Una birra per Olena (XXVIII)

«Non muovetevi, stiamo arrivando…»
«E chi si muove! Ma datti una mossa, che quella ci sta addosso…»
«Ma chi, la vecchia?»
«Ma che vecchia! La russa, cazzo, la russa! Quella che i due deficienti che hai mandato all’aeroporto si sono fatti scappare…»
«Ma per la miseria, Jürgen, voi siete in quattro, chi sarà mai questa russa, Rambo?»
«Non dire stronzate, questa a Rambo gli fa mettere le pattine e il grembiulino, e poi gli fa asciugare i piatti! Sbrigati, ti dico…»

Dieter Muller, il capo della polizia, rientra nel proprio ufficio. Riflette un attimo, e poi ordina all’uomo che lo aspetta in posizione di riposo:
«Comandante, la situazione è peggiorata. Sono appena stato informato che i terroristi progettano di far esplodere una bomba sporca¹, bisogna intervenire immediatamente»
«Herr Muller, con tutto il rispetto… non potremmo tentare una trattativa? Almeno fino all’arrivo del GSG-9²… non posso garantire sull’incolumità degli ostaggi»
«Comandante, forse non mi sono spiegato bene. Qui sono a rischio decine di migliaia di persone, non possiamo permetterci di aspettare che arrivino le teste di cuoio da Bonn e non possiamo preoccuparci per un pugno di ostaggi! Danni collaterali, ci siamo capiti?»
«Perfettamente, Herr Muller»
E il comandante della polizia stradale, dopo aver eseguito un impeccabile saluto militare, fa dietro front, esce dall’ufficio ed inizia ad impartire ordini.

«Non so di che stai parlando» risponde Uwe Schelenz, il proprietario della palestra, fissando la canna della pistola che Olena gli sta puntando alla fronte.
«Che peccato,» dice Olena stringendo appena gli occhi per il disappunto «risposta sbagliata».
Lo sguardo della russa avrebbe indotto un uomo assennato a considerare se l’atteggiamento adottato fosse stato il più opportuno alla situazione ma questo non è evidentemente il caso in questione ed Olena, preso atto della chiusura ostinata alle proprie ragionevoli proposte, fa un passo indietro e gli spara ad una coscia.
Il rumore attira un capannello di salutisti con tutine di vari colori, con in prima fila Adalgiso, che guarda stralunato il suo principale rotolarsi urlando ai piedi della nuova cliente.
«Ma che sta succedendo qui?» chiede sbigottito.

La risposta arriva tuttavia non da Olena, intenta a soffiare nella canna della pistola, ma da un inserviente delle pulizie, che avanza spingendo un carrellino con sacchi, stracci, scope e detersivi.
«E no, belli, fermi dove siete! Ho appena lavato il pavimento, non voglio vedere pedate³ in giro!»
La recriminazione del lavorante, in tuta blu e cappellino in tinta che ne copre il volto, lascia interdetti gli astanti.
«Ma non vedi che c’è un ferito? Chi se ne frega del pavimento, bisogna soccorrerlo!» proclama Adalgiso, preoccupato, avanzando verso Uwe.
«Sempre così voi signorini, ve ne sbattete del lavoro degli altri…» sbuffa il lavoratore, estraendo dal sacco della rumenta³ un fucile d’assalto H&K G36.
«Oh, oh, buono, buono, non scherzare con quello…» dice Adalgiso, rinculando a mani alzate, con uno stile approssimativo che difficilmente avrebbe meritato l’approvazione di James.
«Aahh!! Aiuto, chiamate un’ambulanza!» implora Uwe, sperimentando a sue spese quanta poca solidarietà possa ispirare il trovarsi davanti un fucile spianato.
Il labbro di Olena si increspa in un sorriso di tenerezza al vedere il nuovo arrivato togliersi il cappellino e buttarlo a terra, raschiare la gola e lanciare uno scaracchio tra i piedi di Adalgiso.
«Babushka tu scusa me, io sporcato un poco per terra»
«Non fa niente Natascia, dopo pulisco con la varechina. Ah, lo sai» dice nonna Pina, indicando Uwe «che quello voleva pagarmi in nero? Che ne dici se gli sparo sull’altra gamba?»
Olena, pur simpatizzando con le rivendicazione salariali dell’ultracentenaria, nega l’autorizzazione.
«Magari più tardi, babushka, prima finiamo lavoro» ed estrae la micro radiotrasmittente nascosta nell’asciugamano.

«Gatta a gattini, gatta a gattini, passo»
«Qui gattino uno, passo» risponde Ursula.
«Qui gattino due, passo» risponde Gilda, mentre James in sottofondo commenta “io preferivo sorcini”.
«Comunicate situazione, passo»
«Stanno arrivando le teste di cuoio!» risponde concitato Fritz, che ha strappato l’apparecchio dalle mani di sua moglie.
«E James ha perso il drone» spiffera gattino due, mentre un affranto maggiordomo insegue con lo sguardo il drone sfuggito al controllo del telecomando.

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¹ Una bomba sporca è un’arma che sfrutta un esplosivo convenzionale per diffondere materiale radioattivo, come ad esempio scorie nucleari. Il danno che si vuol ottenere non è il numero delle vittime, che può essere consistente ma non paragonabile a quello di un ordigno nucleare, ma la contaminazione del territorio e dell’ambiente circostante.
² Teste di cuoio tedesche (GSG 9 der Bundespolizei)
³ Pedate sta per orme, e rumenta per spazzatura, immondizia. Anche se non sembra, sono parole italiane.

Una birra per Olena (XXVII)

Nel grande parco Forstenrieder, alla periferia sud-ovest di Monaco, non distante dalla piscina Bad Forstenrieder Park ma  nascosta da un boschetto alla vista delle ultime abitazioni della Forstenrieder Allee si trova una palestra esclusiva, ritrovo di avvocati rampanti, attricette in cerca di pigmalione, rampolli sfaccendati della buona società, vecchie entraîneuses con labbra a canotto e sportivi d’antan riciclati come commentatori televisivi: parassiti, insomma, a cui tengono compagnia professionisti di mezza età che coltivano l’illusione di cancellare gli effetti di decenni di trincate con qualche minuto di tapis roulant nonché mogli e amanti intente a difendere glutei e cosce, ovvero il proprio reddito, dagli attacchi dell’età e della forza di gravità.

Si sta facendo sera e Gilda e James, appostati a guardia dell’uscita di emergenza, commentano la situazione con preoccupazione.
«James, caro, temo di non essermi coperta abbastanza, non vorrei portarmi a casa un raffreddore. Se Natascia non ci avesse ordinato di attendere il suo segnale ti direi di lanciare qualche razzo, così, tanto per scaldarci. Chi l’avrebbe mai detto che Jürgen fosse coinvolto? Confesso che mi ha sorpreso, l’ho sempre considerato incapace di prendere qualsivoglia iniziativa. Ma per quale motivo, poi? Recentemente gli avevo persino dato un aumento, nonostante il flop del raviolo al ripieno di sanguinaccio. L’animo umano è davvero un mistero insondabile, come sostiene del resto Augusto Propoli nel bestseller “Sondare l’uomo con le erbe di mellifrace” dove viene riportato lo studio fatto su una tribù di aborigeni australiani sottoposti per un anno a lavaggi intestinali… ma non vorrei annoiarti, tu ti intendi di sonde, non è vero James?»
«Abbastanza, signora» risponde James «anche se non potrei definirmi un esperto…»
«Sei troppo modesto, James. E a proposito, sei riuscito a capire come funziona quel trabiccolo?» chiede Gilda, riferendosi al drone che il maggiordomo dovrebbe azionare.
«Credo di aver afferrato i principi fondamentali, signora; tempo fa ebbi modo di essere introdotto ai rudimenti dell’aeromodellismo da un caro amico che…»
Ma James non ha modo di finire il suo racconto, perché Gilda lo ferma con un gesto della mano, portandosi il cellulare all’orecchio.

«Sven, alla buonora!» sbotta sottovoce. «Si può sapere dove ti eri cacciato? No, non adesso, caro, non ho tempo. Ah, Sven, ti sei ricordato di depositare il testamento biologico? Dona il cervello alla scienza, è praticamente inutilizzato. Alla Rana Tower? Che ci fai alla Rana Tower? E che significa che hai trovato Stielike, che diamine ci fa lì? Mummia? Con libri contabili? Ma che c’entrano le mummie adesso? Svengard ti avviso, non è il momento di tirare in ballo gli egiziani, se ti aspetti di giocare a Cleopatra e Marcantonio ti sbagli di grosso! Adesso apri bene le orecchie, ti offro l’ultima possibilità per evitare una morte lenta e dolorosa: chiama un taxi e precipitati immediatamente qui» dopodiché la Calva Tettuta interrompe la comunicazione e si riposiziona di vedetta.

Nel solaio del Rana Tower, al 34° piano, Svengard guarda perplesso il contabile incellofanato e nascosto in un cestone della biancheria e la pigna di scatoloni contenenti faldoni di registrazioni contabili. Spread, visibilmente felice, sta studiando la movimentazione delle entrate ed uscite, ed ogni tanto emette un grido:
«Craa!! Apperò! E me cojoni, alla faccia del ripieno!».
Il norreno, grattandosi la testa, si rende conto di mancare di una informazione importante, perciò riprende in mano il telefonino e digita un messaggino per la sua amata:
«Si, ma qui dove?».

Dentro la palestra una nuova iscritta, una bella bruna con i capelli a caschetto, sta eseguendo gli esercizi per i pettorali sotto la guida del personal trainer Adalgiso, che le corregge la posizione indugiando forse un po’ troppo con le mani sui suoi fianchi. Le signore presenti scrutano invidiosette il corpo statuario della bruna, cercando invano di individuare qualche segno di smagliatura o cellulite.
Finiti gli esercizi la donna si asciuga il sudore, si butta al collo l’asciugamano di spugna bianco, saluta Adalgiso schioccandogli un bacio e si avvia verso gli spogliatoi; nel corridoio incontra il proprietario, che la saluta cordiale e interessato.
«Allora, signora, si è trovata bene nella nostra palestra? Spero di si, sarebbe un piacere poter contare sulla sua presenza…»
«Sicuramente, avete un’attrezzatura e del personale di prim’ordine» risponde «e l’ambiente è molto tranquillo, proprio come piace a me»
«Me ne compiaccio, la tranquillità e la riservatezza della clientela è uno dei nostri punti di forza. Capirà, abbiamo uomini d’affari, professionisti, politici, la privacy è importante… lei, signora, se non sono indiscreto, di che cosa si occupa?»
La donna gli si avvicina guardandolo negli occhi, poi gli mette una mano sulla nuca e gli sussurra all’orecchio, con voce roca:
«Vedo gente, faccio cose. E ammazzo i bugiardi» dice Olena, che per rendere meglio l’idea con l’altra mano gli preme la canna della sua Tokarev TT-33 sulla pancia.
«Dove li hai nascosti?»

«Ursula, per l’amor di Dio, che stai facendo con quella mitragliatrice?».
Fritz Gunnerbaum, sbigottito, guarda sua moglie, in tuta mimetica e passamontagna nero in testa, puntare una mitragliatrice Heckler & Koch Mg 4  verso l’ingresso della palestra, appostata dentro ad un cespuglio sempreverde di Amorpha.
«Fritz? Che cavolo ci fai qua, rompiscatole? Vattene immediatamente, non vedi che ho da fare?» intima Ursula, visibilmente contrariata.
«Ma che avete intenzione di combinare? No, lascia stare, non voglio saperlo» si arrende Fritz, alzando le mani.
«Ecco, bravo, non impicciarti. Vai a casa e metti in forno le patate, che tra poco arrivo»
«Mi dispiace disturbarti, amore, ma devi andartene. Insisto. E’ stato diffuso l’allarme terrorismo, stanno arrivando le teste di cuoio»
«Le teste di cuoio? Ma chi diavolo li ha avvisati? E tu come hai fatto a trovarmi?»
«Dal gps del telefonino, cara. I commando di solito li spengono»

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Affidiamo Venezia agli olandesi!

L’Olanda, o per meglio dire i Paesi Bassi, ha più di un terzo del proprio territorio sotto il livello del mare (e non di poco: di metri e metri) e quindi si può ben dire che gli olandesi siano all’avanguardia nei sistemi di sicurezza, altrimenti sarebbero sommersi da un bel po’.

Solo la diga ‘Afsluitdijk’ è lunga 32 chilometri, quando per chiudere l’intera laguna veneta ne basterebbero una ventina; certo noi siamo più fantasiosi e abbiamo pensato di sfruttare le dighe naturali già presenti, ovvero l’Isola di Pellestrina, l’Isola di Lido e la penisola di Cavallino, chiudendo solo le imboccature: la Bocca di porto di Chioggia, la Bocca di porto di Malamocco, e la Bocca di porto di Lido.

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Il tutto con delle paratie mobili, che dovrebbero attivarsi solo in caso di acqua alta eccezionale; sul concetto di eccezionale sarà bene mettersi d’accordo al più presto, perché ormai l’eccezionalità sta diventando la norma.

Come è noto, più le cose sono complicate più sono delicate e costose, e più è difficile gestirle; e il famoso Mose (che qualche delinquente pensava di replicare sul lago di Como, progetto fortunatamente sventato _ per ora _ da un pensionato uscito per “pisciare” il cane) per ora, dopo aver divorato 5,3 miliardi di euro (di cui una buona fetta è stata davvero mangiata, come nelle nostre migliori tradizioni) non è ancora finito, e quello che più preoccupa è che non si sa se mai funzionerà.

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Poiché cincischiando cincischiando finirà che Venezia la faremo affondare, e dato che Venezia è ormai una Disneyland mondiale, propongo di fare con la laguna quello che vorrei fare con l’Amazzonia di Bolsonaro: internazionalizzarla, e farla gestire a chi è più capace di noi e, soprattutto, mangia di meno.

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Una birra per Olena (XXVI)

«Aahh! E fai piano, cazzo!»
L’ingegner Matthaeus, prono su di un lettino per massaggi, ancora vestito della tuta in lattex infilatagli a forza da Olena, urla dal dolore.
«Abbi pazienza Jürgen, hai il sedere come un puntaspilli…» cerca di calmarlo Hans Sparwasser, con in mano una tenaglia e nell’altra un batuffolo di cotone idrofilo imbevuto di mercurio-cromo.
«Ci vorrebbe una puntura di antibiotico, non vorrei che ti venisse un’infezione» suggerisce l’improvvisato paramedico.
«Puntura? Aahh! Non ti sembra che me ne abbiano fatte abbastanza di punture per oggi? Voi due idioti, perché non l’avete fatta fuori quella maledetta vecchia?»
Bodo e Lutz Piccolo, i liberatori, assistono alle operazioni chirurgiche con partecipazione ed apprensione. Entrambi hanno ancora vivo il ricordo dell’incontro di qualche giorno prima con Olena all’aeroporto, soprattutto Bodo, il possessore dello sfollagente, ed è proprio quest’ultimo ad abbozzare una giustificazione:
«Capo, ma chi lo sapeva che c’era la vecchia! Quando abbiamo visto la russa uscire abbiamo pensato che la stanza fosse vuota, come facevamo a immaginare…»
«Vuota! Deficienti, e controllare con una sonda, un microfono, no eh? Quella vecchia mi ha fatto patire le pene dell’inferno! Prima mi ha frustato cianciando di programmatori e obsolescenza programmata e poi … no, è troppo, non ce la faccio a raccontarlo… A un certo punto per fortuna ha ricevuto una telefonata, ma quando ha riattaccato mi ha guardato come un topo guarda un pezzo di formaggio, ha stretto gli occhietti e mi ha detto “Ah si? Adesso gliela preparo io una bella sorpresina ai tuoi amichetti”… evidentemente il palazzo era sorvegliato, la russa avrà piazzato delle telecamere, mica come voi cogli… aahh!!» strilla Jürgen, all’ennesima freccia.
«Ecco qua, con questa abbiamo finito. Ventisei dardi tutti a segno, complimenti!» dichiara Hans, ammirato, strappando un grugnito al suo paziente, che continua:
«Quella matta ha messo sottosopra tutte le stanze e si è costruita una barricata, poi ha portato il drone in bagno e si è messa ad aspettarvi»
«E’ vero capo, quando siamo entrati la camera era oscurata, le tende tirate… Abbiamo provato ad accendere le luci ma la vecchia aveva tolto la tesserina che serve da contatto per la corrente elettrica… non si vedeva un accidente, ma lei invece ci vedeva benissimo, aveva un visore agli infrarossi! Ha cominciato a sparare, e per fortuna ci eravamo messi i giubbetti antiproiettile, altrimenti ci avrebbe fatto secchi. Poi abbiamo sentito i tuoi lamenti, e siamo corsi in bagno.»
«Quel maledetto drone si è alzato ed ha cominciato a girarmi intorno, poi ha cominciato a sparare freccette: cazzo, che male!»
«Per fortuna erano solo freccette, e nemmeno avvelenate» lo tranquillizza Sparwasser.
«La vecchia deve essere scappata quando siete venuti a slegarmi» continua Jürgen, girandosi a fatica su di un fianco. «Da non credere, due uomini battuti da una vecchia… adesso dobbiamo assolutamente trovarla, glielo faccio vedere io! Aahh! » geme ancora, cercando di alzarsi.
«Oh, oh» sillaba Hans Sparwasser, tenendo in mano l’ultima freccia.
«Che hai da dire “oh oh”, chi ti credi di essere, Santa Klaus? Hai finito finalmente, su, andiamo!»
«Ehm, tu volevi trovare la vecchia, vero?»
«Certo che la voglio trovare! E quando ce l’avrò tra le mani rimpiangerà di esserci impicciata di faccende che non la riguardano, oltre a…» si interrompe Jürgen, rabbrividendo al ricordo di nonna Pina in guêpière.
«Ehm, Jürgen, potrei sbagliare ma se questo è quello che penso» e mostra un rilevatore GPS montato sulla capocchia dell’ultimo dardo, «mi sa che non ci sarà bisogno di cercarla…»
«Porca vacca, un GPS? Brutti coglioni, non potevate controllare prima? Via di qui, fuori, subito, di corsa, via, via!» strilla Jürgen, lanciandosi con le natiche in bella vista su per le scale che dagli scantinati portano al piano superiore della palestra.

Svengard, in piedi davanti all’ingresso del Rana Tower di Monaco di Baviera, fissa perplesso i sigilli che ne bloccano l’entrata, grattandosi la testa libera dall’elmo vichingo che ha lasciato sul drakkar con il quale i gemelli Uppallo I e Uppallo IV in compagnia della bella violinista Anastasija sono ripartiti alla volta delle Isole Svalbard per partecipare al prestigioso Festival di musica artica.
Il cinese Po lo osserva estrarre di tasca un cellulare e formare un numero, dal quale però non ottiene risposta. Preoccupato, il norreno si rivolge al vecchio orientale:
«O saggio Po, la mia amata non risponde. Temo non sia bendisposta nei miei confronti, che mi consigli?»
«O glande uomo del nold, se così fosse chi potlebbe biasimalla? Hai scollazzato in lungo e lalgo, sei in litaldo di una settimana e non ti sei nemmeno fatto vivo con una telefonata. Non mi melaviglielei se nutlisse cattivi sentimenti. Ti consiglio di inginocchialti, piangele e implolale pietà»
«Certo che per essere un confuciano praticante sai come rassicurare le persone» constata il vichingo. «Non è stata colpa mia, come facevo a immaginare quello che sarebbe successo?»
«Tla tutte le qualità che un uomo può avele tu ne hai scelta una delle più utili» lo elogia Po «la testa vuota. Che bisogno c’ela di tlattenelsi su quell’isola spelduta e maledetta?» chiede infine, polemicamente.
«Come facevo a saperlo? Tutte le guide lo descrivevano come un posto paradisiaco… e poi avevo bisogno dell’addestratore di pappagalli!»
«Giuseppi Tlonfionalo… che blutta fine, povelaccio»
«E’ stato orribile… quando sono apparsi Riccardo del Turco, Nico Fidenco e Michele¹, ho pensato per un attimo di essere capitato sull’Isola dei Famosi…»
«Elano spaventosi, in bianco e nelo, affamati…»
«Tutta colpa del pianista! Gliel’avevo detto di smetterla, è stata la sua musica a risvegliarli!»
«Il blasiliano è stato cattulato subito… ha celcato di difendelsi insultando in tutte le lingue e appellandosi alla salvagualdia della biodivelsità ma gli zombie non hanno sentito lagioni»
«Poi è arrivata quella donna indemoniata…»
«Mikako, la ex fidanzata del pianista… povelino lui ha anche celcato di falsi mangiale dagli zombie pul di non cadele nelle sue mani, ma non ce l’ha fatta»
«Già, ha anche cercato di salire in barca, ma non so perché Uppallo l’ha ributtato giù…»
«Lo so io pelché…» dice Po, ripensando al sorrisetto che Uppallo I e Anastasija si sono scambiati prima di calare il remo in testa allo sventurato Oreste Cardamomolis.
«Comunque tutto è bene quel che finisce bene, ola siamo qua e vedlemo di… Splead?»
I due guardano Spread alzarsi in volo, all’inseguimento di una traccia che solo lui sente.
«Oh no, pure Sprea no…» dice Svengard, inebetito. «Po, fai qualcosa, abbattilo! »
Ma Spread si è ormai allontanato, e in preda ad una frenesia incontrollabile lancia il suo grido di battaglia:
«Craa!! Partita doppia! Porca troia, arrivo!»
Svengard e Po, sconcertati, lo vedono entrare nell’edificio da una finestrella dell’ultimo piano.
«Che ha detto?» chiede Svengard.
«Polca tloia?» ipotizza Po.
«No, prima… va bene, fa niente» e, presa una decisione, Svengard rompe i sigilli e con una spallata abbatte la porta di ingresso.

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¹ Cantanti famosi negli anni 60 costretti a vagare per l’eternità ogni volta che qualche loro vecchia canzone viene riesumata da qualche programma di revival.

Una birra per Olena (XXV)

Gilda, vestita con un abito Elena Calò della collezione Assunta Incaminada, in ecopelle ricavata dalla lavorazione delle vinacce¹ arricchito da una sobria cintura in fibre di cocco intrecciate con linguette di alluminio riciclate, attraversa il corridoio del Grand Hotel Ludwig II che collega la propria suite a quella dove sono alloggiate Olena e Nonna Pina.
Arrivata davanti alla porta della camera si accinge a bussare con la manina stretta a pugno quando un pensiero la trattiene.
«James, sinceramente, che ne pensi di questo completino? Ho paura che tutto questo vegan friendly e leather-free² trasmetta messaggi sbagliati » domanda la Calva Tettuta, sistemandosi intanto la bandana Mantero in seta stampata con motivi autunnali di foglie cadenti, marroni e chicchi di melagrana.
Il maggiordomo, reprimendo un sottile filo d’invidia per la benda da pirata tempestata di Swarovski con cui Gilda copre il suo occhio sinistro, risponde rassicurante:
«Au contraire, madame, ritengo il suo abbigliamento perfettamente appropriato per esprimere decisione ed un pizzico di spietatezza. Se mi è consentito, consiglierei di completarlo con un frustino in tinta»
«James, sei un portento. Lasciati dire che poche volte ho sentito pronunciare Madame con un accento così perfetto. Nemmeno Renato Zero nel ’76 era arrivato a tanto, hai preso ripetizioni? Non mi dire che hai rivisto Serge³, il tuo amico battitore d’aste…» insinua Gilda, ammirata.
«Effettivamente, signora» ammette James «Serge si trovava in città per una importante vendita ed abbiamo avuto un veloce rendez-vous in ricordo dei bei tempi. Purtroppo è dovuto ripartire velocemente, oggi stesso doveva volare in Italia per battere le opere d’arte di un collezionista caduto in disgrazia, un bancarottiere»
«Ma chi, Calisto? Poverino, era un buon amico della buonanima di Evaristo. Una storia tragica, pensa che ha iniziato vendendo latte, è diventato stramiliardario ed è finito in galera e in mutande»
«Sic transit gloria mundi» chiosa James, compìto.
«Ancora francese, James? Non sarà meglio riservarlo per le occasioni importanti?» chiede Gilda dubitativa, prima di riprendere:
«Ma torniamo a noi, caro. Decisione e spietatezza…» ma la vedova Rana rimane subito interdetta, perché al primo toc dei due o tre di solito necessari la porta si apre lentamente con un lieve cigolio e persino l’imperturbabilità di James viene messa a dura prova alla vista dello stato pietoso in cui si trova la stanza.
«James?»
«Signora?»
«Non sembrano anche a te i residui di un rave party di cinghiali? Per essere un cinque stelle superiore le pulizie in camera lasciano a desiderare, me ne lamenterò con il direttore. Ma… e nonna Pina?»

«Allora? L’avete liberato?»
La voce che esce dall’apparecchio è dura, autoritaria. L’uomo che risponde si alza dalla scrivania ed esce dall’ufficio, scusandosi con il collega con cui stava discutendo.
«Hans, ti ho già chiesto di non chiamare al lavoro, e soprattutto a questo numero!» protesta soffocando la voce.
«E tu non fare nomi, idiota! Rispondi alla mia domanda: l’avete liberato, si o no?»
«Si, ma…»
«Ottimo. Dove l’avete portato?»
«Senti, qui è pericoloso… non possiamo parlarne dopo?»
«Dov’è?» insiste l’uomo al telefono.
«Al magazzino» cede infine, con un sospiro.
«I sigilli quando li tolgono? Hai fatto quel lavoretto?»
«Ancora no, ma…»
«Stai dicendo un po’ troppi “ma” per i miei gusti, lo sai? O mi togli di mezzo quel giudice o ci penso io, ci siamo capiti?» scandisce l’uomo con freddezza, prima di riattaccare.
L’uomo rimane un attimo a guardare il telefonino, poi si raddrizza sulle spalle e si specchia sulla porta a vetri dell’ufficio, asciugandosi il sudore.
«Dove cazzo sarà finita la vecchia?» si chiede, prima di rientrare.

«Cuosa successo qvi?»
Olena, rientrata alla base, scansiona con lo sguardo la stanza. Gilda, ancora scossa, è allungata sulla chaise longue con James che le sta offrendo conforto con una coppa di champagne “Héritage – Prince Henri d’Orléans” e un panino con porchetta di Ariccia importata di contrabbando; tutto intorno segni di lotta, con lampade e tavolini rovesciati, sedie rotte, quadri staccati dalle parete e specchi infranti. In un angolo riconosce la pistola Baikal Viking MP-446 di nonna Pina, la raccoglie, annusa la canna per controllare se ha sparato e controlla il caricatore, vuoto. Entra nel bagno, e constata che il suo ospite non c’è più; qua e là tracce di sangue, non tante però da far pensare ad un conflitto a fuoco. Nella camera da letto trova il suo drone, distrutto; in una parete è conficcato uno dei suoi dardi, che infilza un bigliettino pubblicitario. Olena lo stacca delicatamente e lo guarda, mentre la mascella si irrigidisce.
«Brava, Babushka…» mormora tra di sé. Poi prende il telefonino e fa una chiamata.
«Ursula, sei pronta? Bene… non muoverti di lì, sto per arrivare. Sei armata? Lascia stare, ci penso io»
Gilda poggia la coppa di champagne, si rialza e si rivolge alla russa:
«Natascia, dimmi solo una cosa, senza complimenti. Servono i reparti corazzati?»
Per tutta risposta Olena si volta lentamente verso James, lo squadra beffarda e gli chiede:
«Tu sa pilotare druone, si?»

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¹ Non è una fantasia dell’autore. Distogliendo le vinacce dal loro uso naturale, che è quello di fermentare, venir distillate e infine diventare grappa, qualche stilista innovativo e astemio ha pensato di farle diventare ecopelle.
² Sigle che oggigiorno aprono ogni porta. Il mondo può andare a rotoli, basta farlo vegan fiendly.
³ cfr. Ferragosto con Olena

Bollettino della Vittoria

«Comando Supremo, 4 novembre 1918, ore 12; Bollettino di guerra n. 1268

La guerra contro l’Austria-Ungheria che, sotto l’alta guida di S.M. il Re, duce supremo, l’Esercito Italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con fede incrollabile e tenace valore condusse ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte cinquantuno divisioni italiane, tre britanniche, due francesi, una cecoslovacca ed un reggimento americano, contro settantatré divisioni austroungariche, è finita. La fulminea e arditissima avanzata del XXIX Corpo d’Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV, ha determinato ieri lo sfacelo totale della fronte avversaria. Dal Brenta al Torre l’irresistibile slancio della XII, della VIII, della X armata e delle divisioni di cavalleria, ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura, S.A.R. il Duca d’Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III armata, anelante di ritornare sulle posizioni da essa già vittoriosamente conquistate, che mai aveva perdute. L’Esercito Austro-Ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell’accanita resistenza dei primi giorni e nell’inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini e i depositi. Ha lasciato finora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi stati maggiori e non meno di cinquemila cannoni. I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza.»

(Armando Diaz, comandante supremo del Regio Esercito)

Per carità, in tempi di nazionalismi crescenti si rischia di dar fuoco alle polveri, ma pare quasi che ci vergognamo di averla  vinta, quella guerra… non so se quelli che l’hanno combattuta sarebbero molto orgogliosi di noi e di come è diventato questo paese. E pensare che l’Italia era unita da poco più di cinquant’anni,  Diaz era napoletano e magari senza Garibaldi sarebbe diventato un generale borbonico, vallo a sapere…

Qui un mio vecchio post con un ricordo del Quattro Novembre

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