Ferragosto con Olena (IV)

Ad est ad est, adesso si va
Ad est ad est, da dove nasce il sole
Ad est ad est, ritroverò la vita
Ad est ad est, perchè non è finita.

Nel salotto di villa Rana i convenuti si stanno passando di mano in mano un biglietto, vergato con scrittura stentata su un foglio di quaderno a righe delle elementari. James, impeccabile come al solito, ha nascosto l’occhio nero sotto uno spesso strato di cerone, e fluttua fra le poltrone porgendo generi di conforto come caffè equo e solidale dell’Equador, foglie da tè fatte arrivare appositamente dalla Dolceria Salemi di Zafferana Etnea e boeri al cioccolato fondente ripieni di ciliegine e maraschino che un corriere consegna quotidianamente da Cuneo.

E’ la padrona di casa, la Calva Tettuta assisa nella sua poltrona Frau, a rompere il ghiaccio schiarendosi la voce:
«Ehm… scusa sai Marisa… volevo dire suor Matilda…» rivolgendosi all’amica di gioventù «ma io non ci capisco niente. Sei sicura che il tuo Santone ci stesse con la testa?» chiede dubitativa, picchiettandosi contemporaneamente la tempia con l’indice.
«Ti assicuro, Gilda, che il Santone era sanissimo e perfettamente in sé fino alla sera prima. Nessun segno, niente che facesse pensare che se ne volesse andare. Del resto, poi, perché avrebbe dovuto farlo? E’ servito e riverito, anzi le consorelle fanno a gara a viziarlo!» protesta la suora.
«Eh, ma questo non vuol dire» interviene nonna Pina con competenza. «Ad una certa età funziona così, un giorno sei un leone e il giorno dopo nemmeno ti ricordi chi sei. Ma quanti anni ha il tuo Santone?» chiede la centenaria.
«Compirà ottanta anni la settimana prossima… sempre che ci arrivi» sospira la suora.
«Ah bè, ma allora è ancora giovane» constata la nonna, dal suo punto di vista.

«Ma fammi capire, Mari… suor Matilda.» interviene di nuovo Gilda «perché pensi che gli sia successo qualcosa? Non potrebbe essersi semplicemente stufato di stare in convento e aver deciso di andarsene? Voglio dire, non aveva nessun obbligo per rimanere lì, giusto? E a parte questo biglietto, ha lasciato altri indizi?»
«Si, purtroppo… suor Pulcheria? Puoi aprire quella scatola per favore?»
«Subito, superiora!» e la suorina rimasta fino a quel momento in disparte, facendo sfoggio di entusiasmo nonché di un bel paio di baffetti, poggia sul tavolo quella che sembra la custodia di uno strumento musicale, e la apre facendone scattare le chiusure. James, nelle vicinanze, si lascia sfuggire un commento di ammirazione:
«Notevole! Un Selmer Mark VI, uno strumento da professionisti»
«Lei si intende di sassofoni?» chiede suor Pulcheria, meravigliata e curiosa, al maggiordomo.
«James si intende di tutto, cara» dice orgogliosa Gilda.
«Troppo buona, signora. Per combinazione un caro amico, che suonava nell’orchestra di Henghel Gualdi, mi introdusse ai segreti degli strumenti ad ancia semplice. “James”, mi disse, “devi sapere che a volte un buon bocchino può aiutare a superare i limiti di uno strumento modesto, anche se”…»

Gilda lo interrompe: «James, scusa caro se te faccio notare ma ci sono le suore. Non mi pare il caso ora di mettersi a parlare di ance e affini…»
«Chiedo scusa signora, mi sono lasciato andare ai ricordi, capirà, il mio amico era un virtuoso dello strumento» dice il maggiordomo rinculando.
«Capisco, certe lezioni rimangono indelebili, ne so qualcosa. Ma dimmi suor Matilda, che c’entra questo sassofono, per quanto bello?»
«Il Santone non se ne sarebbe mai andato senza… quando è arrivato da noi, venti anni fa, aveva solo una canottiera e un paio di calzoncini tenuti su da due straccali¹ consumati. E il suo sax, che lucidava e suonava tutti i giorni… e ci ha fatto promettere che, quando morirà, il sax venga sepolto insieme a lui.»
«Bè, quand’è così le cose cambiano. Ma toglimi una curiosità, perché ti sei rivolta a me? Non sono la Sciarelli². Senti, facciamo così, adesso andiamo a fare una passeggiata in giardino e mi racconti tutto, va bene?»
«Come vuoi Gilda, andiamo pure» acconsente la suora

«Ah, suor Matilda, non far caso all’uccello, al pappagallo, dico. Non so ancora come la pensa sulle suore»

jazzband_avati

¹ Vi risparmio la fatica di andare a cercare sul vocabolario: bretelle
² La brava giornalista conduttrice di “Chi l’ha visto”

Ferragosto con Olena (III)

Aaahh freak out!
Le freak, see’est Chic
Freak out!
Aaahh freak out!
Le freak, see’est Chic
Freak out!¹

Nel salottino dell’Air Force Rana che li sta riportando da Cuba a Milano, Olena, nonna Pina e James stanno occupando il tempo giocando una partita di Tressette con il morto; il posto di quest’ultimo è occupato da una foto del fu Evaristo Rana, nipote di nonna Pina e creatore dell’impero dei Rana, deceduto per problemi alla cervicale dopo un incontro troppo ravvicinato con Olena.²
Nonna Pina, sigaro in bocca, momentaneamente in coppia con il defunto, lo sprona a scegliere la carta da giocare:
«Evaristo, datti una mossa per piacere! Che si sta facendo notte» poi sposta una delle carte scoperte e la mette al centro del tavolo. La scelta non la convince, tanto da spingerla ad insolentire ancora il nipote:
«Ma che cavolo giochi! Da vivo eri un deficiente, a parte i soldi che quelli li sapevi fare, ma da morto sei completamente inutile!» concludendo la giocata con una risata gracchiante.

Olena piega l’angolo sinistro della bocca in qualcosa che assomiglia ad un sorriso, mentre James rimane imperturbabile dietro i suoi occhiali neri D&G.
«Busso» dichiara il maggiordomo.
«Bravo!» lo elogia nonna Pina  «Lascia che ti dica, caro mio, che come bussi tu bussano in pochi. Se ne è accorto anche Pepe e guarda che non è l’ultimo arrivato, eh? Ai suoi tempi era un peso welter» continua la vegliarda. «Se proprio devo farti un appunto, è che dovresti tenere la guardia un po’ più alta. Quel diretto l’avresti parato, almeno»
James annuisce, e si sfila gli occhiali facendo mostra di un bell’occhio nero.
«Ha ragione signora, ma tenga presente che sono stato colto alla sprovvista. Il mambo era quasi finito, e non potevo immaginare che Natascia sgambettasse Paio»
«Io non ha sgambiettato nessuno!» puntualizza gelida Olena. «Tua amichetta inciampata su mio piede, e detto poi me brutte parole» Poi, pizzicandogli una guancia: « Ma tu vero uomo, tesuoruccio, e difeso me. Vieni io da bacino su bua.» E così dicendo Olena appoggia le labbra sull’occhio chiuso di James, che si schermisce:
«Natascia, ti proibisco di chiamarmi “tesuoruccio”! E la prossima volta che ti vuoi azzuffare come uno scaricatore di porto sei pregata di non coinvolgere me!»
«Ragazzi, una rissa così non la vedevo da una cinquantina d’anni. Ne avete stesi una ventina, tra uomini e donne, e senza nemmeno versare una goccia di rhum. Pepe ha già prenotato un tavolo per l’anno prossimo» conclude allegra nonna Pina.

Prima che James possa ribattere si ode il trillo del telefono satellitare.
Tutti si rivolgono verso di lui, l’addetto alla risposta. Questi si schiarisce la voce e risponde in tono professionale:
«Qui Air Force Rana. Chi parla?»
«James, sei tu? Grazie al cielo» risponde Gilda, che continua con un rimbrotto affettuoso «James caro, non potresti lasciar perdere quel “chi parla?”. E’ pleonastico, se mi concedi questa licenza poetica.»
«Chiedo venia, signora, è l’abitudine» si giustifica il maggiordomo.
«E’ un vizietto che proprio non riesci a toglierti, vero? Ma non fa niente, caro, per il resto sei perfetto»
Poi Gilda lascia da parte i convenevoli, e viene al sodo:
«James, quanto tempo vi rimane al rientro?»
«Il pilota stima che manchino almeno tre ore all’atterraggio, signora»
«Non si potrebbe accelerare, caro? Perché qui ci sarebbe un problemino»
«Ha detto problemino, signora?»
«Si, James, problemino, problemino, non ripetere a pappagallo. Ah, a proposito, ti saluta Flettàx, senti» dice Gilda, girando la cornetta verso il giardino, da cui arrivano i versi dell’Ara Macao padano:
«Craa!! Craa!! Caccià i dané! Craa!! No, la Tanzania no!»
«Spero che Miguel l’abbia accudito bene, signora»
«Si, si, non preoccuparti, ormai hanno fatto amicizia. Dicevo che fareste meglio a prendere qualche scorciatoia, perché ci sarebbe un problemino da risolvere»
«Vedrò quello che posso fare, signora. Intanto vuole anticiparmi di che si tratta?»

Gilda risponde velocemente e riattacca. James rimane in piedi, guardando la cornetta, non del tutto convinto di aver capito bene. Nonna Pina, che ha cercato di captare il discorso, invita il maggiordomo a relazionare:
«Allora, James? Chi era?»
James si riscuote, e poggia la cornetta sulla base del telefono. «Era la signora Gilda, signora»
«E…?» lo incita a continuare nonna Pina
James prende fiato, e risponde:
«Dice che il Santone è scappato» riporta il maggiordomo «e chiede se Natascia non possa essere così gentile da entrare in convento»
«Ah be’, se è per così poco» constata la vecchia. «Natascia, come sei messa col catechismo?»
Olena solleva leggermente il sopracciglio sinistro «Niet, babushka. Io non crede in queste cose»

«Uhm, capisco» commenta pensosa nonna Pina «Del resto, figlietta mia, oggigiorno con questa Internet non si sa più cosa credere»

Chic-le-freak

¹ Chic – Le Freak – 1978
² Niente sushi per Olena – 2018

Chi parla male pensa male

Questo è il testo, senza ne aggiunte ne correzioni, della mail ricevuta stamattina. Mi è venuto subito in mente il film di Nanni Moretti “Palombella rossa”, dove il protagonista Michele Apicella schiaffeggia la giornalista che lo intervista: “Come parla? Come parla? Le parole sono importanti.”

Buongiorno,
come discusso settimana scorsa, attualmente abbiamo una coda relativa alla US544 sul recupero dei warning.
Trovate la Storia nello Sprint 20, dove ho inserito l’effort rimasto da erogare.
Potete aggiungere anche la parte vostra in modo da smockare le forzature che avete messo appena Sara fixa i relativi problemi?
Grazie,

Intendiamoci, non voglio tornare all’epoca autarchica di Louis Armstrong-Luigi Fortebraccio, però mi avvilisce questo svilimento della nostra lingua quasi non avesse a disposizione abbastanza termini per definire a sufficienza le questioni.

Secondo me questo uso smodato di inglesismi, anche maccheronizzati, denota un complesso di inferiorità più che una apertura mentale: voglio dire, se parli con degli stranieri parla pure in inglese, ma se scrivi a me che mi smocki a fare? Sai già che io piuttosto smoccolerò.

 

 

Ferragosto con Olena (II)

Dal palco della Casa della Musica di Miramar, a L’Avana, l’orchestra “Adelante Compañeros” sta eseguendo una cover dei Los Van Van, “Me gusta y no puede ser”, uno dei brani più graditi dal pubblico.
La pista, piena fino a poco prima di corpi accaldati e ansimanti, si è svuotata per fare spazio a due coppie formidabili di ballerini, che gli astanti osservano ammirati.

La prima coppia è formata da un uomo sui 35 anni, sul metro e settantacinque, in forma ed abbronzato, con una bella barba nera da hidalgo e due profondi occhi scuri, che indossa una sobria tutina verde sotto un bolero rosa firmato Girifalchi con maniche a sbuffo che tiene per i fianchi la sua partner, una stupenda mulatta con canottierina e gonnellino rosso fuoco.
«Te muoves muy bien, querido» lo elogia la compagna esibendo un personale forse un tantino troppo atletico, mentre lo segue con movenze da pantera.
«Grazie, ma chérie, mi alleno tutti i giorni con il giardiniere» dichiara James, il maggiordomo di casa Rana in vacanza.
«Davvero? Non sapevo che da voi in Italia i giardinieri ballassero la salsa» dice stupita la cubana.
«Il nostro Miguel è talentuoso, cara. Come hai detto di chiamarti, a proposito? Hai una bella voce calda e profonda, te l’hanno mai detto?» chiede James, ammirando l’accenno di pomo d’Adamo al collo della salsera.
«Mi chiamo Paio, querido, Paio Pignola. Yo soy la mejor bailerina de Cuba!» proclama volteggiando. Poi, stringendosi forse eccessivamente al maggiordomo, gli sussurra in un orecchio:
«Llévame a Italia contigo, mi amor, non te ne pentirai» infilandogli peraltro la punta della lingua nel padiglione auricolare.
«Vada pure per il Paio, mia cara» concede un benevolo James, piacevolmente sorpreso da una protuberanza manifestatasi sotto il gonnellino della mulatta «ma quel Pignola non mi sembra appropriato. Ci sarebbe da discutere, diciamo. Ad ogni modo mi sembra tu abbia dei numeri notevoli, manda pure il curriculum vitae a casa Rana, vedrò di mettere una parola buona per te.»
«Muchas gracias, querido…» sussurra con voce roca Paio, stringendosi ulteriormente al maggiordomo.

Ad un tavolo defilato, due vecchi amici conversano amabilmente, ricordando i tempi passati.
Nonna Pina, la più anziana dei due, con in testa un Panama, sta fumando il suo Montecristo N°2 sorseggiando un bicchiere di rhum; il suo accompagnatore degusta il Cohiba Siglo II che l’amica gli ha regalato.
«La revolución no es una cena de gala!» proclama enfatico l’uomo.
«E su questo siamo d’accordo, Pepe. Ma quello che ti chiedevo è: ti pare giusto che un tassista guadagni più di un chirurgo? Voglio dire, va bene ad ognuno secondo i propri bisogni, ma anche l’utilità sociale andrebbe premiata, non trovi?»
«La colpa è dell’embargo e dei gringos che non accettano il nostro socialismo» risponde l’uomo «anche il povero Secundo la pensava così» ed un velo gli appanna la vista, già appannata di suo.
«Pepe,» dice nonna Pina, stringendogli una mano «mi è dispiaciuto molto per tuo fratello Secundo, sai quanto gli fossi affezionata»
«Lo so Wanda, lo so, da quella volta che lo piantasti ad Acapulco con l’orchestra ed il conto del gioielliere da pagare non era più riuscito a toglierti dalla testa… e del resto come avrebbe potuto, una donna hermosa come te?» sospira l’attempato Ganimede.
«Ah, ah, Pepe, ma che vai a rivangare? E’ passato un secolo da quando mi chiamavano Wanda…» ride civettuola la centenaria «ma adesso guarda come sono messa…» indicando le rughe che le scavano il volto.
«Per me tu sei sempre bellissima come quando scendevi le scale del Tropicana » dichiara lo spasimante  «Come avrei voluto essere uno dei tuoi boys! Ma perché non rimani qui con me, a Cuba, per sempre? Balleremo tutto il giorno, fumeremo i migliori sigari e berremo il miglior rhum, e faremo l’amore facendoci cullare dalle onde del mare» dice il cubano con trasporto.
«Pepe caro» chiede nonna Pina un po’ preoccupata  «Scusa se te lo chiedo, ma da quanto tempo non ti fai vedere da un medico? Eppure la vostra sanità è al top, mi dicono. Il tuo geriatra dovrebbe darti una registrata, amico mio. Tra l’altro che fine ha fatto la tua ultima moglie, hai seppellito anche questa? Era la quinta, mi pare. Non ti sembra di esagerare?»
«Scusa Wanda, a volte mi faccio trasportare dalla passione. Sai, il clima, la musica, il sole. Buona tra l’altro questa bevanda, che cos’è di preciso?»
«Ah bhè, andiamo bene!» scuote la testa nonna Pina, accarezzando teneramente i capelli di Pepe, che guarda incuriosito la grolla di Piña Colada che tiene in mano come se non ne avesse mai viste prima in vita sua.

«Vedo tu ha fatto conquista, tesuoruccio?»
James si volta verso la statuaria bionda che le si è avvicinata ballando, ammirandone il vestitino che copre appena l’inguine, mettendo in risalto le lunghe gambe coperte fino alle ginocchia da un paio di stivali di pelle con tacchi alti 10 cm, e le sorride divertito.
«Ah, Natascia, ci sei anche tu? Non ti avevo notato, pensavo fossi andata a pesca di Marlin a mani nude. Un vestitino davvero sobrio, complimenti, dove lo hai preso, nel casino di Dona Flor?» la punzecchia il maggiordomo. «Sei obsoleta mia cara, ormai coprono anche miss America, quest’anno va di moda il vedo-non vedo»
«Vedo infatti tu muolto discreto, come sempre» osserva Olena, piegando leggermente la testa a destra portandosi l’indice alla bocca e fissando la tutina ed il bolerino del maggiordomo. «Bello accuostamento di colori»
«Il verde ama il rosa, non lo sapevi carina? E adesso vai, su, vai a ballare con il tuo cavaliere. Almeno finché ce la fa, che lo vedo un po’ palliduccio»
A questo punto Paio Pignola, al secolo Hector García, si intromette sbottando:
«Ma insomma querido, chi è questa sciacquetta? Vogliamo continuare a ballare o no?» Poi rivolgendosi ad Olena: «Smamma bambina, qui non c’è trippa per gatti. Este es mi hombre!» e si predispone alla battaglia, fronteggiando la russa.

Un brivido attraversa la schiena di James immaginando le conseguenze della sconsiderata dichiarazione di guerra di Paio. Nonna Pina, che da lontano ha seguito la scaramuccia verbale, si sistema il Panama, posa il bicchiere di rhum sul tavolo e si rivolge al suo spasimante:
«Pepe caro, puoi dire al cameriere di portarci qualche nocciolina? Che qui tra poco ci sarà spettacolo»

«Come tu ha chiamato me?» Olena stringe leggermente le palpebre fissando con occhi di giaccio Hector-Paio. Questi, con tutto il coraggio dell’incoscienza, solleva il mento, butta in fuori il petto (rifatto bene, per la verità, come anche Olena ammette tra sé) e risponde con voce leggermente stridula, di un’ottava più alta del necessario:
«Sciacquetta! E anche slavata! Sciacquetta slavata!»
L’orchestra a questo punto ha smesso di suonare. Il bassista, il famoso Giorginho Torres, apre il fodero del suo strumento e ne estrae una bottiglia di Matusalem invecchiato 23 anni che riserva solo per le grandi occasioni. Poi si siede su una cassa dell’amplificazione ed aspetta.

«Adesso faccio io vedere te chi sciacquetta. Raoul!» richiama perentoria il suo accompagnatore, Raul Montero, gigoló di fama internazionale, che dopo l’esperienza della notte passata che l’ha visto nettamente soccombere,  progetta di dedicarsi al tombolo con pizzo di Cantù.
Raul, imbarazzato, si avvicina. «Dime, mi señora», scodinzola.
«Adesso tu baila con questa “señorita” » e così dicendo, con una piccola rotazione del polso gli getta tra le braccia Paio. «Ma che…» ha appena il tempo di dire quest’ultima, e Raoul di rendersi conto dell’entità intrusa tra di loro, che Olena ha abbrancato James, ed è il suo turno di sussurrargli all’orecchio paroline dolci:
«Vedi tu di ballare bene, o io cionco te gambette, da?»
Poi si scioglie i capelli, e ordina all’orchestra, con disappunto di Giorginho:

«E adesso Mambo!»

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