E’ una congiura!

Amiche e amici,

tutto congiura contro di me. Appena fissata la cena di saluto e scambio di auguri di Natale con ex colleghi affezionati in un ristorante di Milano con menu fisso a prezzo modico, ecco che i Cobas dei treni indicono lo sciopero. E’ escluso che io vada in macchina, perché vorrebbe dire che non dovrei bere e questo è vietato dalla mia religione: chi mangia mangia ma le bevute devono essere pari, dicevano già i nonni quando si ritrovavano in qualche cantina per la “passatella”. Tra l’altro il ristorante alla fine mette sul tavolo grappa, limoncello e liquirizia, ed inoltre al momento di pagare il conto offrono un bicchierino di un inquietante sgorgalavandino di colore verde, che o rimette al mondo o mette direttamente ko. Al prezzo non esoso di 35€ portano una decina di antipasti, due primi, due secondi, dolce, acqua vino caffè e ammazzacaffè: che si vuole di più? E la qualità non è male, perché non si perdono in mille piatti ma fanno un menu unico per tutti: se a qualcuno non piace qualcosa può lasciarlo, che ci pensano gli amici a spazzolarlo. Una volta c’era un anziano mago che allietava i clienti con giochi di prestigio vecchi come lui ma sempre graditi, specialmente dopo un paio di bottiglie di vino: ma si è ritirato, o è morto, e non è stato sostituito. Per me è comodissimo perché arrivo in treno e la stazione di Greco Pirelli è a una decina di minuti a piedi; al ritorno l’unico problema è di non addormentarmi per non ritrovarmi magari senza portafogli al ritorno.

A proposito di portafogli, sabato sera con l’associazione di pensionati nella quale mi sono intrufolato siamo andati sempre a Milano al Piccolo Teatro (quello originale, il Grassi, in Via Dante) a vedere una commedia del settecento di Marivaux, che in Italia non era mai stata rappresentata; ero diffidente perché se per duecento anni non l’hanno fatta un motivo ci sarà stato; in effetti non mi ha convinto del tutto, bravissimi gli attori per carità, encomiabile lo sforzo, ma le scenografie e i costumi mi hanno un po’ deluso. Voglio dire, l’epoca è quella del Goldoni, perché usare veli, giochi di luce, cambi a vista? Diamine, le scene erano all’interno di una villa, e ricostruitela! Ma questa ovviamente è solo la mia opinione; e del resto lo spettacolo era stato funestato da un fatto increscioso: ad una nostra amica è stato ciulato il portafogli, appunto, e ad un’altra il cellulare. Probabilmente il furto con destrezza è avvenuto all’interno del McDonald’s che c’è all’inizio di via Dante, e dove incautamente ci siamo fermati a mangiare: una volta ti mettevi in coda alla cassa, facevi la tua ordinazione, le ragazze ti davano il vassoio con le tue cose: ora invece hanno messo i “totem”, tu devi sceglierti da solo cosa vuoi mangiare, pagare e in cambio ricevi un numero; con quel numero aspetti di essere chiamato dalla cucina. Dicono che l’hanno fatto per migliorare il servizio: in realtà è per risparmiare sul personale.  I totem però, intuitivi quanto si vuole, in gente non abituata creano sempre apprensione, si crea un capannello di “esperti” che danno consigli e nel gruppo i borseggiatori sguazzano. Col senno di poi la nostra amica ricorda di esserti girata, dopo aver lottato con il suddetto totem e di aver urtato una persona, e gli ha chiesto anche scusa: grazie, avrà pensato quello, dato che gli aveva sfilato il malloppo. Malloppo magro: appena 20 euro, persi tra tessere di associazioni varie e di supermercati; abbiamo ipotizzato che visto che è iscritta ad almeno tre gruppi di pensionati può darsi che il ladro, impietosito, aggiunga qualche euro e glielo faccia riavere indietro. Fortunatamente i documenti li teneva in un’altra parte, cosa da fare sempre.

Il mio amico quindi saprà cosa regalare per Natale alla moglie: imbarazzo che invece io ho tutti gli anni perché a) profumi e vestiti se li sceglie giustamente da sola (e per questi ultimi aspetta saggiamente i saldi) b) gioielli, braccialetti etc. sono vietati da quando ci hanno svaligiato casa (non è che sia stato un gran bottino, però qualche anello e collana l’hanno spazzolata) c) gli Swaroski su cui avevo ripiegato ormai costano come gioielli _ tra parentesi quando ci hanno svaligiato ci hanno fregato anche gli animaletti che avevamo collezionato in anni e anni: mi è dispiaciuto più per loro che per gli anelli… _ ). Ogni anno poi ci diciamo: quest’anno niente regali! Proposito meritorio, ma se poi la mattina di Natale non c’è nemmeno un pacchettino sotto l’albero ci si rimane male. Quindi qualcosa dovrò inventarmi…

Agli amici invece da qualche anno faccio solo regali mangerecci. Mi faccio spedire dal mio amico macellaio dei salami dal mio paese e li distribuisco graziosamente. In genere vengono apprezzati molto, è roba artigianale che da queste parti non si trova: ma al limite se a uno non piace può regalarlo a qualcun’altro, qualcuno che apprezza si trova sempre.

Provo quasi un senso di vergogna nel parlare di cose frivole, di regali, e non di guerra, Covid, frane e crisi economica: il pieno di tristezza l’ho fatto ieri sera vedendo la puntata di Report, alla fine della quale uno vorrebbe prendere un bastone e spaccare tutto quello che trova in giro. Ma non è che posso stare qua a frustarmi con il cilicio: la vita è troppo breve…

A presto!  

Olena regina d’Abissinia – 3

Ay, ay, ay, ay,
Canta y no llores,
Porque cantando se alegran,
cielito lindo, los corazones.

Mentre l’orchestra Los Vincisgraçias a grande richiesta esegue il classico Cielito Lindo, nonna Pina viene interrotta da giovani camerieri che offrono agli invitati dolcetti tipici come churros, flam, buñuelos e cocadas. La centenaria sbocconcella qualche churro intingendolo in un bicchiere di chinguirito¹ dopodiché si accende un sigaro, si appoggia alla spalliera della sedia,rovescia la testa all’indietro, sbuffa il fumo verso l’alto e continua il racconto.
«All’epoca della conquista italiana il negus aveva sei figli; la maggiore si chiamava Romanework, ed era quasi mia coetanea, aveva solo 23 anni ma a differenza mia era già madre di quattro figli. Hailé Selassié scappò subito in Inghilterra con i figli e parte della corte ma Romanework non volle lasciare il marito, che faceva parte della resistenza. Avrebbero fatto meglio ad andarsene anche loro…» dice scuotendo la testa e facendo un’altra nuvoletta di fumo.
«Il marito venne catturato ma è dopo l’attentato a Graziani che tutto precipitò: lui venne fucilato e lei, pare su ordine di Mussolini in persona, venne prelevata e deportata in Italia con i figli»
«In Messico avete delle spiagge bellissime e ne andate giustamenti orgogliosi» cambia apparentemente discorso nonna Pina, rivolgendosi a doña Antonieta. «Ma anche in Italia non scherziamo… conoscete la Sardegna? E’ una grande isola, con intorno altre isolette, con cale e calette meravigliose dove spesso si arriva solo in barca. Una di queste si chiama Asinara, ed è lì che venne portata Romanework.

«Apperò!» scappa detto a Gilda, risvegliatasi di soprassalto. «Non l’hanno trattata tanto male, la principessa, l’Asinara è un paradiso! Ci sono stata con la buonanima di Evaristo, ci aveva portato Flavio² con il suo yacht, c’era pure Noemi e ricordo che aveva fatto un sacco di complimenti alla linea di cappelletti zero calorie, i cazzeri»

«Effettivamente ora tutta l’isola è un Parco Nazionale al centro di un’area marina protetta» risponde nonna Pina sorvolando sul bizzarro nome della pasta ripiena «ma allora era una colonia penale, una specie di Caienna³ italiana, e fino a non molti anni fa era la sede di un carcere di massima sicurezza. Gli unici abitanti erano i carcerati e i secondini… Romanework e i suoi figli vennero alloggiati in alcune casette a Cala Reale, con le damigelle e i dignitari che l’avevano accompagnata; non era proprio incarcerata, ma del resto dove avrebbe potuto andare? La sorveglianza era stretta e scappare non era possibile, le giornate passavano lentamente, e l’unico svago consisteva in qualche passeggiata. Ma perché vi sto raccontando questo, vi chiederete?» chiede nonna Pina addentando un altro churro, e prima che qualcuno possa rispondere alla domanda retorica continua:
«Il fatto è che io ho conosciuto Romanework. Nel maggio del ’36, entrati ad Addis Abeba, Graziani si insediò nella residenza imperiale, palazzo Guenete Leul, e volle dare un ricevimento per i militari e le personalità civili italiane più in vista, oltre ai notabili etiopi che avevano deciso di collaborare con il nuovo governo pensando di riceverne un tornaconto. Ad allietare la serata fu chiamata l’orchestra di Duccio Falconieri, un caro amico, che dato che in quel momento non avevo impegni mi volle come cantante. Ricordo ancora il tragitto dall’aeroporto alla villa, scortati da camionette dell’esercito, e l’ingresso al parco, attraversando la porta sormontata dalle statue di due leoni. C’era tensione nell’aria; si percepiva la diffidenza degli uni verso gli altri, ed inoltre in lontananza ogni tanto si sentivano degli spari, che contrastavano con il messaggio di potenza incontrastata che si voleva dare. Ad un certo punto uscii nel parco a prendere un poco d’aria, e fu lì che la incontrai. Era su una panchina, e stava allattando tranquillamente un bambino; mi avvicinai incuriosita ma prima che potessi raggiungerla un uomo mi sorpassò di corsa e le si inginocchiò davanti prostrandosi con la fronte a terra. Sorpresa, chiesi che significasse tutto questo e l’uomo, che parlava italiano con qualche difficoltà, mi spiegò che lei era la principessa del melograno d’oro, l’erede del negus. Mi sedetti vicino a lei, e parlammo tra di noi, aiutate dall’improvvisato traduttore che era un suo fedele servo. Lei mi disse che si sentiva come un trofeo di caccia e tuttavia non era preoccupata per sé stessa ma per i suoi figli. Le dissi che mi dispiaceva per la sua sorte, e speravo di rivederla in una circostanza migliore, e le dissi anche che se avesse avuto bisogno di qualcosa avrei cercato di fare del mio meglio per aiutarla. Quella fu la prima e ultima volta che ci vedemmo»

Doña Antonieta, scacciato il marito che la reclama in pista per una cumbia, si soffia il naso rumorosamente e prega nonna Pina di continuare.

«La mia promessa era stata azzardata; rientrata in Italia di lei persi le tracce finché un giorno ricevetti la visita di un prete di ritorno da una visita ai prigionieri dell’Asinara ed essendo stato sedici anni in missione in Etiopia aveva riconosciuto la principessa: mi diceva che il figlio minore Gedeon, quello che avevo visto allattare, era in fin di vita per il tifo e se io, tramite qualche conoscenza, avessi potuto far qualcosa per salvare gli altri figli, la principessa mi sarebbe stata riconoscente per sempre. Io feci quel che potei… scomodai qualche amicizia influente e riuscii a farli trasferire a Torino, all’ospedale maggiore, ma nel frattempo Gedeon era morto, e lei era ammalata di tubercolosi. Purtroppo dopo poco tempo anche lei morì, ma serena perché almeno gli altri tre figli erano sopravvissuti; e per sdebitarsi volle donarmi quello che in quel momento le era rimasto di più caro» e così dicendo nonna Pina estrae dalla camicia una catenina d’oro alla quale è appesa una piccola medaglia.
«La medaglia di dama dell’ordine della Regina di Saba»

«Allora è fuorse per questo che negus vuole lasciare voi eredità?» ipotizza Olena, avvinta anche lei dal racconto.
«E chi lo sa, figlietta mia. Tutto può essere, ma ce lo potrà dire solo il notaio. Adesso però direi di lasciar perdere questa storia e pensare a divertirci, abbiamo rubato pure troppo spazio agli sposi. Non c’è qualche messicano libero che faccia fare un balletto ad una vecchia signora?»

¹ Rum messicano.
² Ogni riferimento a persone che infestano la Sardegna con locali da ballo trash è puramente casuale.
³ Famigerato carcere che si trovava nella Guyana francese.

Ballando sull’orlo del burrone

Amiche e amici,

rassegnatevi, ci vogliono portare alla guerra. Non preoccupatevi per i mutui anzi, è il momento di spendere e spandere tutto quello che abbiamo a disposizione, poco o tanto che sia. Suggerisco anche di smettere di pagare tasse e bollette, a che serve essere in regola se tra poco saremo morti?

Infatti quando sembrava che perfino Biden o chi per lui cominciasse ad accennare alla possibilità di negoziati, non è passato nemmeno un giorno che abbiamo assistito a:

  • Lancio di razzi sulla Polonia; ovviamento incolpata subito la Russia; la conclusione è che i razzi sono chiaramente ucraini, ma la colpa è dei russi;
  • gli ucraini hanno ricominciato a bombardare la centrale di Zaporizhzha cercando chiaramente l’incidente nucleare o quantomeno ricattando i fornitori: “occhio che se non continuate a mandarci armi facciamo saltare la centrale”; a sentire la nostra tv però sembra che i russi si bombardino da soli;
  • i russi continuano a lanciare attacchi missilistici alle infrastrutture energetiche; gli ucraini continuano a bombardare gli indipendentisti del Donbass (spesso usando gli Himars americani, che dovevano essere armi difensive, o artiglieria con proiettili da 155mm Nato);
  • alla riunione di Varsavia dell’OSCE, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, la presidenza polacca ha impedito la partecipazione al ministro degli esteri russo Lavrov: con chi si deve parlare di cooperazione e sicurezza, col Liechtenstein?;
  • intanto la stessa Polonia ha deciso di portare a breve le spese militari al 5% del Pil: se hanno così tanti soldi da spendere secondo me potrebbero fare a meno dei finanziamenti europei, no?;
  • l’assemblea generale della Nato, un organo totalmente inutile, dichiara la Russia “stato terrorista”; forse non ricorda bene chi ha finanziato prima Al Qaeda e poi l’Isis; gli sfugge anche che l’Isis la Russia l’ha combattuta, a differenza di qualche membro Nato;
  • il parlamento europeo, un altro organo totalmente inutile ed ora più che mai, dichiara la Russia “stato sponsor del terrorismo”;
  • in Kosovo si sta creando il casus belli per staccare la Serbia dalla Russia, pur se il legame si è molto allentato: magari tornando a bombardare Belgrado? Tra l’altro il Kosovo si è dichiarato indipendente unilateralmente, contro gli accordi presi in sede Onu: perché se lo fanno loro va bene, e se lo fa la Crimea, Donetsk e Lugansk no?
  • per non parlare dell’Iran, dove sfruttando le legittime rivendicazioni della popolazione (chi ricorda le primavere arabe? E come sono finite?) si sta cercando di provocare un crollo del regime con conseguente cambio di alleanza;
  • del gasdotto North Stream sabotato non si parla più. Chi ha avuto ha avuto chi ha dato ha dato?

Ora, è chiaro che alla Russia importa poco come li definiscano organismi più o meno rappresentativi, ma attenzione perché è importante per noi: d’ora in poi chi oserà muovere qualche critica sulla conduzione sciagurata di questa vicenda, chiunque si proclami pacifista non verrà solo tacciato di fiancheggiatore di Putin ma anche di sostenere il terrorismo.

Personalmente me ne frego, mi dispiace solo che quando la bomba scoppierà non starà a distinguere tra chi ha sostenuto questa follia e chi è stato contrario fin dall’inizio.

Secondo me potrebbe negoziare tranquillamente

Italiani, fate figli!

Ogni tanto mi chiedono di scrivere un articoletto per il bollettino parrocchiale domenicale; ognuno deve prendere spunti da una lettera per sviluppare un argomento, nel mio caso era la D ed io ho scelto “D come denatalità” ma forse il contenuto non è stato apprezzato perché non l’hanno pubblicato. Censura? 🙂

La mia generazione è quella del baby boom, quando il gran numero di nascite spinse la crescita demografica  dell’Italia.  Se si considera il decennio tra il mio anno di nascita, il 1959, e quello del mio fratello minore i nati hanno sempre superato i  900.000, con punte di oltre il milione; da allora i numeri sono sempre diminuiti, fino ad arrivare agli attuali 399.000: meno della metà!

I nostri genitori avevano vissuto la guerra con i lutti, le distruzioni, le privazioni, le miserie che comporta; qualcuno aveva anche combattuto e ne portava le cicatrici, nel corpo e nell’anima, ma li accomunava la fiducia, la speranza nel futuro migliore, e la voglia di rimboccarsi le maniche e ripartire. Di ricostruire, a partire dalle loro famiglie.

La popolazione italiana oggi è in calo e in progressivo invecchiamento (l’età media è di 46,2 anni, per fare un confronto quella dell’Etiopia è di 19,3!), l’Istat nelle sue previsioni periodiche arriva a prospettare uno scenario per cui nel 2070 i residenti potrebbero essere 47,7 milioni, ben 11,5 milioni in meno rispetto ad oggi.

Qualcuno potrebbe ritenere che, dato che la popolazione del mondo cresce in maniera quasi esponenziale (si ipotizza di toccare i 10 miliardi nel 2050), con ovvi problemi di sostenibilità, l’Italia che ha il problema contrario stia bene, ma non è così. Se si perde l’equilibrio tra lavoratori attivi e pensionati, infatti, va in crisi tutto il sistema di welfare (oltre al fatto che se diminuiscono i lavoratori anche il benessere che il loro lavoro crea verrà meno).

E’ un modello sociale che non può reggere: se non si incide veramente sulla precarietà del lavoro, se non si danno salari dignitosi, se non si mettono in campo serie politiche abitative e di servizi alla famiglia che non si limitino ai soliti bonus, se non si smette di delegare al terzo settore quello che dovrebbe fare lo Stato (la Caritas deve essere l’eccezione, non la regola!) il trend non si invertirà.

E anche rispetto alla migrazione bisognerà cambiare l’atteggiamento: perché già oggi siamo in difficoltà con tanti mestieri (altro che “vengono a rubarci il lavoro”! Il problema è oggi il contrario, è che senza immigrati certi lavori sarebbero già spariti) e dunque bisognerà ripensare il sistema di ingressi e di cittadinanza.

Altrimenti anche le nostre chiese, con parrocchie in sofferenza sia di vocazioni che di fedeli, si ritroveranno  vuote, come le culle.

Solidarietà alle rifugiate!

Olena regina d’Abissinia – 2

Nonna Pina si siede, scossa. Olena, preoccupata, lascia le due lottatrici sguazzare nel fango e si avvicina alla vegliarda alla quale la lega un affetto filiale, cementato nei due anni in le ha fatto da badante, infiltrata in casa Rana per sventare le trame di dominio del mondo del nipote Evaristo¹.
«Babushka, voi sente male?» chiede tastandole il polso, riscontrando fortunatamente un battito forte, anche se accelerato dall’agitazione. Intanto James si è avvicinato con un bicchiere di acqua fresca e la Calva Tettuta, sfilato il sombrero dalla testa dello zio Ramon, lo sventola per farle aria, mentre un capannello di invitati si appressa al tavolo, ognuno desideroso di dare una mano e soprattutto dispensare consigli non richiesti.
«Che succede, nonna? Sembra che abbiate visto un fantasma» chiede Gilda, guardandosi intorno per cercare di individuare la presenza del de cuius, il cui spirito vaga inquieto a Villa Rana ma solitamente non va in trasferta.
Nonna Pina fa un gesto di fastidio con le mani per allontanare i curiosi; poi ignorando l’acqua fresca offerta da James abbranca la bottiglia di tequila e se ne versa una dose abbondante.
«Un fantasma… non sei molto lontana dalla realtà. E’ una storia lunga e ve la racconterò ma non oggi, non voglio rovinare questa bella festa con una storia triste» vorrebbe glissare nonna Pina, ma nel frattempo una buona fetta delle invitate, appassionate di telenovelas e di storie tristi, ha spostato le sedie e si è piazzata a semicerchio attorno alla ultracentenaria. Notando un certo assembramento anche l’orchestra si ferma, e il bassista cubano Giorginho Torres è pronto ad estrarre dal fodero la bottiglia di Rum Mathusalem delle grandi occasioni, ma i musicisti vengono subito richiamati all’ordine dal maestro Dieguito Guardatì preoccupato che don Ignacio non versi il saldo di quanto pattuito, indispensabile per pagare la rata in scadenza degli strumenti e soprattutto gli alimenti alla ex-moglie Luana Patacon.
Nonna Pina, vedendo che l’uditorio si è fatto numeroso, e persino Dona Antonieta ha preso posto in prima fila, scrolla la testa.
«E va bene, ma poi non dite che non vi avevo avvisato» dichiara, invitando Olena a sedere vicino a lei; poi inghiotte un sorso generoso di tequila ed inizia il racconto.
«Era il 1935 e l’Italia fascista decise di invadere l’Abissinia. Detto così fa un po’ ridere, anche perché l’Etiopia è grande tre volte l’Italia: comunque Mussolini inviò un esercito per conquistarla e nel giro di nove mesi gli etiopi, coraggiosi ma decisamente meno armati, furono sconfitti anche grazie all’uso spregiudicato di gas come l’iprite e le arsine che tante stragi avevano fatto nelle trincee della Prima Guerra Mondiale ed erano stati messi fuori legge, ma cosa importava ai conquistatori? Io ero giovane, ero arrivata da poco al successo come soubrette e vivevo in un mondo ovattato, ma ricordo che in Italia c’era molta euforia, l’Etiopia era un paese dove esisteva ancora lo schiavismo e ci raccontavano di civilizzazione, di spazio vitale, di posto al sole: Adua era vendicata, e tutto il Corno d’Africa (tranne una piccola parte rimasta agli inglesi) era italiano! Furono commesse innumerevoli atrocità, alla faccia degli italiani brava gente, che raggiunsero il culmine dopo il 19 febbraio 1937, quando due giovani patrioti etiopi lanciarono delle bombe a mano contro un gruppo di autorità italiane tra cui il maresciallo Graziani che dopo la campagna era stato nominato Viceré, che venne ferito seriamente.
Addis Abeba venne allora messa a ferro e fuoco, abitazioni date alle fiamme, gente trascinata per strada e lì trucidata; forse avrete sentito parlare di Debra Libanòs, un grande monastero preso di mira perché si riteneva che appoggiasse i ribelli, dove vennero sterminati tutti i preti, i monaci, i diaconi, gli studenti di teologia, i maestri… ma tutto questo lo scoprimmo anni, decenni più tardi: allora dovevamo costruire l’Impero per la gloria dei Savoia, quei disgraziati, e convincere gli etiopi con le buone o le cattive che il nuovo imperatore Vittorio Emanuele III era meglio del loro. Perché loro un imperatore ce l’avevano già: il Negus neghesti, o re dei re, Hailé Selassié che voleva dire “Potenza della Trinità”.»

«James?» chiama sottovoce Gilda, per non disturbare il racconto.
«Signora?»
«Mi sto perdendo. Chi sarebbe questa Adua, la famosa abissina della canzonetta “aspetta e spera eccetera eccetera”? Che tra l’altro è la sigla del nuovo governo, sbaglio?»
James sorride, indulgente verso le lacune storiche e non solo della sua datrice di lavoro.
«No signora, Adua è una città del nord dell’Etiopia, nella regione del Tigrè, abbastanza vicina all’Eritrea. In questa zona nel 1886 si svolse una battaglia, tristemente famosa, dove l’esercito italiano subì una disastrosa disfatta da parte degli abissini guidati dall’allora imperatore Menelik II. Il mio trisavolo Filiberto vi prese parte ed ebbe la fortuna di tornare a casa sano e salvo ma non fu più lo stesso, pare che di notte si mettesse di vedetta sul tetto del fienile con il suo Carcano modello 91 in attesa dell’arrivo degli abissini. Fu uno scontro impari: gli italiani erano meno di 18.000 compresi 7.000 àscari, soldati indigeni; gli abissini erano circa 120.000 e oltretutto conoscevano bene il terreno, mentre i nostri avevano delle mappe approssimative. Insomma fu un massacro, che ebbe ripercussioni politiche e che oltretutto interruppe le ambizioni coloniali italiane per molto tempo, fino appunto al 1935»

Il lieve russare della Calva Tettuta, alla quale è calata la palpebra complice senz’altro l’abbondante libagione, induce il maggiordomo a sospendere la lezione di storia patria; sfilato un cuscino dallo schienale di una poltroncina lo pone tra il tavolo ed il capo di Gilda e, vedendo che persino i koala si sono seduti ai piedi di nonna Pina, si appresta a seguire il prosieguo del racconto.

¹ cfr. “Natale con Olena”, 2017

Olena regina d’Abissinia – 1

“Ho solo una vaga idea di dove approderemo.
Intanto partiamo, poi si vedrà.”
Cristobàl Pallançon, esploratore portoghese, 1512

«E tu, Paio, vuoi prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Miguel per amarlo, onorarlo e rispettarlo, in salute e in malattia, in ricchezza e in povertà finché morte non vi separi?»

Paio Pignola, raggiante nell’abito a sirena realizzato nell’atelier di Jean-Astolphe Girifalchi, in testa una coroncina di perle Akoya, si volta sorridente verso i paggetti che le hanno retto lo strascico durante la marcia nuziale ovvero il piccolo Chico, frutto di una notte d’amore tra Miguel e Conchita la donna barbuta, e due koala suoi amici conosciuti a Villa Rana dove la colonia di cui facevano parte era stata ospite per un lungo periodo quando dei devastanti incendi avevano distrutto il loro habitat in Australia. Torna poi a guardare il suo Miguel, che per l’occasione ha scelto un sobrio completo fucsia con scarpe Cucchiaroni in tinta e camicia senape, rimasto in trepida e preoccupata attesa.
«Sì! Yo lo quiero tambien!»
Un sospiro di felicitazione ma soprattutto di sollievo si leva dagli oltre trecento invitati, seduti su poltroncine in velluto verde poste in file parallele nel cortile dell’hacienda Pedro Pineda di proprietà di don Ignacio, padre di Miguel, invitati che accaldati dal sole marzolino accolgono con soddisfazione la formula finale che spianerà la strada al ricco banchetto:
«Con i poteri conferitomi dallo stato di Zacatecas vi dichiaro marito e mogl… marito e marit… insomma fate voi. Per me siete sposati.»
L’ufficiale di stato civile Aloysio Tamburron, per gli amici Lisetta, delegato dal sindaco di Laguna Seca, conclude così la breve ma toccante cerimonia con la quale i fidanzati di lungo corso coronano il sogno d’amore.
«Evviva gli sposi!» urlano gli invitati entusiasti , gli uomini sventolando i larghi sombreri e le donne gli scialli variopinti; Paio effettua il lancio del bouquet, momento atteso dalle damigelle Pamela e Lulù, nella vita affiatata coppia di lottatrici nel fango, ma eccede in entusiasmo e il mazzo atterra in decima fila in grembo all’anziana zia Candelaria, zitella e perpetua del parroco don Apolinario, che lo accoglie come presagio di buon augurio e si rifiuta di cederlo alle speranzose donzelle.
Don Ignacio, con la pancia trattenuta a stento nell’abito tradizionale, si liscia i mustacchi mentre discute con sua moglie, la rotondetta e baffuta Dona Antonieta:
«Non capisco perché non si sono sposati in chiesa. Chissà che ci avrà trovato quella stangona in quel fregnone di nostro figlio? Comunque spero che arrivi presto qualche nipotino, lei sembra portata, che ne dici moglie?»
Dona Antonieta alza gli occhi al cielo, scoraggiata.
«Ignacio, a guardarti mi verrebbe da dire che se abbiamo fatto un figlio noi può darsi che ci riescano anche loro. Andiamo dagli invitati adesso, prima che quelle cavallette spazzolino tutto il buffet. E non bere come al solito, che diventi ridicolo»
«Porca miseria Antonieta, non cominciare subito a rompere los cojones. Si sposa il nostro unico figlio, quando ci ricapita? Orchestra, attacca con la musica!» ordina don Ignacio al famoso complesso Los Vincisgraçias assoldato per l’occasione.

Le tavolate si animano man mano che le portate si susseguono e vino e pulque¹ scorrono copiosi ; gli ospiti d’onore sono fatti oggetto di mille premure: Gilda, che a coprire la calvizie sfoggia il nuovo turbante in seta Mantero con farfalle stampate, tra assaggi di nachos e sopitos , enchiladas e tamales volteggia in pista dividendosi tra lo zio dello sposo Ramon e il cugino Fulgencio, che la coinvolgono in scatenati huapando, bamba e jarana; Svengard, che dopo un triplete di tequila si è liberato di giacca e camicia, è impegnato in una gara di tiro alla fune contro una decina di ragazzotti del posto, suscitando sguardi di ammirazione unisex; nonna Pina pilucca delle chapulines, cavallette fritte, intingendole nella salsa guacamole e sorseggiando un margarita, godendosi l’esibizione delle due damigelle per le quali è stata allestita una piscinetta piena di melma e che, istigate dalla sposa, hanno avuto la discutibile idea di sfidare Olena la quale, dopo averle immobilizzate, invita il pubblico a schiaffeggiare loro le terga con dei rami di salice piangente; e last but not least James, impeccabile nel suo abito Diego de la Vega, fuma il sigaro offertogli dall’ufficiale di stato civile Tamburron, un Robusto Revolution Ovalado di cui non gli sfugge il nome della marca, Te Amo.

La pace e la serenità della festa vengono disturbate da un uomo a cavallo che varca l’arco del portone dell’hacienda; arrivato nelle vicinanze di don Ignacio scende agilmente di sella ed estrae da un capiente borsone in pelle una busta che gli consegna prontamente. Il padrone di casa ignora la mano protesa in attesa di mance e si dirige, accigliato, verso la destinataria della missiva.
«Mi dispiace disturbarvi ma il postino dice che è urgente, señora. Spero non sia niente di grave»
Gilda, ancora arrossata dopo l’ultimo norteño², guarda allarmata la busta e si rivolge al fido maggiordomo:
«James! James caro, puoi venire un attimo?»
James accorre solerte, lasciando momentaneamente sola Lisetta.
«Desidera, signora?»
«James, che tu sappia abbiamo in sospeso qualche affare con l’Agenzia delle Entrate? I contributi Inps sono a posto? Non vorrei ritrovarmi alle calcagna qualche esattore»
«Che io sappia, signora, non abbiamo pendenze significative. Ci sarebbe quella piccola vertenza con gli addetti all’imbustamento ai quali un quinto dello stipendio è stato pagato in tortelli della linea vegana in scadenza, ma niente di cui preoccuparsi eccessivamente»
«Be’, se è così togliamoci il dente. Chi è che ci scrive, James?»
Mentre don Ignacio, discreto, si allontana, James apre la busta, ne estrae un foglio e lo scorre brevemente.
«E’ lo studio del notaio Bernasconi di Lugano. La convoca in merito ad un testamento»
«Un testamento dici? Sarà morta zia Varna a Serrapetrona, finalmente? Aveva promesso di lasciarmi gli orecchini del suo matrimonio del ’54. Però mi sembra un po’ esagerato metterlo per iscritto con un notaio svizzero, gli sarà costato più del valore degli orecchini»
«Non credo si tratti di questo, signora. Il notaio accenna ad una eredità del Negus»
«Negus, Negus? Il nome non mi dice niente. Sarà mica un parente di Evaristo?» ipotizza la vedova Rana, alludendo al defunto marito. «Nonna Pina?» decide allora di dissipare il dubbio Gilda, agitando un braccio per richiamare l’attenzione della centenaria. «Nonna, conosce per caso un certo Negus? Pare che ci abbia lasciato un’eredità» chiede allora, interpretando come risposta affermativa lo sguardo stupito di nonna Pina, con la bocca rimasta aperta, e il rumore del bicchiere di margarita che le scivola dalle mani e cade in terra rompendosi in mille pezzi.

¹ ll pulque è una bevanda alcolica prodotta dalla fermentazione della linfa dell’agave, tra 5 e 10% di gradazione alcolica. Assieme alla tequila è considerata la bevanda nazionale messicana.
² Un tipo di polca messicana

La musica deve cambiare!

No cari amiche e amici non mi riferisco ai propositi del nuovo governo, che ha deciso di spezzare le reni a migranti e percettori di reddito di cittadinanza perché la pacchia è finita (in compenso riciccia la flat tax e il ponte sullo stretto: per questi evidentemente la pacchia deve ancora iniziare), ma all’uscita del console ucraino che ha “invitato” sindaco di Milano, presidente della regione Lombardia e sovrintendente alla Scala a cambiare la programmazione musicale ed in particolare togliere dal cartellone l’opera che dovrebbe aprire la stagione nella tradizionale serata di Sant’Ambrogio: il Boris Godunov del grande compositore russo Modest Petrovič Mussorgskij (Quadri di un’esposizione, Una notte sul Monte Calvo) tratto dal dramma di Aleksandr Sergeevič Puškin, colui che è considerato il fondatore della lingua russa contemporanea.

Chissà perché, mi sono chiesto, magari come il sottoscritto preferisce la Traviata, La Forza del destino o il Rigoletto?

Macché, questo signore ha messo nero su bianco che la comunità ucraina in Italia chiede in sostanza di non dare più spazio alla cultura russa (e non è la prima volta, lo stesso copione l’hanno già usato per i balletti) con motivazioni che a me sembrano deliranti, a voler trovare una giustificazione:

“La cultura viene utilizzata dalla Federazione Russa per dare peso all’asserzione della sua grandezza; assecondare la sua propagazione non può che nutrire l’immagine del regime vincente, e per estensione, le sue ambizioni scellerate e i suoi innumerevoli crimini”.

Cioè siccome loro sono in guerra con la Russia noi per non dispiacere alle migliaia di badanti qua presenti non dovremmo più leggere libri di autori russi, godere di balletti e di opere russe,  distruggere i quadri di Kandinskji  e magari non mangiare più insalata russa.

Non so se si rende conto, questo borioso, che queste cose le facevano i nazisti; noi saremo messi male ma non veniamo certo a farci dire dagli ucraini cosa dobbiamo leggere o ascoltare (di propaganda ce ne propina abbastanza tutto il giorno la Rai, non vi basta quella?), almeno su questo dovremmo ancora essere padroni a casa nostra; tra l’altro si fosse dato la pena di leggere la trama del Boris Godunov avrebbe saputo che contiene una critica al sistema autocratico tanto che all’epoca (quando l’Ucraina era una delle periferie dell’impero zarista) venne censurata.

Studia, capra!

E’ positivo essere negativi!

Amiche e amiche, nonostante il mio carattere di norma aperti e fiducioso sul futuro, sono tornato negativo. Che strani tempi questi, quando è positivo essere negativi! Comunque alla fine il virus se ne è andato, o almeno non è rilevabile al tampone; penso di averlo espulso tutto nella notte in cui mi sono alzato dal letto dieci-dodici volte per fare pipì; alla fine me la sono cavata con poco, un paio di giorni di febbre (solo la sera), un po’ di tossetta, gambe legnose (non molli, legnose: cioè facevo un po’ fatica a camminare) ed una temperatura corporea (a parte i giorni di febbre) insolitamente bassa, attorno ai 35,5°; non ho preso medicine, tranne un anti-infiammatorio per le vie aeree e uno spray per la gola a base di propoli. Insomma, come è capitato a moltissimi, una influenza o giù di lì. Mi è venuto anche il sospetto che il tampone che mi ha dichiarato positivo fosse sbagliato, e ci può stare, ma diciamo che va bene così. Tra una quindicina di giorni voglio andare a farmi controllare gli anticorpi, insomma per un annetto almeno spero di essere a posto! Mi consigliano anche di fare l’esame del sangue per controllare che i valori non si siano sballati: mi toccherà farli privatamente perché la mia dottoressa gli esami più di una volta l’anno non li prescrive a meno che non ci siano motivi importanti. A livello economico non è un grosso danno dato che ormai nei centri diagnostici gli esami del sangue costano come il ticket (sono proliferati questi centri negli ultimi anni!) però i miei soldi preferirei darli al servizio sanitario. Tanti lavoratori che conosco ormai sono coperti dalle assicurazioni stipulate in convenzione dalle loro ditte: ci stiamo americanizzando anche in questo, con il Covid dovevamo potenziare il servizio sanitario nazionale e invece ingrassiamo sempre di più i privati.

Non mi aspetto certo che con questo governo possa invertirsi la tendenza…

Sono potuto perciò tornare alle occupazioni abituali (a parte il lavoro che non ho mai abbandonato perché se non lavoro non mi pagano, questo non per fare il piangina anche perché chi è causa del suo mal eccetera eccetera) e quindi ieri sera è ripreso il corso di balli popolari: ieri sera tarantella dell’Aspromonte e tammurriata, divertenti entrambi anche se evidentemente le gambe legnose un po’ mi sono rimaste perché certi movimenti non mi riuscivano proprio bene… la tammurriata si ballerebbe suonando le castagnole con le mani, per fortuna ne eravamo sprovvisti perché quaranta persone che sbattono le castagnole a caso non sono un bel sentire. Questi balli mi hanno svelato come vi ho detto un mondo misterioso (il mese scorso avevamo fatto quelli della Guascogna), ci sono tantissimi appassionati, gruppi che suonano dal vivo, si organizzano feste, addirittura stage e raduni estivi (con le nuove normi anti-rave dovranno stare attenti questi arzilli vecchietti); purtroppo confesso di non essere molto portato, avrei dovuto iniziare molto prima perché il corpo si rifiuta di eseguire le indicazioni che partono dal cervello, qualche sinapsi deve essersi scollegata. Stasera invece riprenderò le prove del coro, si avvicina il Natale e rispolveriamo il repertorio adatto, a partire dall’Avvento; non è che facciamo chissà quali canti solo che, un po’ come il ballo, se non ci si esercita anche le cose che si sanno riescono male. E poi c’è sempre qualche scusa per fare bisboccia: una sera qualcuno porta una bottiglia di vino, un’altra una torta, un’altra cioccolatini… a ballare e cantare non saremo granché (scherzo, qualcuno è molto bravo) ma a mangiare e bere…

Quindi amici negativo ma positivo: per oggi quindi lasciamo da parte le tristezze varie e pensiamo solo alla salute… a presto!

Che rabbia non esserci!

La manifestazione a cui sono giocoforza mancato è stata bellissima, così mi hanno riportato i partecipanti e così si legge nelle cronache dei giornali non prevenuti: 100.000 persone di associazioni e gruppi variegati e variopinti, Acli, Arci, sindacati Cgil-Cisl-Uil, Comunità Sant’Egidio, Emergency, Libera, rappresentanti di partiti politici (ma senza simboli di partito) e tanti altri, cattolici e laici, giovani e anziani, uniti nel chiedere in primis al nostro governo, ma con la speranza che questo movimento levi la voce anche negli altri paesi europei, iniziative concrete che portino i contendenti al tavolo dei negoziati di pace. Continuare ad inviare armi serve solo a prolungare il conflitto e produce solo un continuo escalation, come si è visto in questi otto mesi: basta!   

Stendo un velo pietoso sul segretario PD che è andato a farsi vedere, contestato dai suoi (quelli che lo contestavano erano i militanti del suo partito infatti, incazzatissimi per lo stato in cui lo ha ridotto) e sulla piazzetta di Milano.

Non servirà a niente? Può darsi, ma per fare qualcosa bisogna aspettare che la pace ci sia quando uno dei due avrà vinto? O che la guerra, che di fatto almeno economicamente e politicamente ci coinvolge, diventi guerreggiata anche per noi col rischio non remoto, anzi, di guerra nucleare? Dobbiamo abituarci alla retorica muscolare e nucleare, di entrambe le parti, quasi ci vogliano abituare all’idea?

I giorni precedenti la manifestazione, e sono sicuro anche i seguenti, sono stati quasi osceni: la manovra è scoperta, far passare chi chiede a gran voce la pace per putiniani, sullo stile novax: per primo e lo dico con dispiacere ci si è messo Mattarella, affermando più volte che non possiamo sottrarci dall’aiutare l’Ucraina contro la illegale _ o barbara, o arbitraria _ aggressione russa; la Rai, specie Rai1, è diventata sempre più teleKiev e manda in giro la sua corrispondente oca giuliva dietro ogni panzana che gli rifila Kiev: se fosse stata al tempo di Cristo l’avrebbero portata sul Golgota e convinto che il Crocifisso era morto di freddo. Ieri un servizio sulle bombe al fosforo: se qualcuno poi spiegasse perché i russi avrebbero dovuto tirare bombe al fosforo su villaggi senza alcun interesse. Però lo dicono gli ucraini, facendo vedere dei razzi che hanno in dotazione anche loro, dato che gran parte delle armi sono ancora quelle sovietiche, e l’intelligence americana, che se ne intende perché a Falluja il fosforo bianco l’hanno tirato loro.

Un primo passo verso la pace sarebbe una bonifica dei media, a partire dalla TV di Stato, mi permetto di dare un piccolo suggerimento a tutte le associazioni che hanno partecipato: mettetevi d’accordo e fatevela da soli una televisione, perché secondo quella per la quale paghiamo il canone ieri c’era quasi più gente da Calenda a farsi lo spritz che in Piazza San Giovanni…

A presto, amiche e amici; di manifestazioni ce ne saranno ancora ed anche più grandi, spero, e ormai il Covid l’ho fatto, non ci saranno più scuse!

p.s.

Ieri sono evaso. Ho evitato la gente, ma con 22-23 gradi fuori rimanere in casa era una tortura. Ho fatto una passeggiata ed a mio modo ho manifestato anch’io, per la vita e per la pace.

Positività!

Amiche e amici, non mi riferisco certo alla situazione economica o politica che anzi sarei ben lungi dal definire non dico positiva ma almeno incoraggiante: ma al fatto che, a distanza di quasi due anni precisi, mi sono ribeccato il virus: tampone positivo!

Era cominciata con un lieve mal di gola e abbassamento drastico della voce che avevo imputato ad una sudata fatta per andare a comprare della mortadella in offerta alla Coop (vi spiego: non è che mi sono messo a correre per paura che finisse, è che sabato mattina c’era un bel sole, io avevo compiuto tutti i miei doveri domestici e mi sono detto “sai che c’è, mi faccio una passeggiata”. Due chilometri circa all’andata e due al ritorno con 25 gradi, sono arrivato a casa con la maglietta della salute da strizzare) oppure ai postumi degli sforzi canori fatti la domenica prima al raduno delle corali di cui vi ho parlato (questa ipotesi però era meno probabile in quanto non è che personalmente mi fossi sforzato proprio tanto).

Insomma sabato sera avevo un po’ di raucedine e tossetta, niente che potesse impedire di andare a teatro con la comitiva di pensionati nella quale mi sono imbucato da tempo: al Piccolo Teatro Strehler, Ditegli sempre di sì di Eduardo de Filippo, portata in scena dalla compagnia dello scomparso figlio Luca: due ore davvero ben spese. Sia sul pullman che in teatro ho sempre tenuto la mascherina Ffp2, come quasi tutti vecchietti e spettatori (sul vecchietti poi parliamone: ci sono pensionati più giovani di me, cosa che mi rode alquanto), io sono uno di quelli che nonostante il liberi tutti continua a proteggersi dove c’è assembramento, a volte guardato male dato che ormai sembra che le parti si siano invertite. L’associazione di cui parlavo propone ogni anno un abbonamento di sei-sette spettacoli del Piccolo Teatro di Milano, che per chi non lo sapesse ha tre teatri diversi: il Grassi che è quello storico, lo Strehler, più grande, poco distante ed il Melato, più intimo, con la platea a semicerchio ed una grande balconata al posto della galleria. Quando lo spettacolo in programma è allo Strehler di solito, con una compagnia ristretta, andiamo a mangiare qualcosina in un baretto storico nelle vicinanze; quindici giorni prima ci eravamo stati (davano M l’uomo del secolo con la regia di Massimo Propolizio: bellissimo) e il giorno dopo il mio amico era positivo. Stavolta è toccata a me, viene quasi il sospetto che servano focacce al Covid.

Tra l’altro, fatto importantissimo di cui non vi ho parlato, quindici giorni prima nel suddetto locale si era svolto un evento storico, l’incontro di due titani della scrittura contemporanea: il sottoscritto e la straordinaria Alessandra Marcotti: scambio di doni e autografi, dove la generosità di Ale ha strabordato perché ha voluto donarmi tre dei suoi libri a fronte dell’unico mio. Ale, sono in debito di uno spritz almeno!

Domenica, nonostante aver dormito un’ora in più dato che nella notte si sono messi indietro gli orologi, non ero in formissima tanto che non ho cantato anzi mi sono tenuto alla larga dal coro; la sera è salita la febbre a 37,8. Lunedì mattina niente febbre e mi sono tamponato: negativo. Ma la sera la febbre è risalita a 37,9. Ero in apprensione per la manifestazione per la pace di Roma di sabato, alla quale avrei voluto partecipare: martedì e mercoledì senza febbre mi hanno rincuorato, anche se qualche segnale mi diceva che ci stavo ricascando. Innanzitutto la temperatura che non saliva sopra i 35,5 (stamattina 34,8!), e poi le gambe legnose, sintomi che avevo avuto due anni fa quando uscivo dal Covid: così ieri, per scaramanzia, sono andato a ritamponarmi: stavolta positivo.

L’isolamento è molto più blando: lavoro chiuso nel mio studio e quando esco metto la mascherina e porto sempre un fazzolettino disinfettante per pulire dove tocco; mi è però concesso di mangiare insieme al resto della famiglia, guardare la tv dal divano (con la mascherina) e perfino di dormire nel letto coniugale. I miei sono entrambi negativi, l’unica pippa sembro essere io.

Lo so che quando si è positivi bisognerebbe rimanere in isolamento, ma confesso di meditare l’evasione. Con attenzione, stando alla larga dalle persone, ma una passeggiata sarei tentato di farla. Da sempre l’aria aperta è consigliata per i convalescenti, non credo che rimanere chiuso nella mia stanzetta giovi al recupero. Peraltro oggi è più caldo fuori che dentro, i riscaldamenti ancora non ce li hanno accesi, anche se il termine sarebbe stato ieri. Abbiamo già finito il gas prima ancora di iniziare a usarlo?

Amiche e amici, per una settimana almeno quindi dovrò rimanere (quasi) segregato; alla manifestazione per la Pace parteciperò solo con il cuore; chissà che non riesca a leggere almeno la prima parte di Guerra e Pace (sono a pagina 200 di 1500…)

A presto, e chi può ci vada anche per me alla manifestazione!