Olena à Paris – 42

«E’ in ritardo, contessa»
Jean Biscuit, seduto alla sua scrivania, accoglie con un sorrisetto Olena, entrata nella stanza senza far rumore. La russa, fasciata da pantaloni in pelle neri ed un pullover a collo alto, sempre nero, tiene i lunghi capelli biondi raccolti da una fascia in tessuto stampato con motivi di piccole matrioske variopinte, capelli che ricadono su un giubbotto rosso con stampata sul dorso la scritta CCCP, si avvicina lentamente alla scrivania, tenendo d’occhio il divano laterale sul quale è seduta Gilda, imbavagliata e con la pistola puntata alla testa da Carlos, in piedi dietro di lei.
«Toglietele il bavaglio, prego» intima calma, sedendosi di fronte a Biscuit. «Le hanno fatto del male, signora?» si informa, ma appena libera Gilda la rassicura propompendo in un diluvio di improperi nel vernacolo nativo, linguaggio a cui ricorre sovente nei momenti di tensione.
«Moriammazzati, che ve pijasse un colpo! Natascia, spaccheje la faccia e quarcos’antro, pago tutto io, non te sta a preoccupà pe’ li danni! Jean, bruttu pezzu de merda secca de vacca, pozzi casca’ dentro un puzzu a testa per in gnó, se pò sapé che ti si missu per la testa? Che voli, che cerchi? Tutta ‘sta manfrina per compratte la ditta mia? Tu si’ scemu sulla testa, te l’agghio ditto ‘na orta e te lo ripeto: none! Rassegnete, la Rana non è in vendita, e piuttosto che vennella a te je dò focu! La bbruscio, ì capito?»
Jean Biscuit sorride divertito allo sfogo della Calva Tettuta di cui se pur qualche vocabolo gli è sfuggito ha afferrato il succo, ma anche ammirato dal seno generoso che, mosso dalla indignazione, ballonzola trattenuto a stento dal Wonderbra.
«Gilda, carissima, non è il caso di prenderla così. Se non avessi avuto la testa così dura adesso l’affare sarebbe concluso e non ci sarebbe stato bisogno di questa piccola, come definirla, spintarella…»
«Spintarella la chiami?» ribatte Gilda, che sta recuperando il controllo. «Prima hai provato a farmi chiudere “convincendo”, immagino con che mezzi, i fornitori…»
«Te n’eri accorta?» chiede Biscuit, intrecciando le mani dietro la testa, curioso di sentire il resto. «Be’, con qualcuno è stato facile, è bastato pagarli di più di quello che facevi tu. Con qualcun altro invece, lo ammetto, è stato più… complicato»
«Poi , all’improvviso, le banche che fino al giorno prima mi leccavano i piedi, mi chiudono le linee di fido. Ma che coincidenza! E con loro come hai fatto, Jean?»
«Anche i direttori di banca sono umani, Gilda, ed hanno le loro debolezze ed i loro punti deboli. Prendi quel, come si chiama? Renato Galbiati…»
«Tina?» chiede sorpresa Gilda. «L’hai ricattato? Ma se lo sanno tutti che frequenta i locali gay travestito da majorette. L’hai minacciato di fare uno scandalo?»
«No, in realtà no, della sua vita sessuale non ci siamo nemmeno interessati, se vuoi saperlo. Ma il fatto è che la cara Tina aveva fatto perdere un bel po’ di soldi alla sua banca con speculazioni sulle borse asiatiche, ed io mi sono gentilmente offerto di coprire il buco. Un do ut des, insomma»
«Non cominciare a parlare in marsigliese, eh! Poi ci hai provato con i sindacati»
«Già, anche se quello è stato un totale fallimento. Devo congratularmi con te, Gilda, i tuoi dipendenti sono molto più attaccati alla ditta di quanto lo siano i miei. Come fai, mi incuriosisce molto? Carota e bastone, immagino…»
«Lo sai, “caro” Jean, dove te li puoi infilare la carota e il bastone? Non siamo qui per parlare di relazioni industriali, giusto? Mi spieghi perché ti sei fissato con la mia azienda, non è nemmeno così grande, ho capito che è un mercato che non coprite, ma non siamo mica gli unici che fanno tortellini!»
Jean Biscuit scuote la testa, e si appoggia allo schienale della poltrona con le mani intrecciate dietro la testa.
«In realtà Gilda, e non prenderla come un’offesa, non so che farmene della tua azienda. Tra l’altro i tortellini nemmeno mi piacciono…»
«Che cosa?» chiede Gilda, confusa. «E allora cos’è che vuoi?»

Il presidente della Talnone si alza lentamente, va fino alla vetrata da cui si ammira la visione dell’Arc de La Defence e, spalle agli ospiti, inizia a raccontare.
«Io ed Evaristo avevamo una passione in comune, ti ricordi Gilda? Oltre quella per i soldi, intendo. La caccia, ci piaceva andare a caccia»
«Si, lo so, bambinoni che giocano ancora agli indiani e cowboy» commenta caustica la Calva Tettuta.
«Non mi aspetto che tu capisca o tanto meno approvi, naturalmente. Comunque uno dei posti migliori al mondo per cacciare è l’Argentina, questo lo sai vero?»
«Jean, vuoi farmi un trattato sulla caccia? Vieni al dunque, per favore»
«Dopo le prime volte che andammo laggiù, Evaristo pensò che avrebbe potuto unire l’utile al dilettevole: comprare un terreno destinato ad allevamento, intestarlo alla società in modo da scaricare tutte le spese, ma in realtà tenerlo come riserva di caccia. L’appezzamento era molto grande, comprendeva perfino una vecchia fattoria in disuso, una hacienda come la chiamano loro, che aveva in mente di ristrutturare e farne una struttura di lusso per cacciatori come noi, e diverse stalle e magazzini diroccati. E fu proprio in uno di questi magazzini che una mattina ebbi la… sorpresa»
«La sorpresa?» chiede Gilda, sorpresa a sua volta.
«Vicino a questo paesino, Tres Lomas, c’è un laghetto che è un vero paradiso… c’è il passaggio di un’infinità di uccelli, il codone delle Bahamas, il Cicero, la Netta peposaca, lo streppolo ed, ovviamente, il beccaccino.¹»
«Ovviamente» interviene Gilda, ironica.
«Avevo intenzione di appostarmi in un casotto che avevo preparato qualche giorno prima, ma lungo la strada si scatenò un violento temporale e così, visto quell’edificio seminascosto dalla vegetazione, decisi di ripararmi lì in attesa che passasse»
«Ma Evaristo dov’era, non eravate insieme?»
«Tuo marito ogni tanto spariva, diceva di andare a visionare dei calciatori per la vostra squadra di calcio; ad un certo punto ho perfino pensato che avesse un’amante…»
«Un’amante?» scatta Gilda, punta nel vivo. «Se scopro che è vero, lo ammazzo! Ah, no, è morto, peccato. Ma ne sei sicuro?»
«Su questo punto era molto riservato, se non era un’amante era comunque qualcosa che non voleva io sapessi… ad ogni modo, quella mattina ero solo; mi feci largo tra gli sterpi e mi trovai di fronte qualcosa che non mi aspettavo: un portone blindato, lì, in mezzo al niente! La curiosità era troppo grande, corsi in paese a cercare un fabbro e mi feci aprire. Mi aspettavo una struttura fatiscente, e invece mi ritrovai all’interno di un magazzino ben conservato, ordinato, che all’apparenza non era stato aperto da molto tempo… aprii un paio di casse, e rimasi di stucco. Tutto mi aspettavo tranne che di trovare dei quadri nella pampa!»
«E naturalmente dicesti tutto a Evaristo, giusto?» chiede Gilda, incuriosita.
«Be’, pensai, perché disturbarlo? Lui aveva il suo piccolo segreto, quello sarebbe stato il mio… richiusi tutto, e una volta tornati a casa, presi un esperto di arte e lo portai in Argentina; alla vista dei quadri gli venne quasi un colpo, non riusciva a credere ai suoi occhi… gli chiesi di rimanere, di verificare tutto e di fare un inventario, senza dare nell’occhio naturalmente; per sicurezza gli misi alle costole un sorvegliante per controllarlo. Le sue ricerche portarono a risultati stupefacenti, quei pezzi erano tutti autentici ed originali; parecchi risultavano rubati durati la seconda guerra mondiale, altri addirittura distrutti; era come impazzito, diceva che erano opere di un valore incommensurabile, erano un patrimonio dell’umanità, bisognava restituirli ai proprietari, o renderli pubblici. Un idealista… mi dispiacque dover fare a meno della sua competenza»
«Che gli è successo, l’hai fatto fuori?»
«Ebbe un brutto incidente, purtroppo cadde dall’elicottero che lo stava riportando a Buenos Aires» risponde Biscuit. «Non aveva allacciato la cintura di sicurezza»
«Che sfortuna» commenta ironica la Calva Tettuta.
«Già, una vera disdetta. Cominciai a far la corte a tuo marito, se mi avesse venduto la proprietà avrei potuto gestire la situazione senza destare sospetti; ma lui svicolava sempre, diceva di essercisi affezionato; alla fine però mi contattò lui, e mi disse che era disposto a cedermi la proprietà»
«Davvero? Io non ne sapevo niente» dice Gilda, sorpresa.
«Mi disse che gli servivano dei fondi extra per un progetto che stava portando avanti; voleva essere pagato in nero, per buona parte, ma purtroppo non facemmo in tempo a concludere l’affare, perché Evaristo poco dopo morì»
«Pace all’anima sua» commenta Gilda, ripensando al progetto al quale suo marito stava lavorando, niente meno che inserire nei ripieni dei tortellini delle nanoparticelle programmate in modo da controllare il cervello di chi le avesse ingerite² .

¹ Scoprite l’intruso.
² cfr. Natale con Olena, 2017

Cronachette dell’anno nuovo (20)

Mi sono comprato dei bastoni da trekking, o da nordic walking, insomma per appoggiarcisi quando si cammina. Mi porto avanti per quando ne avrò veramente bisogno, penseranno i più irriverenti; in realtà sembra che camminare con questi appoggi apporti dei benefici alle articolazioni delle spalle, alle braccia ed alla colonna vertebrale: e non vogliamo approfittare di tanti vantaggi?  Certo, si potrà apparire un po’ originali, specialmente se invece di andarsene per sentieri di montagna si battono le strade del quartiere; da parte mia non mi preoccupo tanto dell’opinione dei vicinati quanto di schivare le cacche di cane che infestano i marciapiedi, mai tante come in questo periodo, segno inequivocabile di un imbarbarimento generale.

Sono stato redarguito, per l’occasione, perché ho fatto l’ordine proprio il giorno dello sciopero dei dipendenti di Amazon. Mea culpa mea culpa mea maxima culpa, me ne ero dimenticato: comunque gli articoli sono stati recapitati alla velocità della luce, spero in generale che lo sciopero sia riuscito, così come quello dei riders, ovvero i fattorini che consegnano il cibo a domicilio (a proposito: ho scoperto che anche un supermercato non  molto lontano ha attivato il servizio di delivery di piatti pronti, appoggiandosi ad una di queste società, finirà che non usciremo più di casa anche quando la pandemia sarà finita…): lavorare va bene, ma essere schiavi no.

Nella regione dove vivo, la Lombardia, e specialmente nella città dove vivo, Como, c’è ancora caos per le vaccinazioni. Chiamate mai arrivate (ieri parlavo con un vicinato, che ha più di ottant’anni: ha fatto la prenotazione lo stesso giorno della moglie, quasi coetanea _ con l’aggravante che lei ha avuto un tumore poco tempo fa _ e lui è stato chiamato ed ha avuto la prima dose, la moglie ancora no: avrebbero voluto andare nel paesello in cima al lago dove hanno una casetta, ma dovranno aspettare qua), gente chiamata a vaccinarsi a chilometri di distanza, altri chiamati prima che i centri vaccinali siano aperti, altri convocati tutti alla stessa ora con conseguenti assembramenti… insomma, i migliori non mi pare siano tanto migliori, hanno buttato tutta la colpa sul “povero” Gallera ma i nuovi non mi pare che brillino. Figura barbina anche della società di informatica Aria, un elefante; defenestrato il Cda (bene) hanno lasciato il direttore generale (male). Ma non succederà niente, non preoccupatevi, cane non mangia cane…

 A proposito di cani, Bertolaso è venuto a Como per visionare delle possibili località per impiantare i centri vaccinali. Che prima si sia strillato perché non c’erano i vaccini ma non ci si sia preoccupati di stabilire dove farli, mi pare demenziale; e sia chiaro questa è esclusiva responsabilità delle regioni, che naturalmente cercheranno di scaricare sul governo, che secondo me ha avuto una sola colpa ed è stata quella di non sfruttare l’emergenza per riprendere in capo allo Stato tutta la Sanità. Bertolaso ha visionato, non molto lontano da dove abito, la Piazza d’Armi ovvero una spianata dove venivano i Circhi ed i Luna Park; il suo commento è stato “fa schifo” ed ha preferito Villa Erba, una location senz’altro più suggestiva, attrezzata con padiglioni a vetro, dove in primavera si svolgeva Orticolario, una grande fiera di piante e fiori e attrezzature per giardinaggio, e dove per un certo periodo si è svolto il mercato delle vacche, pardon, dei calciatori. L’amministrazione comunale, toccata sul vivo (almeno l’erba avrebbero potuto mandare qualcuno a tagliarla però, se volevano evitare la figuraccia) ha replicato indignata, Bertolaso si è scusato per i toni ma non per la sostanza. Io credo che la sostanza invece sia che il posto, che andava certo ripulito, era più che idoneo; è adiacente a due grandi parcheggi, vicino alla fermata di due bus (che, se ritenuti insufficienti, avrebbero pututo essere supportati da navette), ed in quanto all’allestimento la protezione civile ci avrebbe messo un amen a piazzare i tendoni necessari, o al limite si potevano chiedere in prestito a Nando Orfei… a pensar male si fa peccato, ma stranamente Villa Erba è privata e quindi bisognerà pagare un affitto, poca roba si è premurato di rassicurarci l’ineffabile consulente. Comunque io in fondo sono contento, non mi sarebbe piaciuto che avessero poi preso la palla al balzo per costruire qualcosa anche in quell’area: che rimanga a disposizione di chi ci porta a spasso il cane e di chi ci va ad esercitarsi a far volare i droni, come ho visto passando, l’altro giorno. I cani che correvano mi hanno messo un po’ di nostalgia, ho ripensato a quella volta che ci avevo portato il mio e questo si era rotolato su della paglia lasciata dal circo, dove c’era evidentemente l’odore dei leoni: non so quanto tempo e quanti bagni sono occorsi per togliergli di dosso quel profumo…

Chiudo con un ricordo triste, venti anni fa moriva un amico, più giovane di me di qualche anno, fratello di un amico di infanzia; aveva sempre avuto la passione del teatro, iniziò l’attività nelle recite di paese, nei varietà  a cui partecipavamo con la nostra orchestrina, poi decise di fare sul serio, frequentò l’accademia a Roma e divenne professionista; quella sera aveva recitato a Padova il Re Lear con la compagnia di Glauco Mauri, e mentre tornava in albergo venne investito da un tram. Quando ripenso a questo incidente assurdo non posso fare a meno di pensare che, in fondo, è il caso che guida e gioca con le nostre vite.

L’altro giorno, il 25 marzo, è stato il Dantedì ovvero la giornata dedicata a Dante Alighieri, nella data che gli studiosi riconoscono come inizio del viaggio nell’aldilà della Divina Commedia. La Rai ci ha propinato la replica di Benigni che legge un canto; purtroppo a me Benigni come attore è piaciuto solo in due occasioni, nel Piccolo Diavolo (perché c’era un enorme Walter Matthau) e in Non ci resta che piangere (con un grande Massimo Troisi); tralascio l’Oscar per La vita è bella, su cui secondo me hanno influito più valutazioni politicamente corrette che di merito, ma a me sinceramente sentire Benigni leggere la Divina Commedia o la Costituzione e l’elenco telefonico fa, come a Fantozzi la corazzata Kotiomkin, cagare.

Detto ciò, care amiche e cari amici, la rubrichetta si interrompe qua; ormai l’anno nuovo è ben avviato, ci governano i migliori e quindi possiamo dormire tra due guanciali; prendendo esempio da loro troverò un altro titolo, per fare esattamente quello che facevo prima… a presto!

Olena à Paris – 41

«Non mi sembra una buona idea, mister» dice l’uomo al telefono.
«A me sembra ottima, invece. Una riunione di lavoro fuori orario, senza impiegati e segretarie tra i piedi. Cosa potrebbe succedere? La donna è in mano nostra, i tuoi uomini saranno pronti qua fuori, ed abbiamo gli altri due ostaggi a Saint Sulpice. Cosa non ti quadra?»
«Lei sa benissimo che se anche la signora firmerà la vendita, senza testimoni e senza notaio potrà impugnarla in ogni momento. Senza contare che appena uscita di qui andrà direttamente a denunciarla»
«Per le, diciamo, formalità burocratiche, non devi preoccuparti, a quello penso io. Il resto invece è compito tuo…»
«Cioè?»
«La signora avrà un terribile incidente d’auto, tipo Lady Diana, hai presente? La colpa naturalmente sarà dell’autista ubriaco. Che sfortuna, la donna era depressa da tempo, provata dalla morte del marito, non sopportava più la responsabilità e proprio per questo aveva appena affidato l’azienda nella mani della Talnone, con cui aveva rapporti di stima reciproca. Proprio stasera aveva deciso di festeggiare insieme a mia moglie, una disgrazia…»
«Sua moglie? Questo le costerà di più, non era nei patti.»
«Ho mai fatto problemi di soldi? E non c’era nessun bisogno di ammazzare Calderon, sai bene che avrei pagato, come sempre»
«Giusto per essere sicuri, mister, giusto per essere sicuri. Proprio un bel film, non c’è che dire. Posso fare solo un piccolo appunto?»
«Appunto? Di che tipo?»
«Ha pensato anche alla parte per la contessa?» chiede Carlos, ironicamente.
«Ah, già, la tua amica… mi sembra che abbiate un vecchio conto in sospeso, dico bene? Sono fatti tuoi, l’unica cosa che ti chiedo è di non sporcare di sangue gli uffici, gentilmente. Ah, usate l’ascensore riservato per salire, non ci sono telecamere lì. Il codice è 15081944, la liberazione di Parigi, merde»

Per l’ultima puntata di Lacrime e Laterizio, i koala ed il piccolo Chico si sono agghindati e si sono muniti, con la complicità delle cuoche di Villa Rana, di una buona scorta di riso da tirare al televisore al momento della uscita dalla chiesa della coppia di sposi, e si preparano a lottare per aggiudicarsi il bouquet che la sposa, secondo tradizione, lancerà alle sue spalle. Miguel, che ai matrimoni si commuove sempre, tiene a portata di mano un pacchetto di Kleenex, e si rigira tra le dita l’anello che aveva regalato alla sua ex-fidanzata, il transessuale cubano Paio Pignola¹, e che questi gli aveva restituito insieme ad una congrua dose di schiaffi alla scoperta che l’innamorato aveva avuto un figlio dall’attrice di telenovelas Conchita, la donna barbuta. La quale, nelle vesti di Rosa, giovane ingenua sedotta dal gagliardo capomastro Ramon, accompagnata dal suono della marcia nuziale di Mendelsshon, percorre ora la navata centrale della basilica minore della Purissima Concezione di Maria di Monterrey, meglio nota come Virgen Chiquita, al braccio di suo padre, per raggiungere l’altare dove l’aspetta l’anziano Don Carlos, suo promesso sposo.
ROSA (tra sé) Madre de Dios, aiutami tu.
PADRE PINEDA Fratelli e sorelle, siamo qui riuniti per celebrare le nozze di questi due giovani… ehm, di questa giovane e questo… ehm, di questi due innamorati!
DON CARLOS (sottovoce) Come sei bella, Rosa, non vedo l’ora…
DONNA TERESA (al marito) Guarda come sta sbavando quel caprone. Se tua figlia ci sa fare, quello schiatta stanotte stessa. Volesse la Vergine Misericordiosa! (si fa il segno della croce)
PADRE PINEDA Volete voi, Don Carlos Almeyda y Azulgrana, prendere in sposa la qui presente Rosa Granjero, e promettete di amarla, onorarla e rispettarla, finché morte non vi separi?
DON CARLOS Lo voglio! (sottovoce a Rosa) Eccome, se lo voglio…
DONNA TERESA (tra sé) Spara le ultime cartucce, mummia, che tra poco sarò la madre della vedova Almeyda e Azulgrana…
PADRE PINEDA (accelerando) Volete voi, Rosa Granjero, prendere in sposo il qui presente Don Carlos eccetera eccetera, e promettete di amarlo onorarlo eccetera, finché morte non vi separi?
ROSA (si guarda intorno sgomenta)
PADRE PINEDA Figliola, hai capito la domanda? Vuoi tu eccetera eccetera? Non è difficile, su, che fa caldo e ci aspetta il rinfresco.
ROSA Ecco, padre, io…
DONNA TERESA (al marito) Che sta combinando quella disgraziata? Quant’è vero Dio, se fa la matta la ammazzo con le mie mani.
DON CARLOS Rosa, Rosetta, hai sentito quello che ti ha chiesto Padre Pineda? Capisco, sei emozionata, e chi non lo sarebbe nel diventare la nuova baronessa Almeyda y Azulgrana. Ora fai così, respira a fondo, e poi rispondi alla domanda.
ROSA Don Carlos, devo dirvi una cosa…
Mentre sulla faccia di Don Carlos si dipinge una smorfia di disappunto e Donna Teresa si alza in piedi pronta a balzare sulla figlia, dal sagrato arriva il rumore di una marmitta scoppiettante di una vecchia Gilera, seguito dal suono prolungato del clacson. Un sorriso illumina il volto di Rosa, con le due mani alza la gonna dell’abito da sposa, scalcia via le scarpette e corre scalza verso l’uscita.
DONNA TERESA Torna qua, assassina! Don Carlos, sposate me al posto suo! Chi se ne frega se sono sposata! Rosa! Rosa!!!
Ma Rosa è già uscita ed è arrivata alla moto; il guidatore scende, apre il cavalletto, si toglie il casco e rivolge alla mancata sposa un gran sorriso.
ROSA Cominciavo a pensare che non saresti venuta.
SUOR MATILDA Non mi partiva la moto, ho dovuto convincere le altre suore a spingere.
ROSA E adesso?
SUOR MATILDA E adesso baciami, scioccona.
Gli invitati, sulla scalinata della chiesa, restano basiti a guardare la scena; infine le due infilano i caschi e si preparano a partire, seguite dalle urla disperate di una madre dal cuore spezzato.
DONNA TERESA Rosa! Lesbicaccia, torna qua! Rosa! Io ti maledico!
E, prima di svenire, l’ultima cosa che vede della figlia è il dito medio alzato in segno di affettuoso saluto.

“Io ti maledico, io ti maledico!” urlano i koala, rincorrendosi con il dito medio alzato e lanciandosi pugni di riso mentre Miguel, intenerito dalla vista della madre di suo figlio che scappa con una suora, si soffia il naso rumorosamente.

Olena à Paris – 40

«Ottimo, ottimo, bel lavoro!»
Jean Biscuit, seduto sulla sua poltrona presidenziale, sottolinea la esclamazione di soddisfazione picchiando la mano libera sulla scrivania in legno di mogano. Il dolore che il palmo della mano gli rimanda, nonché il picchiettìo lieve alla porta dell’ufficio, lo inducono a chiudere la telefonata.
«Avanti!» grida verso la porta con malagrazia, salvo ricomporsi alla vista di chi sta entrando.
«Antonietta! Che sorpresa cara, come mai da queste parti?» chiede Biscuit alla moglie, non abituato ad averla tra i piedi al lavoro, e per la verità nemmeno a casa.
«E’ tutta la mattina che sto cercando di parlarti» risponde Antonietta «il tuo telefono è sempre occupato, così dato che ero qua vicino ho pensato di venirti a trovare di persona»
«Ma amore, che bisogno c’era? Potevi lasciar detto a Geneviéve, ti avrei richiamata io…»
«Sì, figurarsi, te ne saresti dimenticato e poi avresti accampato qualche scusa, come al solito. Ah, vedo che sei solo, dove hai mandato Chantal, a fare fotocopie?» chiede Antonietta, con un lieve sarcasmo nella voce.
«Chantal? Non so, mi ha chiesto una settimana di permesso, doveva accudire una vecchia parente venuta a visitarla, o almeno così mi ha detto. Ma dicevi, cara, mi cercavi per…?» chiede Jean, cambiando discorso.
«Avevo intenzione di invitare Gilda Rana alla settimana della moda, ma non riesco a rintracciarla. Tu sai per caso se c’è in giro qualche fiera alimentare, del tortellino o roba del genere?»
«Fiere? No, non mi sembra che ci siano manifestazioni in calendario al momento. Ma scusa se te lo chiedo, cara, come mai questo invito?» chiede Biscuit, sospettoso. «Lo sai come la penso in questi casi, mai legarsi troppo a quelli che potrebbero diventare concorrenti. Negli affari le amicizie sono una bella cosa, ma possono anche diventare pericolose…»
«Fammi capire Jean, io ho mai avuto niente da ridire quando te ne andavi in Argentina a sparacchiare con suo marito? E io non dovrei essere libera di invitarla quando voglio? Guardami negli occhi, Jean, e stammi bene a sentire. Gilda è una mia amica, conosci questa parola? Amica. Spero che ci siamo capiti, “amore” » e Antonietta lascia l’ufficio senza dar tempo al marito di rispondere. Jean guarda la moglie allontanarsi, stringe le mascelle e batte ancora una manata sul tavolo, stavolta di rabbia.

Il cicalino dell’interfono lo riporta alla calma.
«Dottore, c’è una chiamata per lei, è molto insistente» comunica Geneviéve.
«Chi è?»
«Una certa contessa Kasprowicza, dice di essere una sua vecchia amica.»
«Passamela» dice Jean sorridendo, e saluta l’interlocutrice con esagerata deferenza «Contessa, i miei più sentiti omaggi».
«Monsieur Biscuit, che piacere sentirla. Volevo dirle che ho ricevuto il suo messaggio e naturalmente sarò lieta, per quanto mi è possibile, di aderire alla sua squisita proposta»
«Ne sono onorato, “contessa”» continua Biscuit, sempre recitando. «Le va di vederci stasera al Ritz, in Place Vendôme, per discutere diciamo i… ehm, dettagli?»
«Lei è un diavoletto, Biscuit. Ma non voglio incomodarla, sono sicura che la sera avrà di meglio da fare che discutere di affari con una anziana signora»
«Da quanto mi risulta lei è tutt’altro che anziana, madame…»
«Lei è molto galante, monsieur, ma non deve scomodarsi. Aspetti lì, verrò a trovarla io dopo la chiusura degli uffici. Ah, Biscuit, non si azzardi a chiamare la sicurezza o fare qualche altro scherzo, non vogliamo scandali, non è vero? Chiami il suo scagnozzo e gli dica di portare la signora. Da solo»
«Non credo che lei sia in grado di dettare condizioni, contessa o capitano o chi diavolo è» minaccia Biscuit, sprezzante. Dall’altro capo una voce carica di delusione risponde scandendo lentamente le parole.
«Biscuit, tu mi sembri una persona intelligente, perciò te lo dirò una volta sola. Fai quello che ti dico, e nessuno si farà male. Fai qualcosa di stupido ed io ti strappo le palle, te le trifolo e te le servo con gli champignons. M’avez-vous bien compris?»

Cronachette dell’anno nuovo (19)

Ed è arrivata la primavera, la seconda primavera di pandemia: la natura se ne frega allegramente del virus, perché ci sono in giro delle fioriture meravigliose; ieri, passeggiando nelle vie non distanti da casa, abbiamo ammirato delle magnolie spettacolari. Rispetto all’anno scorso questi giorni sono molto più freddi, e forse in questo si può cogliere una sorta di riguardo nei nostri confronti, dato che non si può uscire. Il telegiornale giusto per tirarci su di morale oltre a servizi chilometrici con la contabilità quotidiana di caduti e dispersi e storie pietose varie, ci fa sentire il grido degli agricoltori allarmati che il gelo rovini le colture, e di seguito servizio sui cambiamenti climatici. E che palle! Sì, i cambiamenti climatici ci sono, ma da che mondo e mondo l’agricoltura è sempre stata soggetta agli umori del tempo: non è il primo anno che fa freddo in marzo ed oltre, e non sarà certo l’ultimo, e lasciateci in pace!  

Secondo me quelli che fanno sport individuale dovrebbero evitare di scorrazzare per i marciapiedi senza mascherina, costringendo i pedoni normali a buttarsi in mezzo alla strada per mantenere le distanze, così come non mi pare che i gruppi di una ventina di ciclisti visti in giro siano a norma, ma può darsi che mi sbagli. Del resto nonostante quello che sostiene la Diocesi ho dei dubbi anche sul coro, per quanto risicato, quindi sui ciclisti forse è meglio che mi taccia.

Sempre ieri, un’amica ci ha detto che il fratello sta per essere dimesso dall’ospedale, dopo un paio di mesi di ricovero. Ho pensato subito al Covid, e invece no: legionella. Le ho chiesto dove se la fosse presa il fratello, e mi ha detto che in realtà l’ha avuta venti anni fa ed era guarito, solo che quel virus è bastardo, un po’ come l’herpes, e rimane dentro, pronto a risaltare fuori se le difese immunitarie si abbassano troppo. Speriamo che non sia così anche per il Covid…

Mi chiedo come sia possibile che la Sardegna sia passata in una settimana da bianca ad arancione, e soprattutto come sia possibile che Briatore abbia ancora la faccia tosta di parlare; se la gente avesse un po’ di testa il suo localino elegante quest’estate dovrebbe rimanere vuoto, ma dubito che sia frequentato da molta gente con la testa.

Il nuovo presidente Usa continua a volersi far benvolere dal mondo, e quindi la settimana scorsa ha mandato il nuovo segretario di Stato a litigare con i cinesi, in Alaska, tirando anche stavolta in ballo interferenze e diritti umani, accuse alle quali i cinesi hanno risposto per le rime. Ma che bella scenetta! Poi il nostro beniamino, dell’età del nostro ben più sobrio presidente Mattarella, si è messo a zompettare sulle scalette dell’aereo come nemmeno Obama, è inciampicato ben tre volte e cara grazia che sia riuscito a tirarsi su. Kamala, ti conviene scaldare i motori, che questo non so se arriva alla fine…

Il loro quasi coetaneo, l’immarcescibile Gianni Morandi, ha avuto un brutto incidente,  scivolando su degli sterpi a cui aveva dato fuoco e scottandosi seriamente le mani ed altre parti del corpo. O Gianni, ma che scherzi combini, sei un cantante mica un fachiro! Auguri di pronta guarigione, da un vecchio fan.

A proposito di fan, sempre nella passeggiata di ieri siamo passati in una zona dove prima c’era un grande prato, che adesso è stato distrutto per far posto alla nuova stazione ferroviaria; una stazione c’era già, poco più in là, delle Ferrovie dello Stato, ma è stata spostata per avvicinarla a quella delle ferrovie Nord e farne così un nodo di interscambio. Molto comodo per me quando si potrà ritornare a lavorare a Milano; sarebbe bello però che la vecchia stazione venga abbattuta e l’area lasciata a prato, ma dubito che sarà così. Ma perché parlavo di fan? Ah, perché pensavo a Celentano: Là dove c’era l’erba ora c’è una città…

Lo Spallanzani sta testando lo Sputnik, ma l’Europa dice che non ne avremo bisogno. Non capisco perché se funziona non dovremmo usarlo, per far dispetto a Putin? Cioè, ci dobbiamo dare delle martellate sugli zebedei per far contento chi?

Per concludere con una nota culinaria, ieri abbiamo fatto il bis di pici, non ho usato il ragù di cinghiale pronto ma un ragù fatto da mia moglie alla napoletana, lasciato sul fuoco otto ore lemme lemme: una goduria! Accompagnato con un Lambrusco Casalguerro semisecco, non dico la morte sua ma quasi; poi il divano mi ha avvinto ed è caduto l’oblio.

Amiche e amici, ho appena dato una controllata al balcone, le primule sono sbocciate, le rose stanno fiorendo, l’acero svetta ritto verso il cielo buttando le sue verdi foglioline, e persino i miei nanetti, Pappolo e Luppolo, mi pare siano in forma: e così spero di voi. A presto!

Agricoltore disperato

Olena à Paris – 39

La cameriera, una bella ragazza bionda con qualche lentiggine sul viso, osserva i due clienti alzarsi e lasciare il tavolo in compagnia dei due pittori che li hanno avvicinati. Li segue con lo sguardo finché non li vede avvicinarsi ad un Suv nero; allora si slaccia il grembiule, scioglie i capelli e si avvia verso il retro del locale.
«Dove stai andando, Danielle? Non è il momento di fare pausa, c’è un sacco di gente, su, rimettiti il grembiule!» la richiama dalla cassa il titolare, Mario Piccolì, ex buttadentro del Sexodrome a Pigalle.
«I signori hanno dimenticato la ricevuta fiscale, vado a portargliela. Torno subito, intanto lei metta il grembiule, le dona» lo saluta la cameriera, lasciandolo interdetto.
«Danielle!» insiste Mario, uscendo dal locale, ma la ragazza ha già indossato tuta e casco ed è salita in sella alla Kawasaki Z900 parcheggiata nel cortile. Sfruttando le apparecchiature in dotazione alla moto Danielle effettua una chiamata vocale, a cui risponde subito una voce decisa:
«I corvi e gli avvoltoi?»
«Un mattino scompariranno¹» risponde Danielle alla parola d’ordine, e continua:
«Capitano, li hanno presi, come avevate previsto. Devo intercettarli? Sono solo in due, con la mia PSS² è uno scherzo»
«Hai ancora quella pistoletta? Quando ti deciderai a cambiarla?» la canzona il capitano. «No, limitati a seguirli, scopri dove li portano e tieni d’occhio chi entra e chi esce. Se siamo fortunati ci guideranno dove vogliamo»
«Agli ordini, capitano» chiude la ragazza.
«Vassilissa, quando la smetterai di chiamarmi capitano?» chiede il superiore.
«Mai, capitano. O preferite che vi chiami amore?» ribatte Vassilissa Kutnezova.
«No, continua pure a chiamarmi capitano» risponde Olena, con le labbra che si stirano in una specie di sorriso.

“Le Mantellate so’ delle suore
A Roma so’ soltanto celle scure
Una campana sona a tutte l’ore
Ma Cristo nun ce sta dentro a ‘ste mura³”

«Capo, posso sparargli? Sono tre ore che canta questa lagna, non ne posso più» chiede l’uomo in tuta mimetica, esasperato.
«Non dire stupidaggini, Esteban» risponde Carlos, in completo di lino chiaro, occhiali neri e panama in testa. «E soprattutto vedi di non fare fesserie. Quella donna è preziosa, hai capito? Preziosa. E se le succede qualcosa ne rispondi con la vita. Lasciala cantare quanto vuole, si stancherà, prima o poi»
In quel mentre il cellulare di Carlos vibra; questi ascolta la comunicazione e quindi, soddisfatto, si dirige verso la porta della cella dove è reclusa la Calva Tettuta.
«Signora, mi dispiace incomodarla, ma stanno arrivando altri ospiti, dovrete stringervi» comunica Carlos, ridacchiando.
«L’unica cosa che stringerò saranno le mie mani sul tuo collo, appena uscirò di qui, brutto pendaglio da forca!» urla Gilda, arrabbiata. «Fammi uscire di qui, ti ho detto! Tu non sai in che impicci ti sei ficcato, caro mio. Aspetta che il mio fidanzato lo venga a sapere, quello è un tronco d’uomo, ti spiezza in due! Si può sapere che diavolo volete, vi ho già detto che i soldi sono vincolati, non c’è trippa per gatti, nada, nisba! Tutt’al più posso farvi una fornitura di tortellini, se proprio ci tenete» concede la vedova Rana, trattativista.
«Tranquilla, signora, noi non vogliamo proprio niente. Ma vede, un nostro amico è convinto che lei abbia qualcosa che gli appartiene, personalmente sono convinto che si tratti di un malinteso, niente che non si possa aggiustare con un po’ di buona volontà, mi capisce signora?» insinua Carlos allusivo.
«Ma di che diavolo sta parlando? Si spieghi meglio, un malinteso, buona volontà, ma che intende, che cos’è questa roba che avrei preso al vostro amico? E soprattutto chi è questo gran cornuto che vi paga?» sbotta Gilda, indiavolata.
«Ogni cosa a suo tempo, signora, presto lo saprà. Ah, ecco, sono arrivati i suoi amici» annuncia Carlos, aprendo la porta, spingendo dentro i nuovi arrivati e richiudendola alle loro spalle.
«James!» grida Gilda, visibilmente sollevata. «Ce ne hai messo di tempo ad arrivare.»
«Desolato, signora, abbiamo saputo tardi del rapimento, altrimenti mi sarei affrettato. E’ stata trattata bene, signora? Se non sono inopportuno, trovo che il turbante in seta le stia d’incanto. Bouquet di Primavera, non è vero? Un classico sempre attuale, non lo pensi anche tu Serge? Ah, signora, permetta che le presenti Serge Mannoucharyan, un mio, ehm, caro amico»
«Enchanté, Madame» saluta Serge, esibendosi in un perfetto baciamano.
«Molto piacere Serge, James mi ha molto parlato della sua abilità con aste ed affini. Senta, lei che è del posto, pensa che ci lasceranno andare presto?»
«Aste e affini…» sibila Serge all’indirizzo di James che fa lo gnorri, prima di rispondere:
«Lo spero vivamente, signora, se c’è una cosa che ho imparato nel mio mestiere è che ogni cosa ha il suo giusto prezzo, bisognerà solo capire quale sarà il prezzo da pagare per la libertà…»

«Ci siamo, capitano, sono entrati in un palazzo in Rue de Rennes, vicino alla Place de Sant Sulpice» comunica Vassilissa, che ha fermato la moto sul marciapiedi opposto e finge di controllare il motore.
«Avvicinati e cerca di capire chi abita in quel palazzo» la invita Olena.
«Non c’è bisogno, capitano» risponde la giovane, sorridendo. «Lo vedo da qua, c’è una insegna in ottone bella lucida: Talnone Health and Care – Sede distaccata»
«Bingo» annuncia la russa «Aspettami lì, arrivo. Il giubbotto antiproiettile l’hai indossato? Non fa niente, ci penso io»

¹ dall’ultima strofa dell’Internazionale.
² pistola automatica in uso alle forze speciali russe.
³ “Le Mantellate”, scritta nel ’59 da Strehler/Carpi per Ornella Vanoni, di cui Gabriella Ferri incise nel ‘66 una grande versione.

Cronachette dell’anno nuovo (18)

Amici e amiche, la sensazione è che la situazione stia precipitando. Oggi la nostra direttrice del coro è risultata positiva, lavora in Posta e nel suo ufficio sono risultati positivi in sei, lei sostiene perché c’è gente irresponsabile che se ne frega degli altri, e non stento a crederlo. C’è gente che se ne frega di tutto, basta vedere lo stato dei marciapiedi…

Per fortuna martedì non abbiamo fatto le prove,altrimenti ci saremmo dovuti mettere tutti in isolamento; però domenica abbiamo cantato, pur distanziati, se fosse già stata indetta avrebbe potuto contagiarci? Lo scopriremo a breve. Io dovrei essere immune, comunque. Dovrò decidermi a fare il controllo degli anticorpi…

Ieri è morto di Covid un signore che era un’istituzione nel quartiere, un ultraottantenne con una gran verve e la battuta pronta, da giovane era stato attore ed ancora oggi animava le tombole in parrocchia, quando ancora si potevano fare, o le aste di incanto dei “canestri”, ovvero delle vere e proprie aste a scopo benefico, un tempo molto partecipate, dove le persone risparmiavano tutto l’anno  i soldi per poi andarli a donare in quella giornata, facendo finta di litigare per aggiudicarsi un salame, o una bottiglia di vino. Una beffa, adesso che era quasi arrivata la sua ora di vaccinarsi, anche se la nostra Asl sembra l’ultima della Lombardia in quanto a vaccinazioni.

A proposito di vaccinazioni un mio collega romano mi ha detto che la sorella, maestra, ha fatto la prima dose di Astrazeneca ed è indecisa se fare la seconda; un ex collega di Parma, settantenne, avrebbe dovuto vaccinarsi questa settimana ma, dato che nel foglietto che gli hanno consegnato c’è scritto che il vaccino (sempre Astrazeneca) copre al 59% e dovrà comunque mantenere mascherine etc. e in caso di contatto con positivi deve rimanere in isolamento fiduciario, ci ha rinunciato dicendo “chi me lo fa fare di rischiare un trombo per continuare a fare quello che facevo prima?”. Era prevedibile che finisse così, poi c’è chi dice che c’è stato un eccesso di drammatizzazione, chi parla di complotto ai danni di Astrazeneca perché è il vaccino che costa meno: ognuno si regoli come crede, signori, io come ho detto aspetto lo Sputnik.

Il nuovo presidente Usa ha dato prova di estrema sobrietà dando dell’assassino a Putin, e accusandolo di avere tentato di orientare le elezioni Usa.  A parte che non mi pare che in questo momento ci sia bisogno di ulteriori tensioni nel mondo, ma da che pulpito viene la predica? Gli Usa non hanno mai interferito nelle elezioni degli altri, non hanno mai rovesciato governi democraticamente eletti? Ma ci faccia il piacere, direbbe Totò. In Ucraina non c’entravano niente, Navalny non lo stanno sponsorizzando loro? Non vorremmo trovarci a dover rimpiangere Trump…

Ma torniamo ad argomenti più terra terra, quelli in cui eccello: sono andato a fare la spesa, una delle poche attività ammesse in zona rossa, volevo comprare una padella e non si può, non è alimentare: ho capito, ma se devo cucinare e la padella mi manca? Devo ordinarla on-line? Ho fatto comunque scorta di generi in offerta, sto diventando compulsivo, tra cui dei pici freschi. La cassiera, passati i pici, mi ha chiesto come li facevo, ed abbiamo fatto una dissertazione sul modo migliore di condirli: io mi accontento di ragù tradizionale, ma certo se ci fosse stato un ragù di cinghiale sarebe stata la morte sua: ed ecco la solerte cassiera, non per caso di origine toscana, suggerirmi di prendere il ragù pronto di cinghiale, che è anche in sconto, e perché no quello di chianina. Detto fatto, cara amica! Ci siamo anche dilungati perché le ho raccontato di averli mangiati l’estate scorsa in Piazza del Campo a Siena, e lei mi ha informato su un paio di ristorantini da visitare la prossima volte. Questo sì che è servizio! In fila poca gente, e tutto sommato pazienti.

Ieri sera ho partecipato ad un interessante incontro on-line sul tema della Pasqua; il relatore, un sacerdote molto aperto, ci ha parlato della morte del cristianesimo. L’argomento è troppo profondo per parlarne in questo angolo di cazzeggio, però devo dire che mi ha colpito molto, e cercherò di approfondirlo.

A presto, amiche e amici, le giornate scorrono facendo le solite cose; sono abbastanza contento perché ho finito di riordinare le commedie, e presto le manderò in stampa; anche Olena è andata un po’ avanti, e chissà che per Pasqua non riesca a finire anche quella. Anche perché la Rai sta sfornando fiction e sceneggiati a manetta, uno più uno meno…

Olena à Paris – 38

ROSA Madre, ho commesso un terribile errore.
DONNA TERESA Tutti commettono errori, figlia mia, io ho sposato tuo padre! Che cosa hai combinato di così terribile?
ROSA Ho detto sì a Don Carlos!
DONNA TERESA E me lo chiami errore questo? L’avessi fatto io questo errore!
ROSA Ma madre!
DONNA TERESA Dovresti baciarti i gomiti, altroché! Un marito ricco che ti farà fare la signora, e poi nessuno ti impedisce di farti un amante giovane, basta far passare qualche settimana…
ROSA Ma madre!!
DONNA TERESA E se sei fortunata, non come la sottoscritta, il vecchio tirerà le cuoia presto, allora sì che avrai fatto bingo!
ROSA Ma madre!!!
DONNA TERESA Ma madre, ma madre, sai dire solo questo? Stai bene a sentire, e mettitelo bene in testa. Vieni qua, davanti allo specchio, guardati! Pensi che quelle poppe staranno su ancora per molto? Quello è tutto il capitale che hai, devi metterlo a frutto, non buttarlo via come ho fatto io.
ROSA Madre, ho deciso. Vado da don Carlos e ritiro la promessa.
DONNA TERESA Ci vai in carrozzella?
ROSA Perché in carrozzella, madre?
DONNA TERESA Perché se provi ad avvicinarti a quella porta ti spezzo le gambe! (Ha un mancamento) O Dio, il cuore, mi farai crepare, disgraziata. (Si siede, Rosa ne approfitta e scappa) Dove vai, torna qui, figlia degenere! Ma è colpa mia, venti anni fa invece di farmi mettere incinta dovevo tagliarglielo, a tuo padre! Rosa! Rosa! Torna qui!!

I koala, stretti attorno al piccolo Chico, commentano la puntata di Lacrime e Laterizio con diversi “Ma madre! Ma madre!” chiedendosi come abbia fatto la signora che voleva rubare il loro fratellino senza pelo ad uscire dal camion surgelati nel quale l’avevano rinchiusa. E’ con viva curiosità che la guardano uscire di casa e dirigersi decisa verso il palazzo di don Carlos, finché qualcosa di inatteso la ferma e la costringe a nascondersi dietro una colonna del porticato.

ROSA (tra sé) Ramon! Cielo, mi batte il cuore, che voglia di volare da lui. No, no, devo resistere, prima devo chiarire le cose con don Carlos. Ma chi è quella donna che è con lui, e quei bambini, e perché il mio amore spinge un passeggino? Sarà una parente? La sorella, magari. Ha un aspetto simpatico, sento che diventeremo amiche…
PRIMO BAMBINO Papà, dopo andiamo al fiume a pescare? Io mi rompo ad andare a spasso.
RAMON Francisco, abbi pazienza, ci andremo domani a pesca. Adesso dobbiamo andare alla messa, e poi abbiamo promesso a nonna Hortensia di passare da lei per pranzo.
SECONDO BAMBINO Io non ci voglio andare da nonna Hortensia. Mi dà i pizzicotti sulle guance.
RAMON Lo fa perché ti vuole bene, è un gesto affettuoso.
TERZO BAMBINO La nonna puzza di cipolla, nemmeno io ci voglio andare!
DONNA Agapito, ti ho già detto di non dire quelle cose, la nonna non puzza di cipolla!
TERZO BAMBINO Sì che puzza di cipolla! Papà dice che sotto la sottana puzza di cipolla!
DONNA Ramon! Vergognati, belle cose che insegni ai tuoi figli!
RAMON Ma dai Fernanda, si scherza. Lo sai che a tua madre voglio bene, in fondo, povera bestia.
DONNA Si, scherza, scherza, dopo facciamo i conti, voglio vedere quando stasera verrai a chiedermi la “cipolla”…
RAMON Ah, ah, vieni qua, cipollina mia…
ROSA (impietrita) Ramon? Cipollina? Come ho potuto essere così stupida? Mia madre aveva ragione… e anche Suor Matilda… e perfino Carmelita, quella ladra! Sono disonorata, che ne sarà di me?

“Cipolla, cipolla!” gridano i koala, annusandosi l’un altro e tentando di passare alle vie di fatto. Chico, con le lacrime agli occhi, guarda sua madre tornare mestamente verso casa, sulla soglia della quale la aspetta sua madre, con in mano un nodoso randello.

DONNA TERESA Hai anche la faccia tosta di tornare a casa? Questo non è un albergo, fatti ospitare dal tuo manovale!
ROSA Capomastro, madre, capomastro. E comunque non posso, è sposato.
DONNA TERESA (scoppia in una gran risata) Sposato! Che fortuna! Così finalmente te lo toglierai dalla testa, quello spiantato! (improvvisamente preoccupata, abbassa la voce) Guardami bene in faccia e dimmi una cosa.
ROSA Si, madre, che cosa?
DONNA TERESA Gliel’hai data?
ROSA Ma madre!
DONNA TERESA E basta con questo ma madre! Gliel’hai data o no?
ROSA Si.
DONNA TERESA Lo sapevo, stupida che non sei altro! Ora ascoltami bene, don Carlos non deve sapere niente, hai capito, che non ti venga in mente di confessare. In queste faccende la sincerità non è ammessa!
ROSA Ma madre, se ne accorgerà!
DONNA TERESA Non dire stupidaggini, perché mai deve accorgersene. Pensi che tuo padre se ne sia accorto?
ROSA Perché, tu…?
DONNA TERESA Lascia stare quello che ho fatto io. Qui si sta parlando di te e del tuo futuro. Su, entra, dai, fatti abbracciare.

E i koala, muniti di rami strappati agli alberi circostanti, si rincorrono bastonandosi e urlando “ma madre!” e “in testa no!” con il piccolo Chico che applaude e ride beato, appeso a testa in giù.

Cronachette dell’anno nuovo (17)

E così siamo tornati in zona rossa. Stavolta è per salvare la Pasqua, l’ultimo sforzo ci assicura il governo dei migliori. A me sembra la stessa identica cosa che avrebbero fatto anche i peggiori, però adesso non si sentono commercianti o gestori di campi di sci lamentarsi, o perlomeno non li fanno sentire: e dunque tutto bene.

Le vaccinazioni, perlomeno qui dove abito, vanno a rilento; in settimana il vaccino Astrazeneca è finito sotto osservazione perché ci sono stati diversi casi sospetti in Europa ed in Italia di morti per trombosi dopo essersi vaccinati. Un coro quasi unanime cerca di esorcizzare gli allarmismi: be’ signori cari, per non allarmarsi ci vogliono risposte chiare e certe, nell’attesa se uno preferisce non farsi vaccinare con quel vaccino non vedo perché dovrebbe essere arruolato tra i no-vax o i nemici della patria. Personalmente già diffidavo, la gatta frettolosa fa i gattini ciechi; quando arriverà lo Sputnik, deciderò. Non capisco bene cosa debbano decidere Ema o Aifa o quant’altro: se sui russi funziona perché su di noi dovrebbe essere nocivo, forse perché loro lo accompagnano con la vodka?

A proposito di bevande, dato che la cantina iniziava ad avere dei vuoti ho ordinato un po’ di vino, mai in zona rossa senza rosso dice il saggio. L’autista mi ha salutato come un vecchio amico, si è rallegrato di trovarmi in buona salute e mi ha confortato della scelta fatta informandomi che lui stesso ha fatto buona scorta. Chissà se un giorno, oltre al fumo, sarà messo fuori legge anche il vino, e ci ritroveremo come vecchi cospiratori a bere in cantine clandestine?

Sabato abbiamo fatto una passeggiatina fino in città, non c’erano assembramenti anche se vigili urbani e protezione civile era pronti a transennare le vie per far defluire la gente con sensi unici pedonali; ieri invece, che la giornata era ancora più bella, abbiamo evitato il lago e siamo andati a fare una bella passeggiata con qualche coppia di amici. Una volta si sarebbe camminato in gregge, ora ci stiamo abituando al distanziamento anche tra amici, e così si procedeva per coppie, lontani l’uno dall’altro e per parlarsi bisognava urlare. Abbiamo fatto qualche chilometro di vie secondarie, molto verde, sta scoppiando la primavera e le piante in fiore sono spettacolari, con dei gialli e dei rosa fantastici. Sono decisamente fuori allenamento, e oggi mi fanno male le gambe. Abbiamo parlato, tra le altre cose, delle proprietà benefiche della mela annurca, che sembra stimoli la crescita dei capelli: dovrò ordinarne qualche cassa, ma che diavolo è questa mela annurca?

Mi sono meravigliato che Enrico Letta abbia raccolto l’appello disperato rivoltogli dalle varie bande tribali di cui è composto il PD. Di solito quando uno lo prende in quel posto una volta non corre a mostrare il deretano, a meno che non gli piaccia: se è così, caro Enrico, buon pro ti faccia. Per quella gente lì ci vorrebbe un Charles Bronson, non un Don Matteo: ce l’hai la pistola, o almeno le pall(ottole)? Spero che lo spirito che ti animi sia quello di V come Vendetta, altrimenti tra qualche mese o settimana ti ritroverai ancora a stare sereno. Nel discorso di accettazione non sono mancate le solite supercazzole dello Ius Soli o del voto ai sedicenni, mi sembrano proprio argomenti all’ordine del giorno, per un partito che sta sul pezzo.

La notizia che più mi ha addolorato, questa settimana, è stata quella della morte di Raoul Casadei. Chi mi segue da un po’ sa che in gioventù ho contribuito a fondare un’orchestrina da ballo, suonavamo liscio, musica leggera, swing, musica sudamericana, samba, cha-cha-cha, bolero, beguine… abbiamo cominciato a fare serate a sedici anni, e ci accompagnavano i nostri genitori; l’orchestra spettacolo di Casadei era uno dei nostri miti, altro che Genesis, altro che Led Zeppelin. Ciao Mare fu forse il primo pezzo che imparammo, ero ancora al clarinetto, prima di passare al basso; siccome firmavo i borderò della Siae, ovvero il modulo che bisognava riempire ogni serata con l’elenco dei pezzi che erano stati suonati per riconoscere i diritti agli autori, periodicamente le case discografiche mi mandavano a casa gli spartiti, quelli di Casadei erano forse quelli più completi, e mi sono arrivati fino a qualche anno fa, quando ormai non suovano più da qualche decennio. Nella nostra zona non c’erano grandi balere come in Romagna, c’erano sale piccole ricavate da cinematografi, sale di ristoranti, addirittura stalle riadattate… gente semplice, appassionata, festosa, forse ingenua, come sicuramente lo eravamo noi, ragazzini di un’altra epoca. Romagna e Sangiovese, la Mazurka di periferia, Ja Ja Allegria… grazie, Raoul, per tutta la gioia che ci hai dato, e che speriamo nel nostro piccolo di essere riusciti a trasmettere.

Amiche e amici, è con un pizzico di nostalgia che vi saluto, ero molto più giovane e la mela annurca sicuramente non mi serviva;  vado a stappare una bottiglia, alla mia ed alla vostra salute. A presto!

Olena à Paris – 37

Seduti ad un tavolo di una piccola brasserie in Place de Tertre, la piazzetta degli artisti di Montmartre, James e Serge stanno consumando uno spuntino con un tagliere di formaggi assortiti e qualche fetta di quiche Lorraine, il tutto accompagnato da una bottiglia di Crémant d’Alsace Brut, e discutono amabilmente del più e del meno.
«James, per la miseria, spero che abbiate un’idea di quello che state combinando. Dieci milioni per comprare quello che è già vostro! Guarda che io posso coprirvi fino ad un certo punto, poi qualcuno verrà a chiedermi spiegazioni…»
«Non preoccuparti, la contessa sa quello che fa, di solito» afferma James, cercando di essere convincente.
«Che vuol dire “di solito”? Vedete di non fare scherzi, io sto rischiando le chiappe!» protesta il banditore.
«Te l’avevo mai detto che sei affascinante quando ti arrabbi?» domanda il maggiordomo inclinando leggermente la testa e sollevando il calice. «Comunque stai tranquillo, le tue chiappe con me stanno al sicuro» lo rassicura, con un sorrisetto lievemente allusivo.
Prima che Serge possa rispondere una coppia di bohémiens con in testa dei cappelli di paglia, all’apparenza due pittori, si avvicinano al tavolo.
«Facciamo un ritrattino, signori?» chiede il più alto dei due, mettendo in mostra dei bicipiti insolitamente sviluppati per un artista. Serge, accarezzando per un attimo l’idea di fungere da modello, declina gentilmente l’invito:
«Magari un’altra volta, amico. Se non l’avessi notato stiamo mangiando e non ci piace essere disturbati, quindi fai il favore di portare i tuoi pennelli da qualche altra parte e vai a fare il ritrattino a qualche turista»
«Ehm, Serge, non è il caso di essere così… scortese» lo trattiene James. «Anche loro hanno diritto di guadagnarsi da mangiare, non credi?»
«Ma possibile che con tutte le persone che girano qui intorno proprio a noi dovete venire a rompere le scatole?» sbotta ancora l’armeno. «Comunque James tu sei liberissimo, per me puoi farti ritrarre pure da putto della Cappella Sistina, io finisco la quiche e poi mi fumo un bel sigaro, alla faccia vostra»
«Non le hanno mai detto che il fumo fa male, signore?» chiede il nerboruto, beffardo. Serge punta la forchetta verso l’impertinente, pronto a rispondere per le rime, quando nota un piccolo particolare che prima gli era sfuggito, ovvero il silenziatore collegato alla canna della Sig-Sauer SP 2022 che il secondo pittore sta tenendo premuto contro il costato del suo amico.
«Quand’è così, signori, considerata la vostra squisita cortesia, accetteremo l’invito. Signorina?» chiama Serge, alzando il braccio verso la cameriera: «L’addition, s’il vous plaît».

«¡Te digo que ha sucedido un drama!» urla in falsetto Miguel al telefono.
«Cosa successo a signuora? Tu prende fiato, e racconta tutto in ordine. E parla italiano, por favor» lo esorta Olena, all’altro capo della linea.
«E’ arrivata all’improvviso, io stavo potando le siepi del boschetto… aveva una macchina nera guidata da un ragazzone, nero pure lui, che sarà stato alto due metri, due spalle… »
«Non interessano questi dettagli. Cosa successo dopo?»
«Lei è scesa dalla macchina e si è avvicinata a Chico, il mio Miguelito… quando il bambino l’ha vista è rimasto a bocca aperta, e anche i koala, tutti a bocca aperta. Poi le si sono avvicinati, tutti volevano toccarla»
«Loro conoscevano lei?» chiede Olena, sorpresa.
«Eccome! E come potevano non riconoscerla? Loro volevano soltanto farle le feste. Ma lei è stata scostante, li ha scansati, si è diretta verso Chico e l’ha preso in braccio…»
«Lei voleva rapire Chico? Ma perché? E’ strano…»
«Be’, insomma, proprio strano non è, in fondo è sempre la sua mamma. Ma quando i koala si sono accorti che voleva portar via il loro fratellino non gliel’hanno permesso. Hai mai visto dei koala arrabbiati? Sembrano così teneri, ma tengono un bel caratterino! Li hanno circondati e prima hanno addormentato l’autista a forza de golpes, de mazzate insomma, e poi hanno preso lei e l’hanno imbavagliata e legata»
«Si può sapere di che stai parlando? Chi è stato imbavagliato e legato?»
«Ma come, chi? La signora, no? Conchita, mia moglie, o meglio la madre di Chico! I koala la guardano sempre in tv, si sono offesi quando lei li ha trattati male. L’hanno impacchettata e caricata su un camion di tortellini ripieni di eucalipto e menta in partenza per la Svezia» rivela finalmente il giardiniere. Al telefono si sente un respiro profondo, come di chi cerchi di non perdere la calma, e poi Olena sbotta:
«Miguel, quando tuorna io strappa te tue pallette muoscie. Io intendeva signuora Gilda. Cosa successo alla signuora, quando l’hanno presa?»
«Hanno preso la señora? O madre de Dios! Sven!! Svengard!!! Ven aquí, rápido!» chiama Miguel, con voce stridula. Il norreno, che poco lontano si sta allenando a sollevare sezioni di tronco d’abete a torso nudo, accorre prontamente, con tronco e tutto.
«Sven, la russa qua dice che qualcuno ha rapito la señora Gilda. Ma no es posible, la señora era con te, non è vero?» chiede Miguel incredulo. Poi notando le gote dello svedese imporporarsi, nonché le orecchie, scuote la testa e dice ad Olena «E’ meglio che parli con lui» e passa il cellulare al vichingo. Il silenzio pieno di imbarazzo viene rotto dalla russa, che chiede:
«Svengard?»
«Si?» risponde l’uomo.
«Cosa successo a tua donna?» chiede con un fremito all’udire la voce dell’unico uomo che finora le ha resistito.
«Ecco, io… non lo so» confessa Svengard.
«Che vuol dire non lo sai? Eri o non eri con lei?» alza la voce Olena.
«Si, si, ma… ecco, siamo andati a quella stupida conferenza… c’era quell’ometto assurdo, un certo Propoli, Augusto Propoli, Gilda se lo mangiava con gli occhi, e si è fatta anche fare l’autografo su uno dei suoi libri… ha cominciato a parlare di erbe, e tisane, e infusi, e clisteri e non so che altro e continuava a parlare, parlare… ad un certo punto penso di avere chiuso un attimo gli occhi»
«Te quedaste dormido, ti sei addormentato, insomma» chiosa Miguel, con un filo di perfidia.
«Ma solo per un attimo, lo giuro! O almeno credo… Quando mi sono svegliato la conferenza era finita e Gilda non c’era più, ho pensato che fosse andata da qualche parte con questo Propoli, e sono tornato a casa»
«Ma non hai provato a chiamare lei, a cercare di sapere dove lei era?» incalza Olena.
«No, veramente, ecco… io ho pensato che non volesse essere disturbata» risponde il norreno, timido.
«Glande uomo del Nold, il saggio dice: “conosci te stesso” » interviene il cinese Po, convenuto in tempo per seguire l’ultima parte della conversazione. «Tu hai tante qualità ma devi convincelti, non sei attlezzato pel pensale»