Cronachette dell’anno nuovo che assomiglia tanto al vecchio (4)

Amiche e amici,

oggi è la giornata della memoria. Motivo forse per cui scrivo queste cronachette: così se perdo la memoria me le posso andare a rileggere e chiedermi se ero davvero io quello che scriveva quelle cose là. L’altra settimana, a proposito, quando vi dicevo che con i miei fratelli abbiamo aperto i cassetti di mia madre e tirato fuori i suoi ricordi, c’erano anche delle lettere che conservava gelosamente: quelle che noi fratelli le scrivevamo da bambini per la festa della mamma, le cartoline e le lettere che le mandavamo quando andavamo in gita (per fortuna non esistevano i telefonini, whatsapp e gli sms…), e tra queste una lettera che le scrissi da militare, per raccontarle alla mia maniera come me la passavo a servire la patria. Allora non si tornava a casa molto spesso, io in tutto il militare sono andato in licenza 2-3 volte, ma considerate che ho passato una estate a Sabaudia ed una a Rimini, quindi non è che avessi tutta questa smania di tornare a casa.

Comunque ieri sera ho partecipato ad una serata in preparazione della giornata della memoria, organizzata dai pensionati dei balli popolari del martedì; vi ho parlato poco di queste persone ma sono davvero ammirabili, prima di tutto perché per la maggior parte provengono dal sindacato ed in genere da quella che una volta si chiamava sinistra, dunque anche se provati hanno ancora degli ideali; poi perché hanno ancora voglia di mettersi in gioco, di organizzare, di creare occasioni di partecipazione…  Così ieri sera la serata ha proposto la visione di tre brevi documenti:  il primo un’intervista a Ines Figini, un’operaia comasca nata nel 1922, scomparsa da un paio d’anni, che raccontava come sia stata deportata nel ’44 non perché ebrea, ma perché a seguito degli scioperi nel comasco aveva “osato” prendere le difese dei suoi compagni; e così insieme ad altri operai ed operaie venne portata nel lager di Mauthausen, e poi ad Auschwitz-Birkenau ed infine a Ravensbrück, dove rimase fino alla liberazione ad opera dell’esercito sovietico. Il secondo documento è un’intervista di Walter Veltroni (ogni tanto ne azzecca qualcuna, come quando da direttore dell’Unità fece ripubblicare tutti gli album di figurine dei calciatori Panin) a Sami Modiano, ebreo, che viveva con la sua famiglia a Rodi: qui i tedeschi lo presero il 23 luglio del ’44, con suo padre e sua sorella (la mamma era morta) e tutta la comunità ebraica e li portarono ad Auschwitz-Birkenau, dove ben pochi si salvarono. Sua sorella morì dopo appena un mese dall’arrivo, e suo padre poco dopo la seguì, lasciandosi morire. Sami, così come Ines, quando i tedeschi erano ormai braccati vennero incamminati in quelle che erano chiamate “marce della morte”: i tedeschi non volevano testimoni in vita e non volevano nemmeno sprecare pallottole, perciò facevano camminare i deportati, ridotti spesso a larve di uomini (Sami pesava 23 chili, e aveva 14 anni!) fino a che non morissero per il freddo e lo sfinimento. Sami si salvò solo perché, svenuto durante la marcia, venne messo sopra un mucchio di cadaveri da due compagni; risvegliatosi trovò la forza di tornare al campo per cercare riparo, e venne salvato da una dottoressa russa che lo trovò in fin di vita.

Infine, il terzo documento mostra un viaggio di pochi anni fa di ragazzi delle superiori per visitare Auschwitz, a cui partecipò anche Davide Van De Sfroos, il cantautore laghée: lo sguardo di questi ragazzi, le riflessioni, quello che sono capaci di documentare con foto, disegni e scritti fa ben sperare per il futuro, nonostante tutto.

E’ assurdo, e grottesco per riportare le parole di una amica blogger, che alla commemorazione ad Auschwitz non siano stati invitati rappresentanti russi. Nello stravolgimento della storia in atto, può darsi che tra qualche anno ci faranno credere che i campi di concentramento erano gestiti dai sovietici, ed i nazisti erano i liberatori.

Dopo la parte culturale e memoriale, cibo e danze! Da mangiare le volenterose pensionate e non hanno preparato dei piatti simil kosher: segnalo tre tipi di hummus, di cui avrei fatto a meno perché è un cibo che non riesce proprio a piacermi. Non ho portato il mio salame perché alcuni puristi non lo ritenevano filologico, ma se lo avessi fatto avrebbe avuto molto più successo dell’hummus, ne sono sicuro. Il prosecco comunque, kosher o no, c’era.

Le danze israeliane sono molto divertenti. Io sono uno dei più scarsi perché tendo a dimenticare i passi, anche se orecchio per la musica ce l’ho e quindi almeno il tempo lo tengo; fra qualche tempo, chissà, potrei anche diventare bravo. Sempre che la memoria mi assista…

A presto!

Giusto per rendere l’idea, non siamo noi ma potremmo esserlo…

Chiuso per lutto

Amiche e amici,

mi scuso se in questi giorni sono stato assente ma mercoledì scorso è morta mia madre. Se ne è andata in un attimo: al mattino la donna che l’assisteva l’ha trovata incosciente sulla poltrona dove abitualmente si sedeva per vestirsi, appena alzata. I miei fratelli mi hanno raccontato della chiamata al dottore, l’arrivo dell’ambulanza, la corsa in ospedale, la Tac che non dava speranza: emorragia cerebrale estesa.

Non c’era niente da fare, e ringrazio i dottori per non aver nemmeno tentato un intervento; a quel punto l’alternativa era solo tra l’aspettare la fine in ospedale o tentare il trasporto a casa: dopo qualche ora, quando sembrava che la situazione si fosse stabilizzata, i miei fratelli hanno deciso saggiamente di riportarla a casa. E’ arrivata alle 20, alle 23 è spirata, ma almeno nel suo letto.

Mia madre era del 1935, seconda di quattro fratelli, mio padre del 1928 il secondo di cinque; noi siamo quattro fratelli, dunque loro la media l’avevano mantenuta, media che abbiamo provveduto noi figli ad abbassare, dandogli in tutto sette nipoti ed una sola (per ora) bisnipote.

Quando sono arrivato io, e l’altro fratello che abita anche lui lontano, era tutto finito: lei era distesa nel letto matrimoniale, ricomposta con il vestito e le scarpe che aveva preparato da tempo per l’occasione, quasi sorridente, sembrava contenta di vederci tutti insieme,  appuntamento che negli ultimi tempi era diventato sempre più difficile da organizzare. Era bella, lei che alla sua età aveva ancora una carnagione invidiabile, e persino i piedi che tendevano a gonfiarsi erano sgonfi ed aveva potuto indossare le scarpe nuove, laccate, che le piacevano tanto ma non aveva mai potuto mettere.

Non ha sofferto, così ci hanno assicurato i medici, e nel dolore della perdita è almeno una consolazione; aspettava questo momento serenamente, ed a volte si augurava arrivasse presto, perché da quando mio padre ci aveva lasciati, due anni fa, aveva perso ogni interesse, lei che era stata sempre curiosa di tutto. Non riuscivo nemmeno più a tirarle fuori le storie della giovinezza, che pure raccontava sempre volentieri, infiocchettandole ogni volta con qualche particolare nuovo.

Il funerale è stato fatto presto, alle 9 di mattina di venerdì, con la chiesa piena di parenti, amici, conoscenti, e tanti mancavano perché non l’avevano saputo o saputo tardi, ma in paese è così, ci si conosce un po’ tutti e in queste occasioni si cerca di essere presenti, per far sentire la vicinanza anche fisicamente.

Si può dire che la commemorazione è stata quasi una festa: abbiamo pranzato tutti insieme, figli e nipoti nuore e generi, mangiato e bevuto alla salute dei nostri, scambiandoci ricordi e aneddoti (io, essendo il maggiore, sono quello che ne ha di più) ed abbiamo passato il pomeriggio a spulciare le foto che mamma collezionava da una vita, dove abbiamo ritrovato pezzi di noi che avevamo dimenticato (addirittura ho trovato delle foto di militare del ’79: ma chi sono quegli sconosciuti con i quali ridevo e scherzavo?). Ringraziamo che non esistevano le fotografie digitali, e sono rimaste le stampe come testimonianza: ma nel futuro non sarà così e di questo mondo digitale che sembra eterno non rimarrà più nulla, e tutti i ricordi svaniranno. Cosa vedranno i nostri figli e nipoti, le memorie dei nostri cellulari?

Alla fine, il mio stato d’animo è di tristezza ma anche di sollievo, non solo per lei ma soprattutto per i miei fratelli che l’hanno accudita quotidianamente e amorevolmente per tutto questo tempo, e mi chiedo se avrei saputo fare lo stesso.

Sabato sono ripartito; eredità da spartirsi non ce ne sono, e quindi nemmeno occasioni per litigare; delle incombenze pratiche si occupa mia sorella, già pratica avendo seguito le procedure per mio padre; ci rivedremo più in là, a primavera, più sereni, quando tutti avremo elaborato la mancanza e realizzato che ora siamo davvero orfani.

I miei amici, almeno quelli che ho visto, mi hanno chiesto di continuare a farmi vedere anche se i genitori non ci sono più, ho promesso ma lo farò veramente? Oppure, scomparsi loro, anche il richiamo del paese diventerà più blando, fino a sparire?

Confido comunque che i prossimi appuntamenti siano più lieti, ma ho degli zii che hanno superato abbondantemente l’ottantina, e non sono immortali neanche loro…

Amiche e amici, anche se questa è la vita quando accade lascia sempre un po’ d’amaro: ma noi ci rivedremo ancor, ci rivedremo un dì, dice la canzone… chissà. Se proprio non crediamo, almeno speriamo.

La maledizione di Boris Godunov

Amiche e amici,

quasi si trattasse di un Montezuma o peggio un Tutankhamon, Boris Godunov ha colpito. La sera della prima alla Scala, tra signore ingioiellate e uomini in abito da sera, nel palco reale si è insinuato il morbo e così il giorno dopo ci siamo ritrovati con lo Stato decapitato: il primo ministro a letto con l’influenza, e il presidente della repubblica a letto con il Covid. Per quest’ultimo i giornalisti rassicurano dicendo che ha qualche linea di febbre ma è asintomatico: non sono molto ferrato in medicina, ma la febbre non è di per sé stessa un sintomo? Ma sorvoliamo.

Quel palco reale in effetti era parecchio affollato: c’erano anche il sindaco di Milano, la presidente della commissione europea, e perfino il presidente del senato, Ignazio La Russa, ognuno con accompagnatori o accompagnatrici. Quest’ultimo nei giorni successivi ha propugnato il ripristino della leva militare, sia pure ridotta e volontaria. Una leva volontaria non mi pare proprio una leva, fa il paio con la febbre asintomatica. Ricordo una trasmissione di Santoro del 2010, sembra un secolo fa, dove Di Pietro, continuamente interrotto dall’attuale presidente del senato, ad un certo punto sbottò con un “che vuol dire essere fascista? Essere La Russa”. Il quale adesso è diventato  moderato, ma ogni tanto la scheggia gli parte.  

Tutti hanno voluto dichiarare che la cultura russa è parte integrante dell’Europa e non si può cancellare; peccato che abbiano e stiano ancora appoggiando chi la cultura russa non solo qua ha tentato di cancellarla, con le liste di proscrizione e la cancellazione di spettacoli e lezioni universitarie, ma soprattutto hanno sostenuto e sostengono quelli che da ancora prima del 2014 hanno cercato di cancellarla a casa loro, e mi riferisco ai nazisti ucraini (non tutti gli ucraini sono nazisti. Ma i nazisti ucraini ci sono stati e continuano ad esserci).

E’ notizia di ieri che sono stati arrestati per corruzione (per aver preso mazzette consistenti per ammorbidire le relazioni con il Qatar) parlamentari europei, quasi tutti italiani e la vicepresidente del parlamento, una bella greca. Ora, mi chiedo: se là c’è gente che prende soldi per promuovere il Qatar, la prassi è circoscritta o, come diceva Razzi a proposito dei parlamentari italiani “Amico, qua sono tutti malviventi”? Viene da chiedersi, per assonanza: qual è il prezzo per continuare a fomentare una guerra, facendone pagare il costo oltre che agli ucraini anche ai propri concittadini?

Tra qualche giorno si terrà l’assemblea del mio condominio. Spero non sia necessario dotarsi di armi, i morosi stanno aumentando e non vorrei che prima o poi ci scappi il morto pure qua.

A presto!

La accendiamo?

Amiche e amici, avete preparato i maglioncini per l’inverno? O confidate nel caro vecchio riscaldamento globale, come diceva l’ex presidente Usa Trump canzonando gli ambientalisti quando mezza America era finita sotto il gelo?

Da piccolo la casa dove abitavo con la mia famiglia non aveva riscaldamento. C’era solo una stufa a legna in cucina, la cucina economica si chiamava, che serviva sia per cucinare che per riscaldare: e infatti d’inverno tutte le attività che richiedevano di stare fermi si svolgevano in cucina: lo studio, la lettura, il lavoro di cucito di mia madre… avevamo anche una saletta, dove dietro un paravento c’era il mio letto; e la camera da letto dove c’era il letto matrimoniale ed il letto dove dormivano i miei tre fratellini (in un letto dormivano in due, uno da un lato e uno dall’altro); questa veniva scaldata con il prete e la monaca infilati nel letto, cioè con un’intelaiatura di legno (il prete) dove veniva messo all’interno un braciere con dei pezzi di carbone (la monaca).  Per fare il bagno (una volta la settimana) mia madre riscaldava delle pentolone di acqua e le versava in una grande conca di plastica.  

Nel 1971 ci fu la svolta: ci venne assegnata una casa popolare, era un sogno! Cucina, sala, camera dei genitori, due camere per noi figli (mia sorella ebbe subito la sua, noi tre maschi invece tutti in una). Non c’era il gas: la cucina veniva alimentata con bombole che ci venivano portate in casa da un venditore che passava con un’ape Piaggio, ritirava le bombole vuote e le sostituiva con quelle piene; l’acqua calda era assicurata da uno scaldabagno elettrico; per il riscaldamento invece avevamo una stufa a cherosene che era messa nel corridoio in un posto strategico da cui irradiava il calore in tutte le stanze, e tramite il tubo che arrivava alla cappa di scarico dei fumi riscaldava anche la cucina.

Solo verso la fine degli anni ’80 nel comune arrivò il gas, e vennero stese le condutture per le vie del paese; l’Istituto delle Case Popolari per quanto lo riguardava curò i collegamenti per tutti i suoi condomini, poi ogni affittuario decise se allacciarsi o meno. Mio padre che era anche idraulico ci fece l’impianto, tirando i tubi di rame in tutte le stanze e piazzando i caloriferi (in ghisa). Anche lo scaldabagno venne sostituito: mio padre aveva installato una caldaia Vaillant e ne andava fierissimo, diceva che era l’ammiraglia delle caldaie! Il progresso per me è stato questo: potersi lavare senza stare a dover lesinare l’acqua calda…

Ora la preoccupazione sembra essere quella opposta: le case sono riscaldate troppo, e per troppe ore, e dato che il gas scarseggia perché per sostenere gli ucraini, sa solo il cielo perché, abbiamo deciso di rinunciare alle forniture russe, come se gli altri a cui ci stiamo legando mani e piedi fossero tutti grandi democratici (uno per tutti: gli azeri che stanno compiendo veri e propri massacri di armeni, ancora una volta) e le bollette sono alle stelle, dobbiamo fare sacrifici. Bisogna risparmiare. Che nobile intento! Quello che non poté Greta lo poté la guerra. Peccato aver buttato la stufa a legna, anche se mi dicono che il prezzo della legna è alle stelle pure quello. Al limite avrei potuto bruciarci i giornali,tanto per quello che servono…

Amiche e amici, vi saluto informandovi che al Piccolo Teatro di Milano è in scena “M il figlio del secolo”, tratto dal libro di Scurati, la storia dell’ascesa al potere di Mussolini: ve lo consiglio caldamente, sono tre ore di spettacolo ma per niente faticose. Ci siamo dimenticati troppe cose, e temo che siamo andati troppo oltre.

A presto! (o a noi, fate voi)

Il vecchio Jack non aveva la stufa a legna

Ho le carte in regola!

In questo anno I dell’era Meloniana, credo sia utile e necessario fare l’appello di quelli che hanno le carte in regola. Io le ebbi!

Mio zio Francesco, combattente della Grande Guerra, conservò come una reliquia il certificato di partecipazione alla marcia su Roma del ‘22 che lo qualificava come legionario. Fervente patriota, aderì alla Repubblica Sociale e si distinse in rastrellamenti di banditi nella bergamasca e nella Val d’Ossola, dove in uno scontro a fuoco venne ferito gravemente e perse la vita. E’ deprimente comunque che a distanza di 100 anni per prendere il potere non ci sia stato nemmeno bisogno di una marcetta. La gente si è impigrita!

Mio nonno Gaetano nel ’35 partì volontario per civilizzare gli abissini, nobile intento che purtroppo non ebbe esito; credo che in ricordo abbia lasciato qualche lontano zio. Non partì per liberare l’Unione Sovietica dal giogo comunista solo perché nell’avventura precedente aveva rimediato la malaria, oltre che la perdita di tutti i denti; in compenso al suo posto venne chiamato il gemello, per la verità non molto contento.

Mia nonna Ida era cuoca delle colonie fasciste, e per questo venne portata in piazza dai partigiani per essere rapata a zero insieme ad altre collaborazioniste; la salvò l’intervento del commissario del popolo che la riconobbe come proletaria e lavoratrice, e l’indomita ringraziò calorosamente con il gesto dell’ombrello e l’animoso “ve la sete pijata in der culo!”.

Mio padre Nino nel ’44, a soli 16 anni, venne portato in campeggio all’Alpe del Viceré e qui arruolato nella RSI; le sue gesta belliche non furono esaltanti perché venne preso prigioniero nella sua prima notte di guardia, e credo gli (e mi) sia andato bene. Si è fatto un paio di anni di prigionia in Algeria, chissà perché li mandavano laggiù. Devo dire che da allora, pur essendo diventato un fervente socialista, non apprezzava molto gli arabi.

Personalmente posso portare le testimonianze dei miei più stretti congiunti che possono senza remore affermare che ho sempre avuto tendenze autoritarie e nostalgiche insomma sono sempre stato di destra anche quando pensavo di essere di sinistra. Se c’è bisogno di abiure, rinnego tutto quello che ho pubblicato su questo blog in questi anni; dichiaro di avere usato l’olio di ricino, ma di più l’olio di mandorle amare, per la pulizia del clarinetto (che non a caso è di colore nero) e all’occorrenza ne posseggo ancora una bottiglietta.

A noi!

Il  mio 25 aprile

Amiche e amici, da reduce e resistente quale sono mi sembra naturale lasciare delle tracce su come ho festeggiato questa giornata di festa (“Il 25 aprile non è una ricorrenza, ora e sempre resistenza”, gridava un bel gruppo di ragazzi e ragazze che sfilava gioiosamente). Ma per non tediarvi butterò là solo qualche titolo, qualche impressione, qualche foto.

  • Milàn l’è un gran Milàn

In più di due anni è solo la terza volta che torno a Milano, dove prima del pandemonio mi recavo giornalmente: le prime due per bisbocciare con antichi compagni di merende, e questa per manifestare per la pace. Ah, dimenticavo le tre volte che sono andato a teatro, ma quelle non le considero nemmeno: il bus scarica il gruppone di pensionati con cui mi sono imbucato a pochi metri dal teatro, mangiamo velocemente, guardiamo lo spettacolo (spesso dormiamo) e ripartiamo. I banani di piazza del Duomo, di cui vi ho parlato qua, sono ormai rigogliosi.

  • Misteri di Trenord

Ho fatto i biglietti online; non so perché ma bisogna indicare l’orario in cui si intende viaggiare, ed hanno la validità di 3 ore a partire da quella che si è indicata. Le donne a 60 anni godono di uno sconto (anziani, o senior che è meno offensivo). Per scontare mia moglie, che tra l’altro non ne voleva sapere, mi sono sbagliato ed ho comprato il doppio dei biglietti. Così per risparmiare due euro ne ho spesi quindici in più: un affarone!  Su suggerimento del customer care ho fatto richiesta di rimborso: non ci spero molto, ma tentare era doveroso. Mia moglie veramente ha detto: ti sta bene. Ingrata.

  • Tiziano e l’immagine della donna nel Cinquecento veneziano

Ogni volta che partecipiamo alla festa per l’anniversario della Liberazione (a occhio e croce da più di trenta anni) cerchiamo di abbinare l’utile col dilettevole: il piano prevedeva la visita ad una mostra al Palazzo Reale a cui far seguire il pranzo, in modo da essere in forze per affrontare il corteo. L’ideale di donna del Cinquecento veneziano con quelle curve accoglienti mi soddisfa, penso che mi sarei trovato bene. La mostra è stata interessante ma secondo me sconta il periodo incerto e non poteva essere grandiosa come altre del passato (ricordo Caravaggio, Antonello da Messina…); nel cortile un allestimento, libri che vanno a seppellire i carri-armati. Ma tra i governanti del mondo non sembra sia rimasta molta gente che legge libri.

  • Ma non c’era la crisi?

Per pranzo puntavamo alla Antica Focacceria San Francesco, piatti siciliani: purtroppo era piena, ed abbiamo dovuto ripiegare in un bar delle vicinanze. Che delusione! Uno spritz annacquato ed una pizza con ingredienti messi sopra a caso. Unica soddisfazione, nel tavolo di fronte due turiste (Russe? Ucraine? Comunque dell’est)  che evidentemente avevano molto più caldo di noi.

  • Il corteo

La partenza era prevista per le 14:30 dai giardini di Porta Venezia; raggiungendo il nostro gruppo abbiamo notato, in testa al corteo, le bandiere dell’Ucraina con qualche bandiera americana, che mi hanno creato perplessità; poi la sera ho saputo, dalla blogger Cambio d’Aria, che c’erano anche bandiere della Nato: evidentemente i radicali e Calenda non hanno trovato di meglio per far parlare di loro. Ci sono state contestazioni, come quasi tutti gli anni: ricordo la volta che la sindaca Moratti sfilò spingendo suo padre in carrozzella, trovai davvero stupidi quelli che la fischiarono, anche se il motivo era che era esponente di un partito che i post-fascisti li aveva sdoganati. Sono molto più solidale con chi quest’anno ha fischiato chi è d’accordo con l’aumento delle spese militari e l’invio di armi! Comunque c’era tantissima gente, siamo riusciti ad entrare in piazza solo alle 16:30, proprio in tempo per sentire il discorso del segretario della Cgil Maurizio Landini e di seguito la chiusura del presidente dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo (entrambi attaccati furiosamente nei giorni precedenti per la loro contrarietà all’invio di armi: ormai chi non è allineato è considerato un nemico… addirittura per l’Anpi hanno coniato la disgustosa: Associazione Nazionale Putiniani d’Italia).

  • Rito?

Mentre in altre occasioni avevo il dubbio di stare partecipando ad un rito consolatorio, questa volta mi è sembrato invece di far parte di un popolo vivo; sarà stato che il giorno prima c’era stata la Marcia della Pace Perugia-Assisi, ma questa mi è sembrata la naturale continuazione: la mia impressione è che la stragrande maggioranza dei partecipanti, al di là della solidarietà con la povera gente ucraina, non credesse affatto che mandando più armi la guerra finirà prima e che fosse anzi preoccupata per l’allargamento con prospettive terribili; smarrita ed indignata per l’inazione dei governi che, appiattiti sulle direttive Usa e Nato, non si adoperano per cercare davvero la pace. Popolo vivo, insomma, ma rappresentato davvero male.

E finalmente siamo tornati a casa… a sera non mi sentivo più i piedi, e mi sono addormentato tutto storto sul divano, e così mi sono fatto venire pure il torcicollo. Cosa non si fa per la libertà!

Amiche e amici, ci avviciniamo al primo maggio, bei tempi quando si andava per prati a mangiare fave e pecorino.  Io lo farei anche, ma poi chi mi rialza? A presto!

Cronachette dallo zoccolo duro (1)

Amiche e amici, dopo una breve vacanza ritemprante eccomi ritornato e, contrariamente a quanto mi ero ripromesso, apro una nuova rubrichetta di cui sicuramente (non) sentivate la mancanza. In verità devo ringraziare la ministra senza portafoglio agli Affari Regionali, Mariastella Gelmini, che mi ha tirato in ballo: infatti, nonostante la campagna vaccinale prosegua senza sosta, tanto che i numeri dei decessi sono esattamente uguali se non leggermente peggiori a quelli dell’anno scorso quando i vaccini non c’erano, manca il guizzo, il colpo di reni che chiuderebbe finalmente la partita. Come mai, ci si chiede, sarà forse per i pasticci comunicativi, Astrazeneca sì/no, prima ai vecchi poi ai giovani poi ancora ai vecchi, sarà perché gli approvvigionamenti scarseggiano, perlomeno nella eccellente Lombardia, e quindi si sono dovute frenare le prime somministrazioni per garantire i richiami, sarà per la campagna forsennata del liberi tutti? Niente di tutto questo: la colpa, i responsabili, sono stati individuati in quei quasi due milioni e mezzo di ultrasessantenni (o per la precisione dai 60 ai sessantanove anni, lo zoccolo duro appunto l’ha chiamato la ministra) che pervicacemente si stanno rifiutando di farsi vaccinare. Renitenti alla leva, disobbedienti incivili, menefreghisti, egoisti, insensibili alla chiamata della Patria (proprio ieri Biden ha detto che la cosa più patriottica che può fare un americano oggi è farsi vaccinare; la seconda è consumare come se non ci fosse un domani, aggiungo io, e un domani non ci sarà veramente se continuano così, già si sono ritrovati con temperature vicine o sopra i cinquanta gradi, ma prendere coscienza che in gran parte di questi cambiamenti è proprio colpa loro non se ne parla). E se questi arzilli sessantenni fossero invece dei resistenti, o semplicemente avessero degli anticorpi temprati all’acciaio? Comunque, la ministra non si sa a che titolo ha detto che andremo convinti. Lì per lì mi è sembrato un messaggio vagamente mafioso ma poi mi sono rasserenato, saranno coinvolti i medici di base e i farmacisti. Se la mia dottoressa dovesse chiamarmi a casa le userei lo stesso trattamento che mi riserva lei: non risponderei, oppure le direi di richiamare più tardi, quando ovviamente non ci sarò, oppure di prendere appuntamento con la mia segretaria. Tra l’altro ha cambiato studio a fine giugno e nemmeno l’ha comunicato agli assistiti, figurarsi. Dei medici di base poi in Lombardia almeno c’è grande penuria: quelli andati in pensione si fa fatica a rimpiazzarli, grazie alle politiche delle amministrazioni di centrodestra (nelle quali si sono distinti i ciellini, a partire da Formigoni) che si sono susseguite e hanno puntato tutto sulle privatizzazioni. Così tra qualche anno (ma anche adesso) avremo un’assistenza come in Nigeria: se lo puoi pagare ti prendi un dottore, altrimenti ti attacchi.

Se poi volevate rendermi minimamente bendisposto potevate fare a meno di togliere il cashback a due giorni dal rinnovo, come ladri nella notte: oh, certo, con quei soldi si faranno tante cose più necessarie, già me le vedo. Intanto i primi effetti dello sblocco dei licenziamenti già si vedono: dopo soli due giorni la Giannetti ruote di Ceriano Laghetto ha licenziato 153 operai, che fino alla settimana prima facevano gli straordinari.

Però non si dica che sono uno che impone le proprie scelte alla sua famiglia: mia moglie ha già fatto entrambe le dosi, e domenica si è vaccinato anche mio figlio. Devo dire che sono stato un po’ in apprensione, specialmente perché è stato dentro il centro vaccinale più  di un’ora e cominciavo a pensar male: tutto bene, solo dolore al braccio, continuo però ad avere notizie di amici e conoscenti con conseguenze certo non gravi ma sicuramente fastidiose, come mal di testa, nausea, stanchezza, a volte protratte anche per una settimana.  

Qualche centinaio di operatori sanitari ha fatto ricorso contro la decisione del precedente governo di rendere obbligatoria per loro la vaccinazione (unici in Europa, sembra) pena il demansionamento o addirittura il licenziamento. A suo tempo mi permisi di esprimere qualche dubbio, e secondo me alla fine questi avranno ragione e giustamente dovranno essere anche risarciti: del resto proprio ieri in Tv un esperto (ma quanti ce ne sono? E il bello è che dicono tutto e il contrario di tutto, come e peggio dei politici: come si fa a fidarsi?) diceva che il vaccino non evita di contagiarsi e di trasmettere il contagio, ma salva solo dalle complicazioni gravi: quindi, dico io, il fatto che un medico contagi un ammalato non dipende dal fatto che si sia vaccinato o meno, cosa che protegge solo lui, ma dal fatto che in quell’ospedale si rispettino tutti i protocolli di isolamento, disinfezione, sanificazione…

In questi giorni impazza l’Europeo di calcio, ma ne parlerò a bocce ferme: auguri intanto all’Italia, arrivata in semifinale con merito, il gioco di passaggini a me personalmente non piace, giochiamo praticamente senza centravanti, conosco meno della metà dei giocatori ma si è andati avanti, bravi.

L’altro tormentone sono le notizie sulla salute del Papa. Io ammiro, stimo e sono devoto di Papa Francesco,  ma sinceramente questo indugiare sulle condizioni del suo colon mi sembra assurdo, irrispettoso direi, e non credo che Lui ne sia così contento. I cristiani gli dimostrerebbero più vicinanza ascoltando quello che dice, specialmente quando parla di mercato che uccide e economia dello scarto, e pregando un po’ di più, non aspettando il bollettino medico del Gemelli…

Intanto è morta Raffaella Carrà. In punta di piedi, senza clamori, non ha fatto trapelare nulla della sua malattia, ha lasciato la scena con grande eleganza e classe. Mi è dispiaciuto molto, come se fosse mancata una di famiglia e un poco lo era: mia zia Emanuelita infatti ai tempi di “Pronto Raffaella” ha chiamato più volte per cercare di indovinare quanti fagioli ci fossero in quel vaso, e per un paese dove si conoscono tutti era stato un momento di gran fama. Mia zia ormai sta più di là che di qua, chissà se si ricorda ancora quelle telefonate; tra poco la raggiungerai, zì, e così finalmente saprai quanti fagioli c’erano.

Amiche e amici, vi lascio perché anche se non ne ho molta voglia devo anche lavorare; la prossima volta vi racconterò della vacanzina, sempre che la Gelmini me lo permetta. A presto!

Cronachette dell’anno nuovo (20)

Mi sono comprato dei bastoni da trekking, o da nordic walking, insomma per appoggiarcisi quando si cammina. Mi porto avanti per quando ne avrò veramente bisogno, penseranno i più irriverenti; in realtà sembra che camminare con questi appoggi apporti dei benefici alle articolazioni delle spalle, alle braccia ed alla colonna vertebrale: e non vogliamo approfittare di tanti vantaggi?  Certo, si potrà apparire un po’ originali, specialmente se invece di andarsene per sentieri di montagna si battono le strade del quartiere; da parte mia non mi preoccupo tanto dell’opinione dei vicinati quanto di schivare le cacche di cane che infestano i marciapiedi, mai tante come in questo periodo, segno inequivocabile di un imbarbarimento generale.

Sono stato redarguito, per l’occasione, perché ho fatto l’ordine proprio il giorno dello sciopero dei dipendenti di Amazon. Mea culpa mea culpa mea maxima culpa, me ne ero dimenticato: comunque gli articoli sono stati recapitati alla velocità della luce, spero in generale che lo sciopero sia riuscito, così come quello dei riders, ovvero i fattorini che consegnano il cibo a domicilio (a proposito: ho scoperto che anche un supermercato non  molto lontano ha attivato il servizio di delivery di piatti pronti, appoggiandosi ad una di queste società, finirà che non usciremo più di casa anche quando la pandemia sarà finita…): lavorare va bene, ma essere schiavi no.

Nella regione dove vivo, la Lombardia, e specialmente nella città dove vivo, Como, c’è ancora caos per le vaccinazioni. Chiamate mai arrivate (ieri parlavo con un vicinato, che ha più di ottant’anni: ha fatto la prenotazione lo stesso giorno della moglie, quasi coetanea _ con l’aggravante che lei ha avuto un tumore poco tempo fa _ e lui è stato chiamato ed ha avuto la prima dose, la moglie ancora no: avrebbero voluto andare nel paesello in cima al lago dove hanno una casetta, ma dovranno aspettare qua), gente chiamata a vaccinarsi a chilometri di distanza, altri chiamati prima che i centri vaccinali siano aperti, altri convocati tutti alla stessa ora con conseguenti assembramenti… insomma, i migliori non mi pare siano tanto migliori, hanno buttato tutta la colpa sul “povero” Gallera ma i nuovi non mi pare che brillino. Figura barbina anche della società di informatica Aria, un elefante; defenestrato il Cda (bene) hanno lasciato il direttore generale (male). Ma non succederà niente, non preoccupatevi, cane non mangia cane…

 A proposito di cani, Bertolaso è venuto a Como per visionare delle possibili località per impiantare i centri vaccinali. Che prima si sia strillato perché non c’erano i vaccini ma non ci si sia preoccupati di stabilire dove farli, mi pare demenziale; e sia chiaro questa è esclusiva responsabilità delle regioni, che naturalmente cercheranno di scaricare sul governo, che secondo me ha avuto una sola colpa ed è stata quella di non sfruttare l’emergenza per riprendere in capo allo Stato tutta la Sanità. Bertolaso ha visionato, non molto lontano da dove abito, la Piazza d’Armi ovvero una spianata dove venivano i Circhi ed i Luna Park; il suo commento è stato “fa schifo” ed ha preferito Villa Erba, una location senz’altro più suggestiva, attrezzata con padiglioni a vetro, dove in primavera si svolgeva Orticolario, una grande fiera di piante e fiori e attrezzature per giardinaggio, e dove per un certo periodo si è svolto il mercato delle vacche, pardon, dei calciatori. L’amministrazione comunale, toccata sul vivo (almeno l’erba avrebbero potuto mandare qualcuno a tagliarla però, se volevano evitare la figuraccia) ha replicato indignata, Bertolaso si è scusato per i toni ma non per la sostanza. Io credo che la sostanza invece sia che il posto, che andava certo ripulito, era più che idoneo; è adiacente a due grandi parcheggi, vicino alla fermata di due bus (che, se ritenuti insufficienti, avrebbero pututo essere supportati da navette), ed in quanto all’allestimento la protezione civile ci avrebbe messo un amen a piazzare i tendoni necessari, o al limite si potevano chiedere in prestito a Nando Orfei… a pensar male si fa peccato, ma stranamente Villa Erba è privata e quindi bisognerà pagare un affitto, poca roba si è premurato di rassicurarci l’ineffabile consulente. Comunque io in fondo sono contento, non mi sarebbe piaciuto che avessero poi preso la palla al balzo per costruire qualcosa anche in quell’area: che rimanga a disposizione di chi ci porta a spasso il cane e di chi ci va ad esercitarsi a far volare i droni, come ho visto passando, l’altro giorno. I cani che correvano mi hanno messo un po’ di nostalgia, ho ripensato a quella volta che ci avevo portato il mio e questo si era rotolato su della paglia lasciata dal circo, dove c’era evidentemente l’odore dei leoni: non so quanto tempo e quanti bagni sono occorsi per togliergli di dosso quel profumo…

Chiudo con un ricordo triste, venti anni fa moriva un amico, più giovane di me di qualche anno, fratello di un amico di infanzia; aveva sempre avuto la passione del teatro, iniziò l’attività nelle recite di paese, nei varietà  a cui partecipavamo con la nostra orchestrina, poi decise di fare sul serio, frequentò l’accademia a Roma e divenne professionista; quella sera aveva recitato a Padova il Re Lear con la compagnia di Glauco Mauri, e mentre tornava in albergo venne investito da un tram. Quando ripenso a questo incidente assurdo non posso fare a meno di pensare che, in fondo, è il caso che guida e gioca con le nostre vite.

L’altro giorno, il 25 marzo, è stato il Dantedì ovvero la giornata dedicata a Dante Alighieri, nella data che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia. La Rai ci ha propinato la replica di Benigni che legge un canto; purtroppo a me Benigni come attore è piaciuto solo in due occasioni, nel Piccolo Diavolo (perché c’era un enorme Walter Matthau) e in Non ci resta che piangere (con un grande Massimo Troisi); tralascio l’Oscar per La vita è bella, su cui secondo me hanno influito più valutazioni politicamente corrette che di merito, ma a me sinceramente sentire Benigni leggere la Divina Commedia o la Costituzione e l’elenco telefonico fa, come a Fantozzi la corazzata Kotiomkin, cagare.

Detto ciò, care amiche e cari amici, la rubrichetta si interrompe qua; ormai l’anno nuovo è ben avviato, ci governano i migliori e quindi possiamo dormire tra due guanciali; prendendo esempio da loro troverò un altro titolo, per fare esattamente quello che facevo prima… a presto!

Cin cin coronavirus

Amiche e amici, ridendo e scherzando (si fa per dire) è passato un anno da quando il virus è arrivato in Italia, mentre stavamo alla finestra a guardare come se la cavavano i cinesi e in tv passavano immagini di crocieristi in quarantena; giusto domenica, passeggiando con due coppie di amici per sentieri poco battuti ricordavamo che, esattamente un anno prima, il 21 febbraio, eravamo stati insieme a Milano al Piccolo Teatro, e già allora un po’ scherzando ci chiedevamo chissà , se si sarebbe potuto  assistere alle recite successive previste in abbonamento: ce ne avanzavano ancora due, erano le più divertenti, e sono ancora lì nella tessera… c’era preoccupazione ma non ancora del tutto la consapevolezza del pericolo e di quello che ci sarebbe capitato addosso. Tant’è che una decina di giorni dopo con una compagnia di una dozzina di amici andammo a Novara a vedere una mostra e poi al ristorante a mangiare la paniscia… e la sera stessa tutta la Lombardia (e Novara!) furono dichiarate zona rossa (non per colpa nostra, spero…).

Una vaga inquietudine pervadeva un po’ tutti, non si era ancora preso “coscienza”, o più che altro si voleva esorcizzare l’idea che quanto stava succedendo dall’altra parte del mondo potesse succedere anche qua. Sentii l’esigenza, quasi incredulo, di fissare in un piccolo diario quello che mi stava succedendo, e di riflesso quello che mi succedeva intorno; iniziai così a scrivere la Vita quotidiana al tempo del coronavirus, un’impresa che ho portato avanti per cento giorni consecutivi, dal 24 febbraio al 2 giugno; a cui poi sono seguite le Cronachette della fase tre, con una cadenza meno regolare, e quando sembrava che il peggio fosse passato mi sono anche permesso il lusso di una breve vacanza immortalata in Turisti per caso al tempo del coronavirus; finché la situazione, dopo l’estate e come del resto era immaginabile, è peggiorata e ci siamo ritrovati peggio di marzo con la seconda ondata, e ho raccontato quanto (mi, ma anche ci) stava succedendo in Cronachette dalla zona rossa; finché io stesso mi sono contagiato, non ho ancora capito come e mai lo saprò, e l’ho raccontato in vari pezzi raccolti attorno alle Cronachette dall’isolamento; e finalmente, superato il virus con pochi danni (apparenti), ho dovuto ricominciare con le Cronachette dell’anno nuovo. Potrebbe bastare, no?

E’ stato un anno difficile, complicato, ho perso degli affetti cari, nessuno di Covid perché non si muore solo di pandemia; un anno dove le attività si sono rarefatte, le relazioni allentate e a volte isterilite, perché c’è un bel dire ma un conto sono le cuffiette e le telecamere, ed un altro una bella chiacchierata davanti alla macchinetta del caffè, o al tavolo di un bar con una bella birra davanti…

Poco prima che scoppiasse il pandemonio, con un tempismo perfetto, avevamo prenotato il volo per Valencia; quando fu chiaro che sarebbe stato impossibile andare ci siamo fatti convertire i biglietti in un voucher, dicendoci: “vuoi che tra un anno non si possa viaggiare? Saremmo messi proprio male…” ed eccoci qua, messi effettivamente maluccio, ed alla fine ci siamo fatti rimborsare il voucher in soldi, perché fino al 2022 sarà ben difficile andare.

Un anno dove si sono affrontate posizioni diverse sulla pandemia, con conseguenti strategie diverse di contrasto (o di non-contrasto); si passava dal lockdown totale della Cina al totale negazionismo; in Italia il governo Conte nella situazione data e cioè una sanità pubblica indebolita da anni di tagli e competenze divise con Regioni-satrapie, a mio avviso ha fatto abbastanza bene ma questa è ovviamente una mia opinione. Se non altro ha sempre cercato di buttare un occhio a chi stava peggio, con il reddito di emergenza, la tutela dalla disoccupazione, i ristori. Ma ora ci sono i migliori e, lo dice la parola stessa, faranno senz’altro meglio.

Il virus ha monopolizzato i discorsi, i pensieri, e radicalizzato le posizioni; mi è capitato di cercare di ragionare se, dopo un anno, non fosse un accanimento insistere nell’isolamento, e mi sono beccato del negazionista; oppure se, nel caso si fosse stati costretti a scegliere, fosse giusto sacrificare i più anziani a favore dei più giovani (quando peraltro protocolli del genere erano già stati preparati in Svizzera) e mi sono beccato del nazista; del retrogrado contrario al progresso per non partecipare alla magnificazione del telelavoro anzi nel rifiutare l’idea stessa del lavoro segregato (è tanto comodo! Di che ti lamenti?); da complice di un sistema politico sostanzialmente illegale, quasi fascista, solo per il fatto di andare nonostante tutto a votare, peraltro in ampia compagnia; da succube della propaganda di Salvini per ostinarmi a non riconoscere i meriti storici del governo Monti, tirato in ballo a proposito di salvatori della patria; del disadattato per non rassegnarmi ai comportamenti e stili di vita richiesti dal momento; da succubo della propaganda grillina per preferire il governo Conte pur con le sue magagne  a quello dei “capaci e meritevoli”  con tutti dentro appassionatamente. Che poi tutto sommato potrebbe anche essere tutto vero, e molto altro ancora, giacché quello che siamo nel blog è solo una parte di quello che siamo, se lo siamo, e la comunicazione scritta è solo una parte della comunicazione, come del resto anche quella orale, mancando di tutto quello che è il “linguaggio del corpo”.

Mi è tornata in mente a proposito una riunione di condominio di qualche anno fa, quando un anziano condomino alla mia contrarietà nel fare i parcheggi come proponeva lui, mi apostrofò con un: “pensavo fossi una persona intelligente”… Intelligente a chi? Uè, non offendiamo, eh!

Magari l’anno prossimo tutto questo sarà un ricordo e chissà, potrò anche tornare a lavorare in ufficio. Me lo auguro, intanto per domani sera ho ordinato la cassoeula, veramente saremmo in quaresima e sarebbe bene astenersi dalla carne, ma di penitenza mi pare che ne stiamo facendo abbastanza…    

Astenersi dalla carne, please
Svengard il norreno in azione di salvataggio

Marsala all’uovo!

Cronachette della fase tre (30-31 agosto)

Durante questo weekend avrei voluto scrivere un po’ ma invece mi sono immerso nella lettura di un bel libro, “I leoni di Sicilia”, la saga della famiglia Florio, quella del marsala e della Targa Florio per capirci, un racconto che parte dalla fine del Settecento attraversando la storia della Sicilia e del mondo. Era da un bel pezzo che non leggevo così di gusto, sarà un buon segno?

Leggendo ripensavo a quando siamo stati  nella parte occidentale della Sicilia, qualche anno fa, girando per Trapani, Erice, Mazara del Vallo, Marsala, le Egadi… a Favignana abbiamo visitato la vecchia tonnara Florio, ora museo, in una interessantissima visita guidata dove ci sono state spiegate tutte le fasi della mattanza e  della lavorazione del tonno fino alla messa sott’olio e l’inscatolazione. La mattanza era una pesca senz’altro cruenta, ma aveva una sua nobiltà ed a suo modo salvaguardava la continuazione della specie; le navi di alto mare (giapponesi, anche: che cavolo vengono a fare fino qua?) che pescano a strascico non risparmiando nemmeno le altre specie sono migliori solo perché non spargono sangue? Non mi pare.

Il mio interesse principale, a Marsala, più che lo sbarco di Garibaldi era ovviamente quello di visitare le cantine Florio; obiettivo fallito miseramente perché mi sono presentato di sabato, quando gli stabilimenti sono chiusi: un fallimento che ancora mi brucia. Anche perché al marsala è legato un ricordo dell’infanzia: al mio paese infatti in un Sali e Tabacchi che faceva anche da merceria c’era la titolare Chicchina, che io ricordo da sempre anziana e burbera con una crocchia di capelli grigi in testa, che teneva le bottiglie nel retrobottega che era diviso dal negozio da una tenda di stoffa, e le malelingue dicevano che non disdegnasse di appartarsi ogni tanto per farsi un bicchierino di marsala all’uovo magari in compagnia di qualche estimatore delle virtù corroboranti della bevanda.

A proposito di Sali e Tabacchi, una volta vendevano anche i francobolli: adesso non è detto, e infatti è diventato difficile anche spedire una cartolina.

Paesaggi da cartolina come quelli che si possono godere in Val Chiavenna, Valtellina, dov’ero stato prima di ritornare al lavoro: ad esempio le Cascate dell’Acquafraggia, a Borgonuovo di Piuro, certo non a livello delle Cascate delle Marmore appena viste ma spettacolari e soprattutto accessibili gratis ed infatti sulle rive del fiume Mera e nei prati sottostanti un sacco di persone prendevano il sole, si bagnavano e stendevano tovaglie per i picnic. Noi non eravamo attrezzati e quindi abbiamo prenotato al non distante Crotto del Belvedere (notate che era venerdì ed era tutto pieno, per riprendere il discorso sulla crisi…). Antipasto di bresaola (anzi brisaola, come dicono lì) e sciàtt, e poi ovviamente pizzoccheri, piatto estivo per eccellenza. Il mio colesterolo ha fatto salti di gioia ed anch’io; la sala dove ci hanno ospitati era accogliente e soprattutto aveva una bella vista.

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Sotto al locale è possibile visitare il vecchio crotto, ovvero la grotta dove erano tenuti (e ancora vengono tenuti) il vino ed i salumi a stagionare. Una frescura deliziosa, piacevolissima dopo la grappa alle erbe offerta dal gestore. Nel pomeriggio siamo andati a visitare Palazzo Vertemate Franchi, a Piuro, una dimora del ‘500 con un bel giardino ed un castagneto; sono ammesse solo visite guidate che bisogna prenotare, ma ne vale la pena. Come tutte le dimore antiche anche su questa sono state costruite delle leggende, una è quella che tutte le donne debbano fare una riverenza al  ritratto del vecchio proprietario, altrimenti il fantasma andrà a infastidirle…

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La dimora ha una lunga storia, perché in origine era solo una dependance, il Palazzo nobile di trovava in paese, che allora si chiamava Belforte ma venne spazzato via da una frana che seppellì l’intero abitato uccidendo quasi tutta la popolazione.

Dopo la visita ci siamo diretti a Chiavenna, alla Collegiata di S.Lorenzo, per un saluto a suor Maria Laura Mainetti, la suora uccisa ormai 20 anni fa da tre ragazzine (16 e 17 anni…) che nella loro mente offuscata intendevano compiere un rito satanico. Se Satana esiste non ha certo vinto: le ragazze si sono distrutte la vita, e la suora verrà beatificata l’anno prossimo…

Da Chiavenna partono diverse passeggiate, qualcuna alla portata di tutti e qualcuna più impegnativa; bisognerà assolutamente tornare, anche perché l’altra specialità, gli gnocchetti (non pensate a quelli di patate: sono fatti di acqua e farina, e conditi con burro, bitto o casera _ o entrambi_), non li abbiamo assaggiati.

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Certo, a questo punto mi direte “e grazie al cavolo che ti viene mal di stomaco se pensi sempre a mangiare”, in realtà non sareste originali perché è la stessa cosa che mi dice sempre mia moglie, ma dico io altrimenti come si fa a sopravvivere alle notizie che ci bombardano? Referendum si/no; apertura delle scuole si/no; Lukaschenko che in Bielorussia ha appena vinto le elezioni con l’80% ma è un dittatore e che vi devo dire, se la democrazia che vogliono questi oppositori è la stessa che si è trovata la Russia quando è caduta l’Unione Sovietica, con Eltsin e la sua cricca che hanno depredato tutto il depredabile, non penso che ne potrà venire niente di buono per i bielorussi; Erdogan invece è nostro amico, tanto che facciamo le esercitazioni navali insieme a Grecia, Cipro e Francia per non farlo allargare ancora di più nel Mediterraneo, però non è un dittatore ma un  “importante partner”, tra l’altro non solo ha riaperto come moschea Santa Sofia, ma anche l’altro gioiello che è San Salvatore in Chora _ per fortuna ho fatto in tempo a visitarle entrambe prima che il nazional-islamismo prendesse il sopravvento_ ; in Germania i “no-mask” (una volta si chiamavano nazi) danno l’assalto al Parlamento; in America si sparano addosso bianchi e neri come ai bei tempi (anzi, ai bei tempi erano solo i bianchi a sparare ai neri: si vede che la musica sta cambiando…);  l’Egitto, altro nostro grande amico nonostante quel “piccolo inciampo” che è Giulio Regeni, tiene in carcere da mesi un ragazzo che era venuto a studiare a Bologna (cospirazione contro lo Stato se non ho capito male, per essersi occupato di diritti civili…) e se ne sbatte dei richiami della UE e non solo; Navalny avvelenato si/no (e nel caso da chi: perché si vocifera che i servizi russi lo tenessero d’occhio per proteggerlo, dato che evidentemente un Navalny morto fa più danno a Putin di un Navalny vivo, e allora come in tutti i gialli bisognerebbe forse chiedersi cui prodest…).

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Amiche e amici come al solito mi sono lasciato prendere la mano, e saltando di palo in frasca partendo dal marsala sono arrivato al thè corretto; tra i due comunque la mia preferenza pensi si sia capita…

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