L’uomo che reggeva l’ombrellone (I)

Amiche e amici,

sono purtroppo tornato da questa vacanzina in Sardegna, dove per dieci giorni non ho voluto sapere niente di quello che succedeva per il mondo, ristorato e sollevato. Sollevato perché quando sono partito il governo dei Migliori era ancora in bilico e gli aruspici in caso di caduta pronosticavano piaghe d’Egitto con inondazioni e moria delle vacche, e invece niente di tutto ciò si è verificato, anzi: addirittura il prezzo della benzina è calato e la borsa, dopo un primo momento di assestamento, è in crescita. Perfino il temibile spread è in calo! Mi viene un dubbio: che alla fine il governo non ci serva affatto?

Sono stati, come ci si aspetta in Sardegna, giorni di sole e mare, molto caldi tranne gli ultimi quando in tarda mattinata iniziava a soffiare il maestrale. Abbiamo girato la parte nord-occidentale, con Stintino, Bosa, Cabras e le spiagge del Sinis; non starò a elencare le bellezze di questi luoghi perché sono famosi in tutto il mondo e comunque basta fare qualche ricerchina per trovare guide molto più brave di me. Darò solo qualche impressione, qualche consiglio, riporterò qualche storia che mi ha colpito.

La Pelosa.

La spiaggia più famosa di Stintino si chiama La Pelosa, nome decisamente accattivante come quello della attigua Pelosetta ma che non c’entra niente con quello che i più maliziosi di voi penseranno. E’ una vera piscina naturale che ha poco da invidiare alle spiagge tropicali; per evitare iper-affollamento l’accesso è a numero chiuso e bisogna prenotarlo on-line (3,5€ al giorno a persona). E’ vietato portar via la sabbia e se si viene beccati a farlo si prende una multa molto salata; il parcheggio è parecchio costoso ed i controllori molto pignoli: io avevo sforato l’orario di tre minuti e mi hanno fatto pagare un’ora in più.

Non si vive di solo pane carasau

A proposito di Pelosa e Pelosetta, le ex ministre Mariastella Gelmini e Mara Carfagna hanno abbandonato Berlusconi, artefice di tutte le loro fortune, per salire sul carro (o carretto) parecchio sopravvalutato, a parer mio, di Calenda, che si presenta con il suo partitino Azione nello schieramento del cosiddetto centro-sinistra dove non si capisce quale sia la sinistra. Auguri ad entrambe, ma non aspettatevi cene eleganti da quelle parti…

Stintino, rispetto alle altre cittadine dove abbiamo fatto tappa, la sera è più viva, ci sono diversi negozietti aperti ed anche una libreria: qui ho acquistato il bel libro di Luca Telesa “La scorta di Enrico”, la storia degli uomini che vennero scelti per proteggere Berlinguer , il rimpianto _ almeno da me anche se comunista non sono mai stato _ segretario del Partito Comunista Italiano, l’integerrimo sassarese, fino alla morte sul fatale palco di Padova, nell’84. Storie di uomini, e di tutta un’epoca; si intrecciano i racconti di quelli più anziani, che avevano l’età di mio padre ed avevano visto la guerra e combattuto nella resistenza ai nazifascisti  e di quelli più giovani, che avrebbero potuto essere miei fratelli maggiori. Li univa la convinzione incrollabile di contribuire a realizzare un mondo migliore e, se non altro, ci provarono. Confesso di essermi commosso e su qualche pagina di aver pianto: nostalgia, o forse tristezza nel confrontare la statura di certe personalità con i protagonisti di oggi.

Ma perbacco, mi sono accorto ora di aver divagato e di non aver raccontato quasi niente della vacanza: ci vorrà un’altra puntata, o forse due. A presto!

Pelosa o Pelosetta? Non saprei. Comunque si chiama Daniay Sharipova ed è del Tatarstan.

Come facevamo quando non c’erano le badanti?

Amiche e amici, sono di ritorno da un piacevole weekend a Sottomarina; le figlie hanno deciso di regalare a mia suocera, in occasione del suo 87° compleanno, una minivacanza per far visita ai parenti. Lei infatti è di origine veneta, emigrata o meglio scappata in Lombardia a 16 anni come tanti in quei tempi per sfuggire alla vita dura e alla miseria; per trovare altra vita dura sì, ma almeno non la miseria. Pian piano ha convinto a trasferirsi tutti i tre fratelli e la madre; ha lasciato qualche parente ed una sorella di cui ha scoperto l’esistenza solo qualche anno fa. Storie di dopoguerra… si pensa sempre all’esodo della gente dal sud al nord, ma l’emigrazione interna dal nord-est al nord-ovest, dal padovano, dal rovigotto, dal polesine, è poco conosciuta.  Erano tempi in cui in Lombardia il lavoro abbondava: lei racconta sempre che, per pagare il mutuo della casa, si licenziava facendosi dare la liquidazione, e subito trovava un altro posto… non era certo schizzinosa: si faceva anche trenta chilometri al giorno in bicicletta (per risparmiare sull’autobus) per andare al lavoro.

A proposito di lavoro, guardando i cartelli affissi e parlando un po’ con le proprietarie dell’albergo dove eravamo, sul lungomare, sembra che ci sia proprio un’emergenza: ristoranti che cercano camerieri, cuochi e aiuto-cuochi, piscine che non possono aprire perché mancano i bagnini, negozi senza commessi… addirittura, tornato a casa, il giornale locale titolava con l’allarme badanti: mancano perfino le badanti per curare gli anziani durante l’estate, ed un espertone consigliava di pagarle di più.

In realtà anche un nipote alla lontana di mia suocera, col quale abbiamo passato la serata di sabato a bere prosecco (prodotto da lui), mangiare carne alla brace e risolvere i problemi del mondo, ipotizzava che se magari alla gente gli si prospetta la giusta ricompensa e le giuste ore di lavoro a lavorare non si sarebbe tanta penuria di braccia; e che trovava ridicolo che dopo aver spinto i ragazzi a studiare, fare i coreuti o i commercialisti, poi ci si lamenti se il cameriere a 600 euro al mese non vogliano farlo. Io naturalmente mi trovavo d’accordo, sintonia che ha avuto la sua apoteosi arrivati al grappino, dove avremmo anche risolto la crisi ucraina con una splendida analisi politico-militare: solo un bigolo come Zelesky può tenere l’esercito a farsi massacrare nelle sacche del Donbass invece di ritirarsi, e invece di chiedere altre armi per portare per le lunghe questa guerra può andare a farsi fottere lui e tutti quelli che continuano a mandargliele, con in testa Draghi, Di Maio e Letta. Forse se al G7 avessero avuto qualche bottiglia di prosecco avrebbero preso decisioni migliori.

A proposito di Letta, qui a Como il candidato del centrosinistra al ballottaggio ha preso una scoppola clamorosa dal candidato di una lista civica. Avevo già dichiarato che un’accozzaglia dove ci fossero dentro Calenda e Renzi (con l’endorsement di Forza Italia!) non l’avrei mai votata e nonostante la presenza di amici di buona volontà non me la sono sentita. Quando ho sentito quello che aveva deciso il G7 (“aiuteremo l’Ucraina finché ce ne sarà bisogno”: ma quanto volete farla durare questa guerra? Ma non vi rendete conto che state contribuendo ad ammazzare un sacco di gente? E che state gettando le basi per un autunno di merda anche per noi, altro che fare i bagnini?) ed anche se si tratta di elezioni amministrative mi è partito un vaffanculo dall’interno e avrei votato chiunque altro, fosse pure stato Belzebù.  Il nuovo sindaco ha in effetti i capelli rossi; peggio dei precedenti non farà di sicuro; ha avuto una giovinezza difficile, orfano di entrambi i genitori già a venti anni, ed ha perso presto due fratelli; insomma si è dovuto rimboccare le maniche, conosce bene la città, spero che usi bene il consenso che ha avuto. Dicono che sia di destra ma a questo punto che vuol dire essere di destra o di sinistra? I democratici americani sono di sinistra? Hanno forse fatto in modo che gli immigrati messicani non muoiano nei container per non incappare nella legge anti-immigrazione, come successo l’altro giorno? O è di sinistra Sanchez, lo spagnolo, che ha chiesto l’ombrello Nato dopo la strage dell’altro giorno di marocchini che volevano passare in territorio spagnolo a Ceuta e Melilla: e che deve fare la Nato, bombardarli pure? Non vi basta averli fatti ammazzare dalla polizia?

Tornando alle badanti: ma come facevamo prima che l’Unione Sovietica implodesse? Cioè, se non fossero venute qua una valanga di moldave, ucraine, bielorusse, russe, polacche, rumene, come avremmo fatto con i nostri vecchi? Prima chi li curava? Ora questa figura sembra normale (lavoro duro tra l’altro, spesso sfruttato e poco considerato) ma non è sempre stato così. E se davvero tutte queste donne dovessero sparire? Le cose sono due: o i vecchi si decidono a morire prima, oppure invece di correre tutti come matti in famiglia bisogna che qualcuno a turno si fermi…

Ma per risolvere anche questo problema mi ci vorrebbe ancora qualche bottiglia di prosecco; magari quando tornerò a Sottomarina… anzi, se volete che risolviamo anche qualche vostro problema, non fate complimenti!

Avrebbero tutti i numeri per risolvere i problemi del mondo, altro che G7!

Ti sbatto a Gaeta! (Cronachette dallo zoccolo duro – 4)

Amiche e amici,

riemergo dalla latitanza a cui mi sono dato per sfuggire alle brigate di cacciatori di ultrasessantenni renitenti alla leva vaccinale per farvi sapere che sto bene, e così spero di voi; ho trascorso una settimana al mio paesello natìo (“Roma caput mundi, Montemilo’ secundi”) che ho passato quasi interamente in casa nella poltrona di fianco alla mia mamma, per la gioia come potrete immaginare della mia consorte. Purtroppo quando uno non ha più voglia di campare non c’è medicina che tenga, ma di questo parleremo un’altra volta perché non ho voglia di intristirvi, già bastano le notizie che si sentono ogni giorno al telegiornale.

Da lì, attraversando l’Italia, ci siamo spostati a Gaeta, dove abbiamo passato un’altra settimana, questa volta di vere ferie. Perché Gaeta, direte? Ubi maior minor cessat etc. , confesso che di Gaeta gli unici ricordi che avevo erano quelli del carcere militare dove durante la naja (che ripristinerei seduta stante) venivamo minacciati di essere spediti in caso di mancanze o negligenze. Mi tolgo subito il dente, e non lo faccio per vanteria ma per lasciare una testimonianza ai posteri: la crisi non esiste, aveva ragione la buonanima di Berlusconi già tempo fa: gli alberghi ed i b&b sono pieni, i ristoranti e le spiagge lo stesso, in autostrada code sia all’andata che al ritorno. Chi stava male continua a star male e sta anche peggio, e chi stava bene continua a spendere come se non ci fosse un domani. Abbiamo pagato il b&b (bello, nuovo, ma non certo il Grand Hotel) 160€ a notte; per un ombrellone e due lettini da un minimo di 25€ a 40€, e cara grazia se si trovava posto: l’ultimo giorno abbiamo speso 35€ per un ombrellone in diciottesima fila! Che il mare si vedeva con il cannocchiale e già arrivare a bagnarsi i piedi era una passeggiata. Abbiamo cenato sempre all’aperto, tranne una sera (prima che entrasse in vigore l’obbligo di green pass); posso testimoniare di persone respinte perché sprovviste del lasciapassare. In proporzione abbiamo pagato meno a mangiare pesce che a sdraiarci panza all’aria (tra l’altro io ho tenuto quasi sempre addosso la maglietta, ridicolerrimo mi diceva mio figlio da piccolo ma la mia pelle è diventata delicata, pensare che una volta mi gratinavo da mattina a sera e diventavo nero come un tizzone).

Gaeta è una scenografia; i castelli e le chiese che la sovrastano la sera sono illuminati sapientemente, ed è piacevole  passeggiare per il lungomare, tra bancarelle e mercatini. Dove l’unica cosa che ho acquistato sono libri vecchi, tra cui una copia anastatica delle “Narrazione Storica Religiosa Politica Militare del soggiorno nella real piazza di Gaeta del Sommo Pontefice Pio IX”, scritto da un tal Giovanni Bois nel 1854, a ricordo delle vicende che portarono il Papa a scappare da Roma all’avvento della Repubblica Romana e trovare rifugio appunto a Gaeta, allora facente parte delle Due Sicilie, da re Ferdinando II.     

Ma è una scenografia anche perché niente è visitabile: tutto chiuso, dei due castelli quello Aragonese è destinato a caserma delle Guardia di Finanza e quello Angioino, storico carcere, aperto solo sabato e domenica e non sempre; le chiese aperte a turno con orari a capocchia; siamo riusciti se non altro a visitare la Montagna Spaccata, a cui si accede sal Santuario della SS Trinità; la tradizione popolare narra che la montagna si squarciò al momento della morte di Cristo, come  il velo del tempio di Gerusalemme. Lì si ritirava ogni tanto San Filippo Neri, e lì andò a morire.

Nei dintorni abbiamo visitato Sperlonga (paese ormai “finto”, ovvero solo turistico, destino di tutti i centri dove gli abitanti vengono sostituiti da viaggiatori di passaggio); l’Abbazia di Montecassino che volevo visitare da anni e finalmente ci sono riuscito; ricordo che l’abbazia non fu distrutta dai tedeschi come a volte una propaganda superficiale fa credere ma dagli alleati che la bombardarono con una azione controproducente dal punto di vista militare oltre che criminosa per i beni che vennero distrutti (ma cosa c’era da aspettarsi da gente che bombardò persino il Cenacolo di Leonardo da Vinci a Milano, che si salvò solo per miracolo?), e fortuna che i tedeschi salvarono la biblioteca millenaria portando i volumi in Vaticano, altrimenti sarebbe andata persa anche quella. Mi sarebbe piaciuto parlare ancora di questo con l’amico Anghessa che di cose militari era addentro e con gli americani aveva ancora il dente avvelenato, ma ormai ci vorrebbe un tavolinetto a tre piedi; infine Ponza, dove era appena entrato in vigore il Green Pass e avevo paura non mi facessero salire sull’aliscafo, ma per fortuna i trasporti sono ancora liberi (per poco, pare). Il paesino colorato è delizioso, volevamo andare in una spiaggia dall’altra parte del monte che secondo Google maps era a 15 minuti di distanza ma ad un certo punto ho desistito; va bene che ho l’assicurazione sulla vita e gli eredi non soffrirebbero eccessivamente, ma farsi venire un infarto a Ponza alle 13,30 non mi sembrava ragionevole.    

Avremmo voluto fare un giro al Circeo, magari arrivando fino a Sabaudia dove ho passato sei mesi di addestramento da ufficiale di artiglieria contraerea, e naturalmente gentiluomo, ma non ce n’è stato tempo e mi dispiace un po’. Ricordo quando ci caricarono all’improvviso su dei camion per andare a spegnere un incendio sul Circeo, muniti di fruste, secchi, zappe e pale, il momento in cui mi sono sentito più utile nella mia carriera militare. A proposito di incendi, ogni giorno si vedevano passare canadair ed elicotteri con cisterne d’acqua: purtoppo in questa disgraziata estate c’è un attacco generale alle arie verdi e boschive, e i monti Ausoni non fanno eccezione. Il direttore del parco era disperato. Ma per i venti morti al giorno di Covid titoloni, misure drastiche, miliardi su miliardi: per gli incendi che tutti gli anni funestano la terra non si fa una mazza. Meno vaccini e curiamo la terra, che è meglio!

Amiche e amici, ritorno nella mia tana, tanto al cinema non posso andare, al teatro nemmeno, nei musei nisba ed in discoteca men che meno: al supermercato si può, in chiesa pure, e vedremo se si potrà andare al lavoro. Buona continuazione di estate!

Metti un po’ di musica leggera perché ho voglia di niente…

… anzi leggerissima…

Amiche e amici, come promesso (o minacciato, fate voi) vi racconterò qualcosa della breve vacanzina appena conclusa. Non mi sono voluto informare su quello che succedeva per il mondo e credo di aver fatto bene; del resto la mia lettura preferita durante le ferie come sa chi mi segue da tempo è Cronaca Vera, ma in realtà non acquisto la rivista da tempo e non so nemmeno se la pubblichino più. Sono stato a Piombino, in Toscana, e precisamente a Marina di Salivoli, in un complesso di appartamenti nuovi e molto ben curati. Non conoscevo affatto la zona, di Piombino sapevo solo che era una città industriale (le acciaierie) e portuale: portuale lo è ancora in quanto vi partono i traghetti per la Corsica, la Sardegna e l’Isola d’Elba lì di fronte, la parte industriale invece è in crisi, l’altoforno  è stato chiuso nel 2014 e da allora si sono succedute proprietà il cui unico scopo era ciucciare soldi allo Stato sulla pelle degli operai (come gli indiani che attualmente la detengono) facendo grandi promesse ma con poche intenzioni serie. Questi sono gli investitori esteri che tanto corteggiamo: bisogna pure pagarli per far andare gli impianti, a quel punto non capisco perché non subentri direttamente lo Stato (abbiamo voluto smantellare l’Iri, quanto bisogno ce ne sarebbe stato in questi anni di crisi) con un serio piano industriale ma figurarsi, i nostri governanti si baloccano con la legge Zan e la riapertura delle discoteche, sai che gli frega dell’acciaio. Tanto stiamo diventando un popolo di affittacamere, camerieri e commesse, che le fabbriche le facciano in Cina…   

La zona è molto bella, la Costa degli Etruschi con il Golfo di Baratti, il parco della Sterpaia, varie cale (Cala Moresca in primis); spiagge attrezzate e spiagge libere ma tenute molto bene ed in genere comunque fornite di servizi (a Baratti ad esempio nella pineta dietro la spiaggia il Comune di Piombino ha messo a disposizione dei bagni pubblici con docce, ci sono bagnini che sorvegliano e persino un’ambulanza). A me comunque il mare interessa poco, mi annoio, diffido del sole (sono stato quasi sempre sotto l’ombrellone ed anche con la maglietta addosso ma nonostante ciò mi sono scottato i piedi) e le onde non mi attizzano; nei dintorni ci sono diversi sentieri per escursionisti ma anche la natura non mi appassiona e inoltre faceva caldo ed il pericolo di lasciarci le penne con un infartino è sempre dietro l’angolo. Oltre le spiagge nominate sopra, quello che ho  apprezzato di più è stato:

  • La visita a Populonia Alta, con l’acropoli etrusco-romana (il borgo in sé stesso si fregia di essere  uno dei più belli d’Italia, ma mi sembra esagerato); quella bassa invece, dove ci sono le tombe etrusche, non l’ho potuta visitare perché a) l’ufficio turistico apre alle 9:30 e b) quando sono andato a fare i biglietti la bigliettaia ad ognuno spiegava la rava e la fava e così ho perso la visita guidata delle 10:30 e la seguente ci sarebbe stata alle 11:30, così ho mandato a quel paese etruschi e bigliettaia e me ne sono andato.
  • Il Parco Archeo-Minerario di San Silvestro, a Campiglia Marittima (che si chiama Marittima ma è in alto); qui si visitano due miniere, una a piedi ed una in trenino, e soprattutto si ripensa a quelli che lì ci lavoravano, i minatori: fuori dalla seconda miniera c’è un piccolo museo che ripercorre le lotte che i minatori hanno affrontato negli anni ’70 per non far chiudere le miniere, per difendere il loro lavoro, pur così duro, rischioso, ingrato. Difendevano il lavoro e la dignità che dava loro quel lavoro, con orgoglio ed a volte disperazione: ma adesso che vogliamo saperne, basta tornare a farsi lo spritz serale. Le miniere sono state chiuse perché erano antieconomiche, dato che i minerali dall’estero costavano meno, e perché si ritenne che in Italia i minatori non avessero più ragione di esistere. Secondo me in Italia sarebbero ben altri quelli che non avrebbero ragione di esistere, in miniera ce ne manderei parecchi e a essere onesti anch’io, da borghesucolo come sono diventato, un po’ di miniera me la meriterei.
  • Napoleone Bonaparte all’Isola d’Elba: Portoferraio è a un’ora di traghetto da Piombino, e lì abbiamo visitato una delle due Ville dove è stato “ospite” Napoleone durante il suo esilio; i mobili sono quasi tutti non originali anche se dell’epoca, tranne una brandina da campo che sembra che l’Imperatore si portasse sempre dietro e che preferisse a letti ben più comodi. Certe volte mi chiedo se saremmo stati migliori o peggiori se Napoleone avesse vinto a Waterloo (che comunque ai tempi dell’Elba era ancora di là a venire). Ma coi “se” non si fa la storia, probabilmente saremmo stati tali e quali a quello che siamo: dei minchioni consumisti.
  • Il Vermentino che ho bevuto tutte le sere a Piombino in ottimi ristoranti, naturalmente abbinato a pesce, totani, cacciucco, baccalà; abbiamo mangiato sempre divinamente tranne una sera dove ci siamo seduti e dopo mezz’ora non ci avevano portato nemmeno l’acqua e solo quando i commensali del tavolo vicino a noi se ne sono andati spazientiti si sono degnati di avvicinarsi. Ci hanno magnificato il loro antipasto di otto portate, peccato che abbiano portato un piattino alla volta e dopo un’ora eravamo ancora al caro amico: adios, avrebbe detto Antonino Cannavacciuolo, e così abbiamo fatto anche noi: adios! Amici cari, capisco che vogliate recuperare i mesi di fermo forzato, ma così vi fate del male: se tutti fanno come me, che prima di andare in un locale dà un’occhiata a Tripadvisor, potete anche chiudere…
  •  A proposito di vino, a Suvereto, un bel paesino medievale nell’interno, proprio nel weekend della nostra partenza ci si svolgeva la sagra del Vermentino: che peccato non aver potuto partecipare! Nel paesino, che abbiamo visitato la mattina del ritorno a casa, avrei voluto visitare il museo della Rocca Aldobrandiana, o almeno il Museo delle Bambole: ma aprivano alle 17:30, e a quell’ora eravamo arrivati a casa.

Potrei anche nominare il camioncino con i panini nella pineta di Baratti, fornitissimo di ogni ben di Dio: certo panino porchetta e zuppetta toscana con birra Ichnusa non è proprio il massimo per poi passare un sereno pomeriggio sotto l’ombrellone, da piccolo mia madre mi diceva sempre che prima di entrare in acqua dovevo aspettare di aver digerito il pranzo: sarà per quello che in tutta la settimana non ho fatto nemmeno un bagno?

A presto, amiche e amici!

Turisti per caso al tempo del coronavirus – 5

Ed eccoci giunti alla fine di questo miniviaggio attraverso questo bel pezzetto d’Italia; dulcis in fundo come dicevo, anzi panforte in fundo, Siena.  Di passaggio però siamo prima andati a Todi, bella cittadina umbra piena di storia, basti pensare che ha tre ordini di mura, etrusche, romane e medievali; la bella piazza del Popolo con la Cattedrale a cui si accede da una scenografica scalinata, il palazzo del Popolo, il palazzo dei Priori; la chiesa di San Fortunato ed la vicina statua a Jacopone da Todi, le cui vicende si intrecciano con quelle di Pietro da Morrone ovvero Celestino V, il papa del gran rifiuto visto a L’ Aquila: un periodo oltremodo interessante, di grandi fermenti in seno alla cristianità; una chicca, la Chiesa della Nunziatina, completamente affrescata… la città merita una visita più approfondita e con un clima più fresco e non a Ferragosto come abbiamo fatto noi…

Dopo un rapido spuntino dirigo le vele verso Siena e a questo punto i due navigatori, quello dell’auto e quello del telefonino, litigano tra di loro. Commetto l’errore di ascoltare quello dell’auto e patatrac, questo ci porta su una strada interrotta, costringendoci ad allungare il tragitto di un’ora. Chiediamo ad una persona del luogo e questo seraficamente ci dice che la strada è interrotta da tempo, chissà quando la riapriranno. Ora, senza polemiche, mi chiedo: secondo me è giusto revocare la concessione autostradale a chi non effettua la giusta manutenzione, ma non bisognerebbe anche revocare cariche e stipendi a tutti i direttori degli enti che dovrebbero garantire che le strade statali, provinciali, comunali e chi più ne ha più ne metta non siano nello stato pietoso in cui nella quasi totalità si trovano? Da questo viaggio inoltre ho imparato, e quasi mi dispiace ammetterlo, che il navigatore di Google Maps vince sugli altri perché è aggiornato in tempo reale o quasi.

Chiusa la parentesi arriviamo a Siena; siamo stati fortunati a trovare una camera libera ci dice la gentile addetta alla reception, perché Siena è sold-out e lo sarebbe stata ancora di più se si fosse potuto disputare il Palio dell’Assunta, di norma in programma il 16 agosto: non sappiamo se ringraziare il Covid-19 per l’opportunità avuta o preoccuparci per la massa di gente che comunque incontreremo… perché di gente ce n’è veramente tanta, italiani e stranieri (francesi, tedeschi, russi…), abbiamo usato spesso la mascherina all’aperto perché davvero evitare gli assembramenti era impossibile. Appena arrivati, uscendo dalla scala mobile che porta dal parcheggio vicino la Fonte Fontebranda (dove delle ragazze si tuffano facendo il bagno…) ci troviamo nel mezzo di una contrada che festeggia con una grande tavolata open-air…

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Siena è un gioiello di arte, storia, esperienza gastronomica ed enologica; l’unica volta che c’ero stato era stato più di trent’anni fa e non avevo visto praticamente niente, solo piazza del Campo e di corsa… la nostra intenzione era fermarci solo il 15 e 16, ma quando siamo andati a visitare il Duomo, domenica, abbiamo scoperto che era chiuso perché si stava preparando la scopertura del pavimento, opera d’arte nell’opera d’arte, che è visibile un solo mese l’anno, così abbiamo prolungato la visita sacrificando la tappa successiva, che avrebbe dovuto essere San Gimignano. Non ce ne siamo pentiti, nemmeno della coda di quasi un’ora fatta per entrare; peccato che, dato il numero di persone ed il distanziamento, è stato possibile rimanere nella libreria Piccolomini contenuta al suo interno solo un paio di minuti: la sensazione che ho avuto è stata la stessa dell’ultima volta che ho visto la Cappella Sistina, e non solo lo stupore per la grande bellezza ma la convinzione che così non ha quasi senso, bisognerà porre un limite… ma se nemmeno il Covid è bastato, forse non c’è soluzione, il turismo di massa è così.

Il Duomo, il Battistero, Santa Maria della Scala, il Museo del Palazzo del Popolo, il Convento di S.Caterina, la  Chiesa di San Domenico, su e giù per le vie calpestate da secoli con la sensazione quasi di profanarle. Ce li meritiamo? Nel dubbio, abbiamo pasteggiato entrambe le sere in piazza del Campo, turisti fino in fondo, pici al ragù di cinta senese e Chianti; forse non c’è nemmeno bisogno di conoscere la storia per apprezzare certe bellezze, basta aprire gli occhi e rendersi conto di quanto si è fortunati a poterne godere…

E così, con queste meraviglie negli occhi, siamo tornati a casa: chi se ne frega delle code, dei contagi che aumentano, delle solite montature contro il “nemico” di turno, bielorusso o vattelapesca che sia, delle polemiche politiche su chiusure o aperture delle discoteche… addolorati per la poca pietà umana e cristiana avuta per la povera donna morta in Sicilia con il suo bambino, mal trattata e mal cercata; per la stupidità di quei giapponesi che hanno portato una petroliera a spezzarsi sulla barriera corallina delle Mauritius, perché non avevano linea per telefonare; per l’ottusità di quei poliziotti americani che in sei avevano circondato il solito nero e invece di immobilizzarlo gli hanno sparato tredici colpi, per gli incendi disastrosi in California, in una nazione dove il presidente e tanta parte della popolazione continua a negare la correlazione tra l’uso di combustibili fossili e riscaldamento globale… per fortuna ci rallegra il “governatore” della Sicilia, che ha fatto una ordinanza per vietare la pioggia, ovvero di vietare lo sbarco di immigrati… chissà come mai nessuno ci aveva pensato prima!

Amiche e amici, spero di non avervi tediato troppo con i miei piccoli racconti che non ho fatto tanto per esibizionismo ma per ricordarmi, tra qualche mese o anno, cosa si poteva ancora fare quando se ne aveva la possibilità (in tutti i sensi). La vacanzina è finita, una volta avrei detto che si torna alla normalità… ma la normalità, oggi, che cos’è?

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 4

Lasciata L’Aquila troppo presto per il pranzo e rifocillati da un centrifugato disintossicante (una volta si chiamavano spremute e costavano un decimo) ci dirigiamo verso Rieti. L’attraversamento della valle reatina, piena di verde, ci fa ben sperare; la fama della cittadina laziale, definita dai classici “Umbilicus Italiae” ovvero centro d’Italia (e quindi del mondo a mio parere e con buona pace del cantante Jovanotti) ci predispone a goderne le delizie. L’anno scorso eravamo stati a Viterbo, con monumenti importanti e a pochi chilometri da ville papali spettacolari (basti pensare a Villa Farnese), ci aspettavamo altrettanto: invece, e mi perdonino gli amici reatini, a Rieti non c’è niente. Il giudizio sarà forse condizionato dal fatto che, arrivati in centro dopo la scalata a cui ci siamo sottosti verso le 14:30 e con 35°, c’era un solo bar aperto che ci ha propinato una piadina indecente al modico costo di 10 euro; o dal fatto che l’ufficio turistico avrebbe dovuto aprire alle 15:30 ed invece l’omino si è presentato dopo le 16 e si è degnato di rivolgermi la parola dopo una ventina di minuti, indispettito dall’essere interrotto dalla sua senz’altro interessantissima storia di Rieti a quattro ragazzi, ed alla mia richiesta di una mappa me l’ha quasi tirata, argomentando che tanto Rieti si gira tutta in un’ora e mezza; o sarà per il fatto che, nonostante tutto, la sera la città si è misteriosamente animata ed ho fatto fatica per trovare un ristorante libero, e quando sono riuscito a prenotare un tavolo in uno abbastanza ben recensito su Tripadvisor (di solito abbastanza attendibile, secondo me) ho pagato poco, è vero, ma mangiando una amatriciana preparata con pancetta affumicata anziché guanciale (eresia!) e passata di pomodoro tipo mensa aziendale ed una cacio e pepe acquosa. Non ci siamo proprio, amici! Per non parlare del fatto che un insetto di qualche sorta ha punto mia moglie causandole un bozzo preoccupante. Io sono sempre terrorizzato dal ragno violino, qualche mese fa il ragazzo di mia nipote ne fu punto e se la vide brutta: per fortuna non di quello si trattava ma probabilmente di una vespa annoiata, e la pomata al cortisone è bastata in qualche giorno a far rientrare l’allarme. E’ evidente che con queste premesse non posso che parteggiare per i Romani che si fotter.. ehm, rapirono le Sabine.

A voler grattare qualcosa di trova: delle belle mura, la Chiesa di San Francesco, il ponte romano (non un granché), la movida serale lungo il fiume Velino frequentate da ragazze molto carine (l’occhio vuole la sua parte, amici, sapete che la mia è una valutazione meramente estetica senza assolutissimamente secondi fini); ma soprattutto Rieti è una base per escursioni nei dintorni, per gli sciatori che vanno al Terminillo o per i pellegrini che affrontano il cammino francescano. A proposito di San Francesco, siamo andati ovviamente a Greccio, dove la tradizione narra che Francesco d’Assisi “inventò” il presepio; la grotta è molto suggestiva, e il contrasto tra la semplicità delle origini ed il Santuario che ci è stato costruito sopra (pur cercando di rimanere abbastanza spoglio) è evidente. Di Francesco potrei scrivere per dei giorni, era un uomo coerente alla lettera del Vangelo, oggi forse sarebbe definito un integralista (ma anche alla sua epoca lo era). Salvatore o foglia di fico della Chiesa? Nei nostri tempi di consumismo esasperato la risposta pare quasi scontata ma se si ha l’onestà di guardarsi intorno si può vedere che, tra tante storture, il suo insegnamento ed il suo esempio sono ancora vivi… forse il destino dei francescani è quello di essere voce profetica per ogni tempo: che il tempo non finisce oggi, Covid o no…

Dopo questa divagazione mistica, fatemi dire che abbiamo visitato anche il Borgo di Greccio, che fa parte del circuito dei Borghi più belli d’Italia; è carino e soprattutto vi abbiamo mangiato, sotto il fresco di un albero nella piazzetta principale (l’unica), un tagliere di affettati e formaggi che ci ha riconciliato con il Creato. Il simpatico gestore, essendosi sbilanciato sul fatto di avere una quantità bastevole di birra Ichnusa, dato che non ce l’aveva per farsi perdonare mi ha offerto un Peroncino. Santi posti!

A questo punto avevamo di fronte un’altra mezza giornata e di tornare a Rieti non se ne parlava: direzione Lago di Piediluco e lungo la strada ci siamo resi conto che le cascate delle Marmore sono lì vicino e come non farci un salto? Abbiamo dovuto lottare con il navigatore che si ostinava a farci passare in un paesino che si chiama Papigno; dopo non so che giro arriviamo alle Cascate, spettacolo meraviglioso. Ci eravamo stati più di trent’anni fa, con i miei fratelli ed i miei genitori, per una scampagnata di quelle di una volta con teglie di vincisgrassi, vino a litri e cocomeri da mettere in fresco: allora l’organizzazione era alla buona, chi prima arrivava meglio alloggiava, si stendevano le tovaglie e poi si andava a vedere le Cascate. Ricordo che, dato che il fiume (Nera) viene sfruttato a fini idroelettrici, non sempre le cascate erano aperte, e si aspettava l’orario di apertura per vedere il getto iniziale, tutti con il naso all’aria e la bocca aperta…

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Ora è tutto molto organizzato; c’è un parcheggio ben segnalato (a pagamento) e alle cascate si accede pagando un biglietto; sono state predisposte passerelle, itinerari numerati; c’è un mercatino, bar, ristoranti… lo spettacolo è sempre meraviglioso, personalmente rimango un po’ perplesso e preoccupato: fra quanto dovremo pagare per osservare i fenomeni della natura, comprese albe e tramonti?

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Poi ci siamo diretti al Lago di Piediluco, certo per uno che arriva dal lago di Como il confronto è impari però direi che è carino, c’è una bella passeggiata, il lago non è piatto come altri dell’Umbria e del Lazio, tipo il Trasimeno o il lago di Bolsena, ma è incastonato tra colline verdi che gli danno un certo fascino. Ci sono delle spiaggette attrezzate per prendere il sole e ci siamo fatti uno Spritz beneaugurante. Tornati a Rieti per la cena, segnalo una delle ragioni per cui si potrebbe tornare nell’ombelico del mondo: l’Osteria delle Tre Porte, vicino al lungofiume, gestito da giovani che propongono piatti della tradizione rivisitati e propongono una buona lista di vini: notevoli le polpette di coda alla vaccinara. Prezzo giusto. Tornando all’albergo, anche Rieti ci sembrava più bella.

Ancora una volta mi sono dilungato ma vi rassicuro, le tappe sono quasi finite…

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Culurgiones!

Lo so, eravate preoccupati che mi fossi perso per le strade della Sardegna. Per una decina di giorni mi sono imposto di non leggere giornali e non ascoltare notiziari e stranamente sono sopravvissuto senza saper niente di rubli padani (ma un capitolo di Olena ce lo dedicherò, siatene certi).

Ho visitato solo una piccola parte di quest’isola, un po’ di nord-est (con base a Cannigione) ed un po’ di nord-ovest (base a Stintino). Non voglio tediarvi con racconti o cronache, solo qualche foto e pensierino alla rinfusa.

  • A Stintino i nomi delle spiagge sono accattivanti: La Pelosa e La Pelosetta. Su queste spiagge girano delle guardie che controllano che non ci si porti via la sabbia, l’asciugamano non può toccare direttamente per terra ma deve essere posto sopra una stuoia. Con quello che ho pagato l’ombrellone avrei potuto caricare un camioncino di rena e nessuno avrebbe potuto biasimarmi, comunque.

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Spiaggia La Pelosa – ignoro perché si chiami così
  • Avete presente quelle escursioni in motonave dove vi fanno fare il giro delle isole con bagnetti e pranzo a bordo? Pittoresco, vero? Noi l’abbiamo fatto per visitare l’Arcipelago della Maddalena. Il paese de La Maddalena di per se stesso mi è sembrato troppo turistico, il giro in barca invece è stato bello se non ché questi ci sbarcavano in delle cale dove non c’era un filo d’ombra. Alla seconda cala (era l’una del pomeriggio!) ho cercato rifugio vicino all’unico muretto presente. Dopo il bagno però nell’asciugarmi non ho visto una roccia che sbucava dalla sabbia, sono caduto all’indietro (e per fortuna non ho sbattuto l’osso sacro) e mi sono sgarbellato tutto un gomito ed un polpaccio. La pasta in compenso era buona. Una signora si è lamentata perché i marinai gettavano gli avanzi in mare (i pesci non facevano nemmeno arrivare il cibo in mare, li mangiavano al volo). Ecco, questo lo definirei ambientalismo stupido, ma in quel momento il mio giudizio era condizionato dal male al gomito. Avrei gradito visitare le strutture create per il G8 del 2009 e mai usate (perché poi il G8 si tenne a L’Aquila, dove c’era stato il terremoto), così come le basi militari, ma non è stato possibile, mannaggia.

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Questa NON era la nostra barca
  • Porto Cervo: non pensiate che quanto dirò sia dettato da invidia o odio sociale. Ma questo paese finto a che serve? Si potrebbe radere al suolo con tutti i suoi frequentatori (con armi convenzionali, per non contaminare l’ambiente)? Le spiagge del Piccolo Pevero e del Grande Pevero meritano. Il prezzo degli ombrelloni è uno schiaffo alla miseria (l’ho già detto?).

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A Porto Cervo mi sono rifiutato di fare foto. Questa è dall’interno della Roccia dell’Orso a Capo d’Orso, non molto lontano
  • Caprera: non si può e non si deve passare da quelle parti e non visitare la casa-museo di Giuseppe Garibaldi. Tra l’altro il 4 luglio ricorreva il 212° anniversario della nascita dell’Eroe dei Due Mondi: non so nemmeno se si studi più a scuola, io ho un bel libro di Memorie dove mi colpì il suo feroce anticlericalismo (avrebbe volentieri mandato tutti i preti e suore a bonificare le paludi pontine). Sarebbe orgoglioso di come sono diventati gli italiani? Non credo, e del resto già l’unità non fu proprio quella che avrebbe auspicato lui.

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La casa di Garibaldi si intravede dietro un enorme pino della stessa età dell’Eroe dei Due Mondi
  • Isola dell’Asinara: questo è stato il giro che più mi è piaciuto. La storia dell’isola è affascinante, fino al 1885 ci vivevano 45 persone: poi lo Stato decise che l’Asinara diventasse Colonia Penale, e le persone furono “deportate” ed andarono ad insediarsi a Stintino. La storia dell’Asinara è quindi la storia dei suoi carceri: quello più “famoso” o meglio famigerato è il carcere di Fornelli, carcere di massima sicurezza, ma su tutto il territorio ce ne erano altri, più leggeri per detenuti con pene più lievi, dove in alcuni di questi i carcerati potevano uscire e coltivare la terra o accudire degli animali. Ora l’isola è Parco Naturale e le strutture, tra cui Fornelli, stanno andando in malora. La vicenda più interessante secondo me è quella dei prigionieri austro-ungarici della fine della Prima Guerra Mondiale: in origine 77.000, i serbi prima di imbarcarli a Valona, in Albania, li sottoposero ad una marcia della morte nella neve, e ne sopravvissero solo 27.000; questi furono internati all’Asinara, dove si dovettero preparare le strutture in fretta e furia, messi in quarantena per il tifo, tubercolosi etc., e se ne salvarono circa 20.000. C’è un bel libro su questo episodio, “I dannati dell’Asinara (ediz. Utet)”, che mi sono affrettato ad ordinare.  Tra le regole ferree del Parco (non prendere sassi, fiori etc…) bisognerebbe introdurre un’altra: evitare di emettere gridolini ogni volta che si avvista un asinello. Di mufloni, nemmeno l’ombra.

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Erba autoctona: il cuscino della suocera
  • Nuraghi: non abbiamo fatto dei gran giri archeologici e nemmeno gran visite a opere d’arte o musei a dire la verità. Come cittadine abbiamo visitato Alghero e Tempio Pausania, la prima meglio della seconda. Ma è a Tempio Pausania che mi sono reso conto di uno dei motivi per cui ho sempre vissuto la Sardegna con diffidenza: sono passati quarant’anni dal rapimento di Fabrizio De André e Dori Ghezzi (27 agosto 1979). Lo ricordo bene perché ero partito militare da poco, e quell’ennesimo rapimento ci colpì molto, come colpì tutta l’Italia. A proposito di quarant’anni alcuni miei commilitoni (di cui uno diventato generale!) si sono ritrovati a Sabaudia a festeggiare l’anniversario del nostro corso. Tutte le scuse sono buone per bisbocciare, amici!

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  • Ma, tornando al nuraghe, non potevamo tornare a casa senza averne almeno visto uno: vicino a Tempio Pausania c’è il Nuraghe Major, che tra l’altro ospita una colonia di pipistrelli. Che bel paese che siamo! Ripopoliamo pipistrelli, vietiamo di asportare sabbia, impediamo di raccogliere un fiore, ma i poveracci in carne e ossa ci disturbano. Una volta avrei detto “Ha da venì baffo’ “, ma è sicuro che non verrà più, i poveracci dovranno arrangiarsi da soli.

 

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Homo nuraghensis
  • Cibo: avrei voluto fare molto di più cari amici, ma i nostri pranzi erano frugali come si addice al turista che voglia rimanere leggero (la birra Ichnusa non filtrata comunque non è mai mancata) la sera abbiamo mangiato sempre pesce: perciò niente culurgiones, malloreddus, ciccioneddos, niente porceddu, vini rossi niente (Cannonau!) così come i bianchi (Vermentino!). Ci siamo buttati su dei buoni rosè: mi permetto di segnalare due ristoranti, uno vicino a Cannigione (L’Oasi, dove non si prenota e solo per questo merita un applauso) ed uno a Stintino (Opera Viva, dove c’è una signora che impasta i culurgiones a vista). Una sera ho mangiato una seadas, ma confesso di averne assaggiata una migliore in un ristorante di Como.

 

Amiche e amici, è finita! Da lunedì si torna al lavoro. Un po’ di mal di Sardegna mi è venuto, contro le mie aspettative: l’anno prossimo, chissà…

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Holidays!

Per qualche giorno sarò assente per ferie. Andrò al mare, in Sardegna, tutti continuano a dirmi e com’è bella la Sardegna di qua e quant’è bella la Sardegna di là, e va bene, andiamo a vedere. Come sapete, il mare mi annoia e la montagna mi stufa, perché solo i manufatti dell’uomo mi danno godimento: la natura non ha nessun merito, è stata semplicemente creata (o per qualcuno si è fatta da sé, ma secondo me è meglio credere che sia stata creata da qualcuno un po’ più competente di noi), noi dobbiamo solo stare attenti a conservarla, ma volete mettere un bel ponte come quello sullo stretto di Messina?

Ad ogni modo, per non lasciarvi del tutto orfani dalle mie stupidaggini, riposto un articolo di qualche tempo fa ma sempre valido:

Allarme caldo

e naturalmente la tredicesima puntata di Olena è già in stampa per metà settimana…

a presto!

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Ferragosto con Olena – personaggi in cerca d’autore

«James, caro, non sembra anche a te che quest’affare vada a rilento?»

E’ una Gilda pensosa quella che, appoggiata alla balaustra della ringhiera del balcone che si affaccia sul giardino, osserva Miguel, il giardiniere tuttofare, intonare una pregevole versione di “Quando l’amore diventa poesia”, impugnando un gambo di girasole come se si trattasse dell’asta di un microfono Shure, indossando una parrucca a caschetto che lo fa assomigliare ad Orietta Berti sul palco di Sanremo nel ’69, dedicandola al pappagallo Flettàx che sembra gradire, tanto da accompagnare il ritmo con gracchi e sbattiti di ali, e sull’acuto di “Io ti amo, e gridarlo vorrei!” rispondere con un appropriato: “Ma va’ a ciapà i rat!”.

«Effettivamente, signora» – risponde il maggiordomo disponendo artisticamente su di un vassoio d’argento i cetriolini per il thè delle cinque – «non per criticare ma sembra che l’Autore se la stia prendendo un po’ comoda. Tra l’altro, a voler essere pignoli, ferragosto è passato da un pezzo.»
«Gli toccherà cambiare titolo, come minimo. A meno che non voglia mandarci tutti in Australia, dove mi dicono che le stagioni siano rovesciate, ti risulta James?»
«Effettivamente, signora, nell’emisfero australe le stagioni sono invertite rispetto all’emisfero boreale» conferma il competente James.
«Su di te si può sempre contare James, sei un esperto di emisferi ed anche di inversioni. Ti dirò, non mi dispiacerebbe andare in Australia, conosco una ragazza a Perth che alleva ragni da combattimento. Ad ogni modo» – e qui l’espressione di Gilda si fa più preoccupata – «se non si sbriga, Sven abbatterà tutti i pioppi del boschetto, e poi mi toccherà comprare delle stufe a pellets. Poverino, si sta annoiando» constata Gilda sistemandosi il foulard in seta Mantero che le copre la calvizie «di questo passo fra poco ripartirà con i suoi amici suonati, e poi per sei mesi chi s’è visto s’è visto.»

Nonna Pina, che indossa una tunica a fiorellini con una fila di bottoncini sul davanti, è distesa su una sdraio imbottita in materiale Memory ai bordi della piscina olimpionica situata nel parco della villa. In testa un sombrero, in mano un calice di prosecchino appena versato dalla bottiglia posta nel cestello ripieno di ghiaccio. Alza il calice davanti agli occhi e, attraverso il cristallo, osserva Olena che, fasciata da un costume intero con la scritta CCCP sul davanti, siede ad un tavolino del vicino bersò sfogliando un tomo monumentale con su scritto “Dossier Mitrockin”, sibilando insulti e montando e smontando velocemente la nuova pistola PL-15K, sparando ogni tanto qualche colpo ad un bersaglio con al centro una foto di Gorbacёv.
La vegliarda si riscuote, ingolla il prosecchino, si butta alle spalle il calice e scoppia:
«Per la miseria, Natascia, non si può fare qualcosa? Non è che può tenermi qua fino a duecento anni, non è credibile! Da quando è tornato dalla Russia sembra rimbambito, non è che gli avete dato qualcuno dei vostri intrugli?»
«Niet, babushka, niente intrugli. Mia fonte dice che gira per casa in mutande e colbacco in testa ripetendo che vuol andare in pensione. Tra l’altro» e qui la voce della russa si fa sprezzante «dice che non ha bevuto nemmeno uno guoccio di vuodka. Nessuno crede lui, però» risponde la russa, con il sopracciglio sinistro aggrottato.
«Ma santo Dio, non ci può mica lasciare così a bagnomaria! Sentiamo se il cinese sa qualcosa. Generale? Ehi, generale!» la nonna si sbraccia e richiama Po, il generale Po, l’ultimo rimasto della guardia personale dell’Imperatore Pu Yi, impegnato nei consueti esercizi di Tai Chi con la racchetta elettrica. Po poggia in terra la racchetta e si reca presso la sdraio di nonna Pina.

«Avele chiamato, bella signola Eusebia?» chiede retoricamente il cinese con un inchino.
«Po, non ti ci mettere anche tu con questa Eusebia. E non fare il ruffiano cinese» lo bacchetta la centenaria. «Sai qualcosa di questa faccenda? Che sta facendo quell’impiastro? Che ormai non ho più boccini a cui sparare» afferma la nonna.
«Mio cugino Xi incontlato lui a Gubbio. Voi sapele, paese di Don Matteo»
«Che diamine dici Po, Gubbio è il paese del lupo e di San Francesco, ma che andate ad inventarvi in Cina?» protesta nonna Pina, scandalizzata.
«Comunque, mio cugino detto che visto lui in ostelia mangiale clescia con glossa palla di insaccato. Coglione.»
«Si, che è un coglione lo sappiamo, ma vai avanti Po» lo sollecita la vecchia.
«No, coglione è nome di insaccato, coglione di mulo. Mangiava coglione di mulo e beveva vino flesco Glechetto. Ela molto tliste»
«Me lo immagino quanto era triste» chiosa la nonna. «Ma perché avrebbe dovuto essere triste, poi?»
«Dile che ponte clollato ela più giovane di lui e che non sapeva che Molandi plogettasse ponti oltle che cantale “la fisalmonica”. E che vuole andale in pensione.» conclude il cinese.

«E basta con questa pensione!» ruggisce la nonna. «E a questi allora che gli facciamo fare?» indicando, dall’altra parte della piscina, la ballerina cubana Paio Pignola ed un attempato seduttore in maglietta azzurra con il collo rialzato e catenina d’oro sul petto villoso che svolazzano ballando la salsa. «Chi diamine è quello, tuo cugino lo sa?» chiede a Po.
«Si chiama Tullio Bongiovanni, ma amici chiamale Puccio Maxi-Bon. Maxi per le dimensioni» risponde il cinese, informatissimo.
«Di sicuro non per le dimensioni del cervello, suppongo» arguisce nonna Pina, squadrando l’ultimo arrivato scuotendo la testa.

«E va bene, adesso basta!» proclama la vegliarda. «Qui bisogna prendere in mano la situazione, il toro per le corna o quel che è. Natascia?»
Olena chiude il dossier e lo ripone nel cassetto del tavolo. Poi si alza, indossa lentamente la fondina ascellare intonata con il costume olimpionico, e si avvicina a nonna Pina.
«Eccomi babushka. Cuosa facciamo?»
«Figlietta mia, hai carta bianca. Sparagli pure se serve, ma fallo ritornare al lavoro»

Olena increspa leggermente l’angolo destro della bocca, alza gli occhi al cielo ed un raggio di sole si riflette sui suoi occhi blu e sbatte sul calcio della PL-15K che ha lucidato amorevolmente.
«Nessun pruoblema nonna, nessun pruoblema. Finita pacchia per finuocchietto»

 

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Viaggio in Russia – Mosca!

Ed eccoci a Mosca, la capitale, la sede del potere: la città più grande e importante della Russia, 15 milioni di abitanti a cui se ne aggiungono giornalmente diversi altri milioni, tra lavoratori pendolari, visitatori e turisti.

I giorni passati a Mosca sono stati un po’ come passare davanti al negozio di un pasticcere: si vedono i dolci, si sentono gli odori, e viene voglia di entrare, curiosare, assaggiare… si, perché ci siamo stati meno di due giorni (tre notti, però), e bastano appena per rendersi conto della grandezza di questa città.

La visita ha toccato ovviamente la Piazza Rossa, che mi piacerebbe visitare il 9 maggio, quando c’è la grande parata per la ricorrenza della vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Ma anche così, trovarcisi è stata un’emozione, come quando trent’anni fa ci trovammo davanti alla Torre Eiffel in viaggio di nozze. La Piazza è racchiusa da un lato dalle mura del Cremlino, fronteggiate sul lato opposto dal grande magazzino Gum; di notte devo dire che le luci di quest’ultimo mi hanno un po’ disturbato, le luminarie in stile natalizio mi sono sembrate un po’ kitsch, togliendo un po’ di solennità al luogo. La Piazza è ora adibita anche a luogo di concerti, ed infatti una delle sere in cui, con un manipolo di ardimentosi, ci siamo avventurati in centro con la metropolitana (efficientissima!) ci siamo trovati di fronte uno sbarramento invalicabile: l’intera area era transennata, ed i varchi muniti di metal detector sorvegliati dalla polizia, con il rinforzo dell’esercito. E’ stato tenerissimo un soldatino che, vedendo una signora titubante di fronte ad una pozzanghera (pioveva) gli ha indicato un guado e le teso la mano per aiutarla ad attraversarlo. Mentre cercavamo di orientarci per aggirare gli ostacoli, tra cartine ed indicazioni in caratteri cirillici, si è avvicinato un ragazzo che, in un inglese senz’altro migliore del nostro, ci ha dato delle dritte per passare dall’altra parte. Gira che ti rigira comunque siamo riusciti a passare solo quando il concerto è finito, il girare però ci ha permesso di ammirare la via San Nicola, tutta illuminata di luci pendenti colorate, dove nei giorni dei mondiali si aggiravano i tifosi prima e dopo le partite. L’altro giorno leggevo di un manualetto distribuito ai propri tifosi dalla Federazione Calcio Argentina, che dava indicazioni sul modo più opportuno per conquistare le donne russe. Mi è sembrata un’iniziativa lodevole, non sono purtroppo riuscito a procurarmene un opuscolo, lo vorrei sottoporre all’attenzione di Olena per sentire che ne pensa.

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Turista in discutibile forma atletica e mentale inneggia all’amore universale (foto di repertorio)

Rimanendo sulla Piazza Rossa, abbiamo visitato la cattedrale di San Basilio, la cui grandiosità esterna contrasta con i piccoli ambienti interni; il Cremlino ovviamente, dove purtroppo la parte più bella non è visitabile: passeggiando dentro lo spazio del Cremlino bisogna stare attenti quando si attraversa la strada, facendolo sulle strisce pedonali, e questo non per paura di essere investiti ma perché altrimenti le guardie usano i fischietti a disposizione e redarguiscono i  contravventori. Nel Cremlino abbiamo visto lo Zar dei Cannoni (mai sparato un colpo) e la Zarina delle Campane (mai suonato un rintocco): maestosi manufatti, ma abbastanza sfortunati. Anche l’Armeria abbiamo visitato, dove sono custodite non solo armi ma tesori inestimabili. Siamo passati anche davanti al teatro dove spesso si esibiscono i nostri cantanti: non si sa perché ma i russi amano molto i nostri cantanti degli anni ’80, e qui Toto Cutugno e Al Bano ottengono sempre dei gran successi (la reunion Al Bano – Romina è avvenuta qua, non per caso…). A Mosca, per terminare col gossip, ha un bell’appartamento anche Ornella Muti. E no, non è vero che è stata amante del presidente Putin.

A proposito di rosso, a parte il ricordo dei sacrifici e dei caduti in guerra, mi sembra sia in atto una certa rimozione del periodo sovietico; anche sulla Piazza Rossa si pone l’accento che in realtà si chiamerebbe Piazza Bella, quasi si voglia nascondere quel di rosso che è rimasto. Per fortuna ci pensano i cinesi a ricordarcelo, e si incolonnano in file chilometriche per rendere omaggio alla salma di Lenin nel Mausoleo: cosa che avrei fatto volentieri anch’io se non ci fossero stati di mezzo, appunto, tutti quei cinesi. Una cosa carina che ho appreso è che esiste un modo di dire, quando un uomo tradisce la moglie, che dice “va a sinistra”: sara stato così anche prima del ’91?

Siamo passati davanti al Bolscioi, siamo passati davanti alla Casa Bianca, e qui non ho potuto non ripensare a quando, nell’ottobre del ’93, il democratico Eltsin la fece cannoneggiare dai carrarmati con dentro i deputati che si opponevano alle sue riforme di ultra-liberalizzazione.

Abbiamo visitato il grande magazzino Gum, un centro commerciale dove sono rappresentate tutte le migliori firme della moda mondiale: è curioso che l’embargo riguardi i prodotti alimentari e non questi, di prodotti. A proposito di prodotti agricoli, il nostro autolesionismo si spinge fino ad aver aderito all’embargo penalizzando le esportazioni dei nostri contadini, ma a permettere però che nostri tecnici vadano nelle loro industrie casearie ad insegnargli come fare la mozzarella. Tafazzi ci fa una pippa, per essere aulici.

Siamo entrati nella Chiesa del Cristo Salvatore, la nuova chiesa realizzata in epoca eltsiniana in un’area dove c’era prima una chiesa, abbattuta dai bolscevichi e dove venne poi edificata una grande piscina con l’acqua riscaldata; poiché di chiese mi sembrava ce ne fossero già abbastanza avrei più gradito la piscina, ma ammetto che dalla terrazza si gode un bellissimo panorama dei dintorni: si vede il museo Puskin, ed anche la nuova scultura dedicata a Pietro il grande, che in realtà l’autore aveva dedicato a Cristoforo Colombo ma poiché nessuno la voleva se la prese il sindaco di Mosca, chiedendo però di sostituire la testa del genovese con quella di Pietro.

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Bella, per carità, ma volete mettere una piscina?

A proposito di panorami, siamo stati sulla Collina dei Passeri, da cui si osserva tutta Mosca; alle spalle l’enorme Università; tra la distesa che si stende sotto spiccano alcune delle sagome delle Sette Sorelle, palazzi maestosi in stile sovietico dove abitavano funzionari del partito e le personalità più eminenti della società civile. In uno di questi abbiamo anche mangiato, in un bellissimo ristorante, e pasteggiato a spumantino.

Siamo stati sul Parco della Vittoria, creato di recente: qui si salda il giusto orgoglio per la vittoria su Napoleone con quello su Hitler; obelischi e targhe commemorano i protagonisti di quelle vittorie, e di notte una suggestiva fontana sgorga acqua che le luci illuminano di rosso, a ricordo del sangue versato.

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Mosca, dicevo, attira migliaia e migliaia di lavoratori dai paesi limitrofi (i trasporti pubblici sono efficienti, ma nonostante ciò il traffico stradale è micidiale). Sta succedendo quello che capita anche da noi: i lavori più umili i moscoviti non vogliono più farli (possono permetterselo dato che la disoccupazione è molto bassa) e quindi c’è anche una forte immigrazione dalle repubbliche asiatiche della Federazione Russa, ed anche da quelle che ne sono uscite trovandosi poi a mal partito, non avendo ne risorse proprie ne industrie significative. Anche in Russia c’è il problema dell’invecchiamento della popolazione,e questo saldato al fatto che le pensioni sono abbastanza basse (la media è di 200 euro) così come l’età per andare in pensione (55 le donne e 60 gli uomini) costringerà a breve a prendere delle misure che potrebbero essere impopolari.

Spostarsi in metropolitana a Mosca è comodo, ci sono tantissime linee, e i passaggi sono molto frequenti. Alcune stazioni sono delle vere e proprie opere d’arte, e infatti una mattina l’abbiamo dedicata alla loro visita. Considerevole che, dato che la città è in continua espansione, ogni anni vengono aggiunte almeno due nuove stazioni… Pur essendo enorme Mosca è anche una città verde: il 40% della superficie è coperto da verde e parchi, tra cui quel famoso Gorkij Park che ha ispirato un famoso film di spionaggio.

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Non ho portato a casa nemmeno una matrioska, e me ne dolgo. Contavo di farlo l’ultimo giorno, quando siamo riusciti a fare una passeggiata sulla via Arbat, via zeppa di negozietti: ma i primi due dove sono entrato erano gestiti da cinesi e mi sono sentito a casa, intristito. Le matrioske belle, quelle fatte a mano, giustamente costicchiano ed io ne posseggo già una, regalo di una vecchia collega, ancora in buono stato (la matrioska, la collega non so) che posso spacciare come appena arrivata. Ho portato a casa però una tazza con l’effigie di Putin: la terrò sulla scrivania e la metterò in mostra quando vorrò indicare di non rompermi le scatole.

L’ultima sera abbiamo assistito ad un bellissimo spettacolo di balletti, con una parte sulla storia russa ed una di balletti folcloristici tradizionali: costumi sfavillanti, grande corpo di ballo (cinquanta elementi!), ballerini e soprattutto ballerine con le quali rifarsi gli occhi.

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Danzatrici con uno speciale sistema di levitazione magnetica

Così come con le hostess dell’Aeroflot che ci ha riportato a casa, un bel biglietto da visita! Distribuendo anche una cena non disprezzabile.

Insomma, spero di avervi fatto capire che questo viaggio mi è piaciuto molto; che si può fare, anche senza tour organizzati; che mi piacerebbe persino andare a sentire Toto Cutugno cantare con il coro dell’Armata Rossa…

до свидания, Россия  !

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Questo francamente non si può vedere.