Cronachette della fase tre (23 giugno – 1 luglio)

Questa settimana non ho seguito molto le vicende del mondo, è morto mio padre e tanto mi è bastato; certo rispetto ai miei genitori sono stato molto più fortunato perché mia madre è rimasta orfana di sua madre a cinque anni e mio padre del suo a sedici;  come orfano sono abbastanza attempato dunque, e sono grato a mio padre di aver aspettato la fine dell’emergenza per mollare gli ormeggi, altrimenti non avrei potuto andare nemmeno al funerale.

Funerale con mascherine, distanziamento, ma non ho potuto né voluto evitare gli sbaciacchiamenti di parenti e amici… ero un po’ timoroso perché consapevole che erano loro a rischiare di più, sono io quello proveniente dalla regione ancora infetta! Abbiamo reso onore alla vecchia cerqua¹, se fossimo stati a New Orleans avremmo chiamato anche la banda comunque abbiamo passato due giorni a bisbocciare con i miei fratelli e qualche parente rimasto, più che un lutto è stato un bel rito di esorcizzazione. Il prete mi ha detto che in quest’ultimo periodo sono morti un sacco di anziani (e me ne ero accorto dalla quantità di manifesti appesi sui muri) ma non di Covid, perché mica si muore solo di quello, ma semplicemente di vecchiaia. Mio padre è morto in poltrona, buffo per uno che le comodità le ha sempre schifate: ci metterei la firma, ma non su questa poltrona da smart working che è scomoda, come sapete.

Comunque l’economia riparte: in autostrada per 550 chilometri una fila ininterrotta di camion e il prezzo della benzina sta pian piano ritornando ai livelli pre-Covid. Nessuno metterà mai un freno a questa deriva, possibile che andiamo su Marte e non siamo capaci di far viaggiare le merci su rotaia anziché su camion? A proposito di merci su rotaia, sono già passati 11 anni dalla strage della stazione di Viareggio… riporto dal Fatto Quotidiano dell’altro giorno: “La prescrizione ha già cancellato i reati di incendio e lesioni colpose gravi e gravissime. Gli unici capi d’imputazione rimasti, ovvero il disastro ferroviario e l’omicidio colposo plurimo, sono legati al filo dell’aggravante dell’incidente sul lavoro.” e non commento, ma mi chiedo come possa esistere prescrizione per certi reati. O ci sono o non ci sono, la prescrizione è solo una beffa per le vittime, ma nel paese dei cavilli e degli avvocati tutto è possibile.

Visto che il frigorifero era vuoto ho anticipato la visita alla Coop e ho constatato ancora una volta che non esiste più l’alcool. Purtroppo non mi sono ricordato di farmene una scorta al paese, perché lì si trova, ma tutto sommato meglio così perché non sarei stato troppo tranquillo a viaggiare con una tanica nel portabagagli, ricordo la fine che fece il povero Scirea in Polonia, quando venne tamponato…

Per il resto non mi sembra sia cambiato molto durante la mia assenza: Berlusconi (anzi, di più i suoi a dire la verità) strilla al complotto dei giudici politicizzati, l’Iran ha spiccato un mandato di arresto contro Trump per l’assassinio del generale Soleimani, oggi a Salerno sono state sequestrate 14 tonnellate (!) di droga per un valore di oltre un miliardo di euro. Roba da non credere… che fine farà? L’altro giorno dopo il funerale ho rivisto un pezzo di “Quelli della San Pablo” con Steve Mc Queen, dove gli americani per far sparire un carico di oppio lo bruciavano nelle caldaie della nave, creando una nuvoletta stupefacente. Succederà la stessa cosa agli 84 milioni di pasticche o con qualche cavillo dovremo restituire pure quelle e con tante scuse?  Tanto qua liberiamo tutti..

Amiche e amici, basta mugugni, basta reprimende: chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza; per farmi compagnia mi sono comprato un nano da balcone, l’ho nascosto tra le piante ed ho aspettato che la giardiniera se ne accorgesse; dopo qualche giorno l’ha scoperto ed ha guardato in alto, forse pensava fosse caduto dal cielo, volevo lasciarglielo credere ma purtroppo mi è scappato da ridere, mi ha sgamato e ha riguardato in alto scuotendo stavolta la testa. L’ho chiamato Pappolo, un po’ mi assomiglia, tiene le mani dietro la schiena e gli piace guardare chi lavora, e anche lui racconta pappole…

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¹ Non è un errore: da noi la quercia si chiama così…

Ragazza moderatamente modesta?

Amiche e amici,

in questi tempi bui bisogna attaccarsi a quel minimo di buonumore che la vita ci propone. Per questo mi ha fatto sorridere, nella posta giustamente finita nello spam, un messaggio di una sedicente Della che si presenta come “Io ragazza moderatamente modesta”.

Il testo del messaggio recita:

Sono qui per proporre un incontro. Hai un desiderio??
Non preoccuparti, sono affettuoso. Mi piace ridere e ridere molto, ma so anche essere serio.
Sto cercando un uomo con la stessa mente aperta. Che sia sesso o amicizia, lo vedrai dopo.
Se non ti dispiace conoscermi, registrati per visualizzare il mio profilo

Ad essere pignoli, il genere degli aggettivi “affettuoso” e “serio” non combacia con quello di “ragazza”, sia pur moderatamente modesta, e questo mi lascia moderatamente interdetto. Anche perché, modesta Della, su certi argomenti sono ancora abbastanza all’antica e la mia mente è aperta più o meno come quella del generale Vannacci.

In realtà un desiderio adesso come adesso ce l’avrei, ed è quello di arrivare alla pensione, e possibilmente in condizioni psico-fisiche decenti; la moderazione potrebbe forse aiutare ma ci vogliono soprattutto i contributi Inps.

Anche se ultimamente non è che sia proprio bendisposto verso i moderati. In politica ad esempio ne abbiamo molti, moderati mannari; uno che si proclamava moderato ieri l’hanno mandato agli arresti domiciliari, e il nostro parlamento è pieno di moderati che da più di due anni continuano a votare per mandare armi nei teatri di guerra, per favorire la pace, s’intende, con il bel risultato di far morire centinaia di migliaia di persone, impoverire tutta l’Europa tranne le industrie di armamenti, e portarci pian piano verso una guerra mondiale. E per fortuna che sono moderati! Ragazza modesta, prova da quelle parti: di menti aperte non ne troverai molte e nemmeno di menti, a dire la verità, ma qualcosa da aprirgli lo troverai senz’altro, magari il portafogli. Sesso o amicizia, lo vedrete dopo!

Amiche e amici, mi vergogno un po’ di scrivere queste stupidaggini con tutto quello che capita per il mondo. Ma temo che finché in giro ci sarà questo genere di moderati le cose non potranno che andare peggio, allora è meglio ridere finché possiamo. A presto! (moderatamente)  

Passi pure la barba, se è ben rasata. Sono di mente aperta!

Olena regina d’Abissinia – 29

Nella grande sala stampa del palazzo presidenziale il console Poltronieri consulta nervosamente l’orologio Patek Philippe Grandi Complicazioni che ostenta al polso, essendo intimamente e fermamente convinto della superiorità dell’apparire sull’essere, ragion per cui chi indossa un cronografo da oltre 300.000 euro non può essere un pirla.
«Dove diavolo sono finiti quei deficienti? Il Presidente sta per arrivare, se mi fanno fare brutta figura giuro che li ammazzo con le mie mani» sibila alla sua assistente che, avvezza alle sue sfuriate, gli rivolge un sorriso comprensivo mentre la mente è occupata in tutt’altre faccende, e precisamente alla lingerie che dovrà sfoggiare durante l’incontro serale con Alonso detto “el martillo neumático”, stagista all’ambasciata spagnola.
Come se gli avesse letto nel pensiero, un gruppetto variopinto, scortato da quattro agenti della sicurezza, fa il suo ingresso nella sala. Attilio Trozzo, il capodelegazione, allarga le braccia in segno di mortificazione.
«Ci scusi, console, ma abbiamo rischiato di non arrivare… Abbiamo forato per strada, non si vedeva un accidente ma per fortuna c’erano dei pastori che hanno dato fuoco alla sterpaglia e ci hanno dato una mano a cambiare la ruota. Poi abbiamo sbagliato palazzo: lei ci aveva detto palazzo presidenziale, ma non ci ha detto quale, così siamo andati in quello vecchio che però ora è un museo, volevano perfino farci pagare il biglietto, ma alla fine ci hanno indirizzati qua. Tutto è bene quello che finisce bene! Qual è ora il programma?» chiede Trozzo, abituato alle conferenze organizzative.
«E loro chi sono?» chiede a sua volta il console, sospettoso, indicando Taitù, Mariam, e soprattutto Zigulì.
«Sono i nostri accompagnatori» risponde prontamente il segretario «ci fanno da interpreti, e soprattutto ci hanno aiutato a trovare dei vestiti decenti da metterci, visto che in Dancalia non c’era molta verza da sfogliare»
In effetti i rudi sindacalisti si presentano molto eleganti, anche troppo: prima di recarsi a palazzo sono infatti passati da un cugino di Mariam che ha un banchetto al mercato, dove vende dei completi finto-Armani a prezzi onesti, o magari dei veri Armani ma venduti al prezzo giusto¹. Mariam e Taitù indossano dei bellissimi Habesha Kemis di cotone bianco, decorati a mano con inserti colorati, ed in testa la netela, uno scialle anch’esso bianco con strisce di vari colori; in quanto a Zigulì non c’è stato verso di fargli abbandonare la consunta uniforme coloniale ma si è raggiunto un onorevole compromesso mettendoci sopra una sciamma, una lunga tunica, anch’essa bianca. Taitù, maliziosetta, dice qualche parolina all’orecchio di sua madre che, ammirata, lancia delle occhiate ad Ambrogio, rosso e impacciato nel suo spigato Blu di Prussia, e scoppiano tutte e due a ridere sommessamente.
«Loro non sono stati invitati, chi vi ha autorizzato a portarli? Devono andare via!» intima Poltronieri, stizzito, temendo infrazioni al cerimoniale.
Secondi di gelo, imbarazzo e incredulità seguono la sparata del console. Si vede Ambrogio stringere i pugni e avvicinarsi a Mariam e Taitù; Trozzo, capendo che la faccenda sta prendendo una brutta piega, prende in pugno la situazione, ricorrendo alla sua esperienza di dialettica democratica.
«Permette solo una parola, console?» chiede, e senza aspettare la risposta prende Poltronieri sotto braccio e lo allontana dal gruppo, portandolo a distanza di sicurezza. «Ascoltami bene, testa di cazzo, e soprattutto sorridi. Non so con chi pensi di avere a che fare, ma ti consiglio di guardare bene le mani di quegli uomini» dice indicando Memo, Luisito Lenìn e appunto Ambrogio. «Quando se le sfregano in quel modo vuol dire che gli prudono. E se gli prudono non ci mettono molto a grattarsele sulla faccia del primo che si trovano davanti, meglio se è un leccaculo come te. Quindi, per favore, rilassati e vedi di non rompere i coglioni. O se no, Presidente o non Presidente, io ti metto in piedi un tale casino che nemmeno ti immagini, e va a finire che stavolta in Italia col barcone ci devi tornare tu, o ti ci faccio tornare io a calci in culo. Avec-vous compris, mon ami?» conclude Trozzo, sfoderando un sorriso a 36 denti, e cingendo con un braccio le spalle del console, livido di rabbia.
«To’, arriva il Presidente» annuncia, vedendo la scorta del presidente entrare nella sala. «E sorridi, ti ho detto! Sembri un beccamorto, che figura fai fare alla nostra “nazione” ?»

¹ In questi giorni un’inchiesta dei Nas ha fatto emergere che la Armani girava in subappalto la realizzazione di accessori in pelle, e scendi scendi nella catena dei subappalti si arrivava a laboratori-dormitorio cinesi, dove la manodopera veniva pagata anche 2 euro l’ora. Mentre la borsa, con un costo di produzione di 90 euro, in boutique viene venduta a 1800 euro. La società Giorgio Armani Operations Spa naturalmente sostiene ritiene di avere “da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura”. Solidarietà ai taroccatori di marchi!

Cronachette dell’anno bisesto – Aridateci i banani!

Amiche e amici,

qualcuno di voi sicuramente ricorderà l’iniziativa di piantare un boschetto di banani in piazza Duomo a Milano, idea partorita sicuramente da menti fervide. Ne parlai diffusamente in articoli dell’epoca (2017):

Raccoglieremo banane in piazza Duomo!

Drupi è d’accordo

Piante e buoi dei paesi tuoi!

articoli che rileggo con tenerezza perché ci ritrovo una leggerezza, una delicatezza direi, perduta purtroppo nelle temperie di questi ultimi anni grevi e funesti.

Alle comprensibili perplessità dei cittadini, pure di quelli non prevenuti, si rispose che in fondo palme e banani abbellivano i giardini milanesi fin dall’ottocento, con profusione di prove fotografiche. Tra l’altro il sottoscritto, perplesso come tanti, non teneva conto di avere una palma proprio nel giardino condominiale (poi abbattuta perché qualche giardiniere prezzolato ne tagliò la cima, rovinandola). Comunque ci si abitua a tutto e i milanesi si sono adattati, anche se con meno spirito dei romani col Marziano di Ennio Flaiano¹.

Oggi lo stesso sindaco Sala che all’epoca perorò la causa fa marcia indietro e in una furia bananoclastica decide di abbattere il boschetto per fare spazio ad uno “spazio verde ispirato alla filosofia di responsabilità ambientale dell’Oasi Zegna”. Via quindi le banane, si passa a boschetti autoctoni, perché “in questo modo viene garantito il rispetto della biodiversità e della stagionalità delle piante, che verranno ripiantate in Oasi Zegna a fine ciclo”. En passant, pare che Zegna si assuma l’onere della manutenzione per tre anni, non ho ben capito in cambio di che (gratis è morto, lo sapete credo). Il cambiamento mi pare comunque in stile meneghino, dove uno dei detti più diffusi è “Fa’ e disfa’ è tutto un laura’ ”. Il 25 aprile sarò in piazza per la consueta manifestazione per l’anniversario della liberazione dal nazi-fascismo e spero di darvene un resoconto fotografico. Anche se non so se quei partigiani che sono morti per la libertà lo rifarebbero, vedendo come ci siamo ridotti. Per dire, ieri per le elezioni regionali in Basilicata ha votato il 49,8% degli aventi diritto: meno della metà, e gli eletti gestiranno milioni, quando con meno della metà dei partecipanti nemmeno un’assemblea di condominio è valida! E stendiamo un pietoso velo sulla gente che abbiamo al governo nazionale.

Salto le notizie internazionali perché sono troppo deprimenti.

Gioisco invece per la conquista della seconda stella dell’Inter: ha stracciato tutti gli avversari, miglior difesa e migliore attacco, così si rischia di diventare antipatici. Tra l’altro forse il Como salirà in serie A, e magari l’anno prossimo ci sarà Como-Inter. A cui comunque non andrò, nell’ultima partita che ho visto dal vivo giocavano ancora Altobelli e Passarella, e l’ultima partita intera che ho visto in televisione forse è stata la finale degli europei 2020 che si è giocata nel 2021, vinta non so ancora come dall’Italia, anche perché mi sono addormentato diverse volte.

Amiche e amici, oggi è il mio onomastico, ho l’onore di avere lo stesso nome della attuale premier, ma è l’unica cosa che abbiamo in comune, ed è già troppo. A presto!

¹ “A Marzia’, facce ride!” l’immortale esortazione che il popolino rivolgeva all’alieno una volta passato lo stupore. Oggi forse l’alieno l’avrebbero mandato in un centro di accoglienza in Albania. Mi viene da piangere.

Olena regina d’Abissinia – 28

Amica cara, amore tigrè,
mi piaci tanto ma sai che c’è?
Non son felice quando nel ballo
il tacco dodici mi pianti sul callo.
Fai qualche corso, trova una scuola!
O se no è meglio che balli da sola.
Anche perché, amore tigrè,
c’hai delle fette del quarantatre!

«Che ve ne pare amici, vi piace? Questa la intitolo Amore tigrè, non schiacciarmi i pe’ e la infilo nel prossimo album. E’ un pezzo che spacca!»

Nella bassa casupola alla periferia di Adigrat, non distante dal confine con l’Eritrea, i due custodi del cantante rapper Bronch’io, nome d’arte di Hakalu Maconnèn, discendente a sua insaputa del Negus, scuotono la testa esasperati.
«Ringrazia Dio che abbiamo l’ordine di non torcerti un capello, sennò ti facevo vedere io cosa ti spaccavo» dichiara Surafel, il più alto in grado. «Ma per fortuna questa tortura sta per finire. Domani ti liberiamo, e potrai continuare a scrivere e cantare tutte le boiate che vorrai, ma lontano dai sottoscritti. A meno che…»
«A meno che?» chiede allarmato il cantautore.
«A meno che qualcosa vada storto. Allora mi toccherà farti fuori, e ti assicuro che lo farò con grande soddisfazione» dichiara il rapitore.
«Noo! Ma non potete liberarmi adesso!» protesta Bronch’io, alzandosi in piedi con la chitarra a tracolla.
I due carcerieri si guardano, increduli.
«Ma lo vedi che non ragioni? Certo che possiamo liberarti, e lo faremo se qualcuno non fa scherzi. Se no…» conclude il bandito, facendo con le dita il gesto di una pistola.
«Ma il disco non è finito, mi mancano ancora due pezzi! Non potete aspettare un attimo, che so, una settimana, dieci giorni? I fans impazziranno al mio ritorno, si precipiteranno a comprare il disco, ma devo averlo pronto, capite? Si fa presto a dimenticare un rapimento, che volete che sia. E poi non mi avete tagliato nemmeno un orecchio, un dito, ma che razza di rapitori siete? Su, dai, tagliatemi almeno il mignolo, tanto non lo uso per suonare!» li incita Bronch’io.
«Guarda, se fosse per me ti avrei già tagliato tutte e due le orecchie e pure il naso, sempre dopo la lingua però. Ma chi mi paga non vuole, e io rispetto i contratti, nel limite del possibile. Cosa credi, anche noi abbiamo un’etica professionale»
«Questa è bella, due delinquenti con un codice etico. Per carità, non mi meraviglia, anche i partiti ora si danno i codici etici, di solito dopo che qualcuno dei loro viene beccato con le mani nella marmellata¹. Quasi quasi ci faccio una canzone!» ipotizza pensieroso, per poi prontamente ricredersi «No, meglio di no, magari tra qualche anno. Il pubblico è abituato al mio personaggio, li confonderei. Se non dovessi più avere successo potrei provare, già immagino i titoli dei giornali: “La svolta impegnata di Bronch’io”, “Il nuovo Bronch’io”, o forse è meglio se cambio anche nome, abbandono Bronch’io e comincio a farmi chiamare Hakalu?»
«Per quello che m’importa puoi farti chiamare Ciccio ‘e Napule² o Escherichia Coli. Prega però che le nostre strade non si incrocino più, perché una volta assolti i miei obblighi contrattuali nessuno mi impedirebbe di spararti»

«Anche se» dichiara pensieroso il secondo compare, Mintesinot «il ragazzo non ha tutti i torti. Una volta avevo una fidanzata tigrina e ballare con lei era una tortura»
«Senti, non mettertici anche tu, ok? Finiamo questo lavoro e poi se vuoi puoi anche andarci insieme in tournée e suonargli i bonghi»
«Tu sai suonare i bonghi? Avrei giusto bisogno di un bravo percussionista» dichiara l’artista.
«I bonghi ci starebbero benissimo con questo pezzo:

Bom bobobom bobobom
Mi strofinavo con energia
pensando ad Amanda, l’amica mia,
quando mi dice: “Lo sai che c’è?
Faccio la doccia insieme a te”.
Sono rimasto un poco stupito
ma la proposta ho certo gradito:
provo a spogliarla da due mesi o tre
e ora di colpo si spoglia da sé.
Timido, avviso la mia micina:
vedi, mia cara, la doccia è piccina.
tieni ben salda la saponetta
che se ti cade non so che t’aspetta.

Bom bobobom bobobom
“Non mi guardare!” chiede pudìca,
“La mia estetista, per il Costarica
questa mattina è partita di fretta
e niente seduta per la ceretta”
Mi son girato per non darle imbarazzo
e nella cabina è entrata a razzo.
Il mio consiglio però non afferra
e la saponetta le cade per terra.

Bom bobobom bobobom
“Me la raccogli? Te ne sarò grata”
chiede vezzosa quella sbadata.
Così, fiducioso, mi sono chinato
ma non ne son stato ricompensato.
Ti pare il caso, Amanda, e che cacchio!
Di presentar quel po’ po’ di batacchio?
Ti sembra uno scherzo bello da fare
nella mia doccia con quell’affare?
D’accordo che il mondo è più bello se è vario,
ma io ancor distinguo un’Amanda da un Mario!

«Vi piace, amici?» chiede il cantante. «La chiamerò Saponetta³»
«A me piace» dichiara Mintenisot. «La metrica è da migliorare, ma è orecchiabile»
«E’ arrivato il critico musicale» interviene Surafel, concludendo amichevolmente «Ve lo dico una volta sola: o la fate finita o vi sparo a tutti e due»

¹ Ogni riferimento ad un certo partito del centrosinistra che si spaccia per erede di Enrico Berlinguer, che della questione morale fece una bandiera (rossa), non è casuale. A quei tempi gli armocromisti non esistevano.
² Ciccio e’ Napule è veramente esistito e l’Autore ha rischiato in gioventù di essere ingaggiato con tutta l’orchestrina di cui faceva parte per un varietà dove Ciccio avrebbe presentato un ricco programma di sketches e canzoni napoletane. Al momento della firma per la prevista tourneé ci furono delle divergenze legate al cachet (in pratica avremmo dovuto pagare tutto noi) e non se ne fece niente. Peccato!
³ Qualcuno potrà trovare delle analogie con le liriche immortali di Renato Zero, del quale l’Autore si dichiara fan e sorcino: tuttavia non di plagio si tratta, ma di ispirazione!

Cronachette dell’anno bisesto – Non potrò più nemmeno giocare a bocce

Amiche e amici,

data la frequenza con la quale riesco a palesarmi, gli avvenimenti accaduti sono davvero tanti ed è difficile commentarli. Ma su uno, se vogliamo minore ma significativo, qualcosa devo dire per forza. Dovete sapere che qualche giorno fa l’amministrazione comunale ha chiuso un centro, gestito dall’Associazione Combattenti e Reduci, che era un luogo di ritrovo storico per i pensionati della città e dintorni: si ritrovavano per chiacchierare, giocare a carte, e soprattutto giocare a bocce. Forse l’ultimo campo da bocce rimasto in città: quando arrivai a Como, ormai 45 anni fa, vicino casa c’era un bar con bocciodromo, ma dopo qualche anno, cambiato gestore, il bar chiuse e gli spazi per le bocce furono dismessi per fare spazio a delle orrende casette, rimaste peraltro invendute per tantissimo tempo.

Nonostante le proteste sia dei diretti interessati che di diverse altre associazioni e di buona parte della cittadinanza, il sindaco ha tirato dritto ed è riuscito a sfrattare i vecchietti. La scusa è che quell’area verrà utilizzata per abbellire la città, ovvero sarà parte qualificante del nuovo museo archeologico (l’attuale è indecente, su questo devo dare atto al sindaco) e come pezzi pregiati avrà le monete romane ritrovate qualche anno  sotto un palazzo del centro che doveva essere demolito per far posto a qualcosa di più bello e soprattutto lucroso. Da ignorante non mi sembra che le monete romane siano questa rarità, dovunque giriate per il mondo è pieno di monete romane, anche dove uno non se le aspetterebbe, ma comunque anche fossero le più rare della terra la questione è: non si poteva trovare un altro spazio per le attività sociali che si svolgevano in quel luogo da ben 76 anni? Il Comune serve solo a far pagare le tasse per mettere le fioriere per i turisti? O a sperperare i soldi delle medesime tasse costruendo muri sul lago, come quella precedente? La funzione sociale è completamente sconosciuta ad una certa razza di amministratori.

Capirete che l’argomento mi tocca da vicino, dato che se Dio vuole tra pochi anni anch’io potrò godermi la pensione: dove andrò a giocare a bocce? Sarò costretto a frequentare i cantieri, dove peraltro data la mia mancanza di qualsivoglia senso pratico potrò dispensare ben pochi consigli. Giocare a burraco non se ne parla (aborro le carte), nipotini in vista non ce ne sono, starei volentieri in panciolle tutto il giorno ma so già che la mia consorte non me lo permetterà. Per il mio bene, s’intende.

Anche se all’inizio accennavo a quello che è accaduto dall’ultimo post, in verità di grandi novità non mi sembra ce ne siano:

  • In Ucraina la guerra continua, gli ucraini stanno finendo munizioni e uomini e hanno la bella idea di bombardare la centrale nucleare, con chiari intenti ricattatori verso l’Europa: Europa che si fa ricattare volentieri, dato che si è appena impegnata a sganciare altri 100 miliardi in 5 anni per altri armamenti e assistenza varia. Finito il Covid le risorse si sarebbero dovute impiegare nella sanità (pubblica!) e nel new deal green, ma chi se li ricorda più. Bisogna riarmarsi, dicono. Così dopo avere regalato miliardi e miliardi alle multinazionali farmaceutiche, adesso li regaleremo ai mercanti di morte, e magari ci manderanno pure ad usarle (non me, che sono vecchietto: i giovani, che già scarseggiano).
  • A Gaza continua la mattanza. Dopo sei mesi Israele si è impantanato, ha causato con le sue azioni il risorgere dell’antiebraismo, e ha fatto perfino dimenticare la strage di Hamas. La proporzione di morti è più di 1:30, molto più delle rappresaglie naziste, e più della metà sono donne e bambini. Certo, meglio ammazzarli da piccoli, anche Erode la pensava così. Non contenta ha bombardato il consolato iraniano a Damasco (ambasciate e consolati sarebbero protetti dal diritto internazionale, come gli ospedali peraltro ma al popolo eletto il diritto deriva direttamente da Dio, che volete che sia un trattato internazionale) creando tutti i presupposti per una ulteriore escalation. Se il prossimo passo sarà la guerra con l’Iran, vedremo se i grandi esportatori di democrazia ridurranno Teheran come fecero con Baghdad. Forse ci converrebbe tenercele le armi invece di mandarle agli ucraini, se scoppia la guerra mondiale servono a noi.
  • E continua la strage di lavoratori. Appalti, subappalti, controlli blandi o inesistenti, indifferenza alle condizioni dei lavoratori, pene troppo miti, e da inizio anno si contano più di 1000 (mille!) morti sul lavoro. Sacrosanto lo sciopero di ieri indetto da Cgil e Uil, a cui la Cisl non ha partecipato, si vede che i suoi iscritti sono immuni dagli incidenti. Mi sa che, data l’inconsistenza dei partiti politici del cosiddetto centro-sinistra, Cgil e Uil dovranno prendere in mano la situazione e fare come ai tempi di Solidarnosc in Polonia.
  • Grande clamore ha fatto la vicenda di Ilaria Salis, detenuta in Ungheria in attesa di giudizio. Umanamente mi dispiace per la giovane connazionale, ma chi siamo noi per dare lezioni all’Ungheria sul sistema giuridico e carcerario?  Da noi i processi durano un’eternità; siamo sotto infrazione da decenni per il sovraffollamento carcerario, carceri dove da inizio anno ci sono stati 26 suicidi, per non parlare delle vicende di abusi e violenze ai danni dei detenuti perpetrati da chi dovrebbe vigilare sulla loro sicurezza e incolumità: dammi retta, Ilaria, rimani in Ungheria che sei trattata meglio.

Amiche e amici, per oggi la finirei qua; come aspirante pensionato ho borbottato abbastanza, sono sazio; per fortuna è arrivata la primavera, e magari scaccia anche i cattivi pensieri. A presto!

Fate l’amore, non la guerra. A pagare e morire c’è sempre tempo.

Olena regina d’Abissinia – 27

Nella stanza da bagno della suite presidenziale dell’albergo Hilton, che si affaccia sull’avenue Menelik II, l’arteria principale del centro nuovo di Abbis Abeba, o Addis Ababa per i puristi, Gilda squazza nell’enorme vasca Jacuzzi godendosi i benefici dell’idromassaggio, riempiendo l’ambiente di schiuma e bolle a causa del bagnoschiuma a base di burro di argan, bicarbonato, acido ialuronico e moringa col quale adora detergersi e del quale non lesina la dose. La capitana d’azienda si diverte giochicchiando con un asciugamano, mettendoselo in testa strabuzzando gli occhi e poi immergendosi sott’acqua fingendo di essere una premier ad un dibattito parlamentare, per poi riemergere e sibilare un irriverente “pochette!”, con tanto di ditino puntato verso un immaginario avversario politico¹.
Come se si fosse sentito chiamato in causa, quello che a buona ragione potrebbe considerarsi uno dei principali cultori italiani della pochette (sempre che cultori sia politicamente corretto) si materializza nella stanza levitando, annunciando la sua presenza con un discreto tossicchiare.
Gilda, lungi dal coprire quelle grazie che le hanno fatto guadagnare il soprannome di Calva Tettuta, si raddrizza nella vasca e si rivolge con apprensione a James, il maggiordomo, il quale più che dalle poppe prepotenti è attirato dal tono esotico degli orecchini pendenti con piume di metallo martellato, piume colorate laccate di smalto, sfumature di pietre di cristallo, vetro e resina, in una composizione esplosiva che gli ricordano il carnevale di Rio del 2017, passato folleggiando con la mulatta Flora dos Santos, regina del samba, nata Octavio Frangipan.
«James, ci sono notizie di Svengard? E’ sparito da stamattina. Non dovrebbe andare in giro così, il clima non è adatto alla sua costituzione. Quello è nordico, la pelle gli si arrossa facilmente, poi gli vengono le vesciche e mi tocca sparmargli la cremina. Non vorrei che si fosse portato via qualche canna da Sciasciamanna e sia andato a fumarsela da qualche parte, se si addormenta lo ritroviamo abbrustolito come San Lorenzo sulla graticola. O era San Sebastiano? Comunque un santo.»
«Stamattina ho incrociato il signor Svengard che stava uscendo, indossava una tuta da ginnastica ed una headband² colorata per raccogliere i capelli, un insieme molto elegante. Mi ha detto che sarebbe andato a fare un po’ di jogging al vicino parco dell’Unità, dove c’è anche lo zoo, magari è andato a visitarlo» ipotizza il butler.
«C’è uno zoo qua vicino? Poteva avvisarmi, quell’asino. Avrei potuto accompagnarlo, l’ultima volta che sono andata in uno zoo è stato nel 1992 a Milano, mi ci portò la buonanima (si fa per dire) di Evaristo poco prima che gli ambientalisti lo facessero chiudere. Chissà che fastidio gli davano quegli animali in gabbia! C’era perfino una giraffa, pensa, chissà che fine avrà fatto. Sai James, mi sarebbe tanto piaciuto creare uno zoo anche nel parco di Villa Rana, con gli animali liberi di scorrazzare, ma l’amministratore mi ha detto che i permessi da chiedere sarebbero stati troppi ed inoltre difficilmente avremmo trovato una assicurazione che ci avrebbe coperto sul rischio di danni a terzi. Non capisco che danni possa fare un leone in libertà, non è mica un cinghiale! E’ incredibile quanti lacci e lacciuoli imbriglino la libera impresa» conclude Gilda, corrucciando la bocca.

Intanto nonna Pina, nella spa dell’albergo, prona sul lettino del centro massaggi si sta sottoponendo alle cure dell’addetto, un ragazzotto di una venticinquina d’anni, alto poco meno di un metro e ottanta, con denti d’avorio che spiccano sulla carnagione scura.
«Un po’ più di energia, ragazzo, guarda che non mi spezzo mica. E vai un poco più in giù, quelli che sembrano due sacchettini vuoti una volta erano delle belle chiappe, sai?» lo esorta la vegliarda, con la sua voce gracchiante.
«Ma quali sacchettini, vuole scherzare, madame? Lei è tonica come una cinquantenne» mente clamorosamente il massaggiatore.
«Ragazzo, tu stai puntando decisamente al podio degli adulatori. Ammetto di non essere ancora del tutto decrepita, ma se mi avessi visto a cinquant’anni, caro mio, la differenza l’avresti notata eccome. Posso sapere come ti chiami?»
«Mi chiamo Abbay, madame, che in amarico vuol dire “possente come il fiume Nilo”»
«Ma non mi dire» commenta nonna Pina, interessata. «Senti, carino, non ti piacerebbe venire qualche mese in Italia? Assunzione a tempo determinato, capirai, alla mia età posso crepare da un momento all’altro, ma stai tranquillo che ti lascerei una bella liquidazione. Un bel centro estetico ti andrebbe bene³?»
«Quello di venire in Italia è sempre stato il mio sogno» confessa Abbay «però se non le dispiace al posto del centro estetico preferirei una palestra»
«Vada per la palestra. Dopo buttiamo giù due righe, un contrattino ci vuole, non pensare che ti farò lavorare in nero» ridacchia la ultracentenaria. «Ma prima, se non hai niente in contrario, vorrei una dimostrazione di quel “possente”. Sai come si dice in Brianza, pagare moneta vedere cammello»
Abbay, mostrando di conoscere bene i detti arabi, si allontana qualche passo dal lettino, e con un gesto naturale lascia cadere l’asciugamani che teneva legato alla vita.
«Per essere un cammello ha due belle gobbe» commenta la mummia improvvisamente ringalluzzita. «I cammelli però di solito non hanno la proboscide» constata la vegliarda, scendendo dal lettino leccandosi i baffi.

Mentre Gilda esce dalla vasca, venendo inglobata dall’accappatoio che il solerte maggiordomo le porge, dal cellulare parte la suoneria che riproduce Tuta Gold di Mahmood, suscitando a James un brivido si raccapriccio. Gilda si precipita a rispondere, rischiando di scivolare sul pavimento bagnato.
«Pronto, Svengard? Si può sapere dove ti sei cacciato, è tutta la mattina che ti sto cercando» esagera la Calva Tettuta, riconoscendo il numero del chiamante. La voce che risponde però non è del suo amato.
«Signora Quacquarini? Mi stia a sentire attentamente: il suo amico è in mano nostra. Se vuole rivederlo tutto intero, deve venire domani mattina alle 10 al cimitero, qui ad Addis Abeba. Porti un milione di euro, e non faccia parola di questa conversazione con la polizia»
«Ma chi siete?» chiede Gilda, sorpresa più che altro dall’essere stata chiamata signora Quacquarini. «Avete rapito Svengard? Farete meglio a non torcergli un capello»
«Lei non è nelle condizioni di minacciare» la avvisa l’uomo, avvicinando a Svengard, legato su una sedia, e mollandogli un ceffone. Il norreno tuttavia non è uomo da intimidirsi per così poco «Gilda, non preoccuparti per me, non cedere a questi schifosi» fa appena in tempo a dire prima di beccarsi un altro ceffone.
«Se si rifiuta, prima gli taglieremo un orecchio. Poi il resto.»
«Va bene, va bene, verrò» cede Gilda «ma non fategli del male. Avete detto al cimitero? Ma quale cimitero, non so nemmeno quanti cimiteri ci siano ad Addis Abeba»
«Al cimitero militare italiano. Alle 10, e niente scherzi» ripete l’uomo, e riattacca.

Gilda rimane qualche secondo pensierosa, con James che, avendo sentito tutta la conversazione, è in attesa di ordini.
«Che caro Sven, non è vero James? Ha detto di non preoccuparsi per lui. Ma certo che mi preoccupo, mica posso permettere che gli taglino un orecchio, o peggio. Chiama l’amministrazione, per favore, e digli di farmi recapitare un milione di euro per domattina. Loro sanno dove prenderli» rassicura il maggiordomo, che dubbioso stava alzando un sopracciglio.
«Ah, James?»
«Sì, signora?»
«Mi sentirei più tranquilla se Natascia potesse essere dei nostri. Che ne diresti di rintracciarla?»

¹ Ogni riferimento ad una certa presidente donna, madre, italiana e cristiana è puramente casuale.
² E’ una fascia elastica per raccogliere i capelli. Ma headband fa molto più figo.
³ Ogni riferimento al centro estetico che un defunto ex premier avrebbe regalato alla presunta nipote di Mubarak è puramente casuale.

Cronachette dell’anno bisesto – A chi dà fastidio il luna park?

Amiche e amici,

con tutti i problemi che ci sono al mondo il nostro sindaco ha deciso di fare la guerra al luna park. Non si può negare che la guerra vada di moda come non mai, qui avremmo a portata di mano i ticinesi se proprio volessimo intraprendere qualche forma di belligeranza, invece periodicamente ci sono degli attriti ma tutto sommato si rimane nell’ambito della civile convivenza: noi mal sopportiamo gli svizzeri perché riteniamo che la loro precisione, il loro rispetto delle regole sia solo una finta e quando vengono in Italia delle nostre regole tendono a fregarsene, gli svizzeri ci sopportano poco in quanto italiani e perché dicono che andiamo a rubargli il lavoro (e naturalmente le donne): conosco personalmente dei personaggi che frequentavano regolarmente le sale da ballo svizzere per rimorchiare, cosa che in effetti gli riusciva benissimo; mentre per il lavoro i mugugni dei ticinesi vengono regolarmente rintuzzati dai loro industriali perché dei nostri frontalieri hanno bisogno dato che certi lavori gli svizzeri non vogliono più farli. Siamo il loro sud, e tutto sommato ci trattano molto meglio di quanto noi trattiamo il nostro, di sud, e noi stessi: loro infatti, prima di assumere uno straniero, hanno l’obbligo di verificare che non ci siano svizzeri disponibili per quel lavoro, e solo se non lo trovano possono prendere lo straniero. Che udite udite viene trattato come se fosse uno svizzero: stessa paga, stessi orari, non esiste paga in nero perché loro non vogliono che si faccia dumping salariale, ovvero che si prenda gli stranieri per pagarli di meno. Vuoi gli stranieri? Bene, però devi pagarli come gli svizzeri. Ovviamente gli stipendi svizzeri sono proporzionali ai loro costi della vita, che sono più alti dei nostri, e quindi quei fortunati italiani che abitano vicino al confine e riescono ad andare a lavorare in Svizzera (i frontalieri, appunto) per i nostri standard guadagnano un bel gruzzolo. Ho cercato di convincere mio figlio ad andare a lavorare da quelle parti ma pare che di grafici diplomati all’Accademia di Brera non abbiano bisogno.

Così se ne è andato a fare il facchino di alto bordo per uno degli alberghi di lusso dei dintorni: dice che guadagna bene e pensa poco, contento lui. Se ci avesse pensato prima avrei evitato di fargli fare l’università e avrebbe cominciato a guadagnare molto prima. Ai primi raggi di sole ristoratori, baristi e albergatori hanno iniziato a piangere che non trovano personale: ma secondo loro tutti devono avere l’aspirazione di fare i camerieri? E pure pagati poco, oltretutto. Ci credo che la gente va a lavorare in Svizzera! Idem per gli infermieri, ormai specie in via di estinzione (mi chiedo: ma è proprio necessario che gli infermieri siano laureati? Se uno ha voglia di intraprendere la professione medica a quel punto sceglie di fare il dottore, penso. Una volta gli infermieri non erano laureati eppure lavoravano lo stesso: un mio amico, una vera rapa, addirittura è diventato tecnico radiologo, e una volta in pensione gli hanno perfino fatto un articolo sul giornale). Quindi, oltre a pizzerie ristoranti etc. anche gli ospedali sono in crisi: il nostro sindaco invece di chiedersi come mai, magari facendo una politica di alloggi per lavoratori e studenti (le case comunali sono allo sfascio, come in gran parte d’Italia, una vera vergogna) che si inventa? Di non fare venire le giostre del Luna Park.

Le giostre a Como hanno una tradizione lunga cento anni: qualche settimana prima di Pasqua arrivavano, piazzavano le loro attrazioni e stazionavano un mesetto circa, per la gioia di grandi e piccini. Quando mio figlio era piccolo era una tappa obbligata, e speravo che potesse esserlo anche per i nipotini, se arriveranno: sempre che la prossima amministrazione sia più umana di questa. Che poi, voglio dire, e i circhi no, e il luna park no, ma sono anche questi lavoratori, perché gli si deve togliere il pane di bocca? La scusa era che l’area (25.000 mq) serviva per la costruzione di un palazzetto del ghiaccio. Abbiamo una piscina chiusa da cinque anni, un palazzetto dello sport che è stato lasciato andare in malora da decenni, impianti sportivi fatiscenti in una città ricca come Como e serviva proprio quello spazio per il palazzetto del ghiaccio? E che siamo, a Cortina d’Ampezzo, dobbiamo andare a giocare a curling? Tra l’altro una pista del ghiaccio veniva allestita nella piazza prospiciente il lago ma a Natale mica a Pasqua.    

Sono sconfortato e disgustato. Vi risparmio per oggi le mie considerazioni sull’Ucraina (dove c’è perfino chi ha il coraggio di fare lezioni al Papa che non si stanca di invitare al negoziato), sulla vittoria elettorale di Putin (per chi dovevano votare i russi dopo due anni di russofobia spinta da parte dell’occidente, per qualcuno che li riportava all’era di Eltsin?), sulla strage di Gaza (nei nostri TG relegata ormai alle notizie secondarie: a quanto è arrivato ormai il contatore dei morti? La notizia sono le navi che proteggono dai droni houthi, mica la quotidiana mattanza israeliana), sulle foto di Kate (e lasciarla in pace no?). Siamo in mano a degli irresponsabili (corrotti, li chiama il professor Orsini) e andrà a finire molto male.

Con questa nota di ottimismo sfrenato vi saluto, amiche e amici, scusandomi ancora per non essere molto presente sui vostri blog, mi sento un po’ come quando mi dicevo: ecco, devo chiamare la zia per salutarla, e poi non lo facevo mai perché avevo sempre qualcos’altro da fare.  Buona serata!   

Chissà per chi avrà votato?

Cronachette dell’anno bisesto (VII) – Mavosten, Neradin & Kijimea (pro)

Amiche e amici,

come sapete da qualche mese faccio vita monastica; a causa dell’assistenza da dare alla suocera mi ritrovo quasi tutte le sere a cenare verso le 18, orario del desinare consono ad un ricovero ospedaliero, o magari adatto agli sfortunati abitanti i paesi del nord Europa, ma non certo per un mediterraneo come me anche se migrato in alta Italia. Quando ero in famiglia mio padre pretendeva giustamente che si mangiasse alle 20 in punto: tutti a tavola, e guai a chi arrivava in ritardo. Era buono e caro, poche cose non tollerava: che si arrivasse appunto tardi a tavola (mancanza di rispetto per i genitori) e che sulla tavola medesima mancasse il pane. Poteva esserci poco di tutto, di rado ma è capitato, ma il pane assolutamente non doveva mancare: era gente che aveva visto (e anche fatto) la guerra e sapevano cos’era la fame, un pezzo di pane salva la vita. Ora c’è chi lo evita per non ingrassare, babbo scuoterebbe la testa in segno di compatimento.

Dunque come vi ho già detto il programma fisso in TV per la sera è: Geo, che devo dire mi piace parecchio ed ha sostituito l’Eredità, specialmente da quando non è più condotta da padre Insinna ma dall’insipido Marco Liorni; poi il Tg su Rai3 che è il meno peggio tra quelli della Rai, ed infine girando su Iris Tv (a casa mia i canali Mediaset sono piombati ma dalla suocera se ne fa grande uso) le puntate di Kojak. Purtroppo Kojak è finito ed è stato sostituito da Chips, poliziotti autostradali della California: non mi piacevano quando uscirono (1981!) e il tempo non li ha migliorati. Almeno dateci il tenente Colombo, o Happy days!

A proposito di pane, forse l’avrete sentito ma a Gaza la gente sta morendo. Gli israeliani stanno massacrando un intero popolo, con il pretesto della guerra ad Hamas; ne ha fatti fuori finora più di 30.000 di cui due terzi donne e bambini. Medici riferiscono di aver amputato decine e decine di bambini senza anestesia; i camion con gli aiuti umanitari non vengono lasciati passare tanto che gli aiuti bisogna paracadutarli dal cielo (l’altro giorno sentivo che erano stati rilasciati 36.000 pasti: quando a Gaza ci sono due milioni di persone! Che ora sono state fatte ammassare a Rafah, in attesa di farli fuori definitivamente). Tra poco sarà Pasqua, al popolo eletto non farebbe male andarsi a leggere il vangelo di Luca, alle pagine della passione di Cristo. Ad ogni modo, sua geriatria Biden ha avuto l’ideona, il suo esercito costruirà un porto artificiale davanti alle coste di Gaza, così si potranno distribuire gli aiuti comodamente. Nel frattempo però continuerà a rifornire gli israeliani di armi ed a mettere veti alle risoluzioni del consiglio di sicurezza dell’Onu, per quello che valgono. Il povero Vittorio Arrigoni, che era a Gaza nel 2008 e vedeva le morti e distruzioni di Israele in risposta alla Intifada, criticava amaramente questo atteggiamento: ci mandate la farina per farci campare di più in attesa che ci ammazzino? Era più o meno il suo ragionamento. Comunque, ammesso che Biden si ricordi domani quello che ha detto ieri, quanto tempo ci vuole per fare un porto? E intanto quelli li facciamo morire di fame? E noi, noi italiani dico, che stiamo facendo? Come direbbe Cetto Laqualunque, una beata minchia. Mentre scrivo arriva la notizia che alcuni pacchi sganciati sopra la folla hanno ammazzato cinque persone. Non bastano le bombe…

Allineati e coperti, Israele non si tocca (gli attuali governanti perlomeno li capisco, devono farsi perdonare del fatto di essere i nipotini di quelli che sono stati complici e artefici della shoa, ma gli altri, quelli che si dicono antifascisti?). Però mandiamo le navi da guerra nel Mar Rosso per “proteggere il commercio ed il rispetto del diritto internazionale”. Grande tripudio per l’abbattimento di un drone dei perfidi Houthi! Dalle poche immagini mi sembrava che sul ponte della nave Duilio ci fosse un mitragliatore MG Browning di quelli che usavo io in contraerea, 45 anni fa: lo dicevo che prima o poi sarebbero tornati buoni! I missili che avevamo allora sono finiti nel cesso, ma un bel mitragliatore è per sempre. Mi ha molto colpito un vicino, di solito persona assennata, che l’altro giorno sosteneva animatamente che era giusto e doveroso andare là: ma lo sapevo quanto ci costerebbero in più le merci altrimenti? Amico caro, se non volevamo pagare di più le merci forse dovevamo evitare di sanzionarci da soli con scelte idiote e suicide, e non dico altro perché sapete che è un attimo beccarsi del filo-etc. Sul diritto internazionale dico solo che per essere credibili non avremmo dovuto fregarcene mille volte: da che pulpito?

Ieri una europarlamentare PD, tale Pina Picierno, ha detto di aver scritto una lettera alla commissione europea per far inserire nella lista delle persone soggette a sanzioni Jorit, lo street artist che si è fatto un selfie con Putin (credo che in pochi lo conoscessero prima di questo exploit). Strumento della propaganda putiniana, l’ha definito. A parte che non è chiaro che sanzioni si possano ad applicare al simpatico Ciro, che non è certo un’oligarca, ma chi mandiamo in Europa? Io speravo che almeno le donne fossero meglio degli uomini quando arrivano a certi livelli ma, e mi dispiace dirlo nel giorno della festa della donna, a giudicare dagli esempi che ci sono in giro mi dichiaro deluso amaramente. Comunque, ecco un altro dei motivi per non votare PD: mi dispiace che una delle candidate sarà Cecilia Strada, ma che ci fa insieme a quelli là? Dubito che suo padre avrebbe voluto avere a che fare con gente che da due anni l’unica cosa che sa fare è mandare armi e spingerci sempre un po’ più in là verso la guerra mondiale.

Amici e soprattutto amiche, vi chiederete che c’entra il titolo con il pezzo che ho scritto. Niente, in effetti: è che tra Geo e il Tg, forse perché è la fascia degli anziani e quindi la mia, le pubblicità di questi tre prodotti vengono proposte una dopo l’altra; ci sarebbe anche quella del Polident, a dire la verità, dove anziani con dentiera si ostinano a voler azzannare delle mele o magari dei croccantini: ma annate a magna’ er pappone, diceva Sordi!

8 marzo 2024

Anziana che si camuffa molto bene

Cronachette dell’anno bisesto – Come rane bollite

Amiche e amici,

immagino che tutti conosciate la storia della rana bollita. Questa viene messa in una pentola con l’acqua fredda che le viene riscaldata lentamente. Il suo organismo si abitua pian piano alle nuove condizioni, e all’inizio trova addirittura piacevole stare in ammollo al calduccio, ma quando scopre che sta bollendo è troppo tardi: non ha più forze per riuscire a scappare e muore lessata nella pentola.

Noam Chomsky, non un pirla qualsiasi come il sottoscritto, la chiama il principio della rana bollita, ovvero la metafora dei popoli, i quali, accettando passivamente il degrado, le vessazioni, la scomparsa dei valori e dell’etica, accettano di fatto la deriva della società.

La guerra in Ucraina è lo specchio perfetto di come ci stiano bollendo: pian piano ci hanno abituato che sì, è giusto mandare le armi, perbacco c’è un aggressore e un aggredito (anche se da 10 anni quelli del Donbass pensavano di essere loro gli aggrediti): e abbiamo mandato le armi per difendersi, ma poi non bastavano perché bisognava riconquistare i territori e allora ci vogliono i carri armati, eh ma gli altri hanno i missili e allora ci vogliono i Patriot, e poi gli Himars però attenzione non bisogna colpire i territori russi, però magari fino a Belgorod sì dai, poi accidenti sono finite le munizioni e allora mandiamo i proiettili all’uranio impoverito che prima avevamo messo al bando, e idem con le bombe a grappolo, ma se le usano i nostri il bando non vale, e del resto le armi servono per la vittoria strategica e via con i Challenger, gli Abrams, i Bradley, e via con gli F-16, appena il tempo di addestrare qualche pilota. Poi ci si è guardati intorno e ci si è accorti che, malgrado tutto questo ben di Dio, i “nemici” stanno vincendo: nonostante la sola Europa abbia speso uno sproposito di miliardi (e noi dietro, dopo aver detto che non avremmo speso niente: intanto tagliano il reddito di cittadinanza), il risultato che si è ottenuto è quello di far morire una infinità di ucraini (Shoigu, ministro della difesa russo, dice 440 mila;  Zelenskji invece afferma che sono “solo” 31 mila ma molti di più i russi, 160 mila: stupisce come mai non stia marciando trionfalmente su Mosca, allora), che giustamente non ne vogliono più sapere di andare a farsi ammazzare. E allora eccole le rane: Macron (i francesi tra l’altro sono noti mangiarane quindi se ne intendono) butta là che gli europei potrebbero mandare uomini, dato che gli ucraini li stanno finendo; figurarsi la Border Linen che prende la palla al balzo per dire che bisogna aumentare le spese militari per renderci autonomi dai rifornimenti esteri (all’80% americani); Putin “minaccia”, o semplicemente constata, che mandare uomini vorrebbe dire dichiarare guerra e questo potrebbe portare ad un conflitto atomico; figurarsi se gli americani possono star zitti e allora il capo del Pentagono invece di starsene al caldo a curarsi il tumore dichiara che se cade Kiev la Nato entrerà in guerra. Non è ben chiaro perché, dato che la Nato è un’alleanza difensiva e l’Ucraina non fa parte della Nato, anche se la Nato la arma fino ai denti.

Quindi in due anni, alla faccia di chi fin dal primo momento metteva in guardia sull’assurdità della strada che si era presa (i pacifinti filo-putiniani, insomma) e perfino del Papa, ci hanno abituati pian piano all’idea che continuare a mandare armi fosse l’unico modo per arrivare alla pace “giusta” (come mai può essere giusta una pace che soddisfa solo una parte è oscuro ai più) ed ora che è inevitabile entrare in guerra, sempre per arrivare alla pace. Stavolta eterna.

Uno potrebbe anche dire: e va bene, sono schermaglie elettorali, tra poco ci sono le elezioni europee, poi le elezioni americane, si sa come vanno le cose, fanno a chi le spara più grosse. E no, cari amici. Paesi europei (tra cui il nostro, mi chiedo chi abbia dato il mandato alla Meloni) stanno facendo accordi bilaterali di mutua assistenza anche militare; la UE come dicevo sta sostenendo l’esigenza di riarmarsi (e ti credo, dopo tutte le armi che abbiamo regalato… non abbiamo altri problemi in Europa? ah certo l’inflazione e la stagnazione sono invenzioni della propaganda russa).

Mi preoccupo perché sto notando che, dopo la caduta di Adviidka, probabilmente perché c’è la sensazione di un crollo imminente, la retorica bellicista è aumentata, così come la propaganda antirussa, e mi pare che l’acqua stia arrivando ad un buon livello di bollore: amiche e amici, usciamo dalla pentola finché siamo in tempo. Manifestiamo, scriviamo, partecipiamo: se non altro, quando andremo a votare per il parlamento europeo (se ci arriviamo), ricordiamoci di non votare per nessuno di quelli che ci stanno lessando, con in testa la Border Linen. A presto!

Olena regina d’Abissinia – 26

«Trozzo, si può sapere dove siete finiti? Ho mandato il direttore a cercarvi e mi ha detto che siete partiti»
Attilio Trozzo, capodelegazione, seduto sul cassone del camioncino che sta portando lui e i suoi compagni ad Adua, si pente immediatamente di aver risposto alla chiamata. In linea è infatti il console Marcantonio Poltronieri, funzionario con nessuna simpatia per i comunisti anche se stagionati, e soprattutto con quelli che scatenano risse alle serate di amicizia italo-etiopiche. Non per convinzioni politiche, ma solo per il fatto che le premure dell’uomo, un trentacinquenne biondiccio più largo che alto, con dei grossi occhiali a tartaruga che le sue dita tozze e untuose toccano in continuazione, perennemente sudato, sono tendenzialmente rivolte a chiunque sia in grado di fargli fare carriera.
«Dottor Poltronieri, che piacere sentirla!» mente Trozzo. «Siamo partiti presto per i campi, strano che il direttore non se ne sia accorto. Come saprà, qui in Dancalia quando si alza il sole fa parecchio caldo, così abbiamo preferito anticipare la sveglia. A cosa devo la sua chiamata? Non mi aspettavo di risentirla così presto dopo i nostri diciamo, ehm, dissapori»
Il console si era infatti congedato minacciando che se fosse dipeso da lui li avrebbe rimpatriati immediatamente su un barcone e poi avrebbe chiamato la guardia costiera per fare in modo che nessuno li assistesse.
«Dissapori? Ma no, quali dissapori. Divergenze di opinione, punti di vista diversi. Suvvia, siamo in democrazia non è vero? Lavoriamo tutti per dare lustro al nostro paese anzi alla nostra nazione, come non manca di ricordarci la nostra cara premier» conclude enfaticamente Poltronieri.
«Sono contento che la pensi così, dottore. Quindi niente barcone?» chiede Trozzo con una punta di perfidia.
«Barcone? Ah, si riferisce a quella nostra piccola discussione? Una battuta, si capisce, una facezia pronunciata in un attimo di nervosismo. Dimentichiamo il barcone. Niente barcone, anzi!»
«Anzi?» chiede Trozzo, sorpreso.
«Anzi, anzi, carissimo. Abbiamo l’onore di essere ricevuti addirittura dal Presidente in persona! Lei avrà sentito parlare di piano Mattei¹? E’ un piano in cui la nostra nazione si propone di allacciare proficui rapporti con i paesi africani allo scopo di migliorare le relazioni, gli interscambi commerciali eccetera. No? Non importa, del resto nemmeno i paesi africani ne sanno niente. Ad ogni modo il Presidente, in segno di buona volontà, vuole incontrare una delegazione di italiani per ribadire i legami di amicizia, storici e culturali che ci legano. Il suo staff ha insistito per un incontro con un gruppo di lavoratori italiani, e chi meglio di voi, venuti ad imparare i metodi produttivi etiopi?» informa Poltronieri, sorvolando sul fatto che gli unici lavoratori italiani disponibili in quel momento sulla piazza sono solo Trozzo e compagni.
«Veramente, dottore» puntualizza il vecchio sindacalista «noi saremmo venuti a scambiare esperienze, non mi pare che ci sia molto da imparare da queste parti, con rispetto parlando»
«Trozzo, Trozzo, mi meraviglio di lei! C’è sempre da imparare. Quindi, carissimo, la aspetto domani ad Addis Abeba»
«Ad Addis Abeba? Domani?» ripete Trozzo, incredulo.
«Esatto, ad Addis Abeba, dovete essere al consolato alle otto esatte, lei e il suo gruppo, dopodiché ci recheremo insieme al palazzo presidenziale. Dopo il colloquio con il Presidente ci recheremo al cimitero a deporre una corona ai caduti della guerra italo-etiope, in segno di amicizia. E mettete il vestito buono!»
Nel frattempo Zigulì, sentita nominare la capitale, estrae un disco dalla sua collezione e lo mette nel grammofono:

Addis Abeba, conquista prodigiosa d’italian.
Addis Abeba, che nessun potente a noi ci strapperà.
Di quelle terre laggiù lontane, romanamente, oh regnerà.
E’ un grande amor, Italia e libertà²

«Trozzo? Cos’è questo rumore di sottofondo? C’è una radio accesa?»
«Oh, niente, dottore. Gli operai nei campi stanno cantando. E’ una specie di spiritual, non so se se ne intende» racconta Trozzo, confidando nell’ignoranza del console. «Nostalgia di terre lontane, sa com’è»
«Sì, capisco. Allora mi raccomando a lei, carissimo: a domani!»
Attilio rimane confuso a fissare il telefonino. La tentazione di far fare una figura di cioccolata al console è forte, ma d’altra parte la prospettiva di rimanere esiliati in Dancalia non lo alletta. Adua in fondo può aspettare, si tratta solo di una piccola deviazione, pensa tra sé e sé. Infine prende la decisione irrevocabile:
«Contrordine compagni. Si va ad Addis Abeba».

Poltronieri, poggiata la cornetta sul ricevitore, guarda con un fremito di cupidigia il suo assistente, un giovane con un gran cesto di capelli crespi in testa, brillante ballerino di Eskista³ che si esibisce fuori dagli orari di ufficio nelle sale da ballo di Addis Abeba con il nome d’arte di Lulù.
«Se anche stavolta mi combinano qualche casino li rimando in Italia a nuoto, altro che barcone»

¹ Enrico Mattei, antifascista e partigiano, fondatore dell’Eni, morto nel 1962 in un incidente aereo le cui circostanze ancora oggi non sono state chiarite ma di cui si sospetta da sempre un sabotaggio ad opera di quelli che avrebbero dovuto essere i nostri “amici”, si rivolta nella tomba ogni volta che questo governo lo nomina.
² La canzone di Addis Abeba – D’Alber, Malori (1936) – cantata da Enzo Fusco
Addis Abeba, conquista prodigiosa d’italian. Addis Abeba, che nessun potente a noi ci strapperà. Di quelle terre laggiù lontane, romanamente, oh regnerà. E’ un grande amor, Italia e libertà… Dall’alto del cavallo Menelik, in piazza grande nella capital, assiste alla partenza di Tafari, che sfila via coi cagnasmac(*) Compagno in fuga al negus Ras Destà, il re di Giuda ha fatto patatrac, e adesso splende già sull’altipian vicin il Tricolor dei prodi fanti e degli alpin. Addis Abeba, conquista prodigiosa d’italian. Addis Abeba, nessun potente a noi ti strapperà. In quelle terre non più lontane, romana legge or regnerà. E’ un grand’amor, d’Italia e libertà! Nel treno di Gibuti Selassiè si appisola appoggiato al finestrin, e in tormentoso sogno al negro appare la capitale in Tricolor. Arreso agli italiani Ras Sejum, devoto servo un dì del re dei re, e gli abissini in cor che intonano canzon da far scoppiare verdi di bile le sanzion. Addis Abeba, conquista prodigiosa d’italian. Addis Abeba, che nessun potente a noi ti strapperà. In quelle terre non più lontane, romana legge or regnerà. E’ un grand’ amor, d’talia e libertà… In quelle terre non più lontane, romana legge or regnerà. E’ un grand’amor, d’Italia e libertà! ()cagnasmac: i comandanti dell’ala destra dell’esercito abissino
³ Antico ballo etiope.