Nel 1972, quando in Italia esistevano solo due canali televisivi ed in bianco e nero, la qual cosa nonostante possa scandalizzare qualche cultore delle libertà attuali non ci ha oppresso più di tanto, ne tantomeno resi daltonici, Rete Uno cioè la rete ammiraglia trasmise uno splendido sceneggiato a puntate: A come Andromeda. Se a quei tempi avessero proposto un programma come quello degli odierni pacchi i dirigenti non sarebbero stati solamente licenziati come successo a quel poveretto che per eccesso di zelo ha anticipato il conteggio alla rovescia per il brindisi dello scorso capodanno, ma avrebbero rischiato la lapidazione: con tutte le censure e prudenze del caso, la Rai informava e faceva cultura con fior fiore di autori ed interpreti.
In questo sceneggiato una cultura aliena si metteva in contatto con l’umanità e forniva i piani per la costruzione di un supercalcolatore e successivamente di un programma: questo programma, collegando il computer alle necessarie macchine, ed associando i necessari elementi chimici, avrebbe permesso di creare la nuova vita perfetta: Andromeda, appunto.
Il paese era in evoluzione: da due anni il parlamento aveva stabilito che anche in Italia si potesse divorziare senza dover ricorrere necessariamente a maniere drastiche; due anni dopo il popolo rigettò il tentativo di abrogare la legge tramite referendum. Per dire che, quando si parla sbrigativamente degli anni settanta come anni di piombo o anni bui, prima ci si dovrebbe sciacquare un tantino la bocca. Pensate ai vostri pacchi.
Quando si parla di diritti, sono abituato a pensare al diritto al lavoro, ad una scuola che ponga tutti sullo stesso livello di partenza e fornisca una istruzione adeguata, ad una sanità efficiente ed alla portata di tutti; ad una casa dignitosa e ad una vecchiaia serena. I grandi partiti popolari del dopoguerra, la DC, il PCI, il PSI, pur divisi dalle ideologie alla fine non la pensavano troppo diversamente su questi argomenti.
Oggi apprendo che il segretario di uno dei maggiori partitini di sinistra ha coronato il suo sogno di maternità facendosi fabbricare un bambino da una donna indonesiana con passaporto americano, stante l’attuale limitazione tecnica che impedisce a due persone dello stesso sesso di accoppiarsi a scopo riproduttivo. Non ho dubbi che si tratti di un impedimento solo temporaneo: ho già visto pecore clonate, presidenti neri e papi dimissionari, questa mi sembra una bazzecola.
Mi da però fastidio, e devo ribadirlo a costo di sembrare ripetitivo, l’ipocrisia: per edulcorare il concetto non viene utilizzato il nome che ben definirebbe questo contratto, che è utero in affitto (pagato anche bene, a quanto pare), ma l’asettico maternità surrogata. Siccome sono figlio di lavoratori, e preferisco i comunisti che mangiavano i bambini a quelli che li comprano, mi dissocio da queste narrazioni fricchettone.
Chi sei tu, chiedeva una battagliera collega, per giudicare due persone che si vogliono bene e desiderano un figlio, se trovano una donna adulta e consenziente che questo figlio, anche se non proprio disinteressatamente, sia disposta a procrearglielo? Lungi da me criticare due persone, di qualsiasi sesso siano, loro si adulte e consenzienti, che si vogliano bene: ma non abbiatevene a male se non riesco ancora a concepire la pratica del vendere e comprare figli come un diritto.
(87. continua)