Marsala all’uovo!

Cronachette della fase tre (30-31 agosto)

Durante questo weekend avrei voluto scrivere un po’ ma invece mi sono immerso nella lettura di un bel libro, “I leoni di Sicilia”, la saga della famiglia Florio, quella del marsala e della Targa Florio per capirci, un racconto che parte dalla fine del Settecento attraversando la storia della Sicilia e del mondo. Era da un bel pezzo che non leggevo così di gusto, sarà un buon segno?

Leggendo ripensavo a quando siamo stati  nella parte occidentale della Sicilia, qualche anno fa, girando per Trapani, Erice, Mazara del Vallo, Marsala, le Egadi… a Favignana abbiamo visitato la vecchia tonnara Florio, ora museo, in una interessantissima visita guidata dove ci sono state spiegate tutte le fasi della mattanza e  della lavorazione del tonno fino alla messa sott’olio e l’inscatolazione. La mattanza era una pesca senz’altro cruenta, ma aveva una sua nobiltà ed a suo modo salvaguardava la continuazione della specie; le navi di alto mare (giapponesi, anche: che cavolo vengono a fare fino qua?) che pescano a strascico non risparmiando nemmeno le altre specie sono migliori solo perché non spargono sangue? Non mi pare.

Il mio interesse principale, a Marsala, più che lo sbarco di Garibaldi era ovviamente quello di visitare le cantine Florio; obiettivo fallito miseramente perché mi sono presentato di sabato, quando gli stabilimenti sono chiusi: un fallimento che ancora mi brucia. Anche perché al marsala è legato un ricordo dell’infanzia: al mio paese infatti in un Sali e Tabacchi che faceva anche da merceria c’era la titolare Chicchina, che io ricordo da sempre anziana e burbera con una crocchia di capelli grigi in testa, che teneva le bottiglie nel retrobottega che era diviso dal negozio da una tenda di stoffa, e le malelingue dicevano che non disdegnasse di appartarsi ogni tanto per farsi un bicchierino di marsala all’uovo magari in compagnia di qualche estimatore delle virtù corroboranti della bevanda.

A proposito di Sali e Tabacchi, una volta vendevano anche i francobolli: adesso non è detto, e infatti è diventato difficile anche spedire una cartolina.

Paesaggi da cartolina come quelli che si possono godere in Val Chiavenna, Valtellina, dov’ero stato prima di ritornare al lavoro: ad esempio le Cascate dell’Acquafraggia, a Borgonuovo di Piuro, certo non a livello delle Cascate delle Marmore appena viste ma spettacolari e soprattutto accessibili gratis ed infatti sulle rive del fiume Mera e nei prati sottostanti un sacco di persone prendevano il sole, si bagnavano e stendevano tovaglie per i picnic. Noi non eravamo attrezzati e quindi abbiamo prenotato al non distante Crotto del Belvedere (notate che era venerdì ed era tutto pieno, per riprendere il discorso sulla crisi…). Antipasto di bresaola (anzi brisaola, come dicono lì) e sciàtt, e poi ovviamente pizzoccheri, piatto estivo per eccellenza. Il mio colesterolo ha fatto salti di gioia ed anch’io; la sala dove ci hanno ospitati era accogliente e soprattutto aveva una bella vista.

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Sotto al locale è possibile visitare il vecchio crotto, ovvero la grotta dove erano tenuti (e ancora vengono tenuti) il vino ed i salumi a stagionare. Una frescura deliziosa, piacevolissima dopo la grappa alle erbe offerta dal gestore. Nel pomeriggio siamo andati a visitare Palazzo Vertemate Franchi, a Piuro, una dimora del ‘500 con un bel giardino ed un castagneto; sono ammesse solo visite guidate che bisogna prenotare, ma ne vale la pena. Come tutte le dimore antiche anche su questa sono state costruite delle leggende, una è quella che tutte le donne debbano fare una riverenza al  ritratto del vecchio proprietario, altrimenti il fantasma andrà a infastidirle…

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La dimora ha una lunga storia, perché in origine era solo una dependance, il Palazzo nobile di trovava in paese, che allora si chiamava Belforte ma venne spazzato via da una frana che seppellì l’intero abitato uccidendo quasi tutta la popolazione.

Dopo la visita ci siamo diretti a Chiavenna, alla Collegiata di S.Lorenzo, per un saluto a suor Maria Laura Mainetti, la suora uccisa ormai 20 anni fa da tre ragazzine (16 e 17 anni…) che nella loro mente offuscata intendevano compiere un rito satanico. Se Satana esiste non ha certo vinto: le ragazze si sono distrutte la vita, e la suora verrà beatificata l’anno prossimo…

Da Chiavenna partono diverse passeggiate, qualcuna alla portata di tutti e qualcuna più impegnativa; bisognerà assolutamente tornare, anche perché l’altra specialità, gli gnocchetti (non pensate a quelli di patate: sono fatti di acqua e farina, e conditi con burro, bitto o casera _ o entrambi_), non li abbiamo assaggiati.

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Certo, a questo punto mi direte “e grazie al cavolo che ti viene mal di stomaco se pensi sempre a mangiare”, in realtà non sareste originali perché è la stessa cosa che mi dice sempre mia moglie, ma dico io altrimenti come si fa a sopravvivere alle notizie che ci bombardano? Referendum si/no; apertura delle scuole si/no; Lukaschenko che in Bielorussia ha appena vinto le elezioni con l’80% ma è un dittatore e che vi devo dire, se la democrazia che vogliono questi oppositori è la stessa che si è trovata la Russia quando è caduta l’Unione Sovietica, con Eltsin e la sua cricca che hanno depredato tutto il depredabile, non penso che ne potrà venire niente di buono per i bielorussi; Erdogan invece è nostro amico, tanto che facciamo le esercitazioni navali insieme a Grecia, Cipro e Francia per non farlo allargare ancora di più nel Mediterraneo, però non è un dittatore ma un  “importante partner”, tra l’altro non solo ha riaperto come moschea Santa Sofia, ma anche l’altro gioiello che è San Salvatore in Chora _ per fortuna ho fatto in tempo a visitarle entrambe prima che il nazional-islamismo prendesse il sopravvento_ ; in Germania i “no-mask” (una volta si chiamavano nazi) danno l’assalto al Parlamento; in America si sparano addosso bianchi e neri come ai bei tempi (anzi, ai bei tempi erano solo i bianchi a sparare ai neri: si vede che la musica sta cambiando…);  l’Egitto, altro nostro grande amico nonostante quel “piccolo inciampo” che è Giulio Regeni, tiene in carcere da mesi un ragazzo che era venuto a studiare a Bologna (cospirazione contro lo Stato se non ho capito male, per essersi occupato di diritti civili…) e se ne sbatte dei richiami della UE e non solo; Navalny avvelenato si/no (e nel caso da chi: perché si vocifera che i servizi russi lo tenessero d’occhio per proteggerlo, dato che evidentemente un Navalny morto fa più danno a Putin di un Navalny vivo, e allora come in tutti i gialli bisognerebbe forse chiedersi cui prodest…).

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Amiche e amici come al solito mi sono lasciato prendere la mano, e saltando di palo in frasca partendo dal marsala sono arrivato al thè corretto; tra i due comunque la mia preferenza pensi si sia capita…

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E per fortuna che siamo l’eccellenza!

Cronachette della fase tre 24-29 agosto

La dottoressa dice che somatizzo. Non ne sono molto convinto, fatto sta che al primo giorno di rientro al lavoro, peraltro da casa, il mal di stomaco si è rifatto vivo. Ingiustificato, a mio parere, data la dieta frugale a cui mi sono sottoposto durante le settimane di vacanza e della quale vi ho puntualmente ragguagliato. Nemmeno mi sento di dare la colpa alla zuppa inglese mangiata a casa di amici durante la visione di Paris Saint Germaine – Bayern Munich: il dessert che prediligo e che la nostra amica prepara appositamente per me. Secondo me sto diventando allergico al lavoro o alla lettura delle mail, dato che il male si è manifestato dopo una mezza giornata di visione di arretrati. Arriverà anche per me il giorno in cui potrò affrancarmi dalla condanna biblica? (che non è quella di sopportare Eva, preciso).

Comunque, giusto per tenermi buono e per confutare la autodiagnosi di colecistite, stilata dopo attenti studi dei sintomi su Internet (“lasci stare” è stato il laconico commento), la mia medico curante mi ha prescritto una gastroscopia. E finalmente! Ho subito chiamato il numero verde, che mi ha trovato la prima data utile per l’ospedale cittadino: il 4 marzo. Ho provato ad obiettare che siamo in agosto ma la data non è cambiata. Stranamente l’altro ospedale non era prenotabile dal numero verde unico, quindi non così unico, allora mi ci sono recato di persona e lì sì che ho avuto soddisfazione: appuntamento al 10 dicembre. Tornando a casa riflettevo sul fatto che se dovesse ripartire il Covid difficilmente in dicembre avrò voglia di farmi infilare un tubo in gola, ma vedremo a suo tempo.

La mia preoccupazione più grande non era tanto per la comparsa del dolore, che normalmente in una settimana di digiuno e continenza passa, ma del momento in cui si è presentato: venerdì infatti eravamo invitati al matrimonio della figlia di altri amici, cerimonia che si sarebbe dovuta svolgere in giugno ed è stata rimandata causa Covid, ed alla fine è stata fissata per venerdì non per scelta degli sposi ma perché era l’unica data rimasta libera al ristorante. Mi vedevo lì a chiedere pasta in bianco e patate lesse, con magari qualche carotina, mentre gli altri invitati si abbuffavano all’inverosimile, e la sofferenza si acuiva ulteriormente.

Dopo una settimana ho avuto comunque la soddisfazione di riuscire a rientrare senza troppi sforzi, grazie al chiletto perso, nel vestito che avevo indossato per l’ultima volta tre anni fa ad un altro matrimonio, che ancora mi va a pennello.

Appena arrivati al ristorante, in attesa degli sposi, un cameriere si avvicina con un vassoio ed offre l’aperitivo. A questo punto coraggiosamente mi sono detto “o la va o la spacca” e miracolosamente è andata. Credo che per questo tipo di disturbi la prescrizione di evitare il vino non sia opportuna, anzi trovo che come disinfettante e analgesico sia ottimo; fatto sta che ho mangiato tutto dall’antipasto al dolce, con tanto di caffè e limoncello, senza risentirne. Da dire che le porzioni non erano giganti e il menu rinfrescante: avrei personalmente evitato i tagliolini con ragù alla menta ma la qualità è stata decisamente di ottimo livello. L’unica cosa è che, trattandosi di una cascina nel vigevanese, all’avvicinarsi del tramonto si sono levati nugoli di zanzare ed hanno iniziato a banchettare con le banchettanti; io grazie ai peli sono quasi immune ma le signore e signorine hanno cominciato a schiaffeggiarsi senza ritegno.

Bellissima la scena del lancio del bouquet che mi dispiace di non aver ripreso: una donzella, evidentemente desiderosa di essere impalmata, si è addirittura gettata a pesce: chi ha orecchi per intendere intenda, sembrava voler dire…

Insomma amiche e amici, le feste come gli esami sembrano non finire mai; e non vi ho raccontato della puntatina che ho fatto la settimana prima in Val Chiavenna, ma magari un’altra volta, eh? Buon weekend!

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p.s.: Questa NON è la figlia della nostra amica

Turisti per caso al tempo del coronavirus – 5

Ed eccoci giunti alla fine di questo miniviaggio attraverso questo bel pezzetto d’Italia; dulcis in fundo come dicevo, anzi panforte in fundo, Siena.  Di passaggio però siamo prima andati a Todi, bella cittadina umbra piena di storia, basti pensare che ha tre ordini di mura, etrusche, romane e medievali; la bella piazza del Popolo con la Cattedrale a cui si accede da una scenografica scalinata, il palazzo del Popolo, il palazzo dei Priori; la chiesa di San Fortunato ed la vicina statua a Jacopone da Todi, le cui vicende si intrecciano con quelle di Pietro da Morrone ovvero Celestino V, il papa del gran rifiuto visto a L’ Aquila: un periodo oltremodo interessante, di grandi fermenti in seno alla cristianità; una chicca, la Chiesa della Nunziatina, completamente affrescata… la città merita una visita più approfondita e con un clima più fresco e non a Ferragosto come abbiamo fatto noi…

Dopo un rapido spuntino dirigo le vele verso Siena e a questo punto i due navigatori, quello dell’auto e quello del telefonino, litigano tra di loro. Commetto l’errore di ascoltare quello dell’auto e patatrac, questo ci porta su una strada interrotta, costringendoci ad allungare il tragitto di un’ora. Chiediamo ad una persona del luogo e questo seraficamente ci dice che la strada è interrotta da tempo, chissà quando la riapriranno. Ora, senza polemiche, mi chiedo: secondo me è giusto revocare la concessione autostradale a chi non effettua la giusta manutenzione, ma non bisognerebbe anche revocare cariche e stipendi a tutti i direttori degli enti che dovrebbero garantire che le strade statali, provinciali, comunali e chi più ne ha più ne metta non siano nello stato pietoso in cui nella quasi totalità si trovano? Da questo viaggio inoltre ho imparato, e quasi mi dispiace ammetterlo, che il navigatore di Google Maps vince sugli altri perché è aggiornato in tempo reale o quasi.

Chiusa la parentesi arriviamo a Siena; siamo stati fortunati a trovare una camera libera ci dice la gentile addetta alla reception, perché Siena è sold-out e lo sarebbe stata ancora di più se si fosse potuto disputare il Palio dell’Assunta, di norma in programma il 16 agosto: non sappiamo se ringraziare il Covid-19 per l’opportunità avuta o preoccuparci per la massa di gente che comunque incontreremo… perché di gente ce n’è veramente tanta, italiani e stranieri (francesi, tedeschi, russi…), abbiamo usato spesso la mascherina all’aperto perché davvero evitare gli assembramenti era impossibile. Appena arrivati, uscendo dalla scala mobile che porta dal parcheggio vicino la Fonte Fontebranda (dove delle ragazze si tuffano facendo il bagno…) ci troviamo nel mezzo di una contrada che festeggia con una grande tavolata open-air…

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Siena è un gioiello di arte, storia, esperienza gastronomica ed enologica; l’unica volta che c’ero stato era stato più di trent’anni fa e non avevo visto praticamente niente, solo piazza del Campo e di corsa… la nostra intenzione era fermarci solo il 15 e 16, ma quando siamo andati a visitare il Duomo, domenica, abbiamo scoperto che era chiuso perché si stava preparando la scopertura del pavimento, opera d’arte nell’opera d’arte, che è visibile un solo mese l’anno, così abbiamo prolungato la visita sacrificando la tappa successiva, che avrebbe dovuto essere San Gimignano. Non ce ne siamo pentiti, nemmeno della coda di quasi un’ora fatta per entrare; peccato che, dato il numero di persone ed il distanziamento, è stato possibile rimanere nella libreria Piccolomini contenuta al suo interno solo un paio di minuti: la sensazione che ho avuto è stata la stessa dell’ultima volta che ho visto la Cappella Sistina, e non solo lo stupore per la grande bellezza ma la convinzione che così non ha quasi senso, bisognerà porre un limite… ma se nemmeno il Covid è bastato, forse non c’è soluzione, il turismo di massa è così.

Il Duomo, il Battistero, Santa Maria della Scala, il Museo del Palazzo del Popolo, il Convento di S.Caterina, la  Chiesa di San Domenico, su e giù per le vie calpestate da secoli con la sensazione quasi di profanarle. Ce li meritiamo? Nel dubbio, abbiamo pasteggiato entrambe le sere in piazza del Campo, turisti fino in fondo, pici al ragù di cinta senese e Chianti; forse non c’è nemmeno bisogno di conoscere la storia per apprezzare certe bellezze, basta aprire gli occhi e rendersi conto di quanto si è fortunati a poterne godere…

E così, con queste meraviglie negli occhi, siamo tornati a casa: chi se ne frega delle code, dei contagi che aumentano, delle solite montature contro il “nemico” di turno, bielorusso o vattelapesca che sia, delle polemiche politiche su chiusure o aperture delle discoteche… addolorati per la poca pietà umana e cristiana avuta per la povera donna morta in Sicilia con il suo bambino, mal trattata e mal cercata; per la stupidità di quei giapponesi che hanno portato una petroliera a spezzarsi sulla barriera corallina delle Mauritius, perché non avevano linea per telefonare; per l’ottusità di quei poliziotti americani che in sei avevano circondato il solito nero e invece di immobilizzarlo gli hanno sparato tredici colpi, per gli incendi disastrosi in California, in una nazione dove il presidente e tanta parte della popolazione continua a negare la correlazione tra l’uso di combustibili fossili e riscaldamento globale… per fortuna ci rallegra il “governatore” della Sicilia, che ha fatto una ordinanza per vietare la pioggia, ovvero di vietare lo sbarco di immigrati… chissà come mai nessuno ci aveva pensato prima!

Amiche e amici, spero di non avervi tediato troppo con i miei piccoli racconti che non ho fatto tanto per esibizionismo ma per ricordarmi, tra qualche mese o anno, cosa si poteva ancora fare quando se ne aveva la possibilità (in tutti i sensi). La vacanzina è finita, una volta avrei detto che si torna alla normalità… ma la normalità, oggi, che cos’è?

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Olena à Paris – 15

Nonna Pina, appoggiata a Juanito, entra nel basso edificio dai muri esterni scrostati e fatti appena due passi si arresta, stupita.
«Entrate, entrate, non fate caso al disordine» la invita Juanito, con Olena e Alfonso che li seguono poco lontani.
Il lungo corridoio è tappezzato da foto in bianco e nero, che il vecchio mostra con orgoglio. Nonna Pina stropiccia gli occhi sentendosi riportata indietro nel tempo e si avvicina alla parete per mettere a fuoco le immagini: una festa, dove uomini eleganti con capelli e baffi impomatati discutono fumando e reggendo dei bicchieri di vino rosso, forse porto; donne fasciate da lunghi abiti da sera che sembrano conversare mettendo in mostra gioielli e decolté; una di queste, seduta su di un basso sofà, si sventola con un ventaglio di pizzo e madreperla mentre con l’altra mano si ravvia i corti capelli neri, ammiccando verso l’obiettivo.
«Ussignur» scappa detto a nonna Pina «Non mi dire che questa sono…» continua la vegliarda rivolgendosi verso Juanito, che risponde con un gran sorriso.
«Proprio così, donna Eusebia, siete proprio voi. E lì dietro, vedete quel bambino che regge il vassoio…»
«Juanito?» realizza finalmente la centenaria «Signore mio, quanto tempo è passato… ma dove hai preso tutta questa roba? Questa casa sembra un museo…»
Juanito risponde, annuendo. «In un certo senso avete ragione, donna Eusebia, è il mio museo… in questi anni mi sono dato da fare per salvare i ricordi di questa casa, mi piangeva il cuore che andassero perduti»
«Ma che è successo, Juanito, come ha fatto ad andare tutto in malora?»
«E’ una storia lunga, donna Eusebia, se avete pazienza ve la racconterò… iniziò tutto proprio l’anno che arrivaste voi, il 1940. La proprietà, forse lo ricorderete, era appena passata a don Ignazio, il nipote di don Otelo… »
«Ignazio Balenciaga… era un bell’uomo, un dongiovanni, e faceva la corte a tutte le belle donne che gli capitavano a tiro… ci provò anche con me, ma non c’era trippa per gatti» ricorda nonna Pina, con un pizzico di rimpianto.
«Si, era molto galante, ma purtroppo aveva anche altri interessi… don Ignazio era un un fervente interventista e avrebbe voluto che l’Argentina entrasse in guerra al fianco dell’Asse. Per questo spesso aveva discussioni, anche accese, con chi non era d’accordo con le sue idee»
«Quella sera successe qualcosa, giusto? Mi pare che ebbe da ridire con uno spagnolo, un commerciante, tanto che i due dovettero essere divisi e lo spagnolo se ne andò, offeso…»
«Ricorda bene, ma purtroppo la cosa non finì lì… don Ignazio aveva bevuto molto, lo seguì fuori e la discussione trascese, finché accusò gli spagnoli di essere dei vigliacchi e degli irriconoscenti dopo l’aiuto ricevuto da Italia e Germania contro i repubblicani… lo spagnolo cercò di sottrarsi ma don Ignazio continuò ad insultarlo e arrivò a schiaffeggiarlo. Il duello era vietato, ma l’offesa era troppo grande ed era stata fatta davanti a testimoni: andava lavata col sangue, e la scelta delle armi toccava allo sfidato. Così la mattina seguente don Ignazio e lo spagnolo si sfidarono alla pistola, di cui sfortunatamente quest’ultimo era maestro; don Ignazio rimase ferito e dopo un paio di settimane morì per un’infezione. La penicillina non era ancora arrivata e bastava poco per andare all’altro mondo…»
«Povero don Ignazio, avevo saputo che era stato un attacco di cuore…»
«La famiglia volle tenere la vicenda segreta. La estancia rimase così al fratello, don Alfonso, un debosciato che in poco tempo dilapidò tutti i possedimenti al gioco e con donne di malaffare; tentò anche la strada della politica ma ebbe poco successo… Morì in un incidente d’auto, completamente ubriaco, e girava la voce che fosse stato “suicidato”…»
Juanito interrompe il racconto, notando che nonna Pina è affascinata da un’altra foto, dove due donne, una bruna ed una bionda, si stanno abbracciando calorosamente.
«Eva…» sussurra nonna Pina, accarezzando la foto.
«Si, Evita» conferma Juanito annuendo, provocando in Olena un fremito nel sopracciglio destro.
«Babushka, voi avete conosciuto Evita Perón?» chiede la russa, perdendo per un attimo la sua abituale freddezza.
Nonna Pina si raddrizza, e le rughe del suo volto si stirano in un sorriso «Se l’ho conosciuta?» risponde, volgendo lo sguardo al vecchio che appare commosso.
«Juanito, tu che dici, la conoscevo?»
Juanito si schiarisce la voce e risponde:
«Donna Eusebia e donna Evita si erano conosciute proprio qui, ed erano diventate grandi amiche… ma all’epoca Evita non era ancora la signora Perón»
Poi, riprendendosi:
«Ma che ne direste di continuare questa conversazione a tavola? Sarete affamati, e sono sicuro che alla mia famiglia farà un immenso piacere sentire il racconto dalla vostra voce»
«La tua famiglia, Juanito?» chiede nonna Pina, sopresa.
«Per grazia di Dio, signora, ho avuto tre mogli, sette figli, ventidue nipoti e non so più quanti trisnipoti; qualcuno se n’è andato ma la maggior parte è rimasta qua, a dare una mano nell’allevamento»
«Perché, tu hai un allevamento?» chiede ancora nonna Pina, interessata.
«Certo che ho un allevamento, non ve l’avevo detto donna Eusebia? Che sbadato, ormai la testa è quella che è… ho il più grande allevamento di bovini della provincia di Santa Rosa, si tratta di ventimila capi di Aberdeen Angus, non per vantarmi ma la carne migliore della pampa…»
«Juanito, effettivamente mi è venuto un languorino allo stomaco» lo ferma nonna Pina prendendolo sotto braccio e lanciando uno sguardo eloquente ad Olena. «Che ne dici se ci appropinquiamo? Ah, e mi faresti un piacere, caro Juanito?»
«Tutto quello che vuole, donna Eusebia» risponde l’ottantenne con deferenza.
«Ecco, appunto. Potresti smetterla di chiamarmi donna Eusebia? Chiamami Pina, donna Pina»

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 4

Lasciata L’Aquila troppo presto per il pranzo e rifocillati da un centrifugato disintossicante (una volta si chiamavano spremute e costavano un decimo) ci dirigiamo verso Rieti. L’attraversamento della valle reatina, piena di verde, ci fa ben sperare; la fama della cittadina laziale, definita dai classici “Umbilicus Italiae” ovvero centro d’Italia (e quindi del mondo a mio parere e con buona pace del cantante Jovanotti) ci predispone a goderne le delizie. L’anno scorso eravamo stati a Viterbo, con monumenti importanti e a pochi chilometri da ville papali spettacolari (basti pensare a Villa Farnese), ci aspettavamo altrettanto: invece, e mi perdonino gli amici reatini, a Rieti non c’è niente. Il giudizio sarà forse condizionato dal fatto che, arrivati in centro dopo la scalata a cui ci siamo sottosti verso le 14:30 e con 35°, c’era un solo bar aperto che ci ha propinato una piadina indecente al modico costo di 10 euro; o dal fatto che l’ufficio turistico avrebbe dovuto aprire alle 15:30 ed invece l’omino si è presentato dopo le 16 e si è degnato di rivolgermi la parola dopo una ventina di minuti, indispettito dall’essere interrotto dalla sua senz’altro interessantissima storia di Rieti a quattro ragazzi, ed alla mia richiesta di una mappa me l’ha quasi tirata, argomentando che tanto Rieti si gira tutta in un’ora e mezza; o sarà per il fatto che, nonostante tutto, la sera la città si è misteriosamente animata ed ho fatto fatica per trovare un ristorante libero, e quando sono riuscito a prenotare un tavolo in uno abbastanza ben recensito su Tripadvisor (di solito abbastanza attendibile, secondo me) ho pagato poco, è vero, ma mangiando una amatriciana preparata con pancetta affumicata anziché guanciale (eresia!) e passata di pomodoro tipo mensa aziendale ed una cacio e pepe acquosa. Non ci siamo proprio, amici! Per non parlare del fatto che un insetto di qualche sorta ha punto mia moglie causandole un bozzo preoccupante. Io sono sempre terrorizzato dal ragno violino, qualche mese fa il ragazzo di mia nipote ne fu punto e se la vide brutta: per fortuna non di quello si trattava ma probabilmente di una vespa annoiata, e la pomata al cortisone è bastata in qualche giorno a far rientrare l’allarme. E’ evidente che con queste premesse non posso che parteggiare per i Romani che si fotter.. ehm, rapirono le Sabine.

A voler grattare qualcosa di trova: delle belle mura, la Chiesa di San Francesco, il ponte romano (non un granché), la movida serale lungo il fiume Velino frequentate da ragazze molto carine (l’occhio vuole la sua parte, amici, sapete che la mia è una valutazione meramente estetica senza assolutissimamente secondi fini); ma soprattutto Rieti è una base per escursioni nei dintorni, per gli sciatori che vanno al Terminillo o per i pellegrini che affrontano il cammino francescano. A proposito di San Francesco, siamo andati ovviamente a Greccio, dove la tradizione narra che Francesco d’Assisi “inventò” il presepio; la grotta è molto suggestiva, e il contrasto tra la semplicità delle origini ed il Santuario che ci è stato costruito sopra (pur cercando di rimanere abbastanza spoglio) è evidente. Di Francesco potrei scrivere per dei giorni, era un uomo coerente alla lettera del Vangelo, oggi forse sarebbe definito un integralista (ma anche alla sua epoca lo era). Salvatore o foglia di fico della Chiesa? Nei nostri tempi di consumismo esasperato la risposta pare quasi scontata ma se si ha l’onestà di guardarsi intorno si può vedere che, tra tante storture, il suo insegnamento ed il suo esempio sono ancora vivi… forse il destino dei francescani è quello di essere voce profetica per ogni tempo: che il tempo non finisce oggi, Covid o no…

Dopo questa divagazione mistica, fatemi dire che abbiamo visitato anche il Borgo di Greccio, che fa parte del circuito dei Borghi più belli d’Italia; è carino e soprattutto vi abbiamo mangiato, sotto il fresco di un albero nella piazzetta principale (l’unica), un tagliere di affettati e formaggi che ci ha riconciliato con il Creato. Il simpatico gestore, essendosi sbilanciato sul fatto di avere una quantità bastevole di birra Ichnusa, dato che non ce l’aveva per farsi perdonare mi ha offerto un Peroncino. Santi posti!

A questo punto avevamo di fronte un’altra mezza giornata e di tornare a Rieti non se ne parlava: direzione Lago di Piediluco e lungo la strada ci siamo resi conto che le cascate delle Marmore sono lì vicino e come non farci un salto? Abbiamo dovuto lottare con il navigatore che si ostinava a farci passare in un paesino che si chiama Papigno; dopo non so che giro arriviamo alle Cascate, spettacolo meraviglioso. Ci eravamo stati più di trent’anni fa, con i miei fratelli ed i miei genitori, per una scampagnata di quelle di una volta con teglie di vincisgrassi, vino a litri e cocomeri da mettere in fresco: allora l’organizzazione era alla buona, chi prima arrivava meglio alloggiava, si stendevano le tovaglie e poi si andava a vedere le Cascate. Ricordo che, dato che il fiume (Nera) viene sfruttato a fini idroelettrici, non sempre le cascate erano aperte, e si aspettava l’orario di apertura per vedere il getto iniziale, tutti con il naso all’aria e la bocca aperta…

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Ora è tutto molto organizzato; c’è un parcheggio ben segnalato (a pagamento) e alle cascate si accede pagando un biglietto; sono state predisposte passerelle, itinerari numerati; c’è un mercatino, bar, ristoranti… lo spettacolo è sempre meraviglioso, personalmente rimango un po’ perplesso e preoccupato: fra quanto dovremo pagare per osservare i fenomeni della natura, comprese albe e tramonti?

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Poi ci siamo diretti al Lago di Piediluco, certo per uno che arriva dal lago di Como il confronto è impari però direi che è carino, c’è una bella passeggiata, il lago non è piatto come altri dell’Umbria e del Lazio, tipo il Trasimeno o il lago di Bolsena, ma è incastonato tra colline verdi che gli danno un certo fascino. Ci sono delle spiaggette attrezzate per prendere il sole e ci siamo fatti uno Spritz beneaugurante. Tornati a Rieti per la cena, segnalo una delle ragioni per cui si potrebbe tornare nell’ombelico del mondo: l’Osteria delle Tre Porte, vicino al lungofiume, gestito da giovani che propongono piatti della tradizione rivisitati e propongono una buona lista di vini: notevoli le polpette di coda alla vaccinara. Prezzo giusto. Tornando all’albergo, anche Rieti ci sembrava più bella.

Ancora una volta mi sono dilungato ma vi rassicuro, le tappe sono quasi finite…

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 3

La seconda tappa del viaggio è L’ Aquila. Ero stato in questa città più di trent’anni fa per lavoro, e le uniche cose che ricordavo erano la lunghissima pausa pranzo, la faticosa salita per arrivare in centro, il freddo (credo fosse ottobre-novembre), i colori della Basilica di Collemaggio e lo stupore nell’imbattermi per caso nella Fontana delle 99 cannelle. Perché L’ Aquila dunque? Per prima cosa perché mia moglie non c’era mai stata, poi per verificare di persona come la città si sta riprendendo, dopo il terremoto disastroso del 2009; non per voyeurismo macabro ma con molto rispetto, con amore direi. Cosa abbiamo trovato? Il centro storico è tutto riaperto, i monumenti ed i palazzi in travertino bianco sembrano addirittura brillare; a volte si ha l’impressione di camminare tra una scenografia teatrale, perché le facciate sono rimesse a nuove ma magari dietro gli edifici sono puntellati, e se si scende man mano lontani dal centro diversi edifici sono ancora lesionati. La città mi è sembrata comunque viva, tanta gente per strada, turisti e non solo; la sera addirittura giravamo in alcuni tratti con le mascherine a causa dell’affollamento. Nella bella Piazza del Duomo abbiamo visitato la chiesa di Santa Maria del Suffragio, perché il Duomo è ancora in ristrutturazione; la sera nello spazio del mercato, nella stessa piazza, trasmettevano un film per bambini, ed era pieno di famigliole; abbiamo mangiato in un ristorantino in una via laterale, scelto a caso dato che ho cercato di prenotare telefonicamente in tre posti suggeriti da Tripadvisor ma erano tutti pieni (questo è stata una costante del viaggio: i locali per mangiare erano sempre pieni. Sarà che hanno dovuto mettere meno tavoli, o forse sarà che di gente in giro ce n’è comunque tanta, certo che si fa fatica a pensare ad un paese in crisi… tra l’altro devo dire che grazie al Covid i ristoratori sono obbligati a fare quello che avrebbero dovuto fare anche prima: disinfettare i tavoli quando cambiano avventori, e non mettere un tavolo appiccicato all’altro permettendo di godersi la cena. Quasi tutti, mi sembra, si sono adeguati a queste norme di normale igiene).

Abbiamo visitato la Basilica di Collemaggio che con i colori del tramonto è ancora più bella e visto la Porta dell’Indulgenza; ho preso un libriccino di poche pagine su Celestino V ma non sono ancora riuscito a leggerlo, ogni volta che lo apro mi si chiudono gli occhi; visitato la Fontana delle 99 cannelle, tutte funzionanti, e più su la Chiesa di San Bernardino da Siena con le spoglie del Santo, siamo arrivati fino alla Fortezza Spagnola, questa chiusa, con intorno un parco tenuto veramente bene nel quale è stato costruito da Renzo Piano il nuovo Auditorium (non so come mai ma ad ogni disastro Renzo Piano costruisce qualcosa).

Una sera abbiamo lasciato l’auto in un parcheggio vicino a Collemaggio che avrebbe dovuto essere collegato con il centro con delle scale mobili: peccato fossero tutte ferme e ce le siamo fatte tutte a piedi, in questi tunnel vuoti ed inquietanti. A L’ Aquila non abbiamo mangiato gli arrosticini e questo è già da solo un motivo per tornare.

Siccome il nostro albergo era vicino alla Stazione, per salire in centro dovevamo prendere l’auto (avremmo anche potuto andare a piedi ma con 35 gradi non era consigliabile) e passare in via XX Settembre, dove si trovava la Casa dello Studente nel crollo della quale persero la vita otto ragazzi; e si sarebbe potuto evitare, se ognuno avesse fatto il proprio dovere, a cominciare da chi fece i lavori che ne indebolirono la struttura per finire a chi non fece evacuare gli studenti dato che le scosse si succedevano ormai da mesi. Ma in questo paese siamo spesso a piangere i morti perché chi deve controllare non controlla, e sembra che non impariamo mai. Sembra passata un’era geologica: al governo c’era Berlusconi, ci furono polemiche a non finire, costruttori intercettati mentre se la ridevano pregustando i guadagni, G9 spostato dalla Maddalena a L’ Aquila, New Towns… il disastro usato come occasione di affari e vetrina mediatica: un vero e proprio schifo dal quale fortunatamente gli aquilani, gli abruzzesi, sono usciti con l’orgoglio che li contraddistingue.

Mi accorgo di starla buttando in politica e non è mia intenzione, anche perché come la penso su quei personaggi lo sapete. Continuiamo in leggerezza: la sera del ritorno in albergo c’è stato il primo scontro con il navigatore, che ci ha fatto fare un giro assurdo e sarà solo il primo tanto che a un certo certo punto l’ho dovuto esautorare e tornare alle usanze di una volta, ovvero chiedere ai passanti. La tecnologia ci salverà? Non credo.

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Turisti per caso al tempo del coronavirus – 2

Stamattina ho avuto l’idea di andare a tagliarmi i capelli, effettivamente allungati; purtroppo il mio parrucchiere Leo, calabrese verace, è in ferie, per cui anche se a malincuore ho dovuto dirigermi verso il salone cinese che c’è in piazza. In dieci minuti netti mi hanno misurato la temperatura, fatto disinfettare le mani, lavato i capelli facendomi indossare una mascherina nuova e rapato in stile Auschwitz, con una strana cresta sulla sommità del capo. Niente da dire su pulizia e velocità, per il resto ho pagato in tutto per 12 euro scambiando solo quattro parole: lavare, corti ai lati (il loro concetto di lato però è molto esteso), e quanto pago? Nel frattempo ho assistito ad una buffissima disputa tra una vecchietta che stava cercando di spiegare che i capelli li voleva mossi e il cinese che la serviva che cercava di convincerla che mossi è un’opinione e non un tipo di acconciatura. Leo, perdonami, non lo farò più…

Come vi dicevo, il giro è stato organizzato al volo; la prima scelta era Matera ma un po’ la distanza (più o meno la stessa che c’è tra Como e il paese) e le opinioni di chi c’è stato nello stesso periodo (“ma siete matti? Fa un caldo dell’accidente”) ci hanno spinto a ambiare destinazione. Senza fare tantissima strada abbiamo fatto lo stesso un giro molto interessante: Ascoli Piceno, L’Aquila, Rieti (e dintorni, soprattutto dintorni), Todi e dulcis in fundo Siena. Sapete che sono un tipo di larghe vedute, e penso che ognuno abbia il diritto di suicidarsi come meglio crede: fare i turisti nelle città d’arte e storiche la settimana di Ferragosto è senz’altro uno dei più piacevoli, ma vi assicuro che nelle ore più calde ho avuto dei momenti di invidia profonda per quelli che si sono andati ad assembrare in spiaggia… Non farò una cronaca dei monumenti perché quelli si possono trovare in ogni guida ma riporterò solo qualche impressione, le cose che più mi hanno colpito.

Inizio dunque da Ascoli Piceno, dove non ero mai stato, imperdonabile per un marchigiano ma tenete conto che sono andato via di casa poco dopo i venti anni, la ex ministra piangente Fornero sarebbe orgogliosa di me perché non sono proprio stato un choosy e quindi ho avuto poco tempo per fare turismo, anzi mi rendo conto di conoscere tante altre regioni meglio della mia…

Ad Ascoli due piazze stupende, Piazza del Popolo e Piazza dell’Arringo; nella prima, la più famosa, con una bellissima pavimentazione, si affacciano la Chiesa di S.Francesco con le colonne del portone d’ingresso che, se ci si batte, suonano; il Palazzo del Capitano con la sede della Quintana, il palio che si svolge in agosto (quest’anno tutti i palii sono saltati, anche il nostro; tra l’altro tutte le città visitate hanno un palio, più o meno famoso, fino ad arrivare a quello celeberrimo di Siena…) e dove sono in mostra diversi costumi (di cui ho mandato le foto alla nostra reggente per farle invidia) e il Caffè Meletti. Questo caffè, uno dei caffè storici d’Italia (nelle Marche ce ne sono due ed uno è nel mio paese, per quello ve ne parlavo la volta scorsa. Sono caffè che hanno mantenuto gli arredamenti originali, di fine ottocento-inizio novecento, dei piccoli capolavori) è famoso per l’Anisetta, un mistrà digestivo; dopo pranzo ovviamente caffè corretto Anisetta, costicchia ma ne vale la pena.

Ah, prima ovviamente avevamo mangiato Olive Ascolane… ormai si trovano dappertutto ma non c’è paragone. Ricordo da ragazzo quando nei pranzi tradizionali al ristorante (le poche volte che si andava, solo per qualche cerimonia…) uno dei piatti forti era la frittura mista: agnello, verdure fritte, olive ascolane e crema fritta (si, crema pasticcera fritta). Che nostalgia, soprattutto dell’appetito che avevo. In Piazza dell’Arringo, dove si svolge il mercato, c’è il Duomo di S.Emidio, patrono della città, ed il Battistero. Sotto al Duomo c’è una cripta bellissima, affrescata nelle volte e che ha alla pareti mosaici recenti, fatti dopo la guerra, che ritraggono scene del tempo tra cui la ritirata dei tedeschi che lasciano la città per assetarsi sulla linea gotica. Ascoli Piceno fu risparmiata dai bombardamenti (cosa che non avvenne alla vicina San Benedetto del Tronto) grazie ad un accordo tra il Vescovo ed il Feldmaresciallo Kesselring (quello delle Fosse Ardeatine, per intenderci), che dichiarava la città “libera e ospedaliera”, in sostanza una zona franca non bombardabile. Non mi è molto chiaro come mai il Vescovo chiedesse ai tedeschi di non bombardare, dato che i bombardamenti a San Benedetto li avevano fatti gli inglesi, ma ad ogni modo la città fu fatta salva.


Ma forse la cosa che più mi ha colpito in questa città è stata una targa posta su di un lato del Duomo, a ricordo di una persona lì morta, forse un senzatetto: mi è sembrata una testimonianza di pietà e affetto così grande che l’ho voluta riportare.

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Mi sono dilungato un po’ troppo, amiche e amici, e siamo solo all’inizio… se continua così finirò per le vacanze di Natale! (A proposito di vacanze, mentre tornavamo sentivamo dichiarare da qualche sottosegretario che se i contagi continueranno a salire non è escluso che a settembre le scuole non riaprano. Dio ce ne scampi e liberi…)

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Turisti per caso all’epoca del coronavirus – 1

E così, amiche e amici, alla fine ho ceduto ed ho fatto una vacanzina, senza peraltro far ricorso al bonus vacanze ma cacciando giustamente i soldi di tasca mia. Si è trattato di un paio di settimane che si dividono però  in due parti: i primi otto giorni in realtà non sono stati una vera e propria vacanza (specialmente per mia moglie) in quanto ho lavorato ma da casa dei miei (ormai solo di mia madre), al mio paese natale; in questi casi lo smart working è una bella comodità e devo dire che il collegamento Internet ha retto bene. Di questo periodo non ho molto da dire: alla mattina andavo a comprare il giornale all’edicola tenuta dalla moglie di un mio ex compagno di squadra di calcio, un secolo fa; ho comprato tutti i titoli più assurdi, Vero, Sogno, Di più, nel tentativo di far uscire mia madre dall’apatia malinconica in cui è caduta dopo essere rimasta sola: i tentativi non hanno sortito grandi effetti, ma io sono aggiornatissimo su tutte le novità e le tresche da spiaggia. La più ghiotta quella della signorina Francesca Pascale che, ricevuta una robusta buonuscita da Berlusconi, si dice venti milioni di euro, si è consolata con la brava cantante Paola Turci. Ma Dudù a chi è rimasto? La sera invece, dopo aver cenato ed aver esaurito i preparativi per la notte, si usciva a passeggiare per le mura (ovvero la circonvallazione) e quindi la serata finiva in piazza (la bella Piazza della Libertà), dove si trovano un pub e due bar, di cui uno storico (di questo parleremo più avanti, a proposito del caffè Meletti di Ascoli). Per non fare torto a nessuno li ho girati a turno, meritano tutti e tre ed infatti sono molto frequentati e non solo da gente del luogo. La situazione del post-terremoto è in movimento, mi raccontano che i fondi sono stati sbloccati per cui sembra che il bonus ristrutturazione al 110% non interessi molto, anche perché le imprese edili sono abbastanza piccole per poter lavorare sul credito d’imposta. Le chiese, tranne due piccole, sono ancora chiuse.

IMG_20200809_081528Ho passato una settimana di amarcord, con mia madre che raccontava quasi sempre le stesse storie, ma non avevo coraggio di interromperla; a proposito di Amarcord l’edicolante di cui vi parlavo ha trovato una foto in cui eravamo schierati prima di una partita, io non ricordavo assolutamente in quale occasione e non riconoscevo almeno metà squadra, tanto da farmi dubitare che fossi davvero io quello accosciato… starò perdendo la memoria? Vi ho già raccontato del marito di mia cugina che sostiene da anni che abbiamo passato un weekend a Monza a vedere il Gran Premio, ai tempi di Nelson Piquet? Insisti insisti comincio a convincermi che ha ragione lui. Anche se le corse non mi piacciono, e la passione per la fotografia che dice lui non mi pare proprio di averla mai avuta… Che altro? Visite al camposanto, incontri con qualche amico, chiacchierate con i fratelli. Il paesino è tranquillo e vivibile, ve l’ho già detto vero? Si chiama Pollenza, in provincia di Macerata; una volta si chiamava Montemilone e se vi capita di andare nei musei Vaticani in una delle cartine della sala delle mappe la troverete bene evidenziata. Roma caput mundi, Montemiló secundi… in luglio, quando non c’era il Covid, organizzavano una fiera del restauro ed una visita alle cantine che venivano allestite per l’occasione in diverse grotte sparse nei vari vicoli. Il giorno del compleanno di mia madre, 85 anni, siamo andati a festeggiarlo in un agriturismo di un paese vicino, Belforte sul Chienti (questo severamente danneggiato dal terremoto): amici una mangiata epica, segnatevi questo nome: “Il ponte degli schiavi”. Alla fine non fatevi incantare da altri dolci, chiedete vino cotto e cantucci e chiudete in bellezza.

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Finita la settimana ci sembrava presto per tornare a casa, anche per non rompere le uova nel paniere al pargolo che se la stava scialando in compagnia di Pappolo e Luppolo, i due gnometti da balcone, così abbiamo organizzato al volo un giretto tra Marche, Abruzzo, Lazio, Umbria e Toscana di cui però vi racconterò a parte, per non annoiarvi troppo. Per ora anticipo solo che la bilancia, al ritorno, indica un chilo e mezzo in più rispetto alla partenza: pensavo peggio!

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Olena à Paris – 14

Gilda, in piedi davanti al grande specchio della camera da letto, accoglie con sollievo l’arrivo del fidato maggiordomo che regge un vassoio in argento su cui sono poggiati una boccetta azzurrina, una caraffa d’acqua ed un bicchiere in cristallo di Boemia.
«Grazie al cielo, James, avevo giusto bisogno di un tuo consiglio. Che ne pensi di questo accostamento?» chiede rimirandosi pensierosa.
James osserva da intenditore le scarpe close up con il tacco trasparente a forma di pigna e la borsetta tourtoise in pelle di anaconda a forma di rene, che corrisponde esattamente al suo costo, e infine emette il suo verdetto, non senza un brivido di concupiscenza:
«Trovo l’accostamento estremamente azzeccato, signora, sul tubino giallo risalta ma senza disturbare. Si potrebbe, volendo, dare un ulteriore tocco di sobrietà aggiungendo delle collane e dei bracciali Masai»
«Tu dici, James?» chiede la Calva Tettuta, corrugando il labbro. «Il multietnico tira sempre, non è vero caro? Ius soli, me too, vada per i Masai, allora». Poi, notando finalmente il vassoio, cambia discorso:
«Oh, vedo che hai portato la mia Pilosella Betulla. E’ un toccasana per i piedi gonfi»
«L’estratto è ottimo contro la ritenzione idrica, signora»
«Anche contro la cellulite dicono che faccia molto bene. Tu l’hai provata, James?»
«Non io personalmente, signora, ma un mio ami… ehm, una mia amica la assume regolarmente con soddisfazione. Ma lei signora non ne ha certo bisogno, la sua pelle è tonica ed elastica»
«Sei un incorreggibile adulatore, James. Versamene una dose abbondante, che devo andare a fare due chiacchiere con il direttore della Banca del Ponte: quel tanghero si rifiuta di diluirmi i pagamenti del prestito, ma ti pare possibile? Se fosse stata qua Natascia avrei mandato lei a convincerlo, ma mi toccherà cavarmela da sola. A proposito, ci sono notizie dall’Argentina o siamo ancora in silenzio radio? Niente nuove buone nuove o devo iniziare a preoccuparmi anche su quel fronte?»
«Per il momento le notizie sono incoraggianti, signora»
«E speriamo che continuino ad esserlo… bene, allora possiamo andare, tu mi accompagni vero caro?»
«Se la signora lo desidera…» risponde il maggiordomo con modestia.
«Bè, ma che domande, certo che lo desidero. Tu ti intendi di interessi, non è vero James? Perché quando il direttore comincerà a parlare di interessi composti, frazionamenti, avrò bisogno di una spalla robusta»
«Veramente signora, la nostra formazione verte più che altro sull’amministrazione domestica, che è simile ma non proprio uguale a quella societaria…»
«Mmhh, hai ragione, ci serve un tecnico. Sai che facciamo, allora? Portiamo Spread»

Usciti nel cortile i due si fermano, incuriositi da un gruppo di koala che si affollano davanti alla cucina.
«James, che tu sappia le direttive governative prevedono qualcosa per gli assembramenti di marsupiali?»
«Non mi risulta, signora. Per ora nella popolazione dei fascolarti¹ non sono stati riscontrati casi positivi.»
«Bè, quand’è così suppongo che siano esentati dall’indossare mascherine. Ma come mai non se ne stanno arrampicati sui loro eucalipti?»
«Hanno familiarizzato molto con il piccolo Chico, signora, penso siano convinti di essere loro fratellini e che la signora che recita in televisione sia la loro mamma»
«Bisognerà fare due chiacchiere con Miguel. Anche perché la storia è avvincente ma non troppo educativa, non vorrei si facciano strane idee. Te ne incarichi tu, James?»
«Senz’altro, signora» risponde James, accompagnando Gilda verso la Rolls Royce tirata a lucido.

ROSA: (si sveglia di soprassalto) Oh, grazie al cielo! Era tutto un sogno!
DONNA TERESA: (entra con irruenza e spalanca la finestra) Alzati poltrona, ché donna Annunziata ti sta aspettando per prenderti le misure!
ROSA: Misure? Che misure, mamma?
DONNA TERESA: Come che misure? Le misure del vestito, il vestito per il ballo! Tuo padre si è svenato, abbiamo debiti fino al giorno del giudizio! Ma stai sicura che un vestito così non ce l’ha nessuna, resteranno tutte a bocca aperta, schiatteranno d’invidia!
ROSA: Ma mamma, non dovevate, lo sapete che io non ci tengo…
DONNA TERESA: Non dovevamo, non ci tengo… ma che volevi, andare al ballo conciata come una stracciarola? Don Carlos deve restare incantato, tramortito, e deve decidersi finalmente a fissare la data… Dio solo sa cosa ha trovato in te quel vecchio caprone, ma non dobbiamo farci scappare l’occasione!
ROSA: Ecco, mamma, io devo dirti una cosa…
DONNA TERESA: Una cosa? Cos’è, non ti senti bene? Ti sono venute le tue cose? Non facciamo scherzi, eh, al ballo ci vai anche se sei in punto di morte, non voglio sentir storie!
ROSA: Mamma, io non voglio sposare Don Carlos!
DONNA TERESA: (resta bloccata con gli occhi sbarrati, poi esplode) Che cosa? Tu che cosa? Figlia ingrata, vuoi mandare tutto a rotoli dopo i sacrifici che abbiamo fatto per te? Spezzerai il cuore a quel cornu… quel bravuomo di tuo padre, che si rompe la schiena e non solo da mattina a sera! Perché ci fai questo, perché, che ti abbiamo fatto? E’ ancora per quella storia delle capre? Va bene, ti ho già detto che d’ora in poi andrà tua cugina a pascolarle, ma per l’amor del Cielo non fare pazzie o quant’è vero iddio guarda che ti stróppio, ti riempio di legnate che non solo don Carlos non vorrà più vederti, ma nessuno al mondo vorrà più saperne di te!
ROSA: Ma mamma, io non lo amo!
DONNA TERESA: (guarda la figlia come fosse un’aliena sbarcata da Marte) Che dici? Amore? Ma chi se ne frega se lo ami o no! E’ ovvio che non lo ami, chi può amare quel rospo! Tu devi sposarlo, sposarlo, capisci la differenza o sei rimbambita? Tu mi farai morire di crepacuore, sei la disgrazia di questa famiglia! Di amore, mi viene a parlare… sai quanto ci mangi con l’amore!
ROSA: Ma mamma, è un vecchio!
DONNA TERESA: Meglio, figlia mia! Meglio! Vuol dire che diventerai vedova presto. Devi solo stringere i denti per un po’, dargli un paio di marmocchi (se quello ce la fa ancora, nel caso dovrai dargli un aiutino, poi ti spiega mamma) ed il gioco è fatto. Don Carlos non ha altri eredi, diventeremo padroni di tutte le sue ricchezze e possedimenti!
ROSA: Diventeremo?
DONNA TERESA: Diventeremo, diventeremo! Mica penserai che ti lascerò sola ad amministrare tutto questo ben di Dio! Tu avrai altro di cui occuparti, i vestiti, i balli, le feste, i gioielli…
ROSA: (in tono di sfida) E se io non volessi? E se amassi un altro?
DONNA TERESA: (strappandosi i capelli) Aahh!!! Tenetemi che l’ammazzo! Io l’ho fatta e io la disfo!

«Aahh!» strillano i koala, strappandosi i peli dalla testa.

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¹ Il koala è l’unico rappresentante vivente del genere Phascolarctos famiglia Phascolarctidae, o marsupiali arrampicatori.