Natale con Olena (X) – the end

Gilda, ancora incredula, appoggia la cornetta dell’interfono sulla sua base.
«James?»
«Signora?»
«Tirami fuori qualcosa di comodo, caro, andiamo a prendere il signore.»
«Come desidera signora. Posso consigliare la sahariana cachi?» – chiede James, pensoso.
«Lascia stare i cachi, James. Meno formale, se mi sono spiegata»
«Benissimo, signora. Se vuol perdonarmi un attimo» – dice James rinculando, avviandosi al guardaroba di Gilda.

Svengard ripone il barile di aringhe fermentate nel magazzino che è anche la sua stanza. Si siede sul letto, un asse di quercia con sopra un pagliericcio, e ripensa alle parole del saggio cinese Po: “Pallale, o glande uomo del Nold, pallale!”. Si alza, deciso, e si avvia verso il laboratorio.

Gilda e James sono davanti all’ingresso del laboratorio, dopo aver preso il treno Maglev guidato dal puntuale Hidetoshi Nakata. Gilda indossa una tuta color rosso fragola in maturazione di D&G, abbinata a scarpine  scintillanti. James le è di fiancoi; la Calva Tettuta lo guarda pensosa, con la testa lievemente inclinata e l’indice appoggiato alle labbra, e osserva:
«Quel caftano ti dona, James, sfina» – indicando la tunica che James indossa sopra la divisa da maggiordomo.
«Troppo buona, signora. Ho preso il primo straccetto che mi è capitato in mano»
«Hai sempre buon gusto, James. James caro, che significa “Access denied”?» – chiede indicando la risposta del lettore di iride che controlla il personale autorizzato all’ingresso nel laboratorio.
«Temo che la signora sia stata disabilitata» – ipotizza un perplesso James.
«Disabilitata? Ma io sono la moglie!» – sbotta Gilda.
«Il signore deve essere corrucciato»
«Corrucciato dici? Bene, adesso vediamo» – e cominciando a tempestare di pugni la porta blindata intima al marito:
«Evaristo! Apri immediatamente questa porta! Evaristo ti avverto, se non apri questa porta entro tre secondi faccio uno sproposito! Uno… due… Evaristo!» – finalmente dall’altra parte il cavalier Rana risponde:
«Gilda, che sei venuta a fare qua? Vattene, per favore» – chiede con voce troppo calma il cavaliere.
«Evaristo, apri questa porta. Non so che stai combinando, ma è ora di finirla con questa storia. Facci entrare e libera immediatamente quei ragazzi!»
Dopo tre secondi di silenzio totale, si sente il lieve clic della serratura della porta blindata. Gilda e James entrano nel laboratorio, dove il cavalier Rana è solo, in piedi, vicino ad una delle caldaie.
«Evaristo, per l’amor del cielo, torniamo a casa. Tu stai male, devi farti vedere da un medico» – cerca di convincerlo una preoccupata Gilda
«Male dici? Ah, ah» – risponde Rana con una risata lievemente inquietante – «Male? Non sono mai stato così bene invece, mia cara! La vedi questa?» – dice indicando una chiavetta USB che tiene in mano – «questa ci farà diventare ricchi!»
«Ma Evaristo noi siamo già ricchi, non ti basta ancora? Quanto ricco vuoi diventare?»
«Immensamente ricchi, cara mia… qui dentro c’è la formula per una tecnologia che ci permetterà di controllare la mente delle persone… nanocomputer in grado di installarsi direttamente nel cervello umano, che possono agire in rete ed essere comandati a distanza… con questi possiamo condizionare le persone e costringerli a comprare solo e sempre da noi…»
«Caro, per quello non c’è già la televisione o internet? Lascia stare i nani, caro, noi facciamo tortellini!» – cerca di riportarlo alla ragionevolezza Gilda
«E’ proprio questo che ci permetterà di prendere il possesso delle loro menti! Glieli aggiungeremo negli impasti e li introdurranno senza saperlo! E convinceranno altri a farlo! E ne vorranno sempre di più, ne imploreranno sempre di più, sempre di più, sempre di più! » – delira ormai il cavaliere.
Gilda guarda con orrore l’uomo che pensava di conoscere.
«Evaristo, è ufficiale, tu sei pazzo. Apri subito la porta del centro e fai uscire i ragazzi. Poi andiamo a casa, che ti faccio una puntura e chiamo il dottore. James, dammi una mano per favore» – ordina Gilda, cercando appoggio nel maggiordomo per riportare il marito alla calma.
«Fermi! Non muovetevi o sparo!» – intima il cavaliere, estraendo dalla tasca una vecchia Beretta M34.
«Evaristo per l’amor del cielo, metti via quella pistola! Che tanto non la sai usare» – azzarda Gilda. Il cavaliere, beffardo, risponde: «Vogliamo provare, Gilda cara?» – poi, indicando il cartello dove campeggia la scritta “Attenzione – pericolo” dice: «Volevi liberare i precari, cara? Accomodatevi, tu e il tuo chauffeur!» – dice spingendo i due verso la porta serrata.
«Mi permetto di correggerla signore, si dice butler  non chauffeur» – puntualizza un forse poco tempestivo James.
«Ma vaffanculo te e il butler!» – è la risposta del cavaliere, che apre la porta stagna con il telecomando e, spingendo dentro Gilda e il maggiordomo, si congeda con: «E salutatemi i precari!».
Poi rimessa in tasca la pistola, si avvicina alle caldaie e mette tutte le manopole della pressione al massimo. Un ultimo sguardo indietro ed esce, chiudendo la porta blindata, con un ghigno sul volto.

Nella foresta domestica i pigmei sono in agitazione. Qualcuno è uscito dal laboratorio e si avvicina a passi veloci. Lo riconoscono, è l’uomo che li nutre con quelle ciufeche ma che ogni tanto gli permette di rosicchiare qualcuno. I pigmei gli si fanno incontro.
«Pigmei, ascoltate!» – richiama l’attenzione il cavaliere. «Io me ne vado per un po’, voi arrangiatevi. Ah, prima di andare potete mangiare Christian De Sica.» – concede un magnanimo cavaliere, provocando mugolii di apprezzamento.
Silenziosamente, da dietro il gruppo di pigmei appare Olena, statuaria, divisa mimetica e colbacco in testa, con a tracolla il fido lanciarazzi RPG-32 Hashim.
«Dove voi pensa di andare, signuore?» – chiede Olena. I pigmei, impressionati, si prostrano e commentano sussurrando “bona”, “bona bona”. Il cavaliere, sorpreso, al vedere la russa tira un sospiro di sollievo.
«Ah, sei tu Natascia? Come mai hai lasciato la nonna? Fammi passare, non ti interessa dove vado»
«Me non interessa voi. Interessa quello che avere in tasca» – mette in chiaro le cose Olena.
«Quello che ho…» – prende tempo il cavaliere, rendendosi conto solo in quel momento della situazione. – «Quello che ho in tasca dici? Questo ho in tasca, in alto le mani!» – intima estraendo la Beretta. Olena lo guarda, con un sorriso sardonico. «Attento, tu potere fare male te con quella» – dice guardandolo negli occhi. – «Tu consegna me pistola e chiavetta, e nessuno fare male» – in tono che non ammette repliche. Il cavaliere, non decifrando il linguaggio del corpo dei pigmei, avanza verso Olena: «Te lo faccio vedere io se qualcuno si fa male» – dice prendendo la mira. Mentre Olena continua a sorridere, per niente impressionata, i pigmei si rialzano e la coprono, mettendosi uno sopra all’altro salendogli sulle spalle. Poi, lentamente, con in testa Gnugnu, iniziano ad avanzare verso il cavaliere.
«Ma che… Toglietevi dalle palle, teste di cazzo!» – ordina il cavaliere ai pigmei, ma è ormai troppo tardi. Questi gli sono addosso, lo disarmano e lo buttano a terra.
«No, fermi! Maledetti… Natascia, diglielo tu, fermali! Natascia, tieni, ecco la chiavetta, qui c’è dentro la formula, ma per carità liberami. Natascia!» – urla il cavaliere, terrorizzato.
Olena sorride al cavaliere, prende dalle sue mani la chiavetta, poi sorride a Gnugnu e fa un cenno di assenso con il capo.

«Buon appetito» – concede ai suoi devoti fedeli.

Svendard è a metà strada, quando sente il rumore delle esplosioni. Si mette a correre, e quando arriva a vedere il laboratorio inorridisce, vedendo i bagliori delle fiamme dell’incendio che sta sviluppando dentro.
Dalla gola emette un grido fortissimo: «Tullsta! Tullsta!» – che in norreno sarebbe «Gilda! Gilda!» e si lancia verso le fiamme.
Olena sta tornando verso la villa, quando sente l’urlo di Svengard, e sente una fitta allo stomaco. L’unico uomo che le ha resistito ha bisogno di aiuto, e si lancia nella sua direzione. Arrivata a 100 metri lo vede, intento a cercare di sfondare la porta blindata. Si inginocchia con il fido RPG-32 Hashim in spalla, e lo chiama: «Svengard! Svengard!» – finché il norreno non la sente e si ferma.
«Giù la testa, coglione»¹ – sussurra Olena mirando la porta blindata, appena prima di premere il grilletto.
La porta blindata viene polverizzata e Svengard entra nel laboratorio incendiato. Dal fondo sente un richiamo: «Aiuto! Aiuto! Liberateci!» – e riconosce la voce di Gilda. Afferra un calorifero in ghisa e getta 120 chili di vichingo e 50 di calorifero contro la porta che lo separa dal suo amore. Sotto l’urto i cardini cedono e Svengard piomba lungo disteso nello stanzone dove sono rinchiusi Gilda, James e i dieci ricercatori precari.
Gilda gli si china sopra e lo guarda attentamente, finalmente riconoscendolo: «Ah, sì tu? Fréchete, quanto c’ì misso a svegliatte!» – e lo prende dolcemente per mano, aiutandolo ad alzarsi.

Epilogo

All’ultimo piano dell’hotel Best Moskow, a due passi dal Cremlino e dalla Piazza Rossa, la cameriera del piano sta spingendo il vassoio della colazione che si appresta a portare nella suite presidenziale.
La ragazza, lunghi capelli neri raccolti in una coda, elegante nella divisa bianca e blu dell’albergo, bussa alla porta.
«Chi è?» – chiede una voce autoritaria dall’interno.
«Servizio in camera, signore» – risponde la cameriera
«Ah, si. Entri, lasci pure sul tavolo del salottino est»
La cameriera entra, apparecchia il tavolo del salottino scelto per la colazione, osserva la disposizione e poi chiede: «La colazione è pronta, signore. Ha bisogno di altro?» – e attende che dal bagno arrivi la risposta: «No, grazie, può andare».
La cameriera saluta ed esce, lasciando dentro il carrello con le bevande in caldo.
Nel bagno un uomo, disteso nella vasca Jacuzzi, sta parlando al telefono.
«Da, Da, John, ti ho detto che domani ce l’avrai. Che significa ci sono intoppi burocratici? John, guarda che la merce me l’hanno chiesta anche gli arabi… e quelli non hanno problemi di soldi. Ti sembrano troppi tre trilioni di dollari? Ma ti stai rendendo conto dell’importanza di questa scoperta? Ti rendi conto che significa poter controllare il cervello di chi è al potere nei vari paesi? John, non farmi perdere la pazienza!» – intima l’uomo all’interlocutore che sta tergiversando – «Se entro due ore non vedo il bonifico chiamo Kim. Vuoi che dia la scoperta a Kim? No? E allora muovi le chiappe, perdio! – e spegne il cellulare, gettandolo lontano con un gesto di stizza.
Solo allora l’uomo si accorge della figura in piedi nel vano della porta. La divisa da cameriera, ma i capelli biondi. Si gira verso di lei, paralizzato. La ragazza parla, la voce carica di delusione:
«E’ sempre stata una questione di soldi, vero? Solo soldi» – chiede Olena all’uomo nella Jacuzzi
«Ma chi… capitano Smirnoff! Come avete fatto a entrare?» – si guarda intorno cercando la pistola, rimpiangendo di averla lasciata nell’altra stanza. Olena coglie il suo sguardo.
«Cercate questa, colonnello Kutnezof?» – mostrandogli la Makarov a cui il colonnello è rimasto affezionato.
«Capitano, vi sapevamo ancora in Italia… come ha fatto…» – chiede il colonnello, preoccupato.
«Intende come ho fatto ad arrivare senza essere localizzata, colonnello?» – e gli mostra l’avambraccio, dove un cerotto copre i tagli del bisturi con cui Olena si è espiantata il chip. La ragazza continua, con disprezzo:
«Ideali, patria… soldi, solo soldi! Ho pulito il culo ad una vecchia per due anni, e si trattava solo di soldi!» – accusa Olena, sdegnata. Il colonnello abbassa la testa, sembra colpito. Poi la rialza, con aria di sfida:
«Ideali! Patria! Vieni a parlare a me di ideali! Questi sono i miei ideali!» – e così dicendo si alza in piedi, mostrando le cicatrici delle pallottole ricevute in Afghanistan e qualcos’altro che Olena valuta insufficiente. Il colonnello continua:
«Dov’erano gli ideali quando sono andati al potere mafiosi, papponi, ubriaconi, corrotti, quando si sono spartiti tutto, petrolio, gas, banche, quando hanno mandato sul lastrico milioni di famiglie! Dov’erano tutti questi difensori di ideali? Mi sono stancato di gente che si riempie la bocca di patria e manda gli altri a morire! Si, soldi, si tratta di soldi, adesso è il mio turno Olena, tocca a me far girare la giostra adesso! E anche tu puoi farne parte, se vuoi… possiamo dividere, ho già i compratori… dammi retta Olena!»
Olena ascolta colpita dalle parole del vecchio soldato, che nudo davanti a lei le spiattella una verità che non avrebbe voluto sentire.
«Questo non sarà mai, colonnello. Sedetevi, prego» – dice Olena, cercando di far recuperare un minimo di dignità al suo superiore. Ma il colonnello ormai non ha più freni:
«Sei una stupida Olena! Guardati intorno! La guerra l’abbiamo persa, lo vuoi capire, l’abbiamo persa! La loro bandiera sventola lì, sulla piazza Rossa, come la nostra sventolò un giorno sul Reichstag!» – proclama enfaticamente Kutnezov, indicando la bandiera di McDonalds.
«Noi non abbiamo perso.» – scandisce Olena – «Voi! avete tradito.» – e così dicendo, estrae la chiavetta USB e la schiaccia con il tacco dello stivale.
«No!!! Disgraziata, cosa hai fatto!!! Hai distrutto la nostra fortuna, la mia fortuna» – piange il colonnello, cadendo in ginocchio. Ma Olena ha già voltato le spalle. Il tempo di montare il silenziatore, si gira e spara.

«Увидимся в аду, полковник»² – saluta Olena, soffiando sulla canna della pistola.

Dalla porta girevole dell’albergo esce una donna alta, avvolta da un mantello violetto, con un cappuccio calato sugli occhi. Un’occhiata intorno senza alzare lo sguardo, e scende le scale che la portano al marciapiede. Di fronte all’albergo una Maserati con vetri oscurati.
Olena valuta la situazione. Troppo allo scoperto, scappare è impossibile. Stringe la Makarov del colonnello nella tasca del mantello, e avanza verso la macchina. Vede il finestrino abbassarsi, è pronta.
«Natascia!» – sente chiamare – «Natascia! Vieni qui, figlietta!»
Sbalordita, Olena si avvicina all’auto. Apre la portiera posteriore, e vede nonna Pina, in pelliccia di visone, fumare una sigaretta da un lungo bocchino. La vecchia sorride beffarda.
«E dai Natascia, sali, non abbiamo tutto il giorno» – la incita nonna Pina.
Natascia chiude la portiera e sta per fare il giro della macchina, quando dal posto di guida esce qualcuno che conosce bene. James, impeccabile nel suo completo da maggiordomo ma con in testa  un cappello da poliziotto ricevuto in dono dai Village People, scende e gli apre la portiera.
Gli sorride, e guardandola fissa negli occhi le dice:
«Si accomodi madame, benvenuta»
Olena si ferma un attimo. Guarda nonna Pina che ridacchia, e James che le sorride.
Alza gli occhi verso il cielo, ed il sole rimbalza nei suoi occhi blu e colpisce la visiera del cappello di James. Mentre un sorriso le illumina finalmente il viso, guarda James con qualcosa che somiglia ad affetto e gli dice:

«Fatti in là, finuocchietto. Guido io».

THE END

divise-cameriera

¹ Confesso che ho scritto tutto questo solo per poter mettere da qualche parte questa citazione.
² “Ci vediamo all’inferno, colonnello”

Natale con Olena (IX)

Olena è seduta sul bordo del letto della nonna Pina, la centenaria bisbetica alla quale funge da badante, e guarda sbalordita una sua foto in costume da ballerina da saloon, attorniata da entusiasti cowboys, e confronta la fresca bellezza ritratta nell’immagine con la mummia decrepita che ha davanti.
Suo malgrado le sfugge un commento ammirato:
«Voi stata biellissima, signuora Pina»
«Ah, ah, vero?» – risponde la nonna, con una punta di civetteria. – «Ah, ah, lo so che stai pensando: “Ma quanti anni avrà ‘sta vecchia se ha fatto la battona nei saloon?”, eh, dì la verità Natascia »
«Effettivamiente, signuora… » – sfugge ad Olena.
«Ma no, ma no, che pensi! Sono vecchia certo, anzi vecchissima, ma non così tanto… sono nata nel 1914! Centotré anni, Natascia mia… quante ne ho passate!»
«E questa fuoto, signuora? » – chiede una incuriosita Olena
«E’ una recita Natascia, una recita!» – dice la vecchia con sguardo sognante – «Ero un’attrice, cara mia, e mica un’attricetta eh! Una soubrette… questa è stata scattata nel ’35 al teatro Smeraldo, era venuto pure il Duce da Roma per vedermi… e mi ha fatto trovare nel camerino un mazzo di rose rosse. “Con ammirazione, Benito. A noi!” c’era scritto… che signore che era il Duce »
A quel punto Olena, temendo una tirata sui treni che arrivavano in orario, cambia discorso.
«Cosa succiesso? Come mai smesso recitare? » – ed è con un sospiro di rimpianto che la vecchia Pina risponde:
«Qualche anno dopo quella foto, ero in tournée con la compagnia quando conobbi Gervasio, che poi divenne mio marito… mi copriva di fiori, di regali, sai, aveva un piccolo pastificio, e soprattutto mi portava i suoi tortellini… che squisitezza Natascia, avresti dovuto sentire! C’era la guerra sai, e la fame era tanta, tante mie amiche si arrangiavano in altri modi, diventavano amanti dei gerarchi, ma io no, io sono sempre rimasta onesta… e così, quando Gervasio mi ha chiesto di sposarlo, gli ho detto di si. Ho lasciato il teatro, mi sono trasferita a Casalpusterlengo e l’ho aiutato nella sua attività »
«Ma che peccato, signuora Pina!»
«Ah, ah, ma no, che dici, ma che peccato! Siamo stati bene con Gervasio… abbiamo avuto quattro figli, sai? Mi faceva ridere tanto… inventava ripieni che faceva solo per me, per vedere la faccia che facevo… poi Gervasio è morto e Pulcherio, nostro figlio, ha preso in mano l’attività e l’ha ingrandita, ha messo in piedi la fabbrica, e io piano piano mi sono ritirata… e adesso è tutto in mano a suo figlio, mio nipote Evaristo, che ha fatto tutto… » – la vecchia fa un gesto con il braccio, ad indicare quello che c’è intorno, ma con una smorfia di disgusto sul volto – «… tutto questo. »
Olena coglie la sfumatura di disapprovazione nella voce rauca della centenaria, e le chiede:
«Voi non essere cuontenta, signuora Pina? Avere grande fabbrica, magnifica villa, bella vita…» – ma la nonna la ferma decisa:
«Ma che bella vita Natascia, me la chiami bella vita questa? Te la dico io la verità Natascia: mio nipote è pazzo!»
«Perché dire questo, signuora? Il signore pensa al bene della famiglia» – prova a difenderlo Olena
«Il signore, come dici tu, ha perso la testa! Una volta, cara Natascia, i nostri operai li conoscevamo tutti per nome: Gianni, Andrea, Gigi, e le mogli, Rosina, Ada, Peppa… e i figli… e a Natale si faceva festa tutti insieme! Adesso invece ci sono i robot, non ci sono più persone ma “forza lavoro”, con gli operai non si può più avere contatti, sono appestati! E che bisogno c’è di lavorare anche la domenica e le feste comandate, me lo dici tu Natascia? » – chiede la vecchia sorvolando sull’incongruenza di avere una badante che lavora giorno e notte ed in tutte le feste comandate. Olena si sorprende nel trovarsi in sintonia con la vecchia a cui ha nettato le natiche per due anni.

Il vecchio Po si rivolge al rattristato Svengard con queste parole di conforto:
«Glosso uomo del nold, fammi capile. Ti sei addolmentato con le blache calate? Allola te lo devo ploplio dire: sei un glande coglione! »
Svengard annuisce, ripensando a quel momento di cui non andava orgoglioso.
«Sebbene ti abbia avvisato, o Po, di non chiamarmi più glande, in questo caso ti do ragione. Tanto più che non è finita qua » – confessa Svengard, con l’aria di chi vuole liberarsi da un grave peso
«Ah no? Che altla stupidata hai combinato? » – chiede il comprensivo cinese, e Svengard riprende il suo racconto.
«Passarono degli anni, e dopo aver girovagato per il mondo fino a raggiungere persino il castello di Pitino, capitai in Brianza. Cercavo lavoro, e seppi di una fabbrica che cercava boscaioli per tagliare la legna che alimentava il fuoco di enormi caldaie. Il proprietario mi accolse come un fratello, mi affidò l’ascia di famiglia e mi diede poche raccomandazioni: “stai lontano dal fuoco”, “non disturbare i pigmei” e “non rompere le palle”, suggerimenti di cui feci sempre tesoro. Il padrone mi usava anche per vuotare gli enormi calderoni che contenevano delle sostanze strane, perennemente in ebollizione. Fu proprio mentre stavo spostando uno di quei pentoloni che udii la voce. “Caroooo! Sono qui! Qual è l’impasto che devo provare, stavolta?” All’udire la voce rimasi di sasso. Era possibile? Come in trance sentii il padrone rispondere: “Gilda cara, tira fuori la lingua. Moringa e bagna cauda, senti che roba”. La risposta mi tolse ogni dubbio: “Va vè Evaristucciu, ma dopo gliuchimo un pochetto a medicu e infermiera, eh?” . All’udire queste parole non ebbi più dubbi, mi girai e vidi la lingua della donna che amavo intingersi nel cucchiaio che il padrone le porgeva. Un velo mi offuscò la vista, barcollai e il  contenuto del calderone si rovesciò in testa alla mia Gilda.»
«Una glande sfoltuna!» – commentò Po, e Svengard non ebbe cuore di contestargli l’uso del glande.
«Puoi dirlo, saggio Po! La sostanza si appiccicò in testa a Gilda, che urlava di dolore, e non ci fu verso di togliergliela; ella perse tutti i suoi bellissimi capelli rossi. Dalla pena non ebbi mai più il coraggio di parlarle, avrei voluto andarmene ma non ce la feci, e rimasi a raccogliere i cocci del mio amore»
«O che glande poeta tu sei!» – gli dice Po con ammirazione – «Un po’ sfigato, ma glande » – insistendo forse un po’ troppo sull’ultima parola, e continua:
«Ascolta questo mandalino: pallale e falla finita. Anche pelché siamo allivati. Sono 15 euli, glazie»
Svengard scarica il barile dal risció, paga il vecchio Po e lo abbraccia, promettendo di seguire il suo consiglio.

Olena, con l’album di fotografie in mano, sente un prurito all’avambraccio destro. Conosce bene quella sensazione, fin da quando le è stato impiantato il chip di comunicazione e rilevamento. Si alza dal letto dicendo alla vecchia: «Solo un attimo, nonna» e va in bagno.
«Capitano Olena Smirnoff» – si presenta Olena eseguendo il saluto militare
«Capitano, è giunta l’ora di entrare in azione» – dice il colonnello Kutnezof – «sappiamo per certo che il nemico ha sviluppato un’arma potentissima, sfruttando come copertura i laboratori Rana, nel vostro settore»
«Gli ordini, colonnello?» – chiede professionalmente Olena
«Entrare con ogni mezzo e prelevare l’arma. Con questa ritroveremo la nostra grandezza! Faremo piazza pulita dei traditori, dei rinnegati, dei codardi che hanno voltato le spalle alla nostra gloriosa storia in cambio di un piatto di minestra, o di due fette di salame. Viva Marx! Viva Lenin! Viva la Federazione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche!»
La comunicazione è chiusa. Olena, sguardo di ghiaccio, ritorna nella camera della vecchia.
«Signuora Pina, mi dispiace, devo lasciare voi»
Nonna Pina la guarda e osserva lo sguardo limpido, deciso della russa. Si solleva leggermente, e annuendo dice: «Vai, vai, Natascia» – poi quasi sembrando presagire gli avvenimenti: «Che qualcuno deve fermarlo, quel matto. Sono una cosa mi serve, figlietta mia»
Commossa, Olena risponde: «Certo, signuora, cosa desidera?»
«La padella, Natascia, la padella»

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Natale con Olena (VIII)

Avevano appena lasciato alle spalle l’abitato fantasma di Tromello quando il cinese Po, cacciatore di zanzare con la racchetta elettrica per vocazione e guidatore di risció per necessità, rompe il silenzio che durava ormai da Bosco Marengo e si rivolge al vichingo Svengard:
«Glande uomo del nold, tu essele tliste. Libelati l’animo, pallane con Po»
Non deve destare meraviglia il fatto che i due riescano a comunicare; come tutti sanno all’incirca nell’anno 972 una tribù vichinga, guidata da Erik il giallo, raggiunse le coste di Fanchenggang, colonizzandole; per combinazione Po era proprio originario di quei luoghi, dove il dialetto norreno è la seconda lingua, dopo il mandarino ufficiale.
Il nostro Svengard, tirando il risciò alle cui stanghe si era messo dopo dieci minuti dalla partenza, accusando il cinese di andare troppo piano, racconta la sua storia:
«Devi sapere, mio buon Po, che in gioventù andavo a caccia di anguille. Risiedetti per due anni a Comacchio, un luogo infestato di zanzare dove tu, o Po, avresti fatto fortuna, per imparare l’arte della marinatura. Giravo l’Italia in cerca delle anguille migliori, quando cammina cammina mi ritrovai nella Marca, alla foce del fiume Potenza, nei pressi di un antico ponte detto dell’Asola, dove fin dall’antichità si praticavano lussuria e mercimonio. Fu qui che la vidi.» – sospira il vichingo.
«Vedesti una zoccola, o glande?» – chiede il cinese, giusto per capire.
«Non bestemmiare, Po, zoccola sarà tua sorella! Vidi lei… una visione… una fanciulla dai lunghi capelli rossi, in ginocchio in riva al letto del fiume, intenta a lavare i panni. Feci un passo verso di lei, inciampai su una radice sporgente e le caddi ai piedi.»
«Che imbalazzo! E lei che fece, o glande?» – interloquisce Po.
«Po, figlio di un’antica civiltà, se mi chiami ancora glande ti spezzo le gambe» – dichiara uno spazientito Svengard
«Come vuoi, gla… ehm, glosso uomo» – si corregge prontamente il cinese
«Dov’ero rimasto? Ah, si, le caddi ai piedi. Lei si voltò, meravigliata, e mi ritrovai lungo disteso sotto i suoi capelli rossi ed i suoi occhi verdi. Mi sorrise e mi rivolse le parole più dolci del mondo»
«…? » – Po cerca di incoraggiare Svengard, perso nei ricordi. Svengard si riprende e continua:
«Mi disse: “O coccu, che ti sì cascatu? Ti sì sgramatu tutti li ginocchi, fa vedé a Gilda, và” e per meglio vedere mi sfilò i pantaloni. “Fréchete!”, la sentii dire, ed io mi persi nel suo sguardo. Mi svegliai dopo tre ore, e lei non c’era più. »

Nel soggiorno di casa Rana Gilda si aggira inquieta.
«James?» – chiama l’imperturbabile maggiordomo, che appare in pochi secondi. Appena percettibile, una spruzzata di brillantini tra i capelli.
«La signora ha chiamato?» – chiede con la consueta lucidità il maggiordomo.
«Si, caro. Puoi accertarti che il signore non abbia dimenticato l’evento di stasera?»
«Naturalmente, signora.» – James fa tre passi verso l’interfono con il quale ci si mette in comunicazione con il laboratorio. Dopo tre squilli risponde una voce stizzita:
«Che c’è? Non avevo detto di non disturbare?»
«Chiedo scusa signore, la signora voleva rammentarle la serata di gala di stasera al Rotary»
«La che? Ma dico, James, sei fuori di melone? Di che serata vai cianciando?»
«I dervisci rotanti signore. In favore dei bambini denutriti del Salabucistan»
«Dervisci rotanti? Salabucistan? James, ti avverto che stai portando la mia pazienza al limite. Quante volte devo dirlo che non ne posso più di questa gentaglia che continua a mangiare per sfamare i bambini denutriti? Non ci vado al Rotary! Togliti dalle palle e passami mia moglie»
«Solo un attimo, signore» – risponde James senza scomporsi, e poi rivolto a Gilda: «Il signore desidera conferire con lei, signora»
Gilda afferra la cornetta, e con voce suadente si rivolge al marito:
«Evaristo! Non dirmi che ti sei dimenticato della serata di stasera! Ci saranno tutti, Stefi Sabri Moni Lapo Chris John …»
«Basta Gilda, e che cazzo, ho capito! Pure Lapo c’è? E te pareva, quando c’è da mangiare si ritrovano tutti!»
«Evaristo non essere populista. Sono nostri amici, e io ci voglio andare. Non facciamoci sempre riconoscere»
«Sono amici tuoi, non miei. Fosse per me andrebbero tutti accattoni sotto i ponti»
«Ahah! Allora ci rifai! Dammi una buona ragione per non andare, allora!»
«Vuoi una buona ragione? Una buona ragione?» – sbotta il cavaliere – «e va bene, te la do la buona ragione. Gilda, tu sai cos’è un nanometro?»
«Ma cosa dici, perché dovrei conoscere i manometri!» – risponde Gilda, spiazzata.
«Eppure dovrebbe interessarti. E ho detto nanometro, non manometro. Un miliardesimo di metro»
«Manometri, nanometri, ma chi se ne importa! Evaristo non cercare scuse barbine»
«Secondo te, Gilda cara, perché mai terrei rinchiusi da più di due anni dieci ricercatori precari esperti in nanotecnologie?»
«Ma che ne so io! Te l’ho anche chiesto quando li avresti liberati! E che i pigmei cominciavano ad agitarsi, pensando che li avevi sciolti negli impasti! E dopo tutto questo tempo nemmeno in regola li hai messi? E i contributi almeno glieli hai versati?» – chiede Gilda, preoccupata per le sorti dell’Inps.
«Ma chi se ne frega dei contributi! Facciamo un bel condono e chi s’è visto s’è visto. Gilda, ce l’abbiamo fatta! Ci siamo riusciti!»
«Riusciti? Ma a far che, Evaristo?»
«La scoperta che cambierà il mondo! Inonderemo il mondo di tortellini, di ravioli, di cannelloni, lasagne, agnolotti, cappelletti, nessuno potrà resisterci! Tutti vorranno Rana! Tutti chiederanno Rana! Tutti supplicheranno per avere Rana! I nostri ripieni… domineranno… la terra! » – chiude il cavaliere con una risata insana.

Gilda osserva attonita la cornetta. Indietro di un passo James osserva Gilda, impassibile. Gilda si riscuote.
«James?»
«Signora?»
«James caro, è probabile che il signore sia impazzito»
«E’ possibile, signora. Preparo un caffè?»

 

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Natale con Olena (VII)

Ringrazio Judith del blog “Judith Laughs Loudest” che racconta storie deliziose, di Perth e non solo, e disegna simpaticissime matrioskine, per avermi prestato il cinese. Tra l’altro mi ha fatto un bellissimo ritratto che trovate qua.

Svengard ed i gemelli Uppallo I e Uppallo IV approdano con il maneggevole drakkar al porto di Varazze. Qui il nostro vichingo scarica il barile di aringhe e saluta gli amici, intonando insieme a loro un solenne e virile canto propiziatorio:
«Ohoh, Ohoh Licia! Mjösa Grundtal Dragan! Ohoh, Ohoh Friken! Godmordon Möllesiön!»¹
Svengard si guarda intorno, e valuta per un attimo se iniziare a spingere la botte fino alla villa del cavalier Rana oppure cercare un mezzo di locomozione. Afferra per il collo il primo cinese con risció che vede passare, e educatamente gli chiede:
«Cina, quante svanziche per la Brianza?»
Il cinese ne soppesa mentalmente peso e volume, considera il tempo necessario per l’andata e ritorno e spara la tariffa:
«10 euli! più 5 pel balile»
Considerando che il prezzo è allineato agli standard, sia del taglio dei capelli che della sostituzione del vetro del cellulare, Svengard accetta e sale sul risció.
Il cinese, un chiacchierone, racconta di chiamarsi Po e di venire da Perth, in Australia, ma di averla dovuta abbandonare a causa delle molestie subite da una vicina, che allevava in casa ragni da combattimento e pretendeva di portarli a spasso nel giardino condominiale con il guinzaglio ma senza museruola. Lo raccontava con le lacrime agli occhi, il poveruomo, ripensando alla attività che aveva dovuto lasciare e che lo riempiva di soddisfazioni, che era quella di girare per i pianerottoli con una racchetta elettrica in mano a caccia delle fameliche zanzare di Perth. L’ingratitudine di cui è stato oggetto commuove anche il rude Svengard che si ripromette, se mai un giorno dovesse veleggiare verso la cittadina australiana, di portare con sé cinese, racchetta e risció.

La bella Olena sta affilando la lama della spada giapponese Shin guntō, ricordo di suo nonno che l’aveva avuta da un ufficiale giapponese non più in grado di protestare, quando avverte i segni inequivocabili del risveglio della vegliarda. Come una lima da sgrosso su un tondino di ferro del 12, la vecchia esegue l’accurato raschiamento della gola che prelude lo scaracchio. Olena corre a prendere l’ombrello, giacché la vecchia si diverte a prenderla di mira, ed è con qualche sospetto che decifra i movimenti della degente, che indica la padella. Sempre protetta dall’ombrello, Olena la prende ed avanza; appena arrivata a portata di tiro la vecchia scaracchia e centra in pieno la padella. Alla prodezza balistica la mummia, evidentemente compiaciuta, fa seguire una risata asmatica; dopodiché, divertita dallo sguardo preoccupato della russa, la omaggia con un: «Aahh! C’ho ancora una bella mira, eh! Te pijasse un colpo, grazie Natascia»
Olena non crede alle sue orecchie. Dopo due anni la vecchia l’ha ringraziata e addirittura chiamata per nome, pur sbagliandolo, che sta succedendo?
«Natascia, per piacere, guarda dentro quel cassetto. C’è un album di fotografie, pigliamelo figlietta mia»
Olena sbanda. L’uno-due “per piacere – figlietta mia” l’ha fatta vacillare, come quella volta che Oleg la bestia l’aveva colpita con una sbarra di uranio arricchito che teneva a mani nude. Sente la sua voce rispondere:
«Subito, signora» apre il comò e ne estrae un antico album di fotografie.
«Eccolo, signora» – dice deponendo l’album vicino alla nonna Pina. Sta per allontanarsi, quando la vecchia la ferma:
«No, sta’ qua» – e, invitandola a sedersi sul bordo del letto, apre lo scrigno dei suoi ricordi. E’ il ritratto di una vera bellezza, in costume da ballerina da saloon, che troneggia in prima pagina, attorniata da adoranti cowboys; la nonna alza lo sguardo verso Olena e le chiede:
«Che dici, Natascia… ero bella, vero?»

Gilda è tornata nella villa, lasciando il cavaliere al lavoro. Passa davanti allo specchio dove poc’anzi James si era rimirato con i suoi occhiali da sole. Si sta avvicinando alla cinquantina e si trova ancora bella. Sorride, appena qualche rughetta, niente che non si possa nascondere con un buon maquillage. Poi si toglie lentamente il turbante, lasciando scoperta la testa. Il ricordo dell’incidente le offusca per un attimo il sorriso, ma si riprende prontamente:
«James?» – chiama il fido maggiordomo, che si materializza prontamente
«La signora ha chiamato?» – chiede l’acuto James
«James caro, ho voglia di caffè. Me ne fai uno dei tuoi speciali?»
«Naturalmente, signora. Posso consigliarle un Bird Jacu?»
«I tuoi consigli sono oro James. Solo per curiosità di che si tratta?»
«Chicchi di caffè defecato dall’uccello Jacu del Sud America, signore»
«Ottimo James, ottimo. Adoro i chicchi biologici»

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¹ “Kiss me, kiss me Licia / Certo il loro cuore / Palpita d’amore / Amore sì per te”

Natale con Olena (VI)

Svengard sta tornando alla villa del cavalier Rana, ma il suo animo non è sereno. Nonostante la compagnia dei fidi amici Uppallo I e Uppallo IV, gemelli monozigoti compagni di mille scorribande, e del barile di aringhe, Svengard appare svogliato, quasi depresso. Nemmeno gli sforzi dei due gemelli, che intonano vecchie cover in norreno come le famosissime “Strandom! Oh oh Fiärdeklin!”¹ o “Kallax! Kvistbro Vivan Sollefte唲 o ancora “Flekke! Para para Pax Inseng!”³, sembrano sollevargli il morale.
E’ dunque un pensieroso Svengard quello che solleva il capo dalla mano su cui si appoggiava, per pronunciare le prima parole dall’alba:
«O fratelli! Compagni d’armi e di bevute. Apprezzo i vostri sforzi, ma ‘mo basta. Cominciate ad essere ripetitivi, e francamente avete rotto le palle»
«O Svengard! Vecchio orso pulcioso» – lo apostrofa il maggiore degli Uppallo con un tipico vezzeggiativo norreno – «Perché questa malmostositudine? Che Thor ti strafulmini! Il mare è calmo, le aringhe in stiva, il vento in poppa, si può sapere che accidenti ti piglia?» – domanda Uppallo I.
«Non nominare quella parola!» intima Svengard, come colpito da una scossa elettrica.
«Quale parola?» – è sempre Uppallo I a chiedere, il meno astuto dei due. «Pulcioso? Aringhe? Vento in poppa?»
Con un grido strozzato Svengard gli si lancia contro brandendo l’ascia bipenne.
«E dai, Svengard, si scherza!» – protesta il gemello, Uppallo IV, frapponendosi tra i due – «Ma possibile che ci pensi ancora? Devi togliertela dalla testa! Se non altro potresti cominciare a toglierti l’elmo, che ti fa venire cattivi pensieri.»
Svengard ritorna in sé, ferma l’ascia e lentamente si sfila l’elmo dalla testa. Alla vista delle corna che lo sovrastano, un velo gli offusca la vista e un gemito di dolore gli sfugge.
«Deficiente! Lo diceva sempre la povera mamma che sei deficiente» – sibila Uppallo IV al fratello, maggiore di qualche secondo.
«Non è vero!» – protesta Uppallo I – «la mamma diceva solo che la prima ciambella non viene mai bella»
«E’ lo stesso, cretino. Lo vedi che hai combinato?» – indicando Svengard, con lo sguardo perso sull’elmo cornuto.

Olena è nella camera di nonna Pina, la vecchia di cui è badante da due anni. Ripensa al giorno del suo arrivo, quando dopo appena dieci minuti la vecchia le rovesciò addosso la padella mettendo subito alla prova la sua resistenza. Ma soprattutto ripensò a quello che era successo due giorni prima, nell’agenzia dei servizi da cui dipendeva, dove era stata convocata dal suo superiore, colonnello Kutnezof.
«Capitano Olena Smirnoff, accomodatevi.»
«Grazie, colonnello.»
«Capitano Smirnoff, ho intenzione di affidarvi una missione della massima segretezza ed importanza. Dovrete infiltrarvi tra le file nemiche e restare in attesa di ordini. Non mettetevi mai in contatto con noi, anzi noi non ci siamo mai visti. Saremo noi a farci vivi con voi al momento opportuno.»
«E se dovessero esserci, diciamo così… dei contrattempi, colonnello? Come devo regolarmi?» – chiede Olena, conoscendo in anticipo la risposta
«Capitano, leggo dal vostro curriculum che avete prestato servizio in Afghanistan e Cecenia. Regolatevi come avete sempre fatto: niet testimoni»
«E’ tutto, colonnello?» – chiede la spia.
«E’ tutto. Il mio attendente vi darà istruzioni più dettagliate, leggetele e distruggetele. Domani stesso sarete in Italia.»
«In Italia, colonnello? Ma non c’è guerra, in Italia» – chiede Olena sinceramente sorpresa.
«Non ancora capitano, non ancora.» – la congeda il colonnello.

 

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¹ Finché la barca va, lasciala andare, finché la barca va, tu non remare
² Ho scritto t’amo sulla sabbia, e il vento a poco a poco l’ha portato via con sé
³ Fuori dal letto nessuna pietà

Natale con Olena (V)

«Non essere assurda Gilda, certo che ti amo» – protesta il cavaliere, piccato – «e adesso te lo dimostro: vieni qua, chiudi gli occhi e apri la bocca»
Gilda, avvezza ai ghiribizzi del marito, non si scompone più di tanto.
«Mi piaci quando sei prepotente. Faccio la pecorella, caro?»
«Non c’è bisogno, Gilda cara»
Il cavaliere intinge un cucchiaio dal lungo manico in una delle padelle poggiate sui fornelli della grande cucina del laboratorio. Ne estrae una sostanza scurognola che inserisce nella bocca socchiusa di Gilda, da cui fuoriesce una puntina di lingua, provocandole un brivido. Il cavaliere osserva Gilda ruminare la poltiglia.
«Bhè, che ne pensi?»
«Speravo qualcosa di meglio, Evaristo, la consistenza è inquietante. Di che si tratta, di preciso?»
«Cachi e pagliata, in Giappone andrà a ruba, metterò al lavoro il marketing per trovargli un nome»
«Lascia stare caro, il cachi allappa. Dallo ai pigmei»
«Accidenti, glielo avevo detto a Svengard che li aveva raccolti troppo acerbi! A proposito, dov’è finito quel somaro, non risponde nemmeno al corno tibetano»
«Sai com’è fatto Svengard, è un vichingo, veleggia. Proviamo a sentire James» –  e senza dar tempo al cavaliere di obiettare, alza la cornetta dell’interfono. Il tempo di squillare due volte, e risponde una voce baritonale:
«Pronto, casa Rana. Chi parla?» – il cavaliere alza gli occhi al cielo. Gilda prende il controllo della situazione.
«James caro, non c’è bisogno di essere così formali all’interfono»
«E’ l’abitudine, signora»
«Cerca di superare questo complesso, il signore si irrita. Hai per caso notizie di Svengard?»
«Si signora, Svengard aveva esaurito la riserva di Surströmming¹, ha fatto un salto in Hälsingland per rifornirsi. Se desidera vado a recuperarlo, signora»
«Non importa caro. Ah senti James, hai visto per caso in giro i miei occhiali da sole? Devo averli appoggiati sul tavolino Luigi XVI dell’ingresso prima di scendere»
«No, signora, non li ho notati. Vuole che dia un’occhiata?» – risponde il maggiordomo, rimirando allo specchio le strass che costellano la montatura arancio che in quel momento sta inforcando.
«Lascia perdere caro, tanto tra cinque minuti sono lì» – e riattacca la cornetta. Da una ravviata al turbante, e considerando che il Rana si è rimesso a studiare muschi e licheni, lo saluta:
«Caro, io vado» – e vedendo che il marito non alza la testa dai libri, butta là con nonchalance: « Ah, mi stavo dimenticando, stamani ha chiamato Melania, ringrazia per il presente» – catturandone subito l’attenzione.
«Ah, bene. Che dice, Donald ha gradito?»
«Eccome, caro. Anzi, Meli domanda se possiamo mandargliene un altro pacco, chiede solo se nel porridge si può mettere un po’ meno ‘nduja. E’ senz’altro un ottimo rinvigorente, dice, ma ha qualche effetto collaterale»
«Effetto collaterale? Di che tipo?» – chiede Rana allarmato
«Sembra che provochi delle strane crisi mistiche. Donald continua a parlare di Gerusalemme»
«Ma l’hanno condito con sciroppo d’acero come mi ero raccomandato?»
«No caro, sembra che l’abbiano accompagnato con burro di arachidi»
«E grazie al cavolo, allora! Fanno di testa loro, e poi si lamentano! Va bene, dille pure che toglierò un po’ di ‘nduja, anzi quasi quasi ci metto un cachi per stemperare la ‘nduja…»
«Eviterei, caro»
«Tu dici? Si, forse hai ragione» – dice il cavaliere, non del tutto convinto. Gilda si guarda intorno, e specialmente la porta blindata sulla quale troneggia il cartello “Vietato l’ingresso – pericolo”, poi abbassando la voce chiede:
«Ehm, caro, e con “loro” che vogliamo fare?»
«Che vuoi dire Gilda cara?»
«Voglio dire che non possiamo tenerli là in eterno. Sono pur sempre esseri umani»
A questa affermazione il cavaliere si agita, Gilda ha toccato un nervo evidentemente scoperto.
«Sshh! Perché, qualcuno li ha cercati? Hai visto in giro polizia? Sindacati?»
«No caro, ma i pigmei cominciano a essere nervosi»
«Non posso liberarli ora! Proprio adesso che ormai… siamo a tanto così!» – avvicinando pollice e indice quasi a toccarsi.

James imbocca il corridoio che lo porta alla sua camera. Nella direzione opposta, una sgargiante Olena, in costume tradizionale e colbacco dell’Armata Rossa, gli viene incontro. Il maggiordomo cerca di ignorarla, ma al momento di incrociarsi lei lo squadra e sibila con disprezzo:
«Disgustevole… uocchiali da effieminato»
«Sarà bella la tua zucca! » – ribatte il maggiordomo, indicando il sospensorio pigmeo appeso alla cintura della siberiana. – «Che cos’è, un nuovo tipo di padella?»
Olena si ferma, si gira lentamente verso di lui e lo fissa glacialmente negli occhi. James resiste impavido, ma sente un brivido corrergli lungo la schiena. Dalle finestre entra il rumore dei tamburi pigmei e quella che sembra un’invocazione, un canto rituale: “bona!” “bona!”. La russa sorride, ed entra nella camera della vecchia.

Chi sono “loro”? E a che cosa il cavalier Rana è tanto così? Com’è l’alito di Svengard dopo aver mangiato aringhe marce? Lo scopriremo nelle prossime puntate.

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¹ E’ odioso dare spiegazioni per cose così ovvie ma si tratta di anatra fermentata, fatta marcire in barile e con un odore particolarmente forte. Se dovessero invitarvi ad assaggiarla, declinate.

Natale con Olena (IV)

Prima di continuare osserviamo un minuto di silenzio in memoria di Everardo Dalla Noce. Ha spaziato dall’economia al softball, un esempio per tutti noi.

«James caro, mi reco un attimo dal mio consorte. Pensi che sia presentabile? » – chiede Gilda al compunto maggiordomo
«Lei è sempre impeccabile, signora» – risponde James, fissando avidamente gli occhiali da sole con  montatura arancio costellata di strass che troneggiano sul nasino di Gilda
«Te l’ho già detto che sei un bricconcello adulatore, vero? A proposito James, il caffè era stupendo, come al solito»
«Troppo buona, signora» – si schermisce con modestia James, ripensando alle due palline marroncine sottratte dalla gabbietta del criceto Ciucci ed aggiunte al Lavazza di Totò.

Nella foresta domestica intanto la colonia pigmea è in subbuglio. Il giovane Gnugnu, orgoglio della tribù per scaltrezza e appetito, è sparito. La cerbottana è al suo posto, così come il randello, ma di Gnugnu nessuna traccia. I pigmei, nell’idioma da loro utilizzato per comunicare, che ad un orecchio non allenato potrebbe richiamare il dialetto di Locorotondo, o anche Martinafranca, commentano la scomparsa.
C’è da dire che nel periodo trascorso presso il cavalier Rana la loro cultura ha fatto notevoli passi avanti, e il loro lessico si è arricchito enormemente: “bono”, “bona”, “cotto”, “crudo”, “passa sale”, “duro” ed al momento studiano i verbi transitivi.
I pigmei sospettano infatti di un gruppo di pastori sardi transumanti, ai quali avevano tentato di sottrarre qualche capo di bestiame senza successo, imparando a loro spese che quando un uomo con un randello incontra un uomo con una pattadesa, quello col randello è un uomo morto o giù di lì.

Gilda scende con l’ascensore nel sotterraneo, che si collega con il laboratorio con un tunnel attraverso il quale passa un treno Maglev guidato da Hidetoshi Nakata, vecchio centrocampista in disuso.
Dopo 5 secondi il treno la deposita sulla banchina sotterranea del laboratorio. Gilda scende con agilità ed imbocca l’ascensore per il piano superiore. All’ingresso del laboratorio avvicina gli occhi al lettore di iride, e la porta si spalanca con un clic appena accennato.
«Amoreee!» – cinguetta Gilda – «Eccomi qua, mi cercavi?»
Il cavalier Rana alza la testa dal tavolo su cui sono sparsi decine di libri di erbe, muschi e licheni.
«Gilda sono un po’ perplesso, mi serve un tuo parere» – dice il Rana
«Ma certo amore, c’è qui la tua Gilda, non preoccuparti. Tra l’altro ti ho portato qualche biscottino di mosto, di quelli che ti piacciono tanto» – dice Gilda svelando il contenuto del paniere che aveva portato con se dalla villa. «Li ho fatti con le mie manine, sono ancora caldi» – in realtà i biscotti provengono dal panificio Sigismondi, via monti Sibillini 23 Serrapetrona, un suo lontano cugino a cui Gilda commissiona una fornitura quotidiana. Il cavaliere ne prende uno e lo morde.
«Mmhh, che bontà! Gilda, tu hai le mani d’oro, ma non devi sciuparle così, come te lo devo dire. C’è la servitù per questo! »
«Non è niente amore, lo faccio volentieri. Vuoi che ti dica qualche parolaccia?» – fa Gilda ammiccante
«Magari più tardi Gilda cara, come avessi accettato»
«Sicuru sicuru porcelló de Gilda tua?»
«Gilda ti prego » – resiste il Rana, slacciandosi il colletto della camicia
«Stanotte non facìi tantu lu schizzinusu, quanno te frustavo le chiappe!»
«Gilda!!! Per favore..» – ansima il Rana. Gilda si ricompone.
«E va bene Evaristo, come vuoi. Tanto lo so che non mi ami più come una volta» – declama una melodrammatica Gilda, portandosi il dorso della mano alla fronte.

I pigmei non credono ai proprio occhi. Una gigantessa con stivali di pelle, un buffo costume ed un roditore scuoiato in testa sta trascinando qualcosa con un sottile cordino di cuoio. Dalla cintura della gigantessa  pende una zucca vuota con cui gli uomini del piccolo popolo sogliono coprire e proteggere le pudenda. Un’occhiata più attenta al sacco informe che viene trascinato suscita un moto di orrore nei suggestionabili primitivi: Gnugnu! Del guerriero vigoroso del giorno prima non è rimasto che l’involucro esterno, pelle avvizzita e cadente, un relitto umano con gli occhi fuori dalle orbite, che muove convulsamente le mani davanti a se, singhiozza e grida “agnagna! agnagna!” che come tutti sanno nel linguaggio pigmeo significa “basta! basta!” . Maleficio! Timorosi i pigmei rinculano, non bene come lo farebbe James ma decentemente.
La gigantessa scioglie la zucca, e la getta ai piedi dei terrorizzati indigeni. Il metro e ottantadue di Olena più tacchi sovrasta gli annichiliti tappetti.
«Finuocchietti!» – li apostrofa sprezzante
«Inginocchiate voi di fruonte a me!» – e per meglio convincerli lancia Gnugnu o quel che ne resta ad una decina di metri di distanza.
I pigmei, convinti, si prostrano.
Olena alza il volto al cielo, ed un raggio di sole si riflette nei suoi occhi azzurri andando a colpire la zucca vuota. Un sorriso di trionfo illumina il suo volto.

«Io suono Oliena, vuostro dio!»

 

Evaristo e il cavalier Rana sono la stessa persona? Cosa sono i biscotti di mosto? Che arti ha messo in pratica Olena per soggiogare i pigmei? Lo scopriremo nelle prossime puntate.

COLBA

Natale con Olena (III)

Il laboratorio del cavalier Rana si erge staccato dal corpo della villa, e precisamente nel bel mezzo del boschetto di palme, banani e piante tropicali che il cavaliere ha fatto piantumare nel parco, di fronte ad una riproduzione in scala 1:10 del duomo di Milano.
Per rendere estremamente verosimile l’ambientazione il cavaliere ha scritturato una intera tribù di pigmei antropofagi dalla Repubblica democratica del Congo, che paga in natura con noci di cocco, impasti mal riusciti e sporadicamente con qualche riserva della squadra di curling sudanese.
I pigmei, abilissimi nell’uso della cerbottana e dei randelli in osso, sono anche incaricati della difesa del laboratorio da intrusioni esterne; a seguito di spiacevoli incomprensioni con alcuni fornitori che avevano dimenticato di mostrare il badge è stato loro vietato di rosolare ospiti allo spiedo, limitazione che non ha mancato di creare qualche rimostranza ma che è stata superata concedendo loro di rosicchiare Gamarra e Kily Gonzales¹.

Il laboratorio è schermato dalle onde radio per evitare intercettazioni, e comunica con la villa tramite interfono. E’ questo che trilla con un suono autoritario nel soggiorno della villa, ed è un James più che flemmatico, dal look impreziosito da un braccialettino di argento con perle di acqua dolce che gli cinge il polso destro, che va a rispondere.
«Pronto, casa Rana. Chi parla?» – chiede formalmente con voce baritonale James.
«James, pezzo di coglione, chi vuoi che sia? Si è alzata mia moglie?»
«La signora sta completando la toilette, signore. Devo riferire qualcosa?»
«Svengard è lì in giro?»
«Non lo vedo dall’altro ieri, signore, credo sia andato a piazzare trappole per alci nella tundra. Vuole che esca a cercarlo?»
«No, lascia stare, lo chiamo più tardi con il corno tibetano»
«Come desidera, signore»
«Dì a mia moglie, appena pronta, di fare un salto qua da me»
«Senz’altro signore»
«James?»
«Signore?»
«Togliti quel ridicolo braccialettino. E’ frivolo»
«Provvedo immediatamente, signore»

Chiusa a doppia mandata nella sua camera, dopo aver addormentato la vecchia facendole inalare sevoflurano² , la bella Olena si è posta in ascolto. Il sensibilissimo microfono piazzato nel braccialettino fatto recapitare a James è in grado di captare un sospiro di mosca ad un chilometro di distanza. Olena ascolta e prende nota mentalmente di tutto, specialmente di “pezzo di coglione” (annuisce) e “Svengard” (rabbrividisce), e poi decide di aver sentito abbastanza. E’ ora di passare all’azione, e lo farà quando la Calva Tettuta andrà a trovare il cavaliere.
Ma prima si tratta di neutralizzare quei maledetti pigmei.

Gilda entra raggiante nel soggiorno, dopo aver effettuato l’accurata opera di restauro quotidiana. Indossa una tutina fucsia attillata, costellata di Swaroski, abbinata ad un turbante di seta cangiante.
«La signora è splendida, se posso permettermi» – la saluta James, reprimendo l’invidia
«Grazie James, sei sempre caro. Non sarò un po’, come dire, eccessiva? » – riferendosi più che altro alle pantofoline foderate di pelo di castoro.
«Lei è la sobrietà in persona, signora»
«Sei un birbante adulatore, James. Senti, James caro, mi faresti uno dei tuoi caffè? Sento proprio di averne bisogno» – chiede Gilda, schioccando le labbra.
«Sarà un piacere, signora. E’ giusto stamani arrivata una partita di Kopi Luwak, se lo gradisce»
«Mi hai letto nel pensiero, James, adoro gli escrementi di zibetto»
«Ottimo signora, vado a preparare, con permesso»

James esce rinculando, movimento in cui è maestro, ed appena varcata la soglia del salotto cambia espressione. «All’anima ‘e ci tè stramuert’!» è il benevolo commento. Prende la cornetta del telefono e fa un numero. Dopo pochi squilli risponde una voce nota:
«Bar La tazzina d’Oro, dicaaa!»
«Totò, so’ James. Mandami un solito. Caldo, mi raccomando»
«Oh, sei tu Giemesse! Che gli prepariamo oggi alla tua signora?»
«Oggi cacca di zibetto. E non è la mia signora! Fai il Lavazza lungo, come al solito, che poi gliela condisco io. Caldo, no come ieri che l’ho dovuto scaldare con la fiamma ossidrica!»
«Ok Giemesse, cinque minuti che te lo mando da Alessia»
«Perché da Alessia? Non puoi mandare Salvatore?»
«No che a Salvatore gli fai perdere troppo tempo. E non è ora che impari a preparartelo da solo, ‘sto caffè? Lo dico contro i miei interessi, eh»
«Totò, una pigna di cazzi tuoi te la sai fare? Mandami ‘sto caffè e non rompere le palle»
«Obbedisco! Statte ‘bbuono, Giemesse!»

Cosa vorrà il cavaliere da Gilda? Come farà Olena a penetrare nel laboratorio? Qual è il segreto di James? Lo scopriremo nelle prossime puntate.

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¹ Vecchi giocatori dell’Inter per i quali all’epoca i tifosi chiesero la pena capitale
² Anche se è una precisazione inutile per i lettori, si tratta di un anestetico derivato dall’etere

Natale con Olena (II)

Ringrazio Missiswhite, maestra di bon ton nel blog L’assassino è il maggiordomo per avermi prestato il maggiordomo James e aver partorito la quasi totalità dei personaggi di questa commedia. 

Alle otto e trentasette, ne un secondo prima ne uno dopo, il maggiordomo James entra nella camera della Calva Tettuta tenendo in mano il vassoio della colazione, in mezzo al quale spicca un vasetto in cristallo di Boemia contenente un mazzolino di fiori di campo appena colti.
James è vestito impeccabilmente da maggiordomo, ma ad un occhio attento non sfuggirebbero i calzini a righine colorate facenti l’occhiolino dal di sotto dei pantaloni neri perfettamente stirati.
«La colazione è pronta, signora» – declama il nostro con voce impostata da baritono.
La signora, che ama quei piccoli momenti di piacere mattutino, si stiracchia facendo le fusa.
«Grazie James, sei sempre premuroso, poggia pure qui, sul letto. Che bei fiori! Cosa sono, James caro?»
«Sono nasturzi, signora, arrivati or ora dalla Patagonia. Sono ancora bagnati di rugiada.»
«Che meraviglia…» – poi, dopo aver rovesciato il vasetto di cristallo mandandolo in mille pezzi, chiede:  «Mio marito è già alzato, James?»
«Il signore è nel laboratorio dalle sette, signora, mi ha dato disposizioni per il pranzo.»
«Ottimo James, più tardi glielo porterò di persona»

Perché proprio alle otto e trentasette, ne un secondo prima ne uno dopo, vi chiederete? Perché quello è  il momento esatto in cui la Calva Tettuta e il cavalier Rana si erano conosciuti, venti anni prima.
Gilda Quacquarini, ventiduenne di Serrapetrona, provincia di Macerata, bellezza compressa in un metro e sessanta di altezza su cui spiccavano una chioma di capelli fulvi ed un seno della quinta abbondante, brillava nel suo paese per modestia e verecondia.
La ragazza, come tutte le mattine, si era recata al torrente Cesolone per lavare i panni, giacché a Serrapetrona la civiltà tardava ad arrivare. Era mattina ma l’aria già calda perciò la ragazza, come in uso da quelle parti dove l’acqua corrente nelle case è a tutt’oggi sconosciuta, si spogliò e si immerse nell’acqua fresca del torrente.
Il non ancora cavalier Rana si aggirava nei dintorni in cerca di bottiglie di Vernaccia da portare nel suo laboratorio, in quel momento situato in uno scantinato di Casalpusterlengo, per sperimentare incroci per i suoi impasti. Ne aveva in mente uno Vernaccia-Ciauscolo-Olive Ascolane, a cui aggiungere magari del pecorino fresco, che la sua mente fervida aveva già ribattezzato “verciaulano” al quale era sicuro avrebbe arriso il successo quando, uscendo dalla radura con due bisacce ripiene di quel ben di Dio, ebbe la visione di Gilda che usciva trionfante dalle acque, con il seno tonificato dal contatto con l’acqua fredda, e le bisacce gli caddero ai piedi, così come la mascella.
La timorosa fanciulla si affrettò a coprire le bellezze con  le due mani disponibili ma esse trabordavano; Rana, folgorato, si avvicinò come in trance e riuscì solo a dire:
«Signorina, io vi amo. Volete sposarmi?»
«Quasci quasci», disse tra sé e sé la pudica Gilda, anche perché non è di tutti i giorni trovarsi di fronte  un rigonfiamento così prepotente, «tanto che c’agghio da pèrde?»

«James caro, cos’è questo rumore che si sente?»
«No, niente, sono i ragazzi dell’Inter che stanno giocando a palla in cortile. Le arrecano noia, signora?»
«Ho un leggero mal di testa, potresti fare in modo che limitino gli schiamazzi, James caro?»
«Senz’altro, signora.»
James lascia la stanza con un piccolo inchino e si avvia verso la stanza della nonna Pina, dove Olena sta intrattenendo la vegliarda catatonica con la lettura del Capitale di Karl Marx in tedesco. Bussa delicatamente alla porta.
«Cosa tu vuoi, piezzo di invertebrato»
«Natascia, ci sarebbe da fare il solito lavoretto»
«Non puoi tu fare da te, pallemuoscie? E poi io chiamare Oliena, quante volte devo dire»
«Olena, Natascia, non sta’ a guarda’ il capello. Allora lo fai o no ‘sto lavoretto, o devo chiamare Svengard?»

Al sentire il nome di Svengard la pallida Olena impallidisce ancor più, il ricordo dell’unico uomo che non è riuscita a soggiogare la tormenta ancora. Respira profondamente resistendo all’impulso di conficcare il setto nasale del maggiordomo dentro al portacenere di ametista.
«Non c’è bisogno di Svengart. Io piensa da me.»
«Ok ma sbrigati che la signora ha mal di testa» – dice con un sorrisetto di trionfo il maggiordomo, dal cui taschino è spuntata una pochette Dolce&Gabbana.

Rimasta sola, a parte la vecchia imbalsamata, Olena estrae dal cassetto del comò una valigetta, la apre e ne estrae i pezzi del suo vecchio fucile di precisione, un SVD Dragunov. Lo monta con delicatezza, con affetto, una lacrima le inumidisce il ciglio scorrendo con le dita le tacche scolpite sul calcio; poi scavalca il letto e si posiziona alla finestra, puntando alla testa di Recoba; un lampo di gioia le illumina il bel volto. Poi con un sospiro di rincrescimento cambia bersaglio, tira il grilletto e il pallone di cuoio esplode. Sta per rimettere a posto l’arma, quando dal letto si sente un rumore sordo, seguito da una voce gracchiante:
«Aahh… la padella… che ve pijasse un colpo… la padella…»

«Fottuti capitalisti» – pensa Olena, infilandosi i guanti di plastica.

Perché mai la fulva Gilda è ora chiamata Calva Tettuta? Come ha potuto Svengard resistere a Olena? Che ci fa tutto il giorno il cavalier Rana nel suo laboratorio? Lo scopriremo nelle prossime puntate.

Palazzo-Pretorio-119

Recensioni incoraggianti alla prima di “Natale con Olena”! Di seguito un piccolo stralcio:
“Finalmente si ride senza se e senza ma, alla faccia della sinistra buonista che vorrebbe ammannirci sdolcinati filmetti natalizi a base di immigrati palestinesi” (Il manganello)
“Una commedia di costume sul dramma degli intellettuali costretti dalla caduta del muro ad elemosinare un tozzo di pane pulendo il culo ai vecchi capitalisti” (Il sol dell’avvenir)

 

Natale con Olena (I)

Cos’è il Natale senza cinepanettone? Vi sentite orfani della coppia Boldi-De Sica? Ho pensato a voi! Scordatevi il giomag serioso, saggio e colto. Per qualche settimana solo pernacchie e rumori intestinali! Buon divertimento

Sono le sei del mattino nella villa del cavalier Rana.
La bella Olena, statuaria, 182 centimetri di altezza a cui aggiungere i dieci centimetri di tacchi degli stivali di pelle che le fasciano i polpacci ed arrivano fino alle ginocchia e che toglie solo per fare il bagno, occhi blu e sguardo glaciale sotto il caschetto di capelli biondi, avanza circospetta tenendo in mano un recipiente non identificato.
Olena, siberiana di Novosibirsk, è laureata in astrofisica, più volte campionessa del mondo di scacchi, conosce tutte le arti marziali e parla correntemente sette lingue, con una leggerissima inflessione russa. Il Kgb, intuendone le capacità, l’ha ingaggiata fin dall’asilo infantile e l’ha trasformata in una macchina per uccidere: con la pistola è capace di centrare un uomo tra gli occhi a 100 metri di distanza e senza prendere la mira ed è addestrata per estorcere confessioni a traditori e spie nemiche, seducendoli e riducendoli a schiavi sessuali.
Nell’armadio ha una foto di Putin in kimono da judo con dedica, nel cassetto una Tokarev-TT33 ed un sogno: che la gloriosa unione delle repubbliche socialiste sovietiche ritorni in vita.

Sta attraversando il corridoio quando una delle porte si apre e ne esce un uomo, sui trentacinque anni, capelli e barba neri, piacente nel suo genere ma con un incongruo pigiamino a pois con stampato un papillon che indossa sopra una calzamaglia fucsia.

E’ James, il maggiordomo di casa.

«Ah, sei tu, avevo sentito un rumore. Non potresti fare più piano, che svegli i signori? Ma cos’hai in mano?» – poi guardando attentamento prorompe in un gridolino: «Oddio, la padella della vecchia!» – e dopo un sorrisetto di compatimento: «Come l’ha fatta stamattina, molle come al solito?»

Con la mascella che le si contrae solo per un secondo, la bella Olena risponde con stile alla provocazione, e quasi senza muovere le labbra sibila un avvertimento che un uomo accorto non dovrebbe ignorare:
«Togli te da mia strada, fruocietto” – al che James, mostrando di essere in possesso di notevole coraggio ma di scarso buon senso, ribatte: «Sei politicamente scorretta! Non si dice “fruocietto”, casomai si dice “gay”! Brutta zoccola!»
«Finuocchio!”

E dopo questo scambio affettuoso di saluti, che si ripete più o meno tutte le mattine da circa due anni, da quando cioè Olena è stata assunta come badante di nonna Pina, mamma ultracentenaria ed incontinente del cavalier Rana, Olena dicevamo può andare in bagno a vuotare la padella.

Nella villa del cavalier Rana, un vecchio podere colonico nel bel mezzo della Brianza trasformato in castello del Devonshire e consistente in 326 stanze, un laboratorio per la sperimentazione dei ripieni e un campo privato da curling, sport di cui il cavaliere è tifoso e praticante, abitano oltre ai due anzi ai tre che abbiamo già conosciuto altri personaggi, qualcuno di qualche interesse per la nostra storia e qualcun altro assolutamente inutile:

  • Il cavalier Rana e sua moglie, la Calva Tettuta;
  • Svengard, boscaiolo vichingo che parla solo in norreno;
  • Titolari e riserve dell’Inter del 2005, compresi massaggiatori e raccattapalle;
  • La nazionale sudanese di curling;
  • Christian De Sica.

Cosa ha portato la glaciale Olena nel bel mezzo della Brianza? Che diavolo è il norreno? Lo scopriremo nelle prossime puntate.   

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