Tre stelle per Olena – 37

Il sole è già alto nel cielo quando un tossicchiare leggero e discreto interrompe il sonno di Gilda che, nuda come mamma l’ha fatta, si stiracchia mollemente scostando le lenzuola di raso rosa, impiegando qualche secondo a realizzare che il buio dal quale è avvolta non è dovuto ad una improvvisa eclissi di sole ma alla mascherina in seta naturale che è solita indossare per non farsi disturbare dalla luce mattutina.
«Ah, sei tu James, sia lodato il cielo» è il saluto che rivolge al suo maggiordomo, tirandosi intanto a sedere senza curarsi di coprire le parti del corpo per le quali è conosciuta come Calva Tettuta. «Pensa che stavo sognando che degli ometti in maglietta verde ci avevano conquistato e ci obbligavano a produrre una assurda zuppa di barbabietole¹. Il nostro Haruki aveva armato le maestranze ed animato la resistenza ma era stato sopraffatto; una volta catturato, in barba alla convenzione di Ginevra, era stato sottoposto a tortura, o rieducazione come la chiamavano loro: dopo una settimana di letture del libro del loro capo “Come lavare la maglietta verde a 60 gradi senza farla scolorire” aveva ceduto e si era affogato nel pentolone di zuppa.»
«Il nostro Haruki è un valoroso» commenta James con un lieve inchino, omaggiando così il direttore della produzione Haruki Laganà, fratello di quel Toshiro Laganಠcaduto effettivamente nell’adempimento del proprio dovere per mano di Evaristo, il defunto marito di Gilda, il cui spirito erra ancora inquieto nella residenza di famiglia.

Il pensiero fa rabbrividire Gilda, causando peraltro un turgore dei capezzoli che la convince ad indossare la vestaglia che il maggiordomo amorevolmente le offre. Si alza, indossando delle pantofole pitonate del premiato calzaturificio Cucchiaroni che suscitano un fremito di invidia nel maestro di buon gusto James, e si dirige al grande terrazzo dal quale si può ammirare buona parte del giardino. Mentre beve il suo bicchiere di estratto di mellifrace depurativo e tonificante osserva la vita che procede lieta: ed ecco là il giardiniere messicano Miguel rastrellare le foglie saltellando al ritmo di Llàmame, canzone rumena vincitrice morale dell’Eurovision song contest 2022, almeno a detta di Cristiano Malgioglio; e verso il limite del boschetto scorge il suo amante norreno Svengard che, a torso nudo, sta abbattendo una betulla a colpi d’ascia, ripromettendosi la notte successiva di non lasciargli così tante energie; mentre sulla collinetta che svetta in lontananza la coppia ultracentenaria formata dal generale cinese Po e da Nonna Pina saluta il sole, peraltro come detto già alto, con lenti movimenti di Tai Chi; intanto dalla cucina salgono le voci della cuoca Palmira e di sua nipote Isolina, e soprattutto un inconfondibile odore di ragù di papera, da abbinare alle pappardelle che le due, dopo avere impastato la farina con le uova, stanno spianando con matterelli reduci da mille battaglie. Che pace, che serenità! Gilda sorride, incurante dell’ennesimo bicchiere di cristallo di Boemia scivolatole a terra; respira a pieni polmoni godendo dell’arietta ancora frizzante, e si compiace nel constatare che l’opera del Creatore³ è buona e giusta. Poi si volta, recuperando l’atteggiamento efficientista che le permette di dirigere con polso fermo l’impero della pasta ripiena lasciatole dal marito.


«James caro, hai diramato l’allerta generale? Direi di dare inizio all’operazione speciale subito dopo colazione. Cominciamo a sgomberare a partire dai piani alti: se qualcuno oppone resistenza siete autorizzati ad usare la forza. Nel boschetto non c’è rimasto qualche pigmeo?» chiede la vedova Rana, alludendo alla tribù di pigmei antropofagi che dimorava nel parco della villa ai tempi della buonanima, ai quali saltuariamente veniva concesso di banchettare con qualche sindacalista fastidioso o cliente inadempiente. Al cenno negativo di James continua, rammaricandosi:
«Peccato, sarebbe stato un aiuto prezioso. E di Natascia⁴ cosa mi dici, sei riuscito a rintracciarla? Non per sfiducia, ma la sua presenza mi renderebbe più tranquilla. Sento che l’artiglieria pesante potrebbe non essere eccessiva»
Il maggiordomo, con un cenno del capo deferente, mette al corrente della situazione la sua padrona.
«Natascia sarà di ritorno a breve, ha avuto degli affari di… ehm, famiglia, da risolvere. Invece riguardo l’operazione, signora, suggerirei di rimandare»
«Che cosa?» si inalbera la Calva Tettuta, scandalizzata. «Se non ti conoscessi bene, James, potrei sospettare un’insubordinazione. Cosa sono questi capricci? Non ho nessuna intenzione di sfamare ancora questa compagnia di giro di coreuti, ammesso che coreuti sia la parola giusta. Dammi una ragione valida per non buttarli fuori a calci prima di pranzo!»

«Il maresciallo Montesi ha convocato tutti i sospettati per oggi pomeriggio»
«Ah, bene, era ora! Ci vorrà uno stadio per metterceli tutti»
«Sembra che la cerchia sia più ristretta signora, mi sono permesso di suggerire il salone verde, ho fatto male?»
«A parte che ti ho appena detto che con il verde ho avuto degli incubi, ma ti pare il caso caro James? Vogliamo offrire anche dell’insalatina, dei cetriolini, delle olivette naturalmente verdi già che ci siamo?»
«Ecco, ho pensato che fosse più opportuno mantenere la discrezione»
«Apprezzo il tuo scrupolo, James, ma è un mese che siamo su tutti i giornali scandalistici, i paparazzi assediano la villa, le azioni crollano, e ora che si arriva finalmente al dunque non ti sembra fuori luogo mantenere la discrezione?»
«Comprendo la sua riserva, signora» concorda James, serio, porgendo a Gilda la lista dei convocati ricevuta da Montesi e indietreggiando immediatamente dopo elegantemente. Gilda scorre l’elenco perplessa, fino ad arrivare ad un punto che la fa trasecolare:
«Ci siamo anche noi? Passi per te, senza offesa James caro ma è noto che in caso di omicidio il maggiordomo è il primo sospettato. Ma io che c’entro?»

¹ Si tratta del borsch; sembra che gli ucraini ne rivendichino la primogenitura, contraddetti da russi e polacchi. L’Onu dovrebbe intervenire per dirimere la questione, prima che i contendenti passino ad ulteriori vie di fatto.
² cfr. “Niente sushi per Olena”, 2018.
³ Anche l’Autore ci ha messo lo zampino, a essere precisi.
⁴ I lettori più affezionati sanno che a Villa Rana tutti si ostinano a chiamare Olena Natascia, fin dai tempi in cui era stata ingaggiata come badante di Nonna Pina (cfr. “Natale con Olena”, 2017)

Olena à Paris – 3

Io di Parigi ancor non ho
le usanze bene apprese
E le malizie ancor non so
di questo bel paese.
Io son Pontevedrina ancor
che ci volete far?
Se fossi Parigina allor
mi saprei regolar!¹

Una figura coperta da un mantello scuro avanza claudicante nella grande camera dove campeggia un letto king size a forma di cuore sul quale giacciono due corpi profondamente addormentati. E’ l’alba, ed i primi raggi di luce filtrano fra le lamelle delle persiane poste a protezione delle grandi finestre all’inglese arrivando a colpire, indiscreti, la schiena della Calva Tettuta, nuda come mamma l’ha fatta.
L’ombra si arresta sul bordo del letto e fissa le forme un tempo ben conosciute; poi con un sospiro si scosta il mantello dal volto e batte con rabbia il bastone a cui si appoggia sul pavimento, gridando:
«Gilda! Per la miseria, almeno copriti!»
Gilda si sveglia di soprassalto e, riconoscendo la voce prima ancora della sagoma minacciosa che incombe su di lei, urla dallo spavento:
«Aahh! Evaristoo! Che cacchio ci fai qui, tu sei morto! E che diamine, possibile che non ti rassegni? Ritorna nell’oltretomba, via, sciò!» lo invita la vedova, accompagnando l’invito con un eloquente gesto della mano.
«Disgraziata, tu dormi mentre la barca affonda!»
«Ma di che barca parli, anche da spettro vaneggi? Infilati nel loculo e non rompere le scatole!»
«Parlo della mia azienda che va in malora, mentre tu ti trastulli! »
«Per tua norma e regola questa adesso è la “mia” azienda, e non preoccuparti che va molto meglio di quando c’eri tu! Ma guarda te se deve venire qua un fantasma a dirmi quello che devo fare. Adesso vai via, hai rotto, vade retro, io ti ordino di lasciare questa stanza con annessi e connessi, insomma Evaristo togliti dalle scatole una volta per tutte! Non costringermi a prendere l’aglio, eh?»
«No, l’aglio no! Non lo digerisco» risponde il fu cavalier Rana, indietreggiando.
«Allora vattene!»
«Me ne vado, ma non finisce qua!» e, ricoprendosi con il mantello, esce svanendo dalla stanza.

Il sonno della Calva Tettuta viene interrotto da un lieve tossicchiare. Gilda apre lentamente gli occhi, si stiracchia, si toglie la benda oscurante dagli occhi e rivolge un sorriso all’uomo che gli porge su un vassoio d’argento un bicchiere di acqua tiepida nel quale è stato spremuto uno spicchio di limone di Sorrento, un piccolo vaso di violette africane ed un cellulare acceso con una chiamata in attesa.
Gilda si siede, gettando uno sguardo al vicino infossamento nel materasso memory.
«Svengard è già andato a spaccar legna, James? Strano, non sento rumori»
«No signora, il signore è partito all’alba con il generale Po, sono andati a pesca di pesci siluro nel Ticino»
«Ha fatto bene a portare il generale, lui dovrebbe essere esperto di siluri. Ah, James?»
«Signora?» chiede il maggiordomo.
«Conosci un buon esorcista, per caso?»
«Appena discreto, signora. Ci si rivolse una mia cugina quando il marito iniziò a uscire di notte travestito da Platinette, ma riuscì solo a fargli fare una dieta dimagrante»
«Lascia stare allora, più tardi farò una telefonatina a Ladispoli» dice Gilda, pensando alla superiora del convento delle Suore della Carità del Beato Turoldo Cesanese del Piglio, la sua amica di gioventù Marisa poi diventata Suor Matilda². Poi dà un’occhiata interrogativa al cellulare, occhiata che James coglie immediatamente.
«Una telefonata dalla Francia, signora, ha molto insistito»
«A quest’ora, James? Mi sembra inopportuno. Ma chi è?»
«Il presidente della Talnone, signora. Dico di richiamare più tardi?»
Gilda scatta in piedi sul letto, rovesciando bicchiere e vasetto; abbranca il cellulare, preme il tasto verde e, con voce allegra, risponde:
«Jean? Ma che piacere… a che devo tanto onore? E’ una vita che non ti fai vivo… eri preoccupato per me? E perché mai, caro? No, nessuna difficoltà, chi mette in giro certe voci? Non potrebbe andare meglio, mio caro, a gonfie vele direi. Ma no, no, piccoli contrattempi, sai com’è la stampa, esagera sempre… un piccolo calo fisiologico dopo le feste… ma tu, piuttosto, ho visto che avete lanciato l’acqua in bottiglia Poisson, sarà un altro dei tuoi successi» lo adula Gilda rabbrividendo.
«Come dici? Se possiamo incontrarci? Ma naturalmente, perché, sei di passaggio qui in Italia? Ah, dici se posso venire io a Parigi? Bè, adesso su due piedi non so, dovrei controllare gli impegni… domani? Ah, ah, Jean, sei un birbante…» ride Gilda, immaginandosi Jean Biscuit, presidente della Talnone, ricoperto di Nutella.
«Se è così… urgente, come dici, farò in modo di liberarmi… facciamo alle 11? Bien alors, à demain Jean…»
Gilda poggia il cellulare sul vassoio e comincia a fare piccoli salti sul letto, canticchiando Bidibodibù Bidibodiye, infine con un balzo più grande scende dal letto ritrovandosi proprio di fronte al maggiordomo.
«Allerta Natascia e prepara le valigie, James» ordina strizzando leggermente gli occhi «e ricordati: non si fanno prigionieri.»

«Chico? Chico? E’ ora della merenda… Donde te escondiste, Chico?»
Arrivato vicino alla cucina, Miguel sente dei gridolini soffocati, dei piccoli bramiti, dei ruggitini: mette dentro la testa e vede una intera famiglia di koala ed un cucciolo d’uomo, abbracciati, assistere affascinati alla ventesima puntata di “Lacrime e laterizio”:
SUOR MIRANDA (tra sé) (E’ Rosa… Signore, dammi la forza…)
ROSA Sorella, per fortuna vi ho trovata!
SUOR MIRANDA Rosa, che ti è successo? Sei agitata… (Che capelli di seta…)
ROSA Sono confusa, sorella. Sento il cuore che scoppia dalla felicità, e ho paura!
SUOR MIRANDA E dunque cosa ti preoccupa, Rosa?
ROSA Io amo! Ma è male!
SUOR MIRANDA Come può essere male l’amore, se è la cosa più bella che ci ha donato il Signore? (Ho un brivido)
ROSA Ma io sono promessa a don Carlos!
SUOR MIRANDA Ah!
ROSA Eh!
SUOR MIRANDA Sventurata! E don Carlos è al corrente? (Quel vecchio caprone)
ROSA No, sorella… mi aiuterete?
SUOR MIRANDA Certo, figliola… ma vieni qua, sul mio seno, non piangere (Ammazza quant’è soda) … e chi fu a rubarti il cuore?
ROSA Ramon, sorella!
SUOR MIRANDA Ramon? Il carpentiere? (Figlio di buona donna…)
ROSA Capomastro, sorella, capomastro. Si sorella, Ramon… noi abbiamo… peccato!
SUOR MIRANDA Peccato, dici? Ma peccato… quanto? (Sta a vedere che l’ha data a quell’animale)
ROSA Quattro volte!
SUOR MIRANDA Ah!
ROSA Eh!

“Ah! Ah! Eh!” ripetono i koala, mentre Chico ride beato e una lacrimuccia bagna il ciglio del giardiniere.

Koala

¹ La Vedova Allegra di Franz Lehar, Atto Primo
² cfr. Ferragosto con Olena, 2019

Olena à Paris – 2

Tre mesi prima.

Gilda Quacquarini osserva compiaciuta dal balcone della grande sala di villa Rana, di cui è unica proprietaria dopo la prematura dipartita del non molto rimpianto marito Evaristo, le attività che fervono nel giardino sottostante. Si ripara dal rigore dell’inverno con un colorato piumino Emilio Pucci con stampa Vallauris ispirata alle opere in ceramica di Pablo Picasso e dei pantaloni con pannelli a contrasto della stilista ucraina Natasha Zinko, in testa un simpatico Beanie¹ giamaicano a coprire uno dei due motivi per i quali è nota come la Calva Tettuta.
In lontananza, su una collinetta di neve artificiale, la ultracentenaria Eusebia detta Pina, nonna del defunto, si addestra al tiro alla carabina imbracciando una agile Anshütz 1727-F, con la quale conta di partecipare alle Olimpiadi Invernali Seniores di Pechino del 2022 nella specialità del biathlon, sotto l’occhio esperto di Olena, la ex spia del Kgb che le ha fatto da badante per due anni ed è ora la guardia del corpo di tutta la famiglia.
Attorno alla collinetta, su una pista anch’essa artificiale, Svengard il vichingo, l’amante di Gilda, e Adalgiso, il personal trainer tedesco ingaggiato come toy boy da Nonna Pina, si esercitano nello sci nordico coperti dal solo perizoma.

Gilda poggia la tazza della tisana al sardopardio, diuretica e disinfiammatoria, sul vassoio in argento che le porge il maggiordomo, che reprime a stento l’invidia per l’abbigliamento della vedova Rana.
«James caro, non è un portento il piccolo Chico? Guardalo là, ancora non sa camminare e già si arrampica dietro ai koala. Che amore!» cinguetta Gilda.
«Effettivamente, signora, Miguelito è molto dotato, credo sia anche merito dei piedini prensili»
«La peluria è sparita quasi del tutto, hai visto James? E’ una fortuna, all’inizio il veterinario faceva fatica a distinguerlo da quei simpatici animaletti australiani»
«A proposito signora, se posso permettermi, quello di adottare un’intera famiglia di koala e di far piantare un boschetto di eucalipti nel parco è stato un gesto di grande sensibilità ecologica da parte vostra»
«Schiocchezze, James, l’avrebbe fatto chiunque al posto mio, se avesse avuto un parco grande undici ettari. Non potevo certo restare insensibile alla tragedia di questi piccoli marsupiali, che tra l’altro hanno un alito freschissimo. L’associazione voleva mandarmi anche dei dromedari selvatici ma ho dovuto rifiutare, ho saputo che si riproducono come cinghiali ed in breve avrebbero riempito il parco, senza contare che avrei dovuto far portare tonnellate di sabbia del deserto e allestire un’oasi con palme e datteri. Oh, ma guarda!» si interrompe la Calva Tettuta, indicando il ramo di un eucalipto.
«Chico si agita, ha riconosciuto la voce della sua mamma…»

La televisione a 68 pollici installata a piano terra, nella saletta di fianco alle cucine, trasmette infatti la prima puntata di “Lacrime e laterizio”, la telenovela messicana giunta in patria alla ottocentoventitreesima puntata e di cui Conchita, la donna barbuta, è la protagonista nella parte di Rosa, una giovane ingenua, e che per questo ha abbandonato il figlio all’involontario padre Miguel, il giardiniere tuttofare.
«Mamma!» gracchia Chico, gattonando fin sotto la tele, seguito dai koala curiosi.

ROSA No, Ramon, non posso. Non devo, non voglio! Io sono promessa a Don Carlos!
RAMON Don Carlos è vecchio, non può darti la felicità. Rosa, devi essere mia, il mio cuore arde di passione.
ROSA Temerario! Sento che quello che facciamo è sbagliato. No, non avvicinarti, Ramon…
RAMON Dimmelo in faccia che non mi ami e io uscirò per sempre dalla tua vita.
ROSA Io non… no, non posso!
RAMON Lo vedi? La voce del cuore. E adesso baciami.
ROSA Oh, Ramon!
RAMON Oh, Rosa.
ROSA Oh, Ramon!!
RAMON Oh, Rosa. Come si slaccia questa camicetta?²

Lo squillo dell’interfono richiama Gilda alla realtà.
«Pronto, qui casa Rana» risponde professionalmente James.
«James, non eravamo d’accordo che all’interfono non c’è bisogno di rispondere così formalmente? E’ casa nostra, dopo tutto» lo riprende Gilda.
«Chiedo venia, signora, è l’abitudine»
«Non possiamo lavorarci su questo vizietto, James? Comunque, chi è in linea?»
«E’ il direttore della produzione, signora, il dottor Haruki Laganà, sembra preoccupato»
«Preoccupato o corrucciato, James? Giusto per impostare la voce adatta alla risposta»
«Preoccupato, signora»
«Benissimo, James.»
Gilda prende dalle mani di James la cornetta e, in tono partecipe, si rivolge al sottoposto: «Haruki, caro, che succede?»
«Signora, mi dispiace allarmarla, ma qui sta succedendo qualcosa di strano!»
«Di strano dici, Haruki? A che ti riferisci? Non sarà ancora per la storia dell’impasto di carne non kosher in Israele?»
«No signora, il problema non è della carne kosher, il problema è di tutta la carne! I fornitori stanno consegnando col contagocce e la produzione è quasi bloccata! I nostri clienti chiamano inferociti, non riusciamo a rifornirli e minacciano di rivolgersi alla concorrenza»
«Ma com’è possibile? Sono andati in ferie tutti insieme? Non abbiamo scorte in magazzino?»
«Signora, i nostri prodotti sono freschi, non possiamo immagazzinarli per troppo tempo… e lo stesso è per i nostri fornitori: noi pretendiamo solo materie di prima scelta, non vogliamo prodotti congelati…»
«Ma i fornitori che dicono? Hai provato a contattarli?»
«Certo signora, hanno tutti dei problemi… chi ha avuto la visita dei Nas, chi ha gli operai in sciopero… al Rovellati si sono rotte le celle frigorifere, ed ha dovuto buttare via tutto…»
«Coincidenze, Haruki, non facciamoci prendere dal panico… cerchiamo altri fornitori, magari ci costerà un po’ di più, ma se è per coprire un’emergenza temporanea…»
«E questo è ancora più strano, signora: ne ho contattati diversi, e di solito sono ben contenti di avere un nuovo cliente ma questi… niente! Non hanno disponibilità, dicono che la produzione è già stata comprata tutta, e con prezzi fuori mercato!»
«Fuori mercato? Va bene Haruki, grazie. Stai tranquillo, intanto vai avanti con la linea vegana, che per quella bastano un po’ di carciofi»

Gilda riattacca lentamente la cornetta dell’interfono, poi pensierosa si rivolge al maggiordomo:
«James?»
«Signora?»
«Sembra che qualcuno ci abbia dichiarato guerra»
«Disdicevole, signora»
«Tu sai quel che c’è da fare, non è vero?»
«Naturalmente, signora. Posso suggerire un Orang Utan Coffee del Borneo?»

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¹ Il beanie è un cuffia di lana, ne più ne meno, solo che chiamarla cuffia di lana non è chic.
² Ad uno spettatore competente la recitazione di Conchita sembrerebbe un pelino enfatica e quella del suo partner eccessivamente piatta: ma ai messicani piace così.

Olena à Paris – 1

«Centomila e uno, centomila e due, centomila e tre: aggiudicato alla contessa Agnieszka Żubrówka Kasprowicza!»
Nella sala grande della casa d’aste Cauet, in Rue de Richelieu a Parigi, il banditore, un quarantenne abbronzato franco-armeno non molto alto, leggermente stempiato ma con delle folte sopracciglia, rivolge un sorriso smagliante alla donna che dopo una serie di rilanci si è aggiudicata il famoso quadro Primo maggio con fava e pecorino del pittore naïf Ardito Centini meglio conosciuto come Centinì dagli appassionati d’arte francesi che l’hanno adottato,

La contessa si alza, sollevando nella sala un brusio di ammirazione: statuaria e algida, capelli corti neri a caschetto sui quali è poggiata una coroncina tempestata di perle, un lungo abito violetto che ne mette in risalto le forme, una stola di ermellino sulle spalle nude e le braccia inguainate da lunghi guanti in seta, incede verso il banco seguita dal suo accompagnatore, un bell’uomo di qualche anno più giovane, capelli e barba scuri ben curati, elegante in un completo scuro Girifalchi su cui spiccano cravatta e pochette in seta con motivi di sardine argentate, visibilmente orgoglioso degli stivaletti che calza, realizzati a mano nel laboratorio artigiano Graziano Cucchiaroni a Montecosaro, MC.

«Congratulazioni contessa, un pezzo davvero raro: sono in pochi a possedere un Centinì del 1924…» la accoglie Serge Manoucharyan, il banditore, accompagnando il complimento con un lieve inchino della testa ed uno sguardo interessato verso la borsa in pelle della Cuoieria Fiorentina retta dall’accompagnatore.
«Oui, io so, grazie» risponde la contessa in un delizioso misto di francese e russo, allungando con degnazione la mano verso Serge che esegue un impeccabile baciamani.
«Posso chiederle, contessa, se avremo il piacere di averla con noi anche nei prossimi giorni? Sarebbe per me un privilegio mostrarle il resto della collezione…»
«Non credo, monsieur, io deve tornare subito in mio castello in Puolonia, affari urgenti. Ma voi mostrate pure vostra cuollezione a mio segretario, lui molto esperto» dice la contessa, sollevando appena l’angolo sinistro del labbro in qualcosa di simile ad un sorrisetto ironico, volgendosi poi verso l’uomo dietro di lei:
«Christopher, chérie?»
«Contessa?» risponde compìto il segretario.
«Sistema qvestioni amministrative, vuoi? Io prenderò taxi»
«Naturalmente, contessa. Ma non vuole attendere qualche minuto? La accompagno…»
«Non c’è bisogno, io conosce strada. Au revoir, messieurs» e, portando alle labbra il lungo bocchino di giada, si avvia verso l’uscita lasciando soli i due.

Manoucharyan segue incantato con lo sguardo l’ondeggiare sensuale della contessa finché questa non varca la porta girevole che la separa dal tiepido pomeriggio primaverile, poi si ricompone e si rivolge all’accompagnatore:
«Se vuol seguirmi, monsieur… ehm… Christopher, prego, faccio strada»
A metà del corridoio il banditore si guarda intorno per controllare che non ci sia nessuno, si ferma, si volta verso il segretario e, puntandogli contro un dito, gli chiede:

«James, mi spieghi che stai combinando?»

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Mi ha chiamato l’altro giorno proponendosi per la parte di James. C’è qualche volontaria per fargli un provino?

 

Semaforo rosso all’Imperatore!

Sabato scorso sono stato impegnato in una delle tante attività di cui farei volentieri a meno ma che intraprendo per troppa disponibilità e apertura d’animo; in questo caso si trattava di sostituire il portabandiera del nostro Borgo, costipato, nell’importante cerimonia che rievoca l’arrivo dell’Imperatore Federico Barbarossa a Como con tanto di Imperatrice, nel 1159. Si allestisce per questo un piccolo corteo che, partendo da Piazza Cavour, la grande piazza a lago sede in questi giorni della Fiera del Libro, sfilando fra bancarelle di dolciumi, salami e formaggi vari arriva fino alla suggestiva Piazza del Duomo; qui, una volta che Imperatrice, Imperatore e maggiorenti vari si sono sistemati davanti al Broletto,  viene declamato l’Editto di Roncaglia con il quale tra le altre cose l’Imperatore garantiva privilegi e guarentigie ai comaschi in ringraziamento dell’aiuto ricevuto contro gli odiati milanesi; i Capitani dei Borghi giurano fedeltà all’Imperatore, i trombettieri trombettano, i tamburini tamburano e gli sbandieratori sbandierano; quest’anno una simpatica coppia di saltimbanchi saltellava e sputava fuoco e, per non farci mancar niente, è stato condannato a morte un eretico Cataro. Mi aspettavo che l’Imperatore lo graziasse ma questi, un bancario ora in pensione, si è diplomaticamente  rimesso al giudizio di Santa Madre Chiesa nella persona del vescovo Ardizzone il quale, considerata la pertinace ostinazione dell’eretico nel rifiutare l’abiura, non ha potuto fare a meno di condannarlo al rogo. Se avesse aspettato una settimana sarebbe stato consegnato nelle mani amorevoli di mio cognato, il boia: perché in verità il Grande Corteo Storico si terrà la settimana prossima ,con la partecipazione di centinaia di figuranti, carri, cavalli, dame e cavalieri; io per fortuna ho ricevuto la dispensa imperiale e me ne terrò accuratamente alla larga. Per carità, non per snobismo o critica verso gli organizzatori: è che non sopporto più la gente. Problema mio, ma visto che non mi piacerebbe venire alle mani con qualche spettatore, dato che più passano gli anni più la maleducazione aumenta, preferisco astenermi. E poi alla mia età nel medioevo probabilmente sarei già morto: lasciamo quindi che la sfilata la facciano i vivi…

Un episodio buffo ha allietato l’arrivo del Barbarossa: una volta sbarcato dalle agili lucie, le barchette tipiche del Lario, il corteo è stato bloccato sul marciapiede dal semaforo rosso che consente l’attraversamento verso la piazza dove il popolo in calzamaglia lo attendeva festante. E che cavolo, mi sono detto, un Imperatore che deve aspettare il verde per passare non mi pare proprio una gran potenza, qualche suddito si sarebbe anche potuto sacrificare per bloccare il traffico! Ma l’Hoenstaufen, nella sua magnanimità, ha benedetto tutti lo stesso.

La serata si è conclusa, per i più affezionati, con una cena medievale che si è tenuta nella Chiesa sconsacrata di S.Francesco, di fianco al Tribunale: qui tutte le notti bivaccano, in mancanza di meglio, dei senza tetto; e proprio uno di questi ho visto lamentarsi con i poliziotti intervenuti per garantire la tranquillità dell’illustre consesso perché insomma, si era fatta una certa ora e lui era stanco di flauti tamburelli risate e brindisi. E che cacchio, ma che vadano a far casino un po’ più in là, ‘sti nobili!

La mia serata invece, più prosaicamente, si è conclusa al Bar Touring di Piazza Duomo, dove con famigliola e qualche amico ci siamo accontentati di una modesta apericena: modesta per modo di dire, perché per soli 12€ a testa abbiamo spazzolato il buffet (notevole) diverse volte, e con soddisfazione.

Lunga vita all’Imperatore!

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Altro che tempi bui!

Amici cari, come si fa a dire che il mondo è brutto quando accadono fatti come questi?

  • Durante il banchetto nuziale, vicino Abbiategrasso, gli sposini si sono azzuffati con i cognati per un apprezzamento poco simpatico del cognato sul vestito della sposa. Apriti cielo! Botte e cognati portati al pronto soccorso: che goduria! Peccato non essere stato tra gli invitati. Si prevedono bis per le feste di Pasqua, Natale e compleanni vari.
  • Una ragazza francese si è tuffata nuda nella fontana dell’Apple Store in piazzetta Liberty, a Milano: “non pensavo fosse vietato, in Italia”, si è giustificata, rivelando così una grande considerazione della nostra apertura mentale. E pensare che qualcuno ci considera dei bigotti!
  • Ho visto solo oggi purtroppo le foto della ragazza che a Madrid, durante la finale della Champions League, ha fatto invasione di campo correndo in costume da bagno e scarpe da tennis. Per il poco che ho visto della partita, il suo spettacolo è stato senz’altro migliore di quello che hanno offerto le due squadre: la coppa (ben meritata) l’avrebbero dovuta assegnare a lei!

Enjoy!

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Why do Italians live so long?

It’s universally acknowledged as Italy, this lovely place kissed on the forehead by Dea Fortuna, was the most beautiful country in the world.
About this topic I must reject any objection, my dear friends, and, if you don’t feel like my humble belief, take a look to the UNESCO report: fifty-five sites (since today) recognized as World Heritage, between natural, historical, architectural, even culinary… the largest quantity on the planet.
But, my devoted readers, it’s not my intention to talk about obvious thing.
Instead, I want introduce to you the Italians, firstly by refuting and rejecting annoying cliché and also to show some aspects of our way of life that I am sure are poorly known.

If you are some of that guys that imagine Italians busy all day (including holydays) eating pizza and spaghetti _ about this I had an embarrassing welcome in a restaurant in Stockolm, but I’ll tell it again, if you have curiosity _  and playing mandolino, I must disappoint you: i.e. I play guitar and not mandolin, and not all the day.

After this brief introduction, I would like to begin with an important, quite fundamental argument: why do Italians live so long?

This is why Italians live so long
Please friends, avoid easy answer: yes it’s true, we have sun, sea, lakes, mountains, temperate climate, lot of water, good and sometimes excellent public healthcare, charming towns and villages, aptitude for socializing, expansiveness and an excellent art of getting by. It’s not so true all over the whole country, but in most part of it yes.
Open your ears and mind because I’ll now reveal to you the real reasons why we live more than other peoples:

  • Mediterranean diet;
  • Sex.

About diet you could consult thousands of sites and all of them will recommend to you a correct mix of carbohydrates, protein, fats and sugars for improve health and wellness; yes all true, but I ask to you: What about ingredients? What about cooking? What about the taste of eating? (à propos of cooking, I’ll talk about this in a future episode “Why Italians love their moms so much”) And, of course: what about wine? You know, we produce great quantity of wine and personally I offer a substantial contribution to domestic consumption, as you can guess from this few rows.

But, once you have well eaten, my dears, how to spend the rest of the time?
You have surely heard the names of famous latin lover of the past: Giacomo Casanova, Rodolfo Valentino, Silvio Berlusconi, but what you don’t know is that inside each Italian you could find a latin lover, even in late age.

Take me, for example, I have sex five times a day: 1) just woke up, with my wife 2) middle morning, with my colleague Virna; 3) at noon, in the company canteen, with chi c’è c’è; 4) in the evening, bis with my colleague Virna; 5) during dinner, with my wife again. Never during the night, sleeping is necessary to restore potency.
Unbelievable, isn’t it? Considering my age, moreover.

I have only a little problem, added to my poor knowledge of English, my memory: what is precisely sex, stuff you can eat?

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Una birra per Olena (VII)

«James caro, sono pronti questi bagagli?»
Gilda, abbigliata da principessa Sissi, picchietta impazientemente in terra con il grazioso piedino mentre si rimira nell’antica specchiera veneziana appesa ad una parete della sala.
James il maggiordomo, vestito del costume tipico bavarese Lederhosen¹, fa il suo ingresso nella stanza reggendo due valigie.
«Chiedo venia, signora, con queste dovremmo essere pronti. Non sarebbe stato appropriato partire senza il vostro costume Dirndl¹ ma purtroppo era scomparso; abbiamo dovuto mettere la casa sottosopra, ma alla fine l’abbiamo trovato»
«Oh, meno male, e dove si era andato a cacciare? Non lo mettevo dai tempi della caccia al cervo con la buonanima di Evaristo»
«Era in un armadio nella camera di Miguel, signora, il giardiniere ama il cosplay, si traveste spesso da Heidi»
«Che monello quel Miguel! Ma a proposito James, quando tornerà quell’ometto? Il giardino sembra un po’ trascurato»
«Ecco, signora, se tutto va bene dovrebbe essere di ritorno alla fine del mese, sempre che eventi imprevisti non lo trattengano» dice James rabbrividendo, sperando che la sua preoccupazione non si tramuti in premonizione.

In quel preciso istante infatti, nella Hacienda “Pedro Pineda”, a Laguna Seca, nello stato di Zacatecas in Messico, si sta preparando la grande festa che si terrà dopo il tramonto, quando il sole che martella quella landa desolata avrà accordato una tregua ai lavoratori della terra, in attesa di riprendere le ostilità il giorno seguente.
Il padrone di casa, don Ignacio de La Peña, osserva orgoglioso il palco su cui l’orchestra mariachi “Aureliano Zapata” sta scaldando gli strumenti con una versione originale del classico Cielito Lindo.
Intanto, al piano di sopra della casa padronale, la tragedia incombe.
«Paio, mi querida, esci di lì por favor»
«No, no e no! Non verrò mai alla festa con questi straccetti!»
«Ma mi amor, che ti importa del vestito, sei bellissima!»
Paio Pignola, al secolo Hector Garcìa, esce come una furia dal bagno dove si era rintanata.
Vestita di un abito tradizionale variopinto, con un lungo sottanone ed una camicia di pizzo allacciata sul davanti, in testa un velo che la fa assomigliare ad un famoso dipinto di Frida Kalho non fosse altro che per i generosi baffetti neri, la salsera inferocita carica il malcapitato Miguel.
«Tu e le tue maledettissime idee!» sbotta la cubana. «Facciamo solo una piccola deviazione per trovare i miei… dovevamo andare ad Acapulco e guarda in che buco mi hai portato! Ed hai perso anche le valigie!»
«Ma mi amor, non è stata colpa mia… come potevo sapere che l’autista dell’autobus fosse un ubriacone e si addormentasse mentre guidava? Per fortuna siamo riusciti a saltare fuori prima che si capottasse nel burrone…»
«Se mi amassi veramente, come dici, avresti salvato almeno il mio beauty case! E invece eccomi qua, sembro una suora di clausura!» afferma Paio, sollevando il sottanone.
«Ma quale suora, Paio, sei elegantissima. Lo so che sei nervosa per la festa, ma non devi preoccuparti, i miei genitori sono persone alla buona, vedrai!»
«E non dire che sono nervosa, ti ho detto che non sono nervosa!» strilla Paio in falsetto. «E prega che vada tutto bene, se no nel burrone ci finiranno i tuoi gingilli!»

Gilda, riflettendo sulle qualità del fido tuttofare, formula un auspicio: «Bè, speriamo proprio di no, mi dispiacerebbe perdere un collaboratore così variopinto» poi, guardando con interesse il maggiordomo:
«James, te l’hanno mai detto che i pantaloncini con le bretelle ti donano? Anche il cappello con la piuma, ma di più i calzoncini. Potresti metterli più spesso, magari nelle cene informali»
«Grazie signora» risponde James con modestia «in gioventù ho praticato la Schuhplattln² con il mio amico boscaiolo Hans. Ricordo che abbiamo partecipato a diverse gare e riscuotevamo un discreto successo nello Jodel a due voci»
«Davvero, James? Mi sarebbe piaciuto assistere. Ma come mai la coppia si è sciolta?»
«Ehm, ecco, per divergenze artistiche, signora» risponde James, ripensando agli schiaffi veri che il boscaiolo gli aveva affibbiato quando lo aveva scoperto nel capanno del guardaboschi Ulrich.
«Bè, è un vero peccato James. Ma, come si dice, the show must go on the table, con o senza gatto» poi, come se avesse un ripensamento, la Calva Tettuta continua:
«James, sai che ho una alta opinione di te, vero? Perciò non prendere questa mia domanda come una mancanza di fiducia. E’ stata allertata la cavalleria? Natascia, intendo. Non so perché ma sento che potremmo aver bisogno di una consistente potenza di fuoco.»
James risponde senza scomporsi «Mi sono preso la libertà di avvisare la nostra Natascia appena saputo dell’accaduto, dovrebbe già essere sul posto », ripensando a quanto successo due giorni prima.

All’uscita dalla miniera, Olena accende il telefono satellitare per avvisare la sua committente Priscilla Presley dell’avvenuta liberazione del suo amico Tom Jones. Prima che possa digitare il numero viene preceduta da una chiamata, ed il nome che compare sul display le procura un sorrisetto che le increspa l’angolo destro delle labbra.
«Amuoruccio! Tu non riesce proprio a stare senza di me. Tu carino, ma ora io lavoro, può tu chiamare più tardi?»
«Natascia, abbiamo un problema» annuncia un compìto James. «Servirebbe la tua presenza a Monaco di Baviera, pensi di farcela per domani mattina? E ti sarei grato di soprassedere sull’amuoruccio»
«Quando tu capirai mio nome io smetterò di chiamare tu amuoruccio, capito finuocchietto?» mette in chiaro la russa, tornata seria. «Cosa successo a Muonaco?»
Il maggiordomo concede solo un assaggio di risposta:
«Presentati dal direttore Matthäus. Il caso è rognoso, la polizia brancola nel buio, il direttore annaspa aspettando che il trombettiere annunci l’arrivo dei nostri»
«Piatto ricco mi ci ficco» risponde Olena, chiudendo la conversazione.

Gilda annuisce in segno di approvazione ed elogia il suo maggiordomo.
«James, poche persone sono efficienti come te. Ti confesso che adesso sono più tranquilla, perlomeno di russi, cinesi e pigmei non dobbiamo temere. Possiamo muoverci, adesso?»
«Senz’altro, signora, faccio strada» e James solleva le valigie e si avvia verso il taxi che li sta aspettando per andare all’aeroporto,

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¹ Il Lederhosen ed il Dirndl sono costumi tipici bavaresi, l’uno maschile e l’altro femminile
² Lo Schuhplattler è una danza bavarese e tirolese dove ci si tira degli schiaffoni

Carràmba che sorpresa!

Come diceva l’Ispettore Rock nella famosa pubblicità della brillantina Linetti degli anni ’50 e ’60, “anch’io ho commesso un errore…”.

Qualche anno fa, sull’onda dell’esplosione di facebook, mi iscrissi a questo social network ed ebbi modo di constatarne la straordinaria potenza come strumento di distruzione di massa dei cervelli e di ricettacolo di ogni fuori di testa del pianeta. Pertanto a poco a poco me ne sono allontanato, limitandomi a darci un’occhiata ogni tanto ed a mettere qualche like qua e là, specialmente a foto di vacanze e bottiglie di vino.
Ogni tanto degli sconosciuti e sconosciute mi chiedono l’amicizia ma l’amicizia, come la fiducia (tanto per restare in tema di réclame) è una cosa seria, perciò l’ho sempre centellinata ed accordata solo a persone che conoscevo o con le quali mi sentivo in sintonia.

A questo allontanamento ha contribuito anche il mio telefonino, che avendo una versione vecchia di Windows Phone non supporta più la app di facebook, e quindi la sera a casa dovrei accendere il computer, collegarmi etc… cosa che faccio di rado e di malavoglia, dato che di computer ne ho abbastanza di giorno.

L’altro giorno però, tra le richieste che di solito casso senza entrare nel merito, solitamente di signorine evidentemente entusiaste della mia foto sul profilo, che peraltro è di qualche annetto fa, e desiderose di intrattenere una proficua e fruttuosa corrispondenza, ne è arrivata una di una certa Albertina, dalla Francia, che mi ha colpito e spiazzato.
Una bella ragazza senz’altro, bionda con occhi chiari, decisamente di aspetto francese, con una bella bambina; poiché nel mio lavoro ho avuto a che fare con banche francesi ho pensato che potesse essere qualche collega, ma il nome non mi diceva niente; oppure qualche amica di conoscenti francesi ai quali per qualche strano motivo facebook mi avesse presentato come amicizia comune; oppure, dato che recentemente ho fatto stampare “Ferragosto con Olena” su un negozio online scoprendo poi che questo era francese, che sia stata addirittura un’impiegata di questa società, colpita dalla copertina (fatta da un professionista che dovrebbe decidersi a farmi diventare presto nonno).

Rassicuro (o deludo) tutti, il libro non è in vendita. L’ho fatto stampare in poche copie per regalarlo agli amici a Natale (qualcuno lo baratterebbe con una bottiglia, ma con quello che l’ho pagato non avrei preso nemmeno una bottiglia di moscatello delle giostre…) e per tenermelo in libreria per i nipoti, che potranno dire quanto il nonno fosse rimbambito ancora da relativamente giovane.

Contravvenendo quindi alle mie stesse regole ed ai più elementari principi di opportunità e prudenza, ho concesso alla ragazza l’amicizia (con restrizioni, che credo significhi che non può scrivere sul mio profilo senza il mio permesso, ma non ne sono sicuro) ripromettendomi appena possibile di andare a capire chi è questa Albertina.

Capirete quindi il mio imbarazzato e disappunto quando, collegato finalmente alla nuova amicizia, non mi sono trovato di fronte la slanciata Albertina ma un tozzo ed ingrugnito Nkono Kakame (o giù di lì: diciamo che ero rimasto abbastanza con la bocca aperta e non ho afferrato benissimo il nome) che mi guardava beffardo e minaccioso. Non era possibile pensare ad un caso di cambiamento di sesso, tipo Bradley Manning diventato Chelsea per intenderci: anche perché il nostro Albertino era decisamente troppo scuro. Mi sono affrettato a revocare l’amicizia al simpatico Kakame, e non vorrei che la decisione sia equivocata come dettata da razzismo: ho parecchi amici neri ma non simpatizzo per i Kakame che si presentano come Albertine, posso incolpare l’ambiente frequentato se questo mio lato del carattere sembrerà antipatico e fuori moda.

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Del resto: basta saperlo! Un mio ex-collega torinese, di cui vi ho già parlato come lusingatore, non si è fatto scrupoli di frequentare un trans, e me ne ha anche magnificato la femminilità, la sensibilità, la dolcezza: tutti i gusti son gusti, amico caro, ma sarebbe un po’ difficile per un ragazzo all’antica come il sottoscritto trascurare alcuni dettagli non proprio secondari.

Addio dunque dolce Albertina! Poteva essere una bella amicizia, ma è finito tutto in Kakame.

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Una birra per Olena (V)

«Quindici uomini, quindici uomini… craa! Sulla cassa del morto… craa!! E un barile di rhum! »
Flettàx, il pappagallo padano sovranista, dalla coffa del drakkar vichingo aguzza la vista per individuare terre emerse. Sul capo un cappellino da pirata e sull’occhio destro una benda nera, arruffa le penne ciangottando al vento.

Uppallo I e Uppallo IV, i cantanti gemelli monozigoti reduci dal successo nell’Air Guitar World Championship di Oulu, la bella cittadina nel centro della Finlandia che si affaccia sul Golfo di Bothnia, in pratica un festival di suonatori di chitarra senza chitarra¹ , dove hanno spopolato simulando di suonare in coppia uno dei loro più grandi successi: Sockerkaka Dragan Len, che alla lettera starebbe per stampo da forno – set per bagno da 4 pezzi – cuscino da allattamento ma nella cultura norrena è un inno alla trasgressività e alla libertà di costumi, strimpellano un vecchio Kantele² componendo il prossimo successo.

Il cinese Po, ultimo rimasto della guardia personale dell’ultimo imperatore Pu Yi, sulla tolda della slanciata nave da guerra esegue i consueti esercizi con la sua arma preferita, la racchetta elettrica, facendo particolare attenzione alla respirazione diaframmatica in modo che lo jin e lo jang entrino in armonia tra di loro.

Svengard il vichingo, con l’elmo cornuto in testa, è al timone e dirige l’agile barca verso l’aurora boreale. La voce di Uppallo I, il più importuno dei due gemelli, lo strappa ai suoi profondi pensieri:
«O Svengard, amico fraterno, compagno (senza riferimenti politici) di tante battaglie, perdona se ti distolgo dalle tue gravi meditazioni, ma non c’è modo di far star zitta quella bestia?»
Ma Svengard, assorto nei suoi pensieri, non dà segno di aver inteso la domanda.
Allora Uppallo IV, il più impulsivo dei due, lato del carattere che gli ha causato non pochi dispiaceri, lo riporta alla realtà usando meno tatto di quello che sarebbe forse necessario:
«Svengard, gran cornuto!» dice il cantante, in relazione all’elmo. «Vuoi far star zitto quel pappagallo? Che altrimento gli tiro il collo»
All’accenno alle corna Svengard ha un soprassalto e Uppallo I si scosta dal fratello, temendo che la somiglianza gli possa causare spiacevoli conseguenze.
«O amici cari» risponde finalmente il norreno. «Quel pappagallo ha più cervello di tutti noi tre messi insieme, ma non è per questo che vi impedirò di tirargli il collo, idea peraltro che mi ha accarezzato la mente non poche volte»
«Ah, si?» si sorprende Uppallo I. «E perché non l’hai fatto, allora?»
«Ahi, amici! Il pappagallo mi è stato affidato dalla dolce Gilda, e se dovesse succedergli qualcosa me la passerei parecchio male. Fatemi combattere contro mille nemici, ma non contro una Gilda infuriata. Perciò, miei aedi, il pappagallo resta ed ha facoltà di cantare quanto vuole. Fatevene una ragione»
Mentre i due Uppalli stanno per accennare una protesta, dal posto di vedetta si sente Flettàx lanciare un allarme:

« Terra! Craa…!! Terra! Craa…!! Terùn!!»

Il pappagallo ha infatti visto la sagoma della terraferma, probabilmente nelle vicinanze di Kokkola, e lancia i suoi richiami ai compagni di viaggio. Insieme alla fragranza della terra umida, però, al becco del pappagallo arriva un altro, inconfondibile odore: femmina! E’ un attimo e Flettàx, buttato il cappello e tolta la benda, si da una scrollata alle piume variopinte e parte alla volta dell’origine dell’effluvio.

Svengard, gli Uppalli e Po rimangono con il naso all’aria osservando le evoluzioni dell’uccello, che strillando il suo grido amoroso: «Sun chì, ammorre! Craa…!!!» si allontana dalla barca.
Un brivido percorre la schiena dell’impietrito Svengard, e proprio in quel momento squilla il telefono satellitare. Il norreno guarda il numero e impallidisce; il suo primo impulso è quello di gettare in mare l’apparecchio ma resiste. Infine, con voce che definire ferma sarebbe improprio, risponde alla chiamata:
«Ehm… pronto?»
«Sven, sei tu? Che voce strana che hai, ti sei ricordato di fare i gargarismi mattutini tesoro? » poi, non sentendo risposta, continua: «Svengard sono Gilda, non mi riconosci? Sven, che stai facendo?»
«Ecco, ehm, cara, sto navigando…»
«Perfetto Sven, allora fai una bella cosa, naviga fino a Monaco di Baviera che c’è bisogno di te»
«A Monaco, mia amata? Ma io stavo andando in Lapponia. E a Monaco non mi risulta ci sia il mare»
«Svengard Sundström, non cominciare a mettere scuse. Tieni presente che non facciamo l’amore da una settimana, tre giorni e quattro ore, e sono al limite. Perciò lascia stare la Lapponia e dirigiti subito dove ti ho detto. Ah, a proposito, come sta Flettàx? Passamelo che lo saluto»
All’udire la parola Flettàx Svengard inizia a sudare freddo, e coprendosi la bocca con la mano imita il verso del pappagallo: «Cra…!! Cra..!! Legittima difesa! Va a ciapà i rat!»
«Oh, sono proprio contenta che Flettàx stia bene. Allora ci vediamo domani, eh, amoruccio? E vedi di essere puntuale. Baci baci» e interrompe la comunicazione, lasciando Svengard a rimirare la cornetta grattandosi l’elmo.

 

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¹ Giuro che esiste.
² Strumento tradizionale finlandese e non solo.