Gilda, affondata tra i cuscini del grande divano Marcantonio Cacopardo, realizzato completamente a mano dagli abili artigiani di Fossombrone, nel metaurense, dorme di gusto con l’ultimo libro del suo autore preferito, il filosofo-naturalista Augusto Propoli: “Scopri le opportunità del lockdown con le erbe di mellifrace”, appoggiato sul delicato nasino. Proprio nel momento in cui un aitante ricercatore le sta abbassando le mutandine per iniettarle il vaccino fino a quel momento testato solo su suprematisti bergamaschi e terrapiattisti, esperimento al quale si è sottoposta esclusivamente per amore della scienza, un rumore proveniente da un angolo del soggiorno la riporta alla realtà. Stropicciandosi gli occhi mette a fuoco la trista figura che, con lamenti e stridor di denti, avanza verso di lei, e sente i peletti degli avambracci, sebbene recentemente depilati, rizzarsi.
«Aahh!» strilla la Calva Tettuta «Evaristo! Ancora tu! Anche di pomeriggio adesso vieni a rompere le scatole? Ma tu non sei un fantasma, sei uno stalker! James! James!! Dove hai messo lo spruzzino con l’acquasanta? Dove si è cacciato quel benedetto uomo? Tu stai lì, che stavolta ti sistemo per le feste» lo minaccia Gilda, cercando il nebulizzatore usato solitamente per irrorare il ficus benjamin. Lo spettro si arresta un attimo, ben conoscendo il caratterino della sua vedova, ma poi preso coraggio allarga il tabarro e punta contro la sua ex-moglie un dito scheletrico:
«Te l’avevo detto di lasciar stare l’Argentina! Ma tu no, testarda, come quando mi hai rotto le scatole per produrre l’impasto fave e pecorino, una boiata pazzesca che mi è costata pure un sacco di soldi!» sbotta il defunto.
«Fave e pecorino era la morte sua!» protesta Gilda.
«E se non è piaciuto è solo perché quel genio del tuo direttore Toshiro Laganà, che il Signore l’abbia in Gloria _ a proposito, non è che da un momento all’altro ricompare pure lui? No, perché avvisalo che io gli sparo, morto o non morto _ ci ha voluto aggiungere per forza la sapa¹, che non c’entrava niente. E poi, il marketing! “Tortellino Favino”, ma ti pare un nome da dare, e la colpa sarebbe la mia! Ma comunque che diavolo vuoi, non sarai venuto a rinfacciarmi fave e pecorino spero. Su, torna nel tuo loculo, che non ho tempo da perdere!»
«Me ne vado, sì, ma ti lascio con il tuo rimorso!» annuncia teatralmente Evaristo con voce grave, prima di riavvolgersi nel tabarro e sparire.
«Nel rimorso? Per le fave e pecorino? Ma di che accidente va cianciando quel deficiente? Ma insomma, possibile che debba averlo ancora tra i piedi, mi pare proprio inaccettabile. Non si era detto “finché morte non vi separi”? Dovrò parlarne con il curato. Anzi, quasi quasi lo sento subito. James?» chiama la Calva Tettuta, risoluta.
E’ un maggiordomo pensieroso quello che varca la soglia del soggiorno reggendo un vassoio con sopra un cellulare.
«Oh, James, mi hai letto nel pensiero, mi serviva giusto il telefono. Ma che hai caro, ti senti male? » chiede Gilda, preoccupata dal pallore del butler.
«Ehm, signora…» risponde imbarazzato James
«Ha appena chiamato il console italiano a Buenos Aires»
«Il console… e che diamine vuole, anche lui?»
«La linea era disturbata, ma il console si diceva desolato per l’incidente»
«Incidente? Quale incidente? Ma che è successo, uno scontro d’auto? E’ rimasto ferito qualcuno?» chiede concitata Gilda.
«Purtroppo, signora, pare che uno scontro ci sia stato, ma non di auto. La signora Pina…»
A Tres Lomas è calata la notte. Sdraiati alla sommità della collinetta che lo sovrasta, Olena e Osvaldo osservano con i visori notturni il movimento delle guardie all’esterno dell’edificio. Olena controlla ancora una volta l’equipaggiamento, con calma. Osvaldo la osserva con ammirazione e preoccupazione poi, sottovoce, constata:
«Capitano, siamo solo in due, e lì dentro saranno una ventina… se mi concede un paio di giorni, posso recuperare una squadra di uomini fidati…»
«Niet, Osvaldo, non c’è tempo. Li abbiamo scoperti, e domani al massimo faranno sparire tutto, e noi invece dobbiamo scoprire cosa tengono lì dentro»
«Capitano, loro sanno che siamo qua fuori. Ci staranno aspettando…» fa notare rispettosamente il compagno d’armi. Olena si alza un attimo e si avvicina per guardarlo bene in faccia.
«Osvaldo, se non ti conoscessi penserei quasi che tu abbia paura. Ne abbiamo passate di peggio, o sbaglio? Concentrati, tutto quello che devi fare è tenere d’occhio le finestre e sparare a qualsiasi cosa si muova. Io scenderò senza farmi vedere e piazzerò il C4 alla recinzione, quando questa salterà neutralizzerò le guardie, tu allora lancia un paio di razzi sul portone blindato e continua a proteggermi le spalle. Quando ti farò segno, raggiungimi»
«E’ troppo rischioso, capitano…» dice Osvaldo, prima di trovarsi la bocca tappata dalla russa, che gli infila la lingua fino in gola. Dopo qualche secondo, Olena si stacca, e mette le mani tra i capelli dell’uomo.
«Continuiamo dopo, hombre…»
Rialzatasi, si sistema alla schiena lo zaino con l’esplosivo, stringe il cinturone con le pistole, controlla la bandoliera con le munizioni per la mitragliatrice, si cala il portamontagna in faccia e fa il primo passo verso il deposito, un attimo prima di essere colpita alla nuca dal calcio di un fucile e cadere in terra, svenuta.

¹ Mosto cotto, condimento tradizionale delle Marche che l’Autore ad essere sinceri non ha mai visto in vita sua, che si dovrebbe usare al posto dell’aceto balsamico.