Cultura a secchiate! (II)

Secondo weekend delle Giornate FAI d’Autunno; i luoghi che visitiamo, meno spettacolari rispetto a quelli della scorsa settimana ma non meno interessanti, si trovano stavolta non “sul” ma “tra” i due rami del lago. Saprete tutti che il Lago di Como _ o Lario _ ha la forma di ypsilon rovesciata, o bastone da rabdomante se preferite,  e che il ramo cantato da Manzoni non è quello di Como ma bensì di Lecco, che ha dato anche i natali a Formigoni se proprio vogliamo trovargli altri demeriti; il territorio compreso nella V rovesciata si chiama Triangolo Lariano,  ed è nella parte meridionale di questo triangolo che i due paesi, Erba e Caslino d’Erba, si trovano. Erba anzi, per essere precisi, è già in Brianza, la parte più operosa del paese e dell’intero mondo se non dell’Universo, a parte forse qualche ristretta zona della Cina; Caslino invece è a pochi chilometri ma già più verso le Prealpi.

A proposito di vicende tristi, Erba è balzata agli onori () delle cronache, qualche anno fa, per la vicenda di Olindo e Rosa, i coniugi che, sembra esasperati dalle intemperanze dei vicini, hanno ordito e realizzato una strage; non oso pensare cosa avrebbero combinato in questi periodi di lockdown e coprifuoco, dove la gente va via di testa per molto meno…

Anche stavolta abbiamo prenotato on-line; insieme a due coppie di nostri amici ci eravamo riservato il pomeriggio della domenica, dato che i posti sono poco distanti; siamo partiti ciascuno con la propria auto,  galvanizzati dall’ulteriore annuncio del premier Conte di ulteriori strette e privazioni. Abbiamo pensato fosse meglio non andare a cercarsi il freddo per il letto, come  dicevano i miei colleghi quando abitavo a Parma…

Martirio di Santa Eufemia di Calcedonia

 La prima tappa è stata ad Erba, dove la visita prevedeva la Chiesa di Santa Eufemia ed il Borgo medievale di Villincino. La Chiesa ha una storia lunghissima, fu infatti fondata dal Vescovo Abbondio (ora Sant’Abbondio, a Como c’è una chiesa a lui dedicata, forse uno dei più begli esempi di romanico in Italia) che, di ritorno dal Concilio di Calcedonia (niente a che fare con le calze, lì si trattava di definire la natura del Cristo, di stabilire l’ortodossia, mica ciufole) portò il culto di Sant’Eufemia, questa giovinetta martirizzata per non aver abiurato alla fede; eravamo nel 451, poco prima del crollo dell’Impero Romano di Occidente, crollo che portò la Chiesa come unica istituzione rimasta prima a surrogare e poi ad assumere poteri civili, che mantenne poi per secoli alla faccia del “date a Cesare…”. Interessante il racconto del Battistero, che si trovava sul sagrato perché in origine solo i battezzati potevano entrare in chiesa, e della costruzione della torre in funzione sia difensiva che di comunicazione con altre torri distanti, con sistemi acustici (campane) o visivi (bandiere, fuochi) a seconda del tempo e del messaggio da trasmettere.

A pochi passi la Piazza del Mercato è la stessa dove si svolgeva il mercato nell’antichità; ora c’è una trattoria gestita da ragazzi che propone piatti della tradizione come ad esempio cassoeula, trippa (qui nella versione busecca, una sorta di brodaglia che non mi piace molto), salame d’oca, eccetera. Attraversato il mercato, a un centinaio di metri si arriva al Borgo di Villincino, a cui si accede attraversando il portone dell’antico castello; si tratta di un gruppo di case di origine medievale radunate appunto a quello che era il castello di tali Carpani, dei signorotti che avevano fatto fortuna con il carbone; una associazione, La Martesana, cerca di valorizzare questi luoghi, tenuti peraltro molto bene, con feste ed eventi quest’anno sfortunatamente proibiti. Nel Borgo pare abitassero un centinaio di persone, tra cui una strega (o almeno, sono stati trovati documenti relativi ad un processo in tal senso di cui però non si conosce l’esito, anche se dubito che le abbiano concesso le circostanze attenuanti). Una curiosità su questi Carpani: come sapete, per togliersele dai piedi  si usava mandare le figlie non sposate in convento, ma il pietoso Carpani per non averle troppo lontane fece costruire un convento a pochi passi da casa, di cui naturalmente sua figlia era la Badessa: verrebbe da chiedersi, con vocazioni così spontanee, quante fossero all’epoca le Monache di Monza…

La visite avrebbero dovuto essere guidate dagli alunni di una classe di uno dei Licei della cittadina, purtroppo però una delle ragazze è risultata positiva al Covid e così tutta la classe è stata ritirata; i giovani volontari FAI comunque si sono rimboccati le maniche e li hanno sostituiti egregiamente. Uno di loro per la cronaca è mio figlio e sono contento di constatare che i soldi spesi per farlo studiare non sono stati stati buttati…

Alla fine della visita del borghetto ci siamo resi conto che non ce l’avremmo fatta ad arrivare in tempo a Caslino d’Erba per la prima delle due visite previste, quella all’Oratorio di San Gregorio; abbiamo allora deciso di rinunciarci puntando a quella più prestigiosa, al palazzo Pecori, e ci siamo rifocillati nella trattoria di cui vi dicevo sopra, con tavoli separati per evitare assembramenti: donne da una parte, con tè, caffè e dolcetti e uomini dall’altra, con birra e ginseng corroborante.

Oratorio di San Gregorio – Caslino d’Erba

Ritemprati ci rechiamo quindi a Caslino d’Erba, parcheggiando appena fuori del paese perché il centro è fatto di viuzze strette dove ogni tanto si incastrano delle auto, e proprio pochi giorni fa non si sa come addirittura un camion, tradito dal navigatore Gps, ci si è andato ad infognare e per uscire ci ha messo del bello e del buono, danneggiando peraltro un paio di macchine lì parcheggiate.

La visita riguardava Palazzo Pecori, per la prima volta aperto al pubblico; la storia risale al tempo degli Sforza e Visconti, forse addirittura prima dato che nei pressi è stata trovata una fornace di origine romana; comunque dopo varie vicissitudini è arrivato fino ai giorni nostri finché gli eredi degli ultimi proprietari, appunto i Pecori originari di Firenze, l’hanno ceduto al Comune di Caslino d’Erba nudo e crudo, infatti i mobili e gli arredi di qualche valore se li sono portati via tutti… L’edificio ha di certo conosciuto giorni migliori ed ha bisogno di restauri pesanti; di notevole bellezza sono degli affreschi risalenti al settecento, di cui però non ho testimonianze fotografiche che ne rendano l’idea perché la visita è iniziata alle 17, e a causa del cambiamento d’orario eravamo già al buio; al piano affrescato non c’era la corrente elettrica per cui ci siamo dovuti arrangiare con torce elettriche e telefonini.

Due figure spiccano tra i vari proprietari succedutisi: Teresa Carini Castelletti, una donna austera che all’inizio dell’ottocento si dice fosse una specie di sindachessa del paese, a lei si rivolgevano infatti i paesani per dirimere liti o controversie; ed il cavaliere Enrico Pecori, che sposò una delle bisnipoti di Teresa diventando il padrone del palazzo, e che nel 1891 inventò il triciclo a vapore con il quale se ne andava tutti i giorni da Caslino d’Erba a Como, dove aveva un laboratorio di oreficeria. Incuriosito, appena tornato a casa sono andato a consultare la mia “Storia dell’Automobile”, un bellissimo libro che mi venne regalato in quinta elementare come borsa di studio insieme ad una cartella in pelle, e che conservo come una reliquia: si, Pecori c’è, peccato che poco dopo i motori a scoppio presero il sopravvento e per il suo triciclo non ci fu più spazio…

Amiche e amici, temo che per qualche tempo queste visite ce le sogneremo, cerchiamo di stupirci, di gioire e di godere comunque di quello che abbiamo intorno che, come diceva Eduardo, à dda passà ‘a nuttata…

Interessante ritrovamento in cantina

Salviamo i pigoscelidi antartici!

Cronachette della fase tre (9-10 settembre)

Greenpeace informa che su Elephant Island, il luogo della Penisola Antartica che ospita una delle più importanti colonie di pinguini dell’Antartide, la popolazione di questi simpatici pigoscelidi è diminuita del 60% in cinquanta anni. Di chi è la colpa? Ma nostra, naturalmente, di noi umani, che con il nostro modo di vivere incosciente alteriamo l’habitat necessario alla loro sopravvivenza: se si alza la temperatura dell’acqua i ghiacci non si formano come dovrebbero ed il krill, i gamberetti che sono cibo per molti animali, non si riproduce a dovere. Continuando così, faremo scomparire anche i pinguini.

Certo che siamo una specie ben strana: abbiamo le case piene di animali di compagnia veri o presunti idolatrandoli ben oltre il lecito, ci prodighiamo per far accoppiare in cattività i panda e tagliamo le foreste dove vivono migliaia di altre specie di cui sostanzialmente ce ne impipiamo; aiutiamo i rospi ad attraversare la strada di notte per non farli schiacchiare dalle auto, e ci rifiutiamo pervicacemente di cambiare, anche minimamente, quelle abitudini che stanno portando il mondo al disastro.

Ma come, direte, proprio tu parli così che non più tardi di ieri volevi dare una bella sfoltita alla popolazione di cinghiali a te limitrofi? Bè, innanzitutto i cinghiali non sono in estinzione, anzi, si riproducono a velocità abbastanza elevate, una femmina può anche sfornare una ventina di cuccioli all’anno; è vero che di norma si fanno gli affari loro rotolandosi nel fango ma capita spesso che attraversando qualche strada causino incidenti (nel 2018, solo in Lombardia, 803) e se qualche cacciatore di funghi si imbatte in qualche femmina con la cucciolata, è meglio che scappi… Perché sono così tanti? Perché non hanno predatori naturali, dato che i lupi sono pochini e l’uomo non li può cacciare (salvo una quota stabilita dalle Regioni di anno in anno, e solo da cacciatori selezionati), e perché trovano il cibo che i pinguini non trovano. E se non lo trovano nel bosco, se lo vanno a cercare dove capita…

Comunque che devo dirvi, io gli animali li ho avuti e gli ho voluto bene ma non è che mi inteneriscano troppo: mi hanno detto che qualcuno degli indagati per l’omicidio del ragazzo di Colleferro, l’altro giorno, sul suo profilo social aveva dei bei post di animaletti: che teneri, che cuori d’oro. Ammazzare un ragazzo va bene: ma guai a maltrattare i teneri gattini!  Che poi vorrei capire come si fa a parlare di omicidio preterintenzionale quando in quattro si picchia uno già a terra e senza difese…

Un mio amico ha avuto una bella avventura con un cinghialetto: una mattina è uscito di casa e se ne è trovato uno in giardino, caduto letteralmente dal cielo ovvero scivolato dalla scarpata dietro casa, passato sotto la rete del muro di cinta e volato per circa tre metri, atterrando sulle lastre di cemento vicine al garage. L’animale sembrava morto, ma il tempo di rientrare in casa per svegliare il figlio e fargli prendere qualche provvedimento che questo (il cinghiale, non il figlio) si è alzato ed ha iniziato a caracollare per il giardino, cominciando a grufolare ed a rovistare nell’orto a cui il mio amico tiene gelosamente. Voi che avreste fatto? Lui ha chiamato la forestale, pensando che questi avrebbero provveduto a prelevarlo e riportarlo nel bosco. Invece si sono presentati disarmati, e vedendo che il suino era ferito e malandato, hanno deciso che non si potesse fare altro che sopprimerlo. Peccato che non avessero nessuna arma, ed il mio amico non fosse munito di doppietta: così si sono fatti prestare un tubo di ferro, e l’hanno abbattuto con quello. Quando l’ho saputo ho rimproverato il mio amico, così eravamo capaci anche noi e avremmo anche potuto metterlo a frollare nel congelatore! Quindi un consiglio spassionato, cari amici, se vi piove un cinghiale un giardino non state a perder tempo a chiamare forestali o affini, munitevi di tubo!

Come vi ho raccontato qualche tempo fa, il giovedì mattina sono di corvée, ovvero vado a fare spesa al supermercato, ma solo degli articoli ingombranti; l’operazione è ormai diventata talmente ripetitiva che in mezzora riesco a fare il giro, caricare il carrello e pagare: non ci trovo niente più di divertente, tanto che sto pensando di convertirmi alla spesa online, tanto il corriere mi trova di sicuro a casa… mi è successa solo una cosa curiosa, vi avevo parlato della signora nigeriana alla quale prendevo i pacchi più pesanti, l’acqua, il latte, e glieli portavo dato che lei non ha l’automobile: bene, la signora abbastanza imbarazzata mi ha pregato di non portarglieli più, perché i vicini sono invidiosi e gelosi. Non vorrei a mia insaputa aver alimentato maldicenze ai suoi danni comunque l’invidia è una brutta bestia e non me la sento di condannarla per quella che mi sembra una superstizione bella e buona. Così adesso la roba devo scaricarla nel mio garage, e poi se la viene a prendere in motorino: come complicarsi la vita quando è già complicata…

Sento che molti, specialmente del centrodestra, sono preoccupati dalla mancanza dei banchi per le scuole. Amici, ma vi ricordate che prima del Covid in certe scuole mancava persino la carta igienica, e dovevano portarla i genitori? Mi rivedo un sabato, nel cortile della scuola medio di mio figlio, a fare le pulire che il Comune non svolgeva più da anni: trovammo persino un bidet rotto in mezzo alla sterpaglia, ed il preside ebbe il coraggio di venire a lamentarsi perché non avremmo dovuto essere lì. Dov’è dunque la meraviglia, la novità? E poi ‘sti maledetti banchi perché non erano già singoli, mi chiedo? Io lo avevo singolo alle elementari, alle medie ed alle superiori, che diamine è cambiato nel frattempo? Comunque un preside li ha mandati in una falegnameria e li ha fatti tagliare in due: ben fatto!

Amiche e amici, avrei voluto parlare anche di vaccini e politica internazionale ma, sarà che mi sento un po’ pinguino, avrei dovuto volare un po’ troppo alto. Per ora, di internazionale, mi accontenterò del cous cous in previsione stasera…

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Vita quotidiana al tempo del coronavirus (LIX)

Mercoledì 22 aprile

Oggi è una bella giornata, un po’ freschina ma soleggiata, e con il sole naturalmente anche l’umore migliora; all’inizio di questa storia pensavo che se fuori avesse fatto brutto si sarebbe sofferto meno, si avrebbero avuti meno rimpianti ma mi sbagliavo, il tempo brutto è deprimente in ogni caso e quindi è molto meglio che splenda il sole, almeno chi ha il balcone può goderselo e gli altri invece possono sognare di andare al mare…

Non credo che qualche responsabile della pulizia urbana legga i miei post, comunque stamattina i marciapiedi erano puliti (e mi dicono fonti affidabili che da giorni anche il sottopassaggio è decente); segnalo, nel caso, che sul davanzale di una finestra a pianterreno vicina al negozio di pianoforti giace da una settimana una buccia di banana abbandonata da qualche buontempone, domani spero di non trovarla ancora lì ma se così fosse farò il bravo cittadino e la butterò via di persona pirsonalmenti.

Tante auto in giro, a piedi quasi nessuno; senza aspettare la fase 2 sono riprese molte attività, è fastidiosa questa faccenda che la gente per prendere una boccata d’aria possa andare a lavorare ma non farsi una passeggiata al parco. Com’era quel motto: “Work buy consume die”?  C’è voglia di ritorno alla normalità, ritorno al passato: infatti ieri c’è stato un morto sul lavoro, la fabbrica produceva lamiere in ferro, chissà se sarà stato così indispensabile.

La mascherina che la Regione distribuiva gratis si è già rotta, al secondo uso. Si è staccato un elastico e l’ho riattaccato facendoci un nodo, solo che adesso mi tira su un orecchio. Devono essere fallate perché non sono il solo a cui è successo questo incidente, gli elastici sono attaccati con un goccio di colla ed è un attimo che si sgancino. Speriamo che la seconda ondata sia migliore, ora che tutti si sono messi a fare mascherine dovremmo esserne ricoperti… a proposito di Regione, mi è appena arrivato un sms della Lombardia che invita a scaricare la app AllertaLOM dove tenere traccia giorno per giorno del proprio stato di salute, per aiutare a tracciare la mappa del contagio. Assolutamente anonima, dice. Mah, ci penserò.

Qualche giorno fa in Yemen c’è stata una alluvione devastante, con campi profughi distrutti e diversi morti. Chi l’ha saputo? Ormai i TG parlano solo di coronavirus, il mondo sembra sospeso ma non è così; e succede pure che questi poveracci, dove da anni è in corso una guerra (per lo più ignorata) con conseguente catastrofe umanitaria, con buona parte della popolazione senza accesso ai medicinali, dove persino la tregua stabilita per l’emergenza Covid19 fa fatica a mantenersi (ma non credo che il virus basti a fermare i gruppi jiadhisti che scorrazzano) muoiano pure per le alluvioni… quando si dice piovere sul bagnato.

Oggi è la Giornata Mondiale della Terra; terra che ci ha fatto un bello scherzetto, o meglio in un modo o in un altro lo scherzetto ce lo siamo fatto da soli, sia che la trasmissione del virus all’uomo sia avvenuta per via naturale da animali che man mano si trovano ristretto e violato il proprio spazio vitale, sia che se il virus sia “scappato” da qualche laboratorio… come leggevo l’altro giorno, in Europa in un anno muoiono più di  400.000 persone per le conseguenze dell’inquinamento atmosferico, ma non sembra che ce ne preoccupiamo più di tanto…

Mi ha scritto, come tutti gli anni, l’albergatore di Milano Marittima dove andavo a passare qualche giorno quando mio figlio era piccolo. Questo significa fidelizzare i clienti! Dato che quest’anno non credo si potrà andare molto lontano, quasi quasi ci faccio un pensierino. Si mangiava da Dio…

Amiche e amici, per oggi vi saluto perché ho da risolvere una rognetta al lavoro e non è il caso di tirarla per le lunghe, a domani!

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Affidiamo Venezia agli olandesi!

L’Olanda, o per meglio dire i Paesi Bassi, ha più di un terzo del proprio territorio sotto il livello del mare (e non di poco: di metri e metri) e quindi si può ben dire che gli olandesi siano all’avanguardia nei sistemi di sicurezza, altrimenti sarebbero sommersi da un bel po’.

Solo la diga ‘Afsluitdijk’ è lunga 32 chilometri, quando per chiudere l’intera laguna veneta ne basterebbero una ventina; certo noi siamo più fantasiosi e abbiamo pensato di sfruttare le dighe naturali già presenti, ovvero l’Isola di Pellestrina, l’Isola di Lido e la penisola di Cavallino, chiudendo solo le imboccature: la Bocca di porto di Chioggia, la Bocca di porto di Malamocco, e la Bocca di porto di Lido.

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Il tutto con delle paratie mobili, che dovrebbero attivarsi solo in caso di acqua alta eccezionale; sul concetto di eccezionale sarà bene mettersi d’accordo al più presto, perché ormai l’eccezionalità sta diventando la norma.

Come è noto, più le cose sono complicate più sono delicate e costose, e più è difficile gestirle; e il famoso Mose (che qualche delinquente pensava di replicare sul lago di Como, progetto fortunatamente sventato _ per ora _ da un pensionato uscito per “pisciare” il cane) per ora, dopo aver divorato 5,3 miliardi di euro (di cui una buona fetta è stata davvero mangiata, come nelle nostre migliori tradizioni) non è ancora finito, e quello che più preoccupa è che non si sa se mai funzionerà.

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Poiché cincischiando cincischiando finirà che Venezia la faremo affondare, e dato che Venezia è ormai una Disneyland mondiale, propongo di fare con la laguna quello che vorrei fare con l’Amazzonia di Bolsonaro: internazionalizzarla, e farla gestire a chi è più capace di noi e, soprattutto, mangia di meno.

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Scrutando volatili

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Essendo universalmente noto che non ci capisco una cicca di uccelli & affini, ci si potrebbe chiedere che cosa stessi osservando con tanto interesse. Ricercavo l’ispirazione? Un senso alla vita anche quando un senso non ce l’ha? La ragione per cui quella colonia di cigni si è insediata proprio in quello specifico posto e ci sta da Dio? Il perché, quando si può andare a mangiare pizzoccheri e sciatt belli comodi con le gambe sotto al tavolo, ci si sdraia sull’erba a mangiare panini? Qualche malizioso potrebbe pensare che stessi ammirando la bionda sul motoscafino,  lo nego decisamente; e nemmeno il motoscafino, per la precisione. Pensavo che forse, ai cigni, se ci togliessimo tutti quanti di mezzo faremmo un favore, e allo stesso tempo mi chiedevo se il cigno con la polenta fosse commestibile: ed ero contento perché avevano dato brutto, ed invece c’era un sole estivo da scottarsi il naso. “L’autunno poi verrà”, cantava Peppino Gagliardi, a cui il grande Fabrizio de André rispondeva: “Cadrà l’inverno anche sopra il suo viso, potrete impiccarlo allora”, riferito a Gagliardi, ovviamente. Una cosa per volta, cari amici: intanto godiamoci quel che c’è, poi si vedrà.

 

AAA Greta etiope cercasi

Il nuovo governo etiope ha lanciato una grande campagna di riforestazione con la quale si prefigge di piantare, nel solo 2019, oltre quattro MILIARDI di alberi.

L’altro giorno, giusto per far vedere che non stavano scherzando, ne hanno piantati in un sol colpo duecento milioni: e se la smettessimo di guardarci sempre l’ombelico, anzi di guardare quelli di Salvini e Di Maio, questa è la notizia che dovrebbe aprire i telegiornali, invece della cronaca nera o rosa o marrone che sia.

Mi ricordo quando, alle elementari, in uno dei primi giorni di scuola si festeggiava la giornata dell’albero: con i nostri grembiuli neri, inquadrati dai maestri, venivamo portati a piantare gli alberi, e c’era il sindaco con la fascia che faceva un discorsetto. Eravamo tutti orgogliosi di aver contribuito a rendere più bella la terra e sarò nostalgico ma, ripassando di là a distanza di decenni, un po’ orgoglioso mi sento ancora.

Gli etiopi (secondo me c’è anche qualche lontano cugino da quelle parti, sparso da mio nonno il conquistatore d’Abissinia…) stanno provando coraggiosamente a combattere la desertificazione (colpa delle siccità ma anche e soprattutto dei tagli indiscriminati) e non sarà di sicuro facile, considerando che di acqua non ne hanno tantissima ed i cambiamenti climatici non li aiutano di certo.

Queste sono le imprese a cui dovrebbe partecipare tutto il mondo, invece di curare ciascuno il proprio orticello (per restare in tema botanico) perché se rinascono le foreste in Etiopia staremo meglio tutti; anzi, secondo me si dovrebbe arrivare anche ad “espropriare” le foreste ai vari Bolsonaro & c.  che non solo negano l’evidenza del surriscaldamento globale ma giustificano e favoriscono il disboscamento…

Secondo me c’è bisogno, per pubblicizzare questa grandissima impresa, di un po’ di marketing: ci vorrebbe una Greta etiope, insomma…

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Under the Dome

Nella serie televisiva Under the Dome (“Sotto la cupola”), tratta da un romanzo di Stephen King, una cittadina della provincia americana, Chester’s Mill,  rimane rinchiusa sotto una misteriosa cupola di energia. Nessuna possibilità di uscire all’esterno. Le risorse iniziano a scarseggiare: l’acqua, il cibo, i medicinali, il carburante, tutto è destinato ad esaurirsi.

A Chester’s Mill quindi ci si pone il problema di come ripartire queste risorse e la soluzione trovata, sebbene non brilli per originalità, ha senz’altro dei caratteri di efficacia: i più forti cercano di controllare le sorgenti, di arraffare le riserve di cibo, di controllare i depositi di gas; per far questo non esitano a uccidere quelli che fino a poco tempo prima erano i loro pacifici vicini di casa.

Sono sempre stato appassionato di fantascienza. Da piccolo mi piacevano un sacco i telefilm di “Ai confini della realtà”: me ne ricordo uno, terribile, dove c’era una fabbrica che produceva organi umani e da una parete spuntavano delle braccia. La notte, guardavo la parete di fronte al letto con qualche apprensione.

Tornando alla cupola, se allargassimo un po’ la prospettiva e ci ponessimo nell’ottica, mettiamo,  dell’astronauta Samanta Cristoforetti sulla Stazione Spaziale Internazionale, potremmo riflettere sul fatto che, in fondo, siamo tutti sotto un’enorme cupola.

Secondo Oxfam, una organizzazione che studia e sensibilizza sulle povertà e disuguaglianze nel mondo, la ricchezza delle 80 persone più ricche del pianeta è pari a quella della metà più povera. Siccome siamo sette miliardi, fatevi un po’ i conti. Ugualmente istruttivo è imparare che l’1% della popolazione detiene quasi la stessa ricchezza del restante 99%. Se è difficile immaginarlo, vi aiuto con un esempio. Prendete nove squadre di calcio, un arbitro e una torta. Dividete la torta in due. Una metà se la mangerà da solo l’ingordo portiere della Juve: i suoi compagni di squadra, gli avversari e l’arbitro stizzito si spartiranno l’altra metà, e nemmeno in parti uguali.

La cosa peggiore, secondo me, è che a questo stato di cose siamo così assuefatti che non ci facciamo nemmeno più caso. Lo consideriamo irreversibile. Prendiamo i combustibili fossili, carbone, petrolio, avete presente? Tutti sappiamo che prima o poi finiranno. Bisognerebbe prepararsi, magari chiedendosi se veramente in una famiglia servano due auto a testa. Nel frattempo, assistiamo a: guerre per il controllo delle fonti; sfruttamenti a uso e consumo di despoti che se ci fa comodo definiamo illuminati altrimenti feroci dittatori; metodi di estrazione sempre più invasivi e distruttivi (il famigerato fracking, che potrebbe essere stata la causa del terremoto in Emilia di due anni fa… le trivellazioni nel canale di Sicilia!);  ricerca di nuovi giacimenti in ambienti naturali incontaminati (persino dell’Artico… c’è chi esulta, ci dice Greenpeace, per lo scioglimento dei ghiacci che renderà più facile l’estrazione);  utilizzo delle terre coltivabili per produrre biocarburanti. Cioè, terra agricola non per produrre cibo per nutrire il pianeta (magari all’Expo si dovrebbe parlare di questo, più che di quanto siano belli i padiglioni delle archistar) ma per far viaggiare le automobili.

Assistiamo, ormai da 25 anni (da quando è caduto il muro, si può dire?), ad una sempre maggiore pressione dal sud e dall’est del mondo verso l’”occidente”, inteso come luogo di opportunità e benessere; popolazioni intere si spostano in cerca della loro fettina di torta che qualcuno gli ha nascosto. Per alcuni è una necessità vitale: dalle loro parti si muore, di guerra o di fame. Per altri è la ricerca dell’Eldorado, il Paese dei Balocchi di Pinocchio e Lucignolo, la speranza dell’Anno che verrà di Lucio Dalla: sarà tre volte Natale, e festa tutto il giorno. Per questi il risveglio, quando si accorgono che festa e torta non sono per loro, è traumatico.

Per restare in tema Expo, un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che nel mondo un miliardo di persone siano in sovrappeso, di cui 300 milioni clinicamente obese. Nel contempo, quasi un miliardo di persone soffre la fame. Qualcuno mangia troppo e male, e qualcun altro non mangia: la media è salva, anche se questo non è di consolazione , specialmente per i secondi.

Non che manchino le soluzioni: l’altro giorno ad esempio un amico mi ha raccontato una bella storia. Da bambini erano andati in gita con l’oratorio, e ognuno aveva portato la sua bella merenda preparata dalla mamma. Arrivati sul posto, il prete ha requisito panini, focacce e merendine. Poi li ha spezzati, e li ha messi in comune, o in comunione se preferite.

Io non so come andranno a finire le cose, a Chester’s Mill. Può darsi che un Dio benigno li tiri fuori dalla cupola, assicurando pace e prosperità; o può darsi che, preso atto che dalla cupola non si scappa, i superstiti riescano a collaborare insieme; o può essere che continuino come adesso, ma in questo caso si pone un piccolo problema di sceneggiatura: non è detto che i più forti di oggi lo siano per sempre. E la torta piace a tutti.

(38. continua)

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