Secondo weekend delle Giornate FAI d’Autunno; i luoghi che visitiamo, meno spettacolari rispetto a quelli della scorsa settimana ma non meno interessanti, si trovano stavolta non “sul” ma “tra” i due rami del lago. Saprete tutti che il Lago di Como _ o Lario _ ha la forma di ypsilon rovesciata, o bastone da rabdomante se preferite, e che il ramo cantato da Manzoni non è quello di Como ma bensì di Lecco, che ha dato anche i natali a Formigoni se proprio vogliamo trovargli altri demeriti; il territorio compreso nella V rovesciata si chiama Triangolo Lariano, ed è nella parte meridionale di questo triangolo che i due paesi, Erba e Caslino d’Erba, si trovano. Erba anzi, per essere precisi, è già in Brianza, la parte più operosa del paese e dell’intero mondo se non dell’Universo, a parte forse qualche ristretta zona della Cina; Caslino invece è a pochi chilometri ma già più verso le Prealpi.

A proposito di vicende tristi, Erba è balzata agli onori () delle cronache, qualche anno fa, per la vicenda di Olindo e Rosa, i coniugi che, sembra esasperati dalle intemperanze dei vicini, hanno ordito e realizzato una strage; non oso pensare cosa avrebbero combinato in questi periodi di lockdown e coprifuoco, dove la gente va via di testa per molto meno…
Anche stavolta abbiamo prenotato on-line; insieme a due coppie di nostri amici ci eravamo riservato il pomeriggio della domenica, dato che i posti sono poco distanti; siamo partiti ciascuno con la propria auto, galvanizzati dall’ulteriore annuncio del premier Conte di ulteriori strette e privazioni. Abbiamo pensato fosse meglio non andare a cercarsi il freddo per il letto, come dicevano i miei colleghi quando abitavo a Parma…

La prima tappa è stata ad Erba, dove la visita prevedeva la Chiesa di Santa Eufemia ed il Borgo medievale di Villincino. La Chiesa ha una storia lunghissima, fu infatti fondata dal Vescovo Abbondio (ora Sant’Abbondio, a Como c’è una chiesa a lui dedicata, forse uno dei più begli esempi di romanico in Italia) che, di ritorno dal Concilio di Calcedonia (niente a che fare con le calze, lì si trattava di definire la natura del Cristo, di stabilire l’ortodossia, mica ciufole) portò il culto di Sant’Eufemia, questa giovinetta martirizzata per non aver abiurato alla fede; eravamo nel 451, poco prima del crollo dell’Impero Romano di Occidente, crollo che portò la Chiesa come unica istituzione rimasta prima a surrogare e poi ad assumere poteri civili, che mantenne poi per secoli alla faccia del “date a Cesare…”. Interessante il racconto del Battistero, che si trovava sul sagrato perché in origine solo i battezzati potevano entrare in chiesa, e della costruzione della torre in funzione sia difensiva che di comunicazione con altre torri distanti, con sistemi acustici (campane) o visivi (bandiere, fuochi) a seconda del tempo e del messaggio da trasmettere.
A pochi passi la Piazza del Mercato è la stessa dove si svolgeva il mercato nell’antichità; ora c’è una trattoria gestita da ragazzi che propone piatti della tradizione come ad esempio cassoeula, trippa (qui nella versione busecca, una sorta di brodaglia che non mi piace molto), salame d’oca, eccetera. Attraversato il mercato, a un centinaio di metri si arriva al Borgo di Villincino, a cui si accede attraversando il portone dell’antico castello; si tratta di un gruppo di case di origine medievale radunate appunto a quello che era il castello di tali Carpani, dei signorotti che avevano fatto fortuna con il carbone; una associazione, La Martesana, cerca di valorizzare questi luoghi, tenuti peraltro molto bene, con feste ed eventi quest’anno sfortunatamente proibiti. Nel Borgo pare abitassero un centinaio di persone, tra cui una strega (o almeno, sono stati trovati documenti relativi ad un processo in tal senso di cui però non si conosce l’esito, anche se dubito che le abbiano concesso le circostanze attenuanti). Una curiosità su questi Carpani: come sapete, per togliersele dai piedi si usava mandare le figlie non sposate in convento, ma il pietoso Carpani per non averle troppo lontane fece costruire un convento a pochi passi da casa, di cui naturalmente sua figlia era la Badessa: verrebbe da chiedersi, con vocazioni così spontanee, quante fossero all’epoca le Monache di Monza…
La visite avrebbero dovuto essere guidate dagli alunni di una classe di uno dei Licei della cittadina, purtroppo però una delle ragazze è risultata positiva al Covid e così tutta la classe è stata ritirata; i giovani volontari FAI comunque si sono rimboccati le maniche e li hanno sostituiti egregiamente. Uno di loro per la cronaca è mio figlio e sono contento di constatare che i soldi spesi per farlo studiare non sono stati stati buttati…

Alla fine della visita del borghetto ci siamo resi conto che non ce l’avremmo fatta ad arrivare in tempo a Caslino d’Erba per la prima delle due visite previste, quella all’Oratorio di San Gregorio; abbiamo allora deciso di rinunciarci puntando a quella più prestigiosa, al palazzo Pecori, e ci siamo rifocillati nella trattoria di cui vi dicevo sopra, con tavoli separati per evitare assembramenti: donne da una parte, con tè, caffè e dolcetti e uomini dall’altra, con birra e ginseng corroborante.

Ritemprati ci rechiamo quindi a Caslino d’Erba, parcheggiando appena fuori del paese perché il centro è fatto di viuzze strette dove ogni tanto si incastrano delle auto, e proprio pochi giorni fa non si sa come addirittura un camion, tradito dal navigatore Gps, ci si è andato ad infognare e per uscire ci ha messo del bello e del buono, danneggiando peraltro un paio di macchine lì parcheggiate.
La visita riguardava Palazzo Pecori, per la prima volta aperto al pubblico; la storia risale al tempo degli Sforza e Visconti, forse addirittura prima dato che nei pressi è stata trovata una fornace di origine romana; comunque dopo varie vicissitudini è arrivato fino ai giorni nostri finché gli eredi degli ultimi proprietari, appunto i Pecori originari di Firenze, l’hanno ceduto al Comune di Caslino d’Erba nudo e crudo, infatti i mobili e gli arredi di qualche valore se li sono portati via tutti… L’edificio ha di certo conosciuto giorni migliori ed ha bisogno di restauri pesanti; di notevole bellezza sono degli affreschi risalenti al settecento, di cui però non ho testimonianze fotografiche che ne rendano l’idea perché la visita è iniziata alle 17, e a causa del cambiamento d’orario eravamo già al buio; al piano affrescato non c’era la corrente elettrica per cui ci siamo dovuti arrangiare con torce elettriche e telefonini.
Due figure spiccano tra i vari proprietari succedutisi: Teresa Carini Castelletti, una donna austera che all’inizio dell’ottocento si dice fosse una specie di sindachessa del paese, a lei si rivolgevano infatti i paesani per dirimere liti o controversie; ed il cavaliere Enrico Pecori, che sposò una delle bisnipoti di Teresa diventando il padrone del palazzo, e che nel 1891 inventò il triciclo a vapore con il quale se ne andava tutti i giorni da Caslino d’Erba a Como, dove aveva un laboratorio di oreficeria. Incuriosito, appena tornato a casa sono andato a consultare la mia “Storia dell’Automobile”, un bellissimo libro che mi venne regalato in quinta elementare come borsa di studio insieme ad una cartella in pelle, e che conservo come una reliquia: si, Pecori c’è, peccato che poco dopo i motori a scoppio presero il sopravvento e per il suo triciclo non ci fu più spazio…


Amiche e amici, temo che per qualche tempo queste visite ce le sogneremo, cerchiamo di stupirci, di gioire e di godere comunque di quello che abbiamo intorno che, come diceva Eduardo, à dda passà ‘a nuttata…
