che dopo i saluti mi annunciava: “Ho conosciuto un uomo eccezionale, Eusebia, e abbiamo deciso di andare a vivere insieme. Lo amo più di ogni cosa al mondo, e sento che potrei fare qualsiasi cosa per lui…”. Mi sembrò un po’ melodrammatica come dichiarazione, così per scherzare le chiesi chi fosse mai questo fenomeno, e se fosse almeno bello e ricco… mi rispose ridendo “Oh si, è davvero un bell’uomo… in quanto a ricco, lo è senz’altro di idee e volontà, ma forse ne avrai sentito parlare: si chiama Juan Domingo Perón…”. Conoscevo di fama l’uomo, era un militare andato al potere con un colpo di Stato insieme ad altri ufficiali; ricopriva l’incarico di Segretario del Lavoro, e in quel ruolo aveva promosso delle riforme sociali che gli erano valse l’apprezzamento del popolo, di cui godeva la fiducia. Ci facemmo gli auguri a vicenda, ripromettendoci di rivederci quando la guerra fosse finita, ma passarono diversi anni prima che potessimo effettivamente rincontrarci»

«Un pochito de dulce de leche?» chiede Andreina, ansiosa di sottoporre l’altra sua specialità al giudizio della ospite d’onore.
«Ussignur, Juanito, anche il dolce? Mi farete scoppiare… grazie, Andreina, solo un assaggio però»
«Como desées, señora» risponde la nuora di Juanito, versando sul piattino da dolce due buone cucchiaiate di crema, mentre in tavola compare una bottiglia di sherry Pedro Gimenez.
«Ragazzi, se continuate a portare da mangiare questa storia non finisce più!» protesta nonna Pina, portandosi alla bocca un cucchiano di dulce de leche.

Evita-Peron-3

¹ Salsiccia speziata a base di carne bovina e suina.

Salviamo i pigoscelidi antartici!

Cronachette della fase tre (9-10 settembre)

Greenpeace informa che su Elephant Island, il luogo della Penisola Antartica che ospita una delle più importanti colonie di pinguini dell’Antartide, la popolazione di questi simpatici pigoscelidi è diminuita del 60% in cinquanta anni. Di chi è la colpa? Ma nostra, naturalmente, di noi umani, che con il nostro modo di vivere incosciente alteriamo l’habitat necessario alla loro sopravvivenza: se si alza la temperatura dell’acqua i ghiacci non si formano come dovrebbero ed il krill, i gamberetti che sono cibo per molti animali, non si riproduce a dovere. Continuando così, faremo scomparire anche i pinguini.

Certo che siamo una specie ben strana: abbiamo le case piene di animali di compagnia veri o presunti idolatrandoli ben oltre il lecito, ci prodighiamo per far accoppiare in cattività i panda e tagliamo le foreste dove vivono migliaia di altre specie di cui sostanzialmente ce ne impipiamo; aiutiamo i rospi ad attraversare la strada di notte per non farli schiacchiare dalle auto, e ci rifiutiamo pervicacemente di cambiare, anche minimamente, quelle abitudini che stanno portando il mondo al disastro.

Ma come, direte, proprio tu parli così che non più tardi di ieri volevi dare una bella sfoltita alla popolazione di cinghiali a te limitrofi? Bè, innanzitutto i cinghiali non sono in estinzione, anzi, si riproducono a velocità abbastanza elevate, una femmina può anche sfornare una ventina di cuccioli all’anno; è vero che di norma si fanno gli affari loro rotolandosi nel fango ma capita spesso che attraversando qualche strada causino incidenti (nel 2018, solo in Lombardia, 803) e se qualche cacciatore di funghi si imbatte in qualche femmina con la cucciolata, è meglio che scappi… Perché sono così tanti? Perché non hanno predatori naturali, dato che i lupi sono pochini e l’uomo non li può cacciare (salvo una quota stabilita dalle Regioni di anno in anno, e solo da cacciatori selezionati), e perché trovano il cibo che i pinguini non trovano. E se non lo trovano nel bosco, se lo vanno a cercare dove capita…

Comunque che devo dirvi, io gli animali li ho avuti e gli ho voluto bene ma non è che mi inteneriscano troppo: mi hanno detto che qualcuno degli indagati per l’omicidio del ragazzo di Colleferro, l’altro giorno, sul suo profilo social aveva dei bei post di animaletti: che teneri, che cuori d’oro. Ammazzare un ragazzo va bene: ma guai a maltrattare i teneri gattini!  Che poi vorrei capire come si fa a parlare di omicidio preterintenzionale quando in quattro si picchia uno già a terra e senza difese…

Un mio amico ha avuto una bella avventura con un cinghialetto: una mattina è uscito di casa e se ne è trovato uno in giardino, caduto letteralmente dal cielo ovvero scivolato dalla scarpata dietro casa, passato sotto la rete del muro di cinta e volato per circa tre metri, atterrando sulle lastre di cemento vicine al garage. L’animale sembrava morto, ma il tempo di rientrare in casa per svegliare il figlio e fargli prendere qualche provvedimento che questo (il cinghiale, non il figlio) si è alzato ed ha iniziato a caracollare per il giardino, cominciando a grufolare ed a rovistare nell’orto a cui il mio amico tiene gelosamente. Voi che avreste fatto? Lui ha chiamato la forestale, pensando che questi avrebbero provveduto a prelevarlo e riportarlo nel bosco. Invece si sono presentati disarmati, e vedendo che il suino era ferito e malandato, hanno deciso che non si potesse fare altro che sopprimerlo. Peccato che non avessero nessuna arma, ed il mio amico non fosse munito di doppietta: così si sono fatti prestare un tubo di ferro, e l’hanno abbattuto con quello. Quando l’ho saputo ho rimproverato il mio amico, così eravamo capaci anche noi e avremmo anche potuto metterlo a frollare nel congelatore! Quindi un consiglio spassionato, cari amici, se vi piove un cinghiale un giardino non state a perder tempo a chiamare forestali o affini, munitevi di tubo!

Come vi ho raccontato qualche tempo fa, il giovedì mattina sono di corvée, ovvero vado a fare spesa al supermercato, ma solo degli articoli ingombranti; l’operazione è ormai diventata talmente ripetitiva che in mezzora riesco a fare il giro, caricare il carrello e pagare: non ci trovo niente più di divertente, tanto che sto pensando di convertirmi alla spesa online, tanto il corriere mi trova di sicuro a casa… mi è successa solo una cosa curiosa, vi avevo parlato della signora nigeriana alla quale prendevo i pacchi più pesanti, l’acqua, il latte, e glieli portavo dato che lei non ha l’automobile: bene, la signora abbastanza imbarazzata mi ha pregato di non portarglieli più, perché i vicini sono invidiosi e gelosi. Non vorrei a mia insaputa aver alimentato maldicenze ai suoi danni comunque l’invidia è una brutta bestia e non me la sento di condannarla per quella che mi sembra una superstizione bella e buona. Così adesso la roba devo scaricarla nel mio garage, e poi se la viene a prendere in motorino: come complicarsi la vita quando è già complicata…

Sento che molti, specialmente del centrodestra, sono preoccupati dalla mancanza dei banchi per le scuole. Amici, ma vi ricordate che prima del Covid in certe scuole mancava persino la carta igienica, e dovevano portarla i genitori? Mi rivedo un sabato, nel cortile della scuola medio di mio figlio, a fare le pulire che il Comune non svolgeva più da anni: trovammo persino un bidet rotto in mezzo alla sterpaglia, ed il preside ebbe il coraggio di venire a lamentarsi perché non avremmo dovuto essere lì. Dov’è dunque la meraviglia, la novità? E poi ‘sti maledetti banchi perché non erano già singoli, mi chiedo? Io lo avevo singolo alle elementari, alle medie ed alle superiori, che diamine è cambiato nel frattempo? Comunque un preside li ha mandati in una falegnameria e li ha fatti tagliare in due: ben fatto!

Amiche e amici, avrei voluto parlare anche di vaccini e politica internazionale ma, sarà che mi sento un po’ pinguino, avrei dovuto volare un po’ troppo alto. Per ora, di internazionale, mi accontenterò del cous cous in previsione stasera…

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