Olena à Paris – 22

Gilda, affondata tra i cuscini del grande divano Marcantonio Cacopardo, realizzato completamente a mano dagli abili artigiani di Fossombrone, nel metaurense, dorme di gusto con l’ultimo libro del suo autore preferito, il filosofo-naturalista Augusto Propoli: “Scopri le opportunità del lockdown con le erbe di mellifrace”,  appoggiato sul delicato nasino. Proprio nel momento in cui un aitante ricercatore le sta abbassando le mutandine per iniettarle il vaccino fino a quel momento testato solo su suprematisti bergamaschi e terrapiattisti, esperimento al quale si è sottoposta esclusivamente per amore della scienza, un rumore proveniente da un angolo del soggiorno la riporta alla realtà. Stropicciandosi gli occhi mette a fuoco la trista figura che, con lamenti e stridor di denti, avanza verso di lei, e sente i peletti degli avambracci, sebbene recentemente depilati, rizzarsi.

«Aahh!» strilla la Calva Tettuta «Evaristo! Ancora tu! Anche di pomeriggio adesso vieni a rompere le scatole? Ma tu non sei un fantasma, sei uno stalker! James! James!! Dove hai messo lo spruzzino con l’acquasanta? Dove si è cacciato quel benedetto uomo? Tu stai lì, che stavolta ti sistemo per le feste» lo minaccia Gilda, cercando il nebulizzatore usato solitamente per irrorare il ficus benjamin. Lo spettro si arresta un attimo, ben conoscendo il caratterino della sua vedova, ma poi preso coraggio allarga il tabarro e punta contro la sua ex-moglie un dito scheletrico:
«Te l’avevo detto di lasciar stare l’Argentina! Ma tu no, testarda, come quando mi hai rotto le scatole per produrre l’impasto fave e pecorino, una boiata pazzesca che mi è costata pure un sacco di soldi!» sbotta il defunto.
«Fave e pecorino era la morte sua!» protesta Gilda.
«E se non è piaciuto è solo perché quel genio del tuo direttore Toshiro Laganà, che il Signore l’abbia in Gloria _ a proposito, non è che da un momento all’altro ricompare pure lui? No, perché avvisalo che io gli sparo, morto o non morto _ ci ha voluto aggiungere per forza la sapa¹, che non c’entrava niente. E poi, il marketing! “Tortellino Favino”, ma ti pare un nome da dare, e la colpa sarebbe la mia! Ma comunque che diavolo vuoi, non sarai venuto a rinfacciarmi fave e pecorino spero. Su, torna nel tuo loculo, che non ho tempo da perdere!»
«Me ne vado, sì, ma ti lascio con il tuo rimorso!» annuncia teatralmente Evaristo con voce grave, prima di riavvolgersi nel tabarro e sparire.
«Nel rimorso? Per le fave e pecorino? Ma di che accidente va cianciando quel deficiente? Ma insomma, possibile che debba averlo ancora tra i piedi, mi pare proprio inaccettabile. Non si era detto “finché morte non vi separi”? Dovrò parlarne con il curato. Anzi, quasi quasi lo sento subito. James?» chiama la Calva Tettuta, risoluta.

E’ un maggiordomo pensieroso quello che varca  la soglia del soggiorno reggendo un vassoio con sopra un cellulare.
«Oh, James, mi hai letto nel pensiero, mi serviva giusto il telefono. Ma che hai caro, ti senti male? » chiede Gilda, preoccupata dal pallore del butler.
«Ehm, signora…» risponde imbarazzato James
«Ha appena chiamato il console italiano a Buenos Aires»
«Il console… e che diamine vuole, anche lui?»
«La linea era disturbata, ma il console si diceva desolato per l’incidente»
«Incidente? Quale incidente? Ma che è successo, uno scontro d’auto? E’ rimasto ferito qualcuno?» chiede concitata Gilda.
«Purtroppo, signora, pare che uno scontro ci sia stato, ma non di auto. La signora Pina…»

A Tres Lomas è calata la notte. Sdraiati alla sommità della collinetta che lo sovrasta, Olena e Osvaldo osservano con i visori notturni il movimento delle guardie all’esterno dell’edificio. Olena controlla ancora una volta l’equipaggiamento, con calma. Osvaldo la osserva con ammirazione e preoccupazione poi, sottovoce, constata:
«Capitano, siamo solo in due, e lì dentro saranno una ventina… se mi concede un paio di giorni, posso recuperare una squadra di uomini fidati…»
«Niet, Osvaldo, non c’è tempo. Li abbiamo scoperti, e domani al massimo faranno sparire tutto, e noi invece dobbiamo scoprire cosa tengono lì dentro»
«Capitano, loro sanno che siamo qua fuori. Ci staranno aspettando…» fa notare rispettosamente il compagno d’armi. Olena si alza un attimo e si avvicina per guardarlo bene in faccia.
«Osvaldo, se non ti conoscessi penserei quasi che tu abbia paura. Ne abbiamo passate di peggio, o sbaglio? Concentrati, tutto quello che devi fare è tenere d’occhio le finestre e sparare a qualsiasi cosa si muova. Io scenderò senza farmi vedere e piazzerò il C4 alla recinzione, quando questa salterà neutralizzerò le guardie, tu allora lancia un paio di razzi sul portone blindato e continua a proteggermi le spalle. Quando ti farò segno, raggiungimi»
«E’ troppo rischioso, capitano…» dice Osvaldo, prima di trovarsi la bocca tappata dalla russa, che gli infila la lingua fino in gola. Dopo qualche secondo, Olena si stacca, e mette le mani tra i capelli dell’uomo.
«Continuiamo dopo, hombre…» Rialzatasi, si sistema alla schiena lo zaino con l’esplosivo, stringe il cinturone con le pistole, controlla la bandoliera con le munizioni per la mitragliatrice, si cala il portamontagna in faccia e fa il primo passo verso il deposito, un attimo prima di essere colpita alla nuca dal calcio di un fucile e cadere in terra, svenuta.



¹ Mosto cotto, condimento tradizionale delle Marche che l’Autore ad essere sinceri non ha mai visto in vita sua, che si dovrebbe usare al posto dell’aceto balsamico.

Cultura a secchiate! (II)

Secondo weekend delle Giornate FAI d’Autunno; i luoghi che visitiamo, meno spettacolari rispetto a quelli della scorsa settimana ma non meno interessanti, si trovano stavolta non “sul” ma “tra” i due rami del lago. Saprete tutti che il Lago di Como _ o Lario _ ha la forma di ypsilon rovesciata, o bastone da rabdomante se preferite,  e che il ramo cantato da Manzoni non è quello di Como ma bensì di Lecco, che ha dato anche i natali a Formigoni se proprio vogliamo trovargli altri demeriti; il territorio compreso nella V rovesciata si chiama Triangolo Lariano,  ed è nella parte meridionale di questo triangolo che i due paesi, Erba e Caslino d’Erba, si trovano. Erba anzi, per essere precisi, è già in Brianza, la parte più operosa del paese e dell’intero mondo se non dell’Universo, a parte forse qualche ristretta zona della Cina; Caslino invece è a pochi chilometri ma già più verso le Prealpi.

A proposito di vicende tristi, Erba è balzata agli onori () delle cronache, qualche anno fa, per la vicenda di Olindo e Rosa, i coniugi che, sembra esasperati dalle intemperanze dei vicini, hanno ordito e realizzato una strage; non oso pensare cosa avrebbero combinato in questi periodi di lockdown e coprifuoco, dove la gente va via di testa per molto meno…

Anche stavolta abbiamo prenotato on-line; insieme a due coppie di nostri amici ci eravamo riservato il pomeriggio della domenica, dato che i posti sono poco distanti; siamo partiti ciascuno con la propria auto,  galvanizzati dall’ulteriore annuncio del premier Conte di ulteriori strette e privazioni. Abbiamo pensato fosse meglio non andare a cercarsi il freddo per il letto, come  dicevano i miei colleghi quando abitavo a Parma…

Martirio di Santa Eufemia di Calcedonia

 La prima tappa è stata ad Erba, dove la visita prevedeva la Chiesa di Santa Eufemia ed il Borgo medievale di Villincino. La Chiesa ha una storia lunghissima, fu infatti fondata dal Vescovo Abbondio (ora Sant’Abbondio, a Como c’è una chiesa a lui dedicata, forse uno dei più begli esempi di romanico in Italia) che, di ritorno dal Concilio di Calcedonia (niente a che fare con le calze, lì si trattava di definire la natura del Cristo, di stabilire l’ortodossia, mica ciufole) portò il culto di Sant’Eufemia, questa giovinetta martirizzata per non aver abiurato alla fede; eravamo nel 451, poco prima del crollo dell’Impero Romano di Occidente, crollo che portò la Chiesa come unica istituzione rimasta prima a surrogare e poi ad assumere poteri civili, che mantenne poi per secoli alla faccia del “date a Cesare…”. Interessante il racconto del Battistero, che si trovava sul sagrato perché in origine solo i battezzati potevano entrare in chiesa, e della costruzione della torre in funzione sia difensiva che di comunicazione con altre torri distanti, con sistemi acustici (campane) o visivi (bandiere, fuochi) a seconda del tempo e del messaggio da trasmettere.

A pochi passi la Piazza del Mercato è la stessa dove si svolgeva il mercato nell’antichità; ora c’è una trattoria gestita da ragazzi che propone piatti della tradizione come ad esempio cassoeula, trippa (qui nella versione busecca, una sorta di brodaglia che non mi piace molto), salame d’oca, eccetera. Attraversato il mercato, a un centinaio di metri si arriva al Borgo di Villincino, a cui si accede attraversando il portone dell’antico castello; si tratta di un gruppo di case di origine medievale radunate appunto a quello che era il castello di tali Carpani, dei signorotti che avevano fatto fortuna con il carbone; una associazione, La Martesana, cerca di valorizzare questi luoghi, tenuti peraltro molto bene, con feste ed eventi quest’anno sfortunatamente proibiti. Nel Borgo pare abitassero un centinaio di persone, tra cui una strega (o almeno, sono stati trovati documenti relativi ad un processo in tal senso di cui però non si conosce l’esito, anche se dubito che le abbiano concesso le circostanze attenuanti). Una curiosità su questi Carpani: come sapete, per togliersele dai piedi  si usava mandare le figlie non sposate in convento, ma il pietoso Carpani per non averle troppo lontane fece costruire un convento a pochi passi da casa, di cui naturalmente sua figlia era la Badessa: verrebbe da chiedersi, con vocazioni così spontanee, quante fossero all’epoca le Monache di Monza…

La visite avrebbero dovuto essere guidate dagli alunni di una classe di uno dei Licei della cittadina, purtroppo però una delle ragazze è risultata positiva al Covid e così tutta la classe è stata ritirata; i giovani volontari FAI comunque si sono rimboccati le maniche e li hanno sostituiti egregiamente. Uno di loro per la cronaca è mio figlio e sono contento di constatare che i soldi spesi per farlo studiare non sono stati stati buttati…

Alla fine della visita del borghetto ci siamo resi conto che non ce l’avremmo fatta ad arrivare in tempo a Caslino d’Erba per la prima delle due visite previste, quella all’Oratorio di San Gregorio; abbiamo allora deciso di rinunciarci puntando a quella più prestigiosa, al palazzo Pecori, e ci siamo rifocillati nella trattoria di cui vi dicevo sopra, con tavoli separati per evitare assembramenti: donne da una parte, con tè, caffè e dolcetti e uomini dall’altra, con birra e ginseng corroborante.

Oratorio di San Gregorio – Caslino d’Erba

Ritemprati ci rechiamo quindi a Caslino d’Erba, parcheggiando appena fuori del paese perché il centro è fatto di viuzze strette dove ogni tanto si incastrano delle auto, e proprio pochi giorni fa non si sa come addirittura un camion, tradito dal navigatore Gps, ci si è andato ad infognare e per uscire ci ha messo del bello e del buono, danneggiando peraltro un paio di macchine lì parcheggiate.

La visita riguardava Palazzo Pecori, per la prima volta aperto al pubblico; la storia risale al tempo degli Sforza e Visconti, forse addirittura prima dato che nei pressi è stata trovata una fornace di origine romana; comunque dopo varie vicissitudini è arrivato fino ai giorni nostri finché gli eredi degli ultimi proprietari, appunto i Pecori originari di Firenze, l’hanno ceduto al Comune di Caslino d’Erba nudo e crudo, infatti i mobili e gli arredi di qualche valore se li sono portati via tutti… L’edificio ha di certo conosciuto giorni migliori ed ha bisogno di restauri pesanti; di notevole bellezza sono degli affreschi risalenti al settecento, di cui però non ho testimonianze fotografiche che ne rendano l’idea perché la visita è iniziata alle 17, e a causa del cambiamento d’orario eravamo già al buio; al piano affrescato non c’era la corrente elettrica per cui ci siamo dovuti arrangiare con torce elettriche e telefonini.

Due figure spiccano tra i vari proprietari succedutisi: Teresa Carini Castelletti, una donna austera che all’inizio dell’ottocento si dice fosse una specie di sindachessa del paese, a lei si rivolgevano infatti i paesani per dirimere liti o controversie; ed il cavaliere Enrico Pecori, che sposò una delle bisnipoti di Teresa diventando il padrone del palazzo, e che nel 1891 inventò il triciclo a vapore con il quale se ne andava tutti i giorni da Caslino d’Erba a Como, dove aveva un laboratorio di oreficeria. Incuriosito, appena tornato a casa sono andato a consultare la mia “Storia dell’Automobile”, un bellissimo libro che mi venne regalato in quinta elementare come borsa di studio insieme ad una cartella in pelle, e che conservo come una reliquia: si, Pecori c’è, peccato che poco dopo i motori a scoppio presero il sopravvento e per il suo triciclo non ci fu più spazio…

Amiche e amici, temo che per qualche tempo queste visite ce le sogneremo, cerchiamo di stupirci, di gioire e di godere comunque di quello che abbiamo intorno che, come diceva Eduardo, à dda passà ‘a nuttata…

Interessante ritrovamento in cantina

Coprifuoco!

Cronachette della fase tre (13-21 ottobre)

A parte le giornate del Fai, di cui vi ho parlato, gli avvenimenti principali della settimana passata in ordine di importanza sono stati:

  1. il mio compleanno. L’età la potete dedurre facilmente, comunque in questo momento quella percepita è nettamente superiore a quella anagrafica, anche se quest’ultima inizia ad essere ragguardevole: i festeggiamenti sono stati decisamente sotto tono, il regalo me lo sono dovuto fare da solo, una bottiglia di whisky torbato invecchiato 12 anni, e anche il dolce me lo sono comprato da solo giacché i miei congiunti si sono scordati la ricorrenza. Non nutro rancore, ma la mia bottiglia non gliela farò toccare!
  2. mio fratello è risultato positivo al Covid e quindi è in quarantena. L’ha preso in una forma fortunatamente leggera, due giorni di febbre nemmeno altissima (massimo 37,7), dolori alle ossa, spossatezza, insomma quella che una volta sarebbe stata derubricata ad infreddatura stagionale, ma il protocollo per tornare al lavoro prevedeva il tampone (che ha dovuto fare privatamente e su questo avrei qualcosa da dire sia al ministro Speranza che al presidente della regione Marche_ ma le altre regioni non mi pare siano messe meglio _) e questo ha dato la brutta notizia. Quarantena con tutta la famiglia, ed anche per mangiare ci si deve arrangiare: chi non ha parenti o amici caritatevoli, qualcuno che possa andare a fare la spesa, come deve fare? Si fa presto a dire quarantena, ma che servizi di assistenza sono stati predisposti? Tra l’altro si accentua la tendenza a concentrare tutte le risorse sul Covid abbandonando alla loro sorte gli altri malati, con esami rimandati alle calende greche e ricoveri programmati disdetti: quelli che moriranno “normalmente” saranno da considerare effetti collaterali?
  3. il Governo, dopo aver stabilito che in casa propria si potrà desinare con un massimo di sei persone, su richiesta della Regione Lombardia (a cui se ne stanno accodando altre…) ha decretato che da giovedì 22 non si potrà uscire di casa dalle 23 alle 5 di mattina. Il provvedimento è quantomai gradito in quanto mi permetterà di scappare presto dalla cena del sabato dalla suocera, e per le altre sere non è che ultimamente si faccia granché tardi, però c’è un però. Mio fratello, ad esempio, non è stato contagiato durante la movida, ma al lavoro, e moltissimi sono stati contagiati dai figli che a loro volta non se la sono presa di notte, ma magari sul bus affollato. Ci stanno prendendo in giro? D’estate, quando si doveva stare attenti perché era logico che in autunno la bufera si sarebbe rialzata, non è stato fatto niente: sono stati potenziati i mezzi pubblici? No, anzi si è detto che si poteva passare tranquillamente all’80% di capienza (sempre superati per gli studenti). I soldi dei monopattini non era meglio usarli per i bus scolastici? Per carità, si fa presto a criticare, però questa mi sa tanto di supercazzola, di voler sviare dalle responsabilità… e la Regione Lombardia, che non è stata nemmeno capace di rifornirsi di vaccini per l’influenza, e sui trasporti non ha fatto una cippa ovviamente (tra l’altro sono spariti i finanziamenti per il collegamento con un metro leggere di Como e Varese, ma questa è un’altra storia), ci viene a raccontare che la colpa dell’aumento dei contagi è dei nottambuli? E le strutture per accogliere le persone che dovrebbero stare in isolamento senza impestare anche i familiari, dove sono?
  4. un collaboratore di Bolsonaro è stato trovato con una mazzetta di soldi tra le chiappe. Questo mi ha fatto molto ridere, pare che durante una perquisizione l’uomo non abbia trovato posto migliore di quello per occultare i frutti della sua corruzione, o magari lui sarà abituato a portare in giro i soldi così?
  5. Trump ha detto una cosa che condivido in piedo, ovvero “del Covid la gente non ne può più”. Verissimo, almeno io personalmente non ne posso più; condivido anche l’altra sua affermazione, cioè che se perderà le elezioni dovrà scappare al’estero perché se no lo metteranno in galera: e che ti aspetti, Trumpone, che ti facciano un monumento? Speriamo che se ne scappi in Brasile però, e non venga a trovare l’amico Giuseppi…

Si scherza, eh, amiche e amici… la situazione è grave ma non seria, come diceva Ennio Flaiano: enjoy, finchè si può…

Io insieme a Roger Moore

Cultura a secchiate!

Domenica scorsa, per distrarmi un po’ da contagi, movide, Mes, coprifuochi e tristezze varie,  di cui magari parleremo un’altra volta, sono andato a visitare i beni aperti dal FAI nella mia zona in occasione delle Giornate d’Autunno. La location, come si dice adesso, è stupenda, infatti i posti prescelti si trovano in alto lago di Como e già di per se stessi valgono una visita, non fosse altro che per i panorami che vi si possono godere: si tratta infatti di due paesi sulle rive del lago, Gravedona e Dongo (quest’ultimo tristemente _ si fa per dire _  famoso perché da queste parti fu catturato il Duce dai partigiani mentre fuggiva nascosto in un camion di tedeschi in ritirata e fucilato poco distante, a Giulino di Mezzegra, insieme alla sua amante Claretta Petacci e ad altri gerarchi, da dove vennero poi portati a Milano in Piazzale Loreto ed appesi a testa in giù, nello stesso punto dove i nazifascisti, l’anno prima, avevano fucilato 15 partigiani ed esposto i corpi al vilipendio ed all’oltraggio) e di due paesini arrampicati sulla montagna dietro Gravedona, Peglio e Livo, poco distanti l’uno dall’altro.

L’organizzazione, a cura dei giovani del Fai di Como, è stata impeccabile; gli assembramenti sono stati evitati grazie ad un sistema di prenotazioni che ha limitato sicuramente l’accesso ma ha dato modo a chi ha partecipato di godere molto di più delle visite. Il Fai quest’anno ha perso, a causa delle chiusure imposte dal Covid, ben 11 milioni di euro di contributi di soci e visitatori: e sarebbero andati tutti o quasi al restauro e salvaguardia di beni storici, dunque è proprio una grave perdita…

La visita è iniziata da Peglio, perché la mia strategia era quella di passare la mattinata in alto, mangiare in una qualche trattoria o crotto e poi scendere in basso: avevo sbagliato i conti, amici cari, perché purtroppo ho trovato tutto chiuso (tranne un posto, ovviamente pieno) ed ho capito perché i miei sforzi di due settimane per prenotare nella trattoria Sant’Anna a cui miravo sono stati vani: ha chiuso, e pare per sempre. Anche questa è una grave perdita..

Peccato ci sia un po’ di foschia…

La Chiesa dei SS.Eusebio e Vittore a mio avviso è stupefacente e le assegnerei il primo posto tra i beni visitati. Completamente affrescata, con un sontuoso organo con il quale ancora oggi vengono tenuti concerti, e tanta storia: queste sono zone che hanno visto passare il Barbarossa, dove si è combattuto tra cattolici e protestanti, che alla dominazione milanese ha visto succedere quella spagnola, dove Napoleone ha voluto pure lui dire la sua per non parlare poi degli austriaci: insomma un guazzabuglio di scontri e intrecci religiosi e politici davvero affascinanti, che varrebbe davvero la pena approfondire, ci vorrebbe una puntatina di Alberto Angela… Curioso, e dovrebbe far riflettere, il culto di Santa Rosalia, sì, quella siciliana: infatti questi paesi videro una forte emigrazione di uomini verso Palermo, che partivano per andare a lavorare lasciando a casa mogli e figli (tanto che, mentre nel resto d’Italia a qualcuno che aveva fatto fortuna si diceva “hai trovato l’America”, qua si diceva “hai trovato Palermo”…) e, tornando, portarono con loro il culto della eremita del monte Pellegrino. Ve l’ho raccontato di quando siamo saliti sul monte Pellegrino portati da uno di quegli apecar che trasportano turisti? Che sagoma, non ci si spiccicava più, e voleva perfino farci andare a mangiare da un suo cuggino… ma questa è un’altra storia.

La seconda tappa è a Livo, alla Chiesa di San Giacomo “vecchia”, anche questa un gioiello, più piccola dell’altra, con affreschi forse meno pregiati ma pieni di colori; anche qui si nota l’influsso degli emigranti di ritorno, e accanto alla presenza di Santa Rosalia si nota quella di Sant’Angelo patrono di Licata, oltre alla coloratura degli archi a sesto acuto dipinti a strisce bianche e nere come si possono trovare appunto in diverse chiese siciliane. Il visitatore può divertirsi a contare le Madonne raffigurate: ce ne sono ben ventitré!

Di Livo mi ha colpito il racconto che al momento del massimo fulgore contava duemila anime, ed ora appena duecento, destino comune agli abitati montani in tutt’Italia: chissà, lo smart working potrebbe contribuire al ripopolamento? E se invece di buttare soldi per i monopattini cominciassimo a finanziare gente che si riappropri di questi luoghi e li faccia rivivere invece di rimanere depositi di seconde case quando non ruderi fatiscenti? Senza guardare al colore della pelle, però, perché mi sa che di italiani disposti a stare scomodi ce n’è rimasti pochi…

Godendoci ancora il panorama scendiamo a Gravedona; qui nel cercare parcheggio cerco di imbucarmi in un ricevimento di battesimo (ma non erano limitati a trenta persone?) ma vengo sgamato; andiamo allora sul lungolago e ci fermiamo in un baretto dove, seduti ad un tavolino al sole come turisti nordici ma molto più freddolosi di loro prendiamo una bruschetta ed una pizza, ad un prezzo tutto sommato onesto. La visita qui riguarda Palazzo Gallio ma c’è ben poco da vedere, le sale sono quasi tutte non visitabili, alcune adibite ad uffici della Comunità Montana, il piano di sotto a ristorante, ed in una era in corso un Corso sulla Sicurezza di volontari della protezione Civile. Il pezzo pregiato è la terrazza con una fenomenale vista sul lago, purtroppo c’è un po’ di foschia altrimenti sarebbe stata davvero una visione celestiale. Da regista avrei consigliato ai giovani ciceroni volontari di raccontare qualche storia, ma l’entusiasmo e la buona volontà non sono certo mancati.

La giornata finisce a Dongo, alla Biblioteca Storica del Convento Francescano presso il Santuario della Madonna delle Lacrime. Questa visita, amiche e amici, mi rimarrà impressa nella memoria finché vivrò, e vi spiego perché. Innanzitutto, a differenza delle altre visite dove le presentazioni erano fatte da volontari Fai o da giovani di licei perlopiù ad indirizzo turistico, qui le visite erano guidate dal bibliotecario in persona, che si chiama Alberto ed è un signore di 82 anni. Che non si limita a mostrare la biblioteca, ma racconta la storia del convento e quindi dei francescani, guida nella visita del chiostro e della Chiesa, dove sono presenti due gruppi lignei, la Crocifissione e l’Ultima Cena, davvero notevoli, specialmente quest’ultimo; illustra le targhe più significative del corridoio, quelle che di solito nessuno legge mai e invece, a saperle leggere, raccontano storie interessantissime come quella della famiglia che, quando Napoleone confiscò il convento, lo comprò per poi ridonarlo ai frati quando Napoleone cadde… e infine la Biblioteca, il suo Sancta Sanctorum, dove ci ha parlato delle tecniche di stampa, delle rilegature, del sistema antincendio, ci ha mostrato i libri più antichi, con una competenza ed  una lucidità che mi hanno fatto sentire piccino piccino ed anche, lo confesso, commosso: che ne sarà di tutta la passione che quest’uomo ha incamerato in tutta la sua vita di studio, ma direi di più, di devozione alla sua missione? La visita avrebbe dovuto durare un’ora, ed è durata quasi due: io ci ho visto un’esigenza, da parte di questo uomo, di trasmettere un messaggio, per chi lo vorrà cogliere. Per chi fosse interessato, le visite sono possibili anche senza giornate Fai, bisogna contattare direttamente i responsabili del convento, consiglio di approfittarne finché Alberto sarà disponibile…

Amiche e amici, siamo davvero fortunati a vivere in questo paese, e dell’eredità che ci è stata lasciata da chi ci ha preceduto; un dono che è anche una responsabilità… vi ricordo che sabato e domenica prossima saranno aperti altri siti, al virus piacendo…

Panorama montano dalla chiesa di Livo

Mitico Walter!

Ieri sera apparecchiando la tavola butto un occhio alla televisione, al programma l’Eredità di cui come sapete sono estimatore, e tra i concorrenti ne vedo uno con dei lunghi capelli bianchi sciolti sulle spalle ed una barba curata, e istintivamente mi sono chiesto: ma dove sono andati a prenderlo questo? Quando il bravo Insinna l’ha presentato non ero attento perché stavo tagliando il pane; al giro preliminare gli è toccato di rispondere a: “miti che vivono nell’Olimpo si o no?” tema quanto mai attuale, mi sono detto, e devo dire che tra minotauro, Ercole e Zeus se l’era cavata abbastanza bene ma su Estìa è caduto. Ad essere onesti mi sono chiesto anch’io “ma chi cazzo è ‘sta Estìa?” ed ho iniziato a simpatizzare per il malcapitato. Poi ho finalmente fatto caso al cartellino appeso alla camicia, “Walter”, mi si è accesa la lampadina ed ho esclamato: porca miseria ma è Walter Carrettoni! Mia moglie mi ha guardato sorpresa, chiedendomi chi mai fosse ‘sto Carrettoni e come mai lo conoscessi: era troppo lungo spiegarle che ci conosciamo solo per via dei rispettivi blog, ma forse più di tanti che si conoscono di persona (non è così a volte, amiche e amici?) e così le ho detto che è un collega di lavoro. Ho tifato per lui ed ho apprezzato la calma quasi serafica, si è difeso bene ma alla fine gli è toccato battersi contro un concorrente bravo e già esperto del gioco, nonché apprezzato dalle vallette del programma, pare, anche se a mio parere Walter aveva le physique du rôle e se avesse avuto tempo sarebbe diventato un beniamino del pubblico; purtroppo si è incagliato sulle parole batacchio, calidario e soprattutto tributi, ed è stato eliminato. Che peccato! Per me rimarrai comunque meritevole di risiedere nell’Olimpo con Estìa, al livello di mia zia Emanuelita che chiamava Raffaella Carrà cercando di indovinare il numero di fagioli contenuti nel vaso di vetro, o dei miei amici musicisti che sono andati a litigare per finta a Forum. Mitico!

p.s. il blog di Walter lo trovate qui.

Stato di emergenza!

Cronachette della fase tre (2-12 ottobre)

Autunno, cadono le foglie e aumentano i contagi; il governo proclama lo stato di emergenza fino al 31 gennaio, cosa che temo allontanerà di molto il mio ritorno in ufficio a Milano. Riuscirò a mantenere la salute, più che altro psichica, fino a quel momento? E’ ritornato l’obbligo di indossare la mascherina all’aperto; stamattina devo dire che l’ho indossata volentieri, dato che la temperatura si è abbassata bruscamente e la mascherina fa un po’ un effetto sciarpetta. Indossavo una felpa nera con cappuccio calato in testa, in altri tempi sarei stato guardato con sospetto, ora è guardato con sospetto chi va in giro a viso scoperto…

L’aiuto edicolante volontario, impiegato comunale a Milano, mi consola dicendomi che Sala dovrà fare marcia indietro rispetto ai suoi propositi di far tornare tutti in ufficio, ma si dovrà accontentare del 30% a far niente in ufficio e 70% a far niente a casa (è una battuta, amici impiegati comunali, lungi da me replicare questi luoghi comuni. C’è chi lavora poco e chi lavora meno). Comunque io stamattina non ho fatto niente perché la linea non funziona, quindi non posso certo dare lezioni a chicchessia…

Il nostro Comune in questi giorni si è distinto perché non ha voluto assegnare l’Abbondino d’Oro (una onorificenza che vorrebbe scimmiottare l’Ambrogino d’Oro) alla memoria di don Roberto Malgesini, il prete ucciso pochi giorni fa. Ci sono state grosse polemiche, ma io sinceramente non mi scandalizzo: sarebbe stata una grossa ipocrisia da parte di una Amministrazione che si è distinta proprio per dare addosso a quelli che stavano a cuore a don Roberto, e ancora oggi non è riuscito a stabilire dove fare un dormitorio stabile per i senzatetto, salvo lamentarsi se dormono per strada.

Mio fratello mi informa che il campionato di calcio dei ragazzi in cui giocano i miei nipoti è già stato sospeso dopo la prima giornata, perché in una squadra è stato trovato un positivo. Si annunciano ulteriori strette a tutti gli sport amatoriali di contatto, quindi avremo una generazione di ragazzi al sicuro dal virus ma con il fisico in sfacelo. Tra l’altro, dato che sembra che saranno vietati ritrovi anche in casa con più di dieci persone (e con la mascherina), e ulteriori strette ai luoghi di socializzazione, come faranno i ragazzi a conoscersi, incontrarsi, amoreggiare? Mai come adesso si deve parlare di sesso protetto…

Sabato sera siamo stati a mangiare una pizza in casa di amici, eravamo in otto, mentre domenica siamo stati a mangiare i pizzoccheri da mia suocera, ed eravamo in nove. Siamo ancora dentro i limiti? Sentivo di un matrimonio in Campania con duecento invitati, dove purtroppo si è creato un cluster, ovvero qualcuno era positivo e ne ha contagiati una dozzina, per cui si parla d’ora in poi di matrimoni con al massimo trenta invitati. Un bel risparmio per gli sposi! Però c’è anche il rovescio della medaglia, tanti invitati sono anche tanti regali, e poi si usa ancora il taglio della cravatta? Solo con quello ci si paga un bel pezzo del viaggio di nozze… Poi ci lamentiamo che i giovani non si sposano più!

Il prossimo weekend e quello successivo si terranno le giornate di autunno del Fai, il Fondo Ambiente Italiano, con l’apertura di diversi siti: prenotazioni obbligatorie e gruppi ristretti. Io ho già prenotato, spero che il tempo sia buono e che si riesca anche a farsi una bella mangiata in trattoria. Vi farò sapere.

Amiche e amici, vi auguro una buona settimana, manteniamoci leggeri…  

Olena à Paris – 21

«Juanito, manca ancora molto? Sai com’è, il mio fondoschiena non è più quello di ottant’anni fa, non so se mi spiego. Considera che non cavalcavo così tanto da quando nel ’56 sono stata scritturata per Sentieri Selvaggi, dovevo interpretare la cognata di John Wayne ma all’ultimo momento mi hanno silurato e hanno dato la parte a Dorothy Jordan, una raccomandata. John si arrabbiò molto, anche perché quel filibustiere sperava di portarmi a letto, ma non ci fu niente da fare»
«John Wayne vi ha fatto la corte, donna Pina? Non mi meraviglia, una bellezza come voi…» commenta Juanito, sognante.
«Eccome se mi corteggiò! Era un pezzo d’uomo e ricordo che un pensierino ce lo feci ma Pilar¹, la moglie, era molto gelosa e non mi sarebbe piaciuto tornare a casa senza un pezzo di orecchio. Dopo di allora smisi completamente con il cinema, ormai avevo anche una certa età…»
«Ma se eravate nel fiore degli anni!» protesta l’ottuagenario.
«Eh, caro mio, non era mica come adesso che alle attrici famose fanno fare le ragazzine fino a sessant’anni… cominciavano a propormi parti da madre, da sorella, da vedova, una tristezza. Avevo una immagine da difendere!»
«Capisco, anche se è stato un peccato» si rammarica Juanito. «Comunque ormai siamo quasi arrivati, non preoccupatevi. Dietro quella piccola altura c’è Tres Lomas, le tre colline, anche se dubito che troviate quello che siete venuta a cercare»
«Non capisco questo tuo scetticismo, Juanito. Anche se abbiamo concluso l’affare per la carne, che ci risolve un grande problema e  per il quale ti ringrazio, capirai che non posso tenerti come fornitore esclusivo e poi siamo venuti appositamente dall’Italia per visitare questo nostro allevamento!»
«Ma donna Pina, a Tres Lomas non c’è nessun allevamento! C’è qualche stalla, qualche piccolo podere, ma nessun allevamento di qualche importanza. Devono avervi informata male…»
«Non essere assurdo, Juanito. L’atto di proprietà era tra le carte di mio nipote Evaristo, pace all’anima sua, e oltretutto quel paz… ehm, lasciamo stare, veniva qua un paio di volte l’anno a controllare gli affari, oltre ad approfittarne per andare a caccia con i suoi amici»
«Che possa essere venuto a caccia non lo metto in dubbio, donna Pina» insiste Juanito «anche perché qui di selvaggina ce n’è in abbondanza; tra l’altro poco lontano, a Rivera, c’è la tenuta di quel vostro calciatore, Baggio, un grande appassionato»
«Si, questo lo sapevo, infatti so che ogni tanto andavano a sparare insieme. Peccato che il divin codino non lo abbia usato come bersaglio»
«Come dite, donna Pina?» chiede il vecchio, che non coglie l’ironia.
«Niente, cose di famiglia…» taglia corto nonna Pina, fermandosi poi al segnale di Olena, che li precede di un centinaio di metri insieme a Osvaldo e che è arrivata al limite del rilievo.

«Che succede, Natascia?» chiede la vegliarda attivando il walkie-talkie.
«Babushka, prego mette voi al riparo» ordina Olena.
«Al riparo? E’ una parola, e dove lo troviamo un riparo qui?» chiede nonna Pina, guardandosi intorno sconcertata.
«Voi tuorna indietro fino primo gruppo di case, e aspetta» continua la siberiana, con una voce che appare preoccupata.
«Fino al primo gruppo… ma sono chilometri!» protesta nonna Pina. «Non ci penso nemmeno, non farò un passo di più su questo maledetto cavallo, le mie chiappe non lo reggerebbero. Adesso vengo lì a vedere, altroché!» Olena stringendo le labbra vede avvicinarsi nonna Pina, seguita da Juanito. Arrivata a pochi passi la vegliarda scende da cavallo e le si avvicina.
«Babushka, io avevo detto voi…» inizia Olena, ma nonna Pina non la fa finire:
«Ho sentito, non sono mica sorda!» protesta ancora l’indisciplinata. «Si può sapere che sta succedendo? Insomma, mica mi sono fatta più di undicimila chilometri per venirmi a rifugiare in qualche capanna! Su, fai vedere anche a me» e così dicendo, si avvicina all’orlo della collinetta e guarda in basso.
«Ma che significa? Dov’è l’allevamento? E cos’è quello?» chiede stupita.
«Prego, abbassa voi» la richiama Olena, indicandole di sdraiarsi vicino a lei.
«Ma cos’è quella roba? Un capannone, un’officina?» continua nonna Pina.
«Ve lo dicevo che non c’era nessun allevamento…» interviene Juanito, inopportunamente.
«Guardie armate» segnala Osvaldo.
«Da, io visto» annuisce Olena. «Ora noi ritiriamo lentamente. Torneremo a controllare più tardi» ordina ancora la russa.
«Che cosa, ritirarsi? Non ci penso nemmeno! Io vado a vedere che stanno facendo sulla mia proprietà!» esclama nonna Pina, e di scatto si alza e, prima che qualcuno possa fermarla, si avvia verso l’edificio. Da una finestra balena la canna di un fucile, e si sente il rumore di uno sparo.
«Voglio proprio vedere chi… mi ferma…» dice nonna Pina girandosi verso Olena, mentre una macchia rossa si allarga sul suo maglione.

«Babushka!» urla la russa, buttandosi verso la donna a cui ha fatto da badante per due anni², mentre Osvaldo la copre tenendo sotto tiro le finestre.
Olena trascina nonna Pina al riparo della collina e urla a Juanito «Presto chiama ambulanza!» e mentre il vecchio gaucho, sotto choc, armeggia con il cellulare cercando di digitare il 911, scopre la ferita e cerca di tamponarla premendogli sopra la camicia che si è tolta. Nonna Pina la guarda, e le accarezza la testa con tenerezza.
«Sono arrivata al capolinea, mi sa»
«Sshh, babushka, tu non parlare, andrà tutto bene, tu rimanere sveglia, da?» la incita Olena.
«Dovevo darti retta, ma sono sempre stata testarda» ammette nonna Pina. «Tutto sommato meglio così che intubata in ospedale con i polmoni in poltiglia, no?».
«Prego babushka, non sforzare te, stanno arrivando soccorsi» dice Olena, guardando Juanito che sconsolato fa segno che con c’è campo per chiamare. La ferita si accorge della smorfia di disappunto della russa, e sorride:
«Juanito, non abbiamo nemmeno ballato un tango insieme…»
«Lo faremo, donna Pina, donna Eusebia, lo faremo, resistete…» mente il vecchio ammiratore, commosso.
«Natascia… voglio che tu sappia… che da quando sei arrivata sono rinata, non mi sono mai divertita tanto come in questi ultimi anni con te… Mosca, Cuba, sparare ai pensionati, che sballo… grazie, figlietta mia… addio, Olena»
«Babushka, no, babushka!»

Olena, incredula per aver sentito per la prima volta il suo vero nome pronunciato dalla centenaria, resta immobile in ginocchio stringendo il corpo insanguinato di nonna Pina. Dopo pochi ma interminabili secondi si alza ed un raggio di sole si riflette sui suoi occhi blu andando a colpire il viso rugoso, disteso in un ultimo sorriso beffardo, di quella che fu Eugenia Lombardini, in arte Wanda del Rio, per gli amici nonna Pina.
Con uno sguardo glaciale, che lascia trasparire la rabbia solo per una leggera contrattura della mascella, sibila a Osvaldo:
«Dovevo uccidere lui in Bolivia… ma ora io farà pentire lui di essere rimasto vivo»

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¹ Pilar Pallete, attrice peruviana, è stata la terza moglie di John Wayne, di cui è rimasta vedova nel 1979.
² cfr. “Natale con Olena” – 2017

Olena à Paris – 20

Antonietta Talnone, proprietaria di un impero agroalimentare sparso per il mondo con un fatturato annuo di 25 miliardi di euro, ereditato a seguito della prematura scomparsa del padre Gil, precipitato con l’elicottero personale insieme alla sua seconda moglie Josephine, passeggia nel soggiorno del grande appartamento in Place Vendôme dalle cui finestre si può ammirare la colonna eretta alla gloria di Napoleone, sfogliando l’album di foto che custodisce i suoi ricordi più cari. Si rivede bambina d’estate, nella fattoria del nonno a Vannes, in Bretagna, con le mani ai fianchi fissare la macchina da presa, orgogliosa delle sue treccine; a Natale di due anni dopo, un po’ goffa con dei buffi occhialini rotondi da miope, nella nuova casa a Nantes, dove il padre aveva aperto la prima latteria e dove ogni tanto, finiti i compiti, andava ad aiutare i genitori al banco; e ormai adolescente abbracciata ai cugini Léon e Jean con alle spalle la Tour Eiffel, in quella Parigi dove il padre aveva deciso di trasferire la famiglia per seguire da vicino gli affari che si ingrandivano sempre più, tra forniture ai militari ottenute grazie ai buoni uffici di uno zio colonnello, invio di latte condensato alle ex colonie in Africa (anche quando i destinatari non avevano l’acqua potabile per scioglierlo) e acquisizioni di aziende concorrenti, con le buone o le cattive; a diciassette anni, in una foto di gruppo con uno sguardo spaesato e un po’ triste, con indosso la divisa del collegio St.Honoré dove il padre l’aveva mandata a completare gli studi, dopo la morte della madre. Thérèse, sua madre, così dolce, così semplice, così capace di intuire i suoi pensieri, i suoi momenti bui, di abbracciarla e consolarla nei momenti di sconforto ma che i propri, di malesseri, di donna sradicata dal suo paese e dai suoi affetti per seguire un uomo che aveva amato ma che ormai era ossessionato dal successo, dagli affari, dai soldi, e che la tradiva con ogni donna che gli attraversasse la strada, non li aveva lasciati trapelare a nessuno…

L’aveva trovata di ritorno da scuola, distesa sul letto, sul comodino un tubetto vuoto di Fenobarbital che non seppero mai come si fosse procurata, in mano una fotografia di loro tre sorridenti a Vannes, ed un biglietto di poche righe indirizzato a lei: “Non era questo che sognavo per noi. Perdonami, Antonietta, se ti ho fatto soffrire”.

Ripensa al periodo passato in collegio, tra compagne che la ignoravano, ricambiate, e a quegli studi in economia e finanza a cui l’aveva costretta suo padre mentre a lei sarebbe piaciuto diventare una allevatrice, o a un meccanico; al nuovo matrimonio di suo padre con quella che era stata la sua segretaria e con la quale aveva una tresca da tempo; al suo girovagare per il mondo inaugurando opere caritatevoli che servivano al padre a pulirsi la coscienza, detraendole per di più dalle tasse, e che sarebbero durate lo spazio di un mattino. Va verso la scrivania, apre il cassetto e accarezza la chiave inglese con la quale aiutava il nonno a smontare il motore del vecchio trattore poi si avvicina allo specchio, e vede una donna di quarant’anni, anonima, troppo magra, con i capelli neri raccolti in uno chignon tra cui cominciano a farsi largo fili di grigio; guarda le rughe che si stanno formando agli angoli della bocca, gli occhiali spessi, vede abiti firmati che pendono su un corpo che sta sfiorendo senza aver mai veramente vissuto. Si tocca il ventre, pensando a quel figlio che non è venuto, e da quanto tempo suo marito non la tocca più.
Ritorna alla scrivania, solleva la foto incorniciata, il suo matrimonio con Jean Biscuit: il primo uomo che le avesse fatto davvero  la corte, che la faceva sentire importante, che la faceva ridere… vede il suo sorriso quasi timoroso, incredulo, al contrario di quello di lui, aperto, spavaldo…
Ripensa alla telefonata con Gilda, la sua amica italiana, così esuberante, così determinata, così piena di vita, come le piacerebbe essere come lei… Chantal, e prima Emily, e Nicole, e quante ancora? “Era questo che sognavo per noi?” si chiede Antonietta.

Rimane qualche secondo appoggiata alla scrivania con la testa china, poi si raddrizza e toglie gli occhiali. Ritorna davanti allo specchio, scioglie i capelli, fa scorrere la zip del vestito e rimane in mutandine, e resta a guardarsi strizzando leggermente gli occhi per mettersi a fuoco. Sfiora il piccolo seno rimasto uguale a quando aveva diciassette anni, poi va verso la finestra e rivolta verso la colonna di Napoleone prende la sua decisione.

«Si tu penses à me baiser, tu as vraiment tort, enfoiré¹»

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¹ Se pensi di fottermi ti sbagli di grosso, figlio di puttana.

Olena à Paris – 19

E’ una Gilda infuriata quella che rientra a Villa Rana dopo il colloquio infruttuoso con il direttore della filiale della Banca del Ponte che, dopo un lungo giro di parole in cui dopo essersi dichiarato personalmente dispiaciuto delle difficoltà in cui verteva l’azienda e consapevole dell’importanza di disporre di una cospicua liquidità, si è in sostanza rifiutato di rivedere i termini di restituzione del prestito.
«Quello strozzino!» sbotta la Calva Tettuta. «Ma vedrai se prima o poi non lo sistemo. “I pappagalli non possono entrare”, che idiozia! Spread, preparami immediatamente un piano per chiudere tutti i conti correnti dei dipendenti da quella banca di mentecatti e convertirli in bitcoin¹» intima al pappagallo economista Spread, al quale è stato impedito di dare il suo fattivo apporto nella trattativa. «E mi ero persino messa i braccialetti Masai per far colpo su quell’invertebrato. “Disposizioni aziendali sui crediti incagliati…” gli si è incagliato il cervello, altro che i crediti. Non ha nemmeno dato una sbirciata al decolté, e sì che l’avevo messo bene in mostra. Piuttosto mi sembrava parecchio interessato ai tuoi, di pettorali, James caro. C’è qualcosa che dovrei sapere?» chiede provocatoriamente la vedova Rana.
«Assolutamente, signora. Il direttore mi è sembrato piuttosto imbarazzato, come se dovesse obbedire ad ordini superiori» mente il maggiordomo, ripensando con un fremito all’ultima sauna condivisa con il bancario Renato Galbiati, Tina per gli amici.
«Sarà, ma quello non me la racconta giusta» continua Gilda. Poi, notando un assembramento insolito all’ingresso della magione, chiede lumi al maggiordomo:
«Ci mancavano solo quelli. Che diavolo vogliono adesso?»

Ai cancelli della villa staziona infatti una delegazione sindacale dove spiccano Armando Carrettoni, segretario del Cobalapari, Comitato di Base dei Lavoratori di Pasta e Ripieno, il delegato Aurelio Trozzo e l’operaio Erminio Garganigo, quest’ultimo controllato a distanza dal cognato Luison Cazzaniga, che li osserva a braccia conserte scuotendo la testa. Trozzo imbraccia un megafono scandendo slogan antipadronali, mentre gli altri srotolano uno striscione in ecoplastica che stigmatizza contemporaneamente gli allevamenti intensivi ed il calo di produzione dovuto alla penuria di materia prima.

«James, solo per curiosità, se accelerando ne investissi un paio credi che l’assicurazione pagherebbe i danni alla carrozzeria?» chiede dubbiosa la Calva Tettuta.
«Non credo, signora. In ogni caso il bonus malus aumenterebbe tremendamente»
«Peccato James, allora desistiamo. Hai idea per che cosa protestino stavolta? Cosa credono, di essere i soli a soffrire per la crisi? Stiamo stringendo tutti la cinghia, che diamine, io ho dovuto persino disdire l’ordine delle nuove valigie Louis Carcassonne, che diamine!» «Davvero disdicevole, signora» commenta James, deluso dal fatto di non poter mettere le mani sui nuovi bagagli.
«Bè, sentiamo cosa hanno da dire. Non sarà mica per la storia del reparto che Haruki ha mandato a raccogliere cicoria nei campi? Ma santo cielo, dovrebbero capirlo da soli che se siamo a corto di carne qualcosa dobbiamo pur mettere negli impasti, altrimenti mandiamo tutti a casa. E, detto tra noi, l’idea del ripieno cicoria rucola e ricotta, la ciculotta, non era così campata in aria, bisognava solo dargli il tempo di farsi conoscere. Pensi che dovrei scendere dall’auto, dire due parole di circostanza?»
«Sarebbe molto democratico da parte sua, signora, ma dato il periodo è meglio evitare incontri ravvicinati, basterà un saluto con la mano, ovviamente con la mascherina indossata»
«Giusto, allora farò un saluto sofferto, del tipo vorrei ma non posso. Sbaglio o sta squillando un telefono?» chiede Gilda, interrotta dalle note di “Bravi ragazzi” di Miguel Bosè. James tossicchia e preme il pulsante del vivavoce.

«Pronto, casa Rana. Chi parla?» chiede professionalmente il maggiordomo. Dall’altra parte una voce di donna roca, spazientita risponde:
«Chi diamine vuoi che sia, James, sono io, passami subito Gilda!» comanda imperiosamente la donna. Prima che il maggiordomo abbia il tempo di reagire Gilda abbranca il cellulare e risponde in sua vece: «Nonna! Come state, avete trovato…»
«Sshh!» la ferma nonna Pina, «Stai zitta Gilda, una buona volta, stai a sentire che ho poco tempo. Abbiamo la carne, tutta roba di prima scelta allevata allo stato brado, non quella roba frolla che prendeva tuo marito. Domani partiranno i primi carichi, manda i camion all’aereoporto. E fai sapere a tutti quelli che volevano fotterci che adesso i loro ricatti e minacce se li possono mettere nel cu…»
Provvidenzialmente cade la linea, prima che nonna Pina possa dare la stura a tutto l’elenco di contumelie che aveva pronta sulla punta della lingua. Gilda rimane un attimo a rimirare il cellulare, incredula, e poi ordina:
«Ferma l’auto, James!»
«Ma, signora…» «Ho detto fermati. La musica è cambiata!»

James ferma la Rolls Royce a ridosso del picchetto dei dimostranti. Gilda spalanca la portiera, scende e si dirige decisa a piccoli passetti veloci verso l’attonito Aurelio Trozzo e, prima che questi si riprenda dallo stupore, gli strappa di mano il megafono e sale sul predellino della Royce.
«Compagni!» urla la rossa. «Fratelli!» continua la pasionaria. «Vi avevo chiesto di avere fiducia, di credere in me, e voi invece cosa fate? Congiurate, tramate, vi ammutinate! No, non posso credere che nel vostro animo alberghi tanta abiezione!»
Gilda si guarda intorno, e vede delle teste abbassarsi imbarazzate, mentre James, in piedi vicino al posto di guida, si chiede da dove la padrona abbia tirato fuori la parola “abiezione”.
«Sono delusa di voi, meritereste che vi abbandonassi al vostro destino! A spedire pacchi per Karamazon, o a consegnare pizze per Deriperù!»
«No, Deriperù no!» protesta una voce dal fondo del gruppo.
«Ma oggi mi sento magnanima» prosegue Gilda. «So che in fondo siete buoni, siete solo stati traviati, non è vero?»
«Si, siamo stati tramvati!» risponde la stessa voce, da lontano.
«Lo sapevo. Ma vi perdono, mie maestranze. Da domani la produzione riprenderà su tre turni!»
Grida entusiastiche accolgono l’annuncio, gli striscioni vengono riavvolti e le bandiere ammainate; Gilda si gode l’acclamazione, quando dal fondo si alza una non del tutto opportuna rivendicazione:
«E gli straordinari?»
Un silenzio di gelo segue le improvvide parole, e immediatamente si fa il vuoto attorno all’uomo che le ha emesse. Erminio Garganigo, rosso in viso, guarda timoroso il cognato Luison e chiede, confuso:
«Ma che ho detto di male?»

La Rolls Royce attraversa i cancelli tra due ali festanti di folla; una volta arrivati davanti all’ingresso, prima di scendere Gilda porge un bigliettino a James, e gli chiede:
«James, caro, mi chiameresti questo numero?»
Il maggiordomo prende il pizzino e osserva perplesso il prefisso, +33.
«E’ sicura, signora?» chiede James, preoccupato, riconoscendo il numero.
«Sicurissima, James. A la guerre comme à la guerre, o giù di lì» Poi, prendendo il cellulare che gli porge il maggiordomo, apre una videochiamata, sfoggia il suo miglior sorriso e cinguetta:
«Antonietta, sono Gilda… Oui, oui, è un piacere anche per me, mon cher ami! Oggi mi sei venuta in mente e mi sono proprio detta: da quanto tempo non faccio una bella chiacchierata con la cara Antonietta? E ti ho chiamata… Come stai, bene? Mi fa piacere, cara. E il tuo bel Jean? Sai, mi è dispiaciuto non averti incontrata quando sono venuta a Parigi… ah, non lo sapevi? Si, mi aveva chiamata lui, sai, affari… E’ sempre indaffarato, per fortuna ha quella ragazza che l’aiuta… no, non la segretaria Genoveffa, l’altra, la ragazzina, Chantal mi pare si chiami, è tanto servizievole sai… Ah, non ti aveva detto nemmeno questo? Bè, gli sarà scappato di mente, ha tante cose a cui pensare… Perché, pensi ti nasconda qualcosa? Ma no, non mi dire… ah tu dici che… racconta, racconta…»

¹ Misteriosa moneta elettronica i cui possessori sono soliti inviare messaggi entusiastici intasando le caselle di posta elettronica.

Chi più spende meno spende!

Cronachette della fase tre (26 settembre-1 ottobre)

Amiche e amici, se l’anno scorso di questi tempi qualcuno avesse solo ipotizzato quello che sarebbe successo quest’anno l’avremmo preso per matto, non credete? Eppure eccoci qua, a combattere tra mascherine, disinfettanti, lockdown e recovery funds, a lavorare da casa in ciabatte trascurando parecchio la cura della persona, ed essere preda di un sottile senso di angoscia e depressione: a che è servito viveve amare e soffrire, cantava il vate Guccini, se poi basta uno starnuto a mandarci all’altro mondo? E se questa constatazione dovrebbe indurci a sfruttare ogni minuto per godere e perché no ripassare qualche posizione del Kamasutra, come mai l’unico desiderio che alberga nei nostri cuori è quello di poter andare in letargo come gli orsi, finché tutto questo non sarà finito?

Infatti ieri sera avrei dovuto partecipare ad una riunione organizzativa sulle sorti dell’Oratorio ed ho preferito dare forfait e guardare Ulisse di Alberto Angela, una puntata interessantissima sulla regina Elisabetta II, l’immortale: e non mi sono nemmeno addormentato!

Stamattina sono andato, come ormai di consueto al giovedì, a far spesa o almeno quella che mi è concessa dato che come sapete non sono ritenuto abile nella scelta di frutta, carne e verdura, insomma tutto quello che non è inscatolato; ne ho tratto due insegnamenti: a) dovrò cambiare orario, perché la mattina presto ormai il traffico è impossibile, a causa dei genitori che portano a scuola i pargoletti e b) l’alcool è finalmente riapparso in quantità, ma costa ancora una cifra esorbitante: 2,59 al litro. Però dovrò farne scorta lo stesso, perché se riscoppia il morbo bisognerà farsi trovare pronti, stavolta, anche perché mi sembra che stiamo indugiando un po’ troppo in autocompiacimento: oh quanto siamo bravi ad avere solo 1800 contagi al giorno (che in un mese se la matematica non m’inganna sono almeno 50.000: e ci sembrano pochi?). Stranissimo il caso della squadra di calcio del Genoa, che prima della partita contro il Napoli aveva solo due contagiati, e dopo la partita altri dodici: non sarà che qualcosa non ha funzionato nei tamponi?

Ma, dopo questa botta di allegria, passiamo alle note veramente liete: Trenord mi ha accordato il voucher per il periodo di chiusura forzata, non proprio per tutto il periodo per cui non ho usufruito dei mezzi ma non stiamo a sottilizzare, piutost che nient l’è mei piutost; come dicevo non so quando potrò usufruire del buono, dato che di tornare in ufficio non se ne parla ancora, e allora chiedo al ministro dell’Economia: non si potrebbe creare un bel mercato dei voucher? Io avrei anche quello di Ryanair ancora da smaltire…

Proseguendo nelle belle notizie, il governo approfittando dello smarrimento generale di fronte alla situazione ed all’uso indiscriminato dell’inglese, sta per introdurre il cashback. Che cazz’è, mi ha chiesto il mio amico edicolante, che pure dovrebbe saperlo se solo ogni tanto buttasse un’occhiata ai giornali che vende? Si tratta nientemeno che di un rimborso sulle spese fatte tramite bancomat, carte di credito o anche app tracciabili; cioè voi spendete, pagate con la vostra carta di credito, ed alla fine dell’anno vi viene restituito un 10% di quanto avete speso fino ad un massimo di 3.000 euro di spesa (ovvero 300 euro). Inoltre ci sarà un superbonus di 3.000 euro per quelli che useranno maggiormente i pagamenti elettronici, e dal 2021 dovrebbe essere introdotta anche la lotteria sugli scontrini: preparate dei sacchi capienti per raccogliere tutte le ricevute, fiscali e non, perché si parla di bei soldoni! Lo scopo dichiarato è quello di far emergere il “nero”, inteso non come migrante di colore ma come economia sommersa; il timore è che diventi un ulteriore sistema di controllo delle abitudini ed inclinazioni (dimmi cosa compri e ti dirò chi sei…); sinceramente non so se basterà questo per convincere qualcuno a farsi fare la fattura dall’idraulico, per dire, sapendo di doverci pagare l’Iva del 22% senza poterla recuperare…

Amiche e amici, interrompo a malincuore queste note di ottimismo sfrenato: preparatevi ad aprire gli ombrelli per proteggervi da tutti i soldi che ci arriveranno dall’Europa e dal munifico Governo 2.0, e ricordate: chi vuol esser lieto sia…

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