Attaccatevi a ‘sto spread!

La settimana scorsa ho avuto delle belle soddisfazioni.

La prima è stata che ho ricevuto una proposta di lavoro, che data l’età non verdissima fa sempre piacere; ho fatto dei colloqui con ragazzi che potevano essere tranquillamente miei figli (se avessi conosciuto a suo tempo le madri), ed ho avanzato la mia richiesta economica, sulla quale li ho lasciati meditare.
Veramente mi sono venuti parecchi dubbi, ed il principale è: ma io ho ancora voglia di lavorare? Mica tanto, mi sono risposto. E dunque a questi ragazzi, nel caso decidano di prendermi, potrò essere davvero utile? Considerando che miei coetanei si stanno già avviando ai campi di bocce, sfruttando i vari scivoli che generosamente gli istituti bancari concedono (in larga misura con soldi dei contribuenti, non illudetevi), non ne sono così sicuro.

Quest’estate avrei voluto andare in vacanza in Liguria. Poi si è alzato il coro “Savona no, Savona no!” e pur non comprendendo questa ostilità verso la simpatica cittadina dovrò cambiare destinazione.

La seconda soddisfazione è stata che una signora mi si è seduta in grembo. Preciso che eravamo tutti e due vestiti. Il fatto è successo in metropolitana; io ero seduto intento a sbirciare un interessante articolo sul giornale del vicino di posto, quando la signora, che evidentemente non aveva ancora trovato modo di attaccarsi ai corrimano, è stata sorpresa dalla partenza brusca e, inciampando nella mia borsa posata in terra tra le mie gambe, ha compiuto una strana rotazione e più che sedersi mi è caduta sopra. Ho solo fatto in tempo ad allungare un braccio per tentare di sorreggerla, ed un osservatore poco attento avrebbe potuto malignare sul fatto che la mano si è appoggiata su una parte molle, indugiandovi forse un secondo di troppo. Naturalmente, da gentiluomo, mi sono offerto di cederle il posto, ma la signora ha declinato l’offerta, non risparmiando una critica alla collocazione della mia borsa, responsabile secondo lei dell’inciampo. Non è mia abitudine polemizzare con le persone che mi siedono addosso, perciò avrei lasciato perdere, quando un’altra signora non so perché ha risposto in mia vece, consigliando alla signora di attaccarsi meglio invece di prendersela con gli altri, e che se proprio avesse avuto qualcosa da ridire avrebbe dovuto prendersela con quelli che in metro indossano lo zaino in spalla, ostacolando e infastidendo tutti gli altri passeggeri.

Le persone che indossano gli zaini sui mezzi pubblici sono effettivamente una piaga. Fosse per me vieterei l’accesso alle metropolitane a quelli che indossano zaini, anche per una questione di ordine pubblico. Tantissimi di loro ci trasportano computer, ad esempio.

La terza soddisfazione è che a settembre torneremo a votare.
La campagna elettorale, di cui abbiamo già le prime avvisaglie, sarà stucchevole e deprimente: una parte, sempre senza entrare nel merito, cercherà di accreditarsi come europeista-antifascista-antisovranista, insomma i migliori che sanno qual è il bene del popolo ma stranamente il popolo irriconoscente non ringrazia, contro i peggiori, i beceri, i puzzoni. A questi ultimi basterà dire che avevano avuto la maggioranza ma gli è stato impedito di governare, non dovranno nemmeno sforzarsi molto.
Per come si sono messe le cose, l’esito mi pare scontato e quindi si potrebbe anche fare a meno di andarci: stragrande vittoria del destra-centro ed in particolare di Salvini, sostanziale tenuta dei 5S, irrilevanza di tutto il resto dello schieramento politico.
Dopodiché, sempre che i manovratori dello spread lo consentano, si potrà avere un governo, che stavolta non farà prigionieri.

Comunque non si può negare che i tempi siano migliorati. Negli anni settanta per sbarrare la strada a chi voleva cambiare lo status quo si usavano le bombe. Oggi bastano lo spread e l’euro (per ora).

Una bella settimana, non c’è che dire!

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Cultura a mazzi! (I)

Terminato finalmente l’odioso ozio estivo, è ora di riaccendere i cervelli rimasti in modalità risparmio energetico: è arrivata l’ora della qultura con la Q maiuscola!

Il mio fratellino, sua moglie ed i loro due figlioletti sono venuti a trovarci nello scorso weekend, e da vero Cicerone ho preparato un programmino culturale di tutto rispetto, sul quale sono sicuro nemmeno Sgarbi e Philippe Daverio avrebbero da ridire. Piero Angela sappia che ho depositato il copyright, nel caso voglia usare lo spunto per una delle sue puntate di Superquark, nelle quali spesso si passa dall’accoppiamento delle scimmie del Suriname alla pigiatura dell’uva nel Canavese senza soluzione di continuità.

Prima giornata: Milano e i suoi tesori

Innanzitutto le due giornate sono state caratterizzate da spostamenti totalmente ecologici, ovvero abbiamo usato solo mezzi pubblici e piedi privati (i nostri). Deploro il ritardo culturale verso le maggiori città europee che spesso e volentieri propongono tariffe famiglia o piccoli gruppi parecchio vantaggiose. Mi offro di fare da consulente agli assessori ai trasporti della regione Lombardia e delle città di Milano e Como, dietro lauto compenso visto che loro non ci arrivano, per ridisegnare offerta e  tariffe. Sospetto che tutta questa gente che decide come si debba viaggiare non abbia mai preso un mezzo pubblico in vita sua. Mi tormenta inoltre un dubbio: come mai un ragazzo dell’età di 13 anni per pagare il biglietto è considerato adulto ed invece per lavorare è considerato minore? E udite udite questa considerazione l’hanno anche i preti che decidono le tariffe per entrare in Duomo, alla faccia della tutela della famiglia.¹

La prima tappa vede la netta separazione della componente maschile da quella femminile. Inseguiti da considerazioni del tipo: “Ma lasciali stare quei due scemi!” due anzi tre diversamente adulti ed un minore si sono diretti verso il tempio del calcio mondiale:

Lo stadio di San Siro!

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Che sempre San Siro rimarrà, con tutto il rispetto per il buon Peppino Meazza al quale lo stadio è intitolato da qualche annetto.

Incuranti della pioggia battente ci siamo diretti al Museo di San Siro! Che contiene magliette dei vari campioni della beneamata nerazzurra ed odiata rossonera, nonché di leggende che hanno calpestato l’erba di San Siro: Pelè, Maradona, Eusebio… corridoio delle interviste, e poi visita agli spogliatoi del Milan e dell’Inter con tanto di magliette appese; purtroppo i componenti della mia squadra mi erano all’80% sconosciuti, a testimonianza di quanto stia seguendo le vicende pallonare; infine accesso al campo! Dove un solerte addetto azionava il trattorino tagliaerba, attività che nella vecchiaia svolgerei volentieri, anche gratis. Valeva la pena pagare questo biglietto (salato), per sedersi sulla panchina del Mou e rivolgergli un pensiero grato, con accenno di lacrimuccia: 50 euro biglietto famiglia, cosa incontestabile dato che eravamo 2 coppie di fratelli.

Siamo passati poi nello Shop, dove una maglietta originale viene posta in vendita alla ragguardevole cifra di 141 euro. Sono rimasto un po’ a guardarla per vedere se, all’improvviso, si mettesse a correre da sola, e mi sono chiesto se indossandola funzionasse come un esoscheletro e fornisse al possessore le capacità di uno dei campioni che l’hanno indossata prima. Ma non succedeva niente, abbiamo salutato e ci siamo indirizzati verso la nuova attrazione di Milano:

La metropolitana lilla!

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La metropolitana lilla o linea cinque (ignoro che fine abbia fatto la linea quattro) è l’ultima costruita ed avveniristica, carrozze panoramiche che funzionano senza conducente. Questo impedisce che qualche autista si metta ad inforchettare spaghetti mentre guida, come successo recentemente a Roma, non accorgendosi di una turista rimasta appesa allo sportello di una carrozza; ed inoltre non dovendo rispettare orari sindacali il passaggio è molto frequente.² E’ così bella che avremmo continuato ad andare su e giù da capolinea a capolinea ma, come si dice, il tempo è tiranno! E le nostre signore ci stavano aspettando in Piazza Duomo minacciando che se non ci fossimo presentati subito a rapporto avrebbero iniziato ad usare le carte di credito. Così ci siamo fiondati all’appuntamento e dato che si era fatta una certa ora siamo andati a mangiare al

Bistrot della Galleria!

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Dove vi consiglio, se dovete andare in bagno, di andarci prima di mangiare perché il costo è di un euro (1936,27 lire del vecchio conio, per chi lo ricorda; se qualcuno quindici anni fa mi avesse chiesto 2000 lire per fare pipì l’avrei preso a schiaffi) ma vi danno un buono di 50 centesimi per la consumazione successiva. Se invece andrete dopo, il buono ve lo daranno lo stesso ma non saprete come usarlo perché avrete già speso un botto.

In questo luogo il bello non è mangiare e bere (dove comunque non si mangia male) ma l’ordinazione che potrete fare da computer con grandi schermi. Praticamente facendo da soli impiegherete 3 o 4 volte tanto che andando alla cassa, ma volete mettere che soddisfazione? Dopo quella mezzoretta passata a scorrere i menu e superato il panico del pagamento contactless con carta di credito (contanti schifati) ci siamo seduti su quegli alti sgabelli che poco si addicono a gente normolinea come me. In questo bel posto fanno anche hamburger di scottona! Che per chi non lo sapesse non è una varietà di mucca, tipo la chianina per capirci, ma una classificazione della carne: di femmina giovane e ben nutrita. Allo stesso prezzo dal kebabbaro vi daranno tutto l’intero rotolone di kebab, regolatevi voi. Comunque dalle finestre si gode una vista imperdibile della stupenda galleria Vittorio Emanuele (secondo), ed è con animo lieto e pio che ci siamo diretti al:

Duomo!

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Pioveva e faceva un freddo biscio ma intrepidi ci siamo messi in coda per accedere alla maestosa cattedrale. Mi fanno ridere quelli che dicono “non cambieremo le nostre abitudini”. Sveglia amici! Le abitudini le abbiamo cambiate e già da un pezzo. Vi  pare normale avere in giro esercito da ogni parte, manco fossimo nella Turchia degli anni ’70, trovare barriere di new jersey dappertutto (almeno in piazza Duomo il compito di frangiflutti è svolto con dignità e decoro dal nuovo bananeto) e impiegare 45 minuti per fare una trentina di metri di coda? E soprattutto: per entrare in Duomo si paga! Qualcuno dirà che così ci allineiamo alle città europee, la manutenzione costa etc etc. Tutto vero, non discuto. Ma mi chiedo come mai in questi anni di aumento delle ricchezze per i già ricchi non si riesca a togliere qualcosa a questi parassiti invece di saccheggiare le tasche delle persone normali. Sappiate, o giovani, che una volta in Duomo si entrava gratis. Adesso se volete entrare gratis dovete andare a messa, che male tra l’altro non vi fa.

Dentro al Duomo c’è la riproduzione a grandezza naturale della Madonnina posta sul tetto, la statua che due anni fa era all’Expo; mi manca l’Expo! Quasi in incognita quest’anno ce n’è stato uno in Kazakistan sull’energia, ma chi se l’è filato?

Per un attimo ho avuto la tentazione di spiegare ai nipoti il funzionamento della meridiana ma mi sono accorto di avere qualche lacuna in proposito. Che importa! Via verso la nuova tappa, il clou della giornata:

Il Museo di Scienze Naturali!

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Uno dei fiori all’occhiello dell’offerta museale milanese, meta obbligata di famiglie con bambini; quando mio figlio era piccolo ci siamo stati tantissime volte, ed era gratis (forse proprio per questo). Ora si paga 5 euro, però solo i maggiorenni. Farfalle, insetti, granchi, conchiglie, fossili, riproduzioni di animali in scala reale, animali impagliati (stranamente la Brambilla non ha ancora protestato), dinosauri, balene! Rispetto ad anni fa è stato riorganizzato, rinnovato, ed è molto meno dispersivo e molto più piacevole. Dopo aver considerato che l’evoluzione per alcuni non si è compiuta del tutto, o forse è addirittura in atto una regressione (l’argomento erano gli stupri di Rimini), abbastanza stanchini come direbbe Forrest Gump ci siamo diretti verso casa, non prima di una puntatina alla:

Chiesa di San Maurizio al Monastero Maggiore!

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La Cappella Sistina di Milano, con pareti affrescate e dipinti pregevolissimi, con un coro che lascia davvero a bocca aperta. E’ tenuta aperta dai volontari del Touring Club Italiano, che ringraziamo sentitamente.

E basta! Il giorno seguente lago, dove non mancherò di segnalare altri luoghi imperdibili.

(158 – continua)

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¹ Per entrare nel Duomo di Milano la tariffa minima è di 3 euro per gli adulti (!) e 2 euro i ridotti per bambini da 6 a 12 anni (si sono sforzati tutti con la riduzione).
2 La domanda a questo punto è: ma se automatizziamo tutto, che accidenti faranno gli umani?

La linea rossa (cinq’ ghei püsé ma ross)

In questi giorni di deja vù, dove recitando lo stesso consunto copione attori senza pudore  replicano la tragica commedia di stragi provocazioni e mistificazioni, ho deciso di tracciare la mia personale linea rossa.
Non avendo a disposizione armate o droni o gas nervini non saprei bene come far rispettare tale linea a chi decidesse di varcarla: togliergli l’amicizia da Facebook? Contrassegnare la casella di posta come spam? Bannarlo da wordpress? Invitarlo a bere per offrirgli una birra analcolica?

Poco tempo fa ho letto un articolo che mi sembrava indicativo dei tempi che corriamo, dove qualche psicologo suggeriva alle maestre di non usare la matita rossa per correggere i compiti, perché il colore troppo aggressivo turberebbe i pargoletti, ma optare per un più rassicurante verde, che sottolineerebbe l’errore ma senza deprimere l’errante. Quindi se lo scolaro dovesse scrivere “ieri ho andato a squola” la correzione non andrebbe urlata con matita rossa accompagnata dall’onesto commento sgarbesco “capra!capra!capra!”, ma ingentilita da un benevolo “acciderbolina!” in verde possibilmente pisello.

Il primo film che ricordi di aver visto al cinema fu un western. Avrò avuto cinque o sei anni; probabilmente ne avevo già visti altri, compreso il pernicioso “Marcellino pane e vino”, ma questo in particolare mi rimase impresso perché quella volta mi ci portò mio padre, e mi pare fu anche l’unica. L’emozione era grande; il cinema ce l’avevamo anche al paese, ma il capoluogo mi sembrava in capo al mondo e già il solo andarci faceva parte dell’avventura.
A quei tempi al cinema gli indiani erano cattivi, niente da dire. Attaccavano le fattorie isolate e massacravano tutti; rapivano le donne bianche per farle schiave; tendevano imboscate ai coloni e scotennavano i soldati che gli passavano a tiro. Al massimo ce n’era qualcuno, addomesticato, che faceva da guida scout; non c’erano dubbi che la ragione fosse dalla parte dei pionieri, dei costruttori di ferrovie, di chi portava la civiltà insomma.
Non saprei raccontare la trama del film perché passai la maggior parte del tempo a cercare di svegliare mio padre che addormentandosi iniziava a russare; alla fine comunque la tromba suonò la carica che annunciava l’”arrivano i nostri”: il bene trionfava.
Solo qualche anno dopo si iniziarono a vedere dei film che ribaltavano lo stereotipo uomo bianco=civile e buono vs. uomo rosso=selvaggio e cattivo, bisognò aspettare Soldato blu, Il Piccolo grande uomo e Corvo rosso non avrai il mio scalpo che ristabilivano la verità storica: gli indiani erano le vittime e gli uomini bianchi gli aggressori: ma ormai i pochi indiani rimasti erano stati rinchiusi da tempo nelle riserve, ed anche sapere di aver avuto ragione non so quanto fu loro di conforto.

Come avrà capito chi segue da un po’ i miei sproloqui, non sono astemio. Non sono un fine intenditore ne un sommelier, ma un vino buono se me lo date lo so riconoscere; non disdegno niente ma potendo scegliere preferisco il rosso. Da quando ho letto che il tannino contenuto nelle uve nere aiuta a tener pulite le arterie mi attengo scrupolosamente ai consigli medici. Mi sono anche fatto regalare (trovo che sia molto utile avere dei vizi per togliere d’impaccio chi deve fare i regali) un decanter per far ossigenare il vino stagionato prima di degustarlo; peccato che nella mia cantina alle bottiglie non venga lasciato il tempo di invecchiare quindi il decanter è ampiamente sottoutilizzato. Bere da soli, credo lo sappiate, non è consigliabile: è per questo che quando ci troviamo tra amici un paio di bottiglie le stappiamo. Nel mio paese, lo segnalo agli appassionati, una prestigiosa azienda produce un vino da competizione, il Pollenza: quando deciderò di meritarmelo investirò i 50 euri necessari all’acquisto, ma non credo lo farò stagionare molto.

A proposito di linea rossa, la metro che prendo tutti i giorni per andare al lavoro è rossa. Stamattina era piena zeppa di persone che si recavano alla Fiera del Mobile; ad un certo punto ho sentito un urlo ed ho visto una giapponesina catapultarsi fuori, seguita da un suo amico; le avevano sfilato il portafoglio dalla borsetta, mariuoli, ma la ragazza è stata veloce perché è riuscita ad acciuffare il ladro e farsi restituire il maltolto. Il tutto si è svolto così rapidamente che sono appena riuscito a intuire quello che stava succedendo e non ho capito come abbia “convinto” il ladro, forse ha usato qualche arte marziale: se è così ha fatto bene, così gli impara¹ a superare la sua linea rossa.

(133 – continua)

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¹ mi vedo costretto a precisare che, attenendosi strettamente alla lingua italiana,  “così gli impara” meriterebbe la matita rossa.  

 

Airbag

L’altra mattina, prendendo al volo la metropolitana che mi avrebbe portato al lavoro, piena per non so quale fiera, non sono stato abbastanza lesto ad aggrapparmi al corrimano in alto e, sbilanciato dalla partenza impetuosa della vettura azionata evidentemente da un conducente novizio, mi sono ritrovato addosso ad una prosperosa signora che mi ha accolto maternamente tra le braccia.

Alle scuse di circostanza che ho porto, la signora ha risposto: “Comoda la vita! E’ atterrato su un materasso soffice!”. Al che, concordando, ho ringraziato la benefattrice per avermi evitato la caduta, e lei di rimando: “Ma si figuri, non sa quanta gente li ha usati, questi airbag qua!”. Effettivamente si trattava di un modello superiore; mi ricordava molto quelle donnone per le quali, come ho già raccontato, mia madre cuciva reggiseni extra-large che avrebbero potuto benissimo funzionare da paracadute; taglie che oggigiorno, mortificate da palestre, diete vegane ed ideali di bellezza androgini, si riscontrano col contagocce e solo in poche zone d’Italia.

Sollevato dallo scampato pericolo non ho afferrato immediatamente il senso delle parole della maggiorata e soprattutto il sorrisetto malizioso che le accompagnava. Ho detto di non dubitarne affatto, immaginandola dedita, come opera di volontariato, all’assistenza dei perdenti equilibrio in metropolitana; quando però il doppio senso si è fatto largo nel mio cervello non nego che un filo di rossore abbia imporporato le mie gote, fenomeno che non deve essere sfuggito all’esuberante viaggiatrice: “Non si preoccupi, si appoggi pure” continuava ridendo, vedendo montare il mio imbarazzo.

Su persone meno integerrime di me l’invito avrebbe fatto sicuramente breccia; io l’ho cortesemente declinato, affermando di credere di non averne più bisogno e di farcela da solo; non mi sfuggiva lo sguardo dubitativo e l’accento leggermente canzonatorio col quale mi chiedeva: “Ne è proprio sicuro?”.

Anche se in linea teorica posso concedere alla giunonica compagna di viaggio che a questo mondo si è sicuri di poche cose, in quel momento mi sentivo ragionevolmente confidente di non avere bisogno di ulteriori appigli, pur ammettendo che in metropolitana e specialmente quando è affollata sono ben altri gli appoggi di cui temere, come capirà chi è pratico di metropolitane all’ora di punta; rimasi quindi rigido nel mio convincimento, cosa che sicuramente mi fece scendere nella stima della accogliente passeggera nonché nella quasi totalità degli occupanti maschi dello scompartimento tranne quelli, come dicevo, usi ad altri appoggi.

Come dissi a proposito della cara Olena, non sono uomo abbastanza grave: quando lo sarò, forse mi appoggerò; nel frattempo mi attaccherò, che è meglio.

(90. continua)

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Cinquanta sfumature di grigio

Ieri sera, abbastanza affannato per cercare di prendere in tempo il treno che mi riportasse a casa ad un’ora decente, all’ingresso della stazione di Milano Cadorna, all’esterno della quale e lo dico per quelli non pratici del luogo troverete conficcato un enorme ago disegnato da Gae Aulenti, la designer e architetta alla quale è stata dedicata la piazzetta all’ombra del grattacielo di Unicredit nel nuovo quartiere di Garibaldi, salite le scale della metropolitana, dicevo, mi trovo di fronte due belle ragazze, con indosso una pettorina azzurra con lo stemma di una nota organizzazione umanitaria, con una penna in mano ciascuna ed in evidente attesa di qualcuno da abbordare.

Qualche tempo fa vi parlai della mia avversione a lasciare che dei peli residui rimastimi in testa (caduti sicuramente grazie ad un eccesso di surriscaldamento delle meningi) si occupino parrucchieri cinesi. Niente contro gli operosi orientali: nutro solo diversi dubbi sul fatto che paghino le tasse, ma questo casomai accomuna i nostri popoli ancora di più; posso arrivare ad apprezzare la loro lucida strategia di distruzione del capitalismo con le armi del capitalismo; ma non riuscendo ad andare oltre una conversazione che comprenda “corti”, “si”, “no”, “quant’è?” preferisco l’amico Leo, col quale se non altro discutiamo di calcio e donne, ormai in quest’ordine. La settimana scorsa però, avendo fretta di sistemarmi e con la coerenza che mi contraddistingue, sono tornato dai cinesi. In dieci minuti mi avevano sciampato e scalpato; non sono stato abbastanza veloce nel dire “non troppo corti” che sul “non” un tassello di lobo parietale era già scoperto. Tra l’altro non ho riconosciuto nessuno di quelli in servizio l’ultima volta, ma confesso di non essere particolarmente fisionomista.

Vi è mai capitato di pensare di esser stati bambini più di mezzo secolo fa? A chi ha più di mezzo secolo, intendo. A me è capitato l’altra sera: terribile rivelazione, che per un attimo mi ha tramortito; a rincarare la dose il giorno dopo ha provveduto il mio medico di base, una dottoressa alla quale mi rivolgo solo in casi estremi e questo era uno di quelli, ovvero una fastidiosa tracheite presa arbitrando in un torneo di calcetto tra squadre nazionali di migranti. Peru, Ecuador, Salvador 1 e Salvador 2, Africa nera e Ponte Chiasso che essendo vicino alla Svizzera voleva avvalersi dello status di extracomunitari. La mobilità non è il mio forte, avrò percorso in tutto duecento metri; ma il freddo era parecchio e nonostante la divisa comprendesse giaccone e berretto di lana alla sera ero cotto. Ho avuto l’accortezza, per non perdere tempo, di portare in visione alla dottoressa gli esami del sangue fatti a maggio, poco prima che cadessero in prescrizione: al che, dopo un sommario esame, lei si premurava di dirmi che:  a) alla mia età, certe alzate d’ingegno andrebbero evitate e b) gli esami anche se stagionati indicavano che i valori dei grassi erano sballati, e sempre considerando la mia età era il caso di considerare l’assunzione di qualche pillolina.

Credo sappiate tutti, perché è uno degli argomenti più discussi nella parte satolla del mondo dove fortunatamente e senza meriti particolari ci troviamo, che il colesterolo alto è dannoso. Il concetto di alto si stabilisce confrontandolo con una soglia: ed ecco che, abbassando quella soglia, quello che ieri era normale oggi diventa alto. Il gioco funziona anche a rovescio: se qualcosa fa male in rapporto ad una soglia, basta alzare quella soglia. Qualche giorno fa, ad esempio, i legislatori europei hanno adottato questa tecnica per alzare i limiti di emissioni di ossidi di azoto ammesse per l’omologazione dei veicoli. Tutto è relativo.

Insomma salito l’ultimo scalino della metropolitana, come temevo, mi sento apostrofare da una delle due questuanti: “Una firma contro la fame nel mondo!”. Cosciente che tutti non si può aiutare, ho deciso da tempo quali organizzazioni sostenere, e pur apprezzandola questa non è nel mio elenco; mi accingevo quindi ad attuare la solita tattica di sganciamento, ovvero guardare un punto lontano e far finta che chi si ha davanti non esista. La manovra aveva quasi avuto successo, quando l’altra mi fa: “ehi, cinquanta sfumature di grigio, perché non firmi?”.

Ci ho messo qualche secondo a collegare il riferimento al grigio, colore che com’è noto sta bene con tutto, con i miei capelli effettivamente cangianti per colpa delle scalette cinesi e non a qualche fantasia della ragazza scaturita dalla lettura del noto romanzo; devo dire che se da un lato ho ammirato la passione con la quale la ragazza perorava la propria pausa, non ho gradito che mi si rivolgesse con lo sbarazzino tu: o sono grigio o sono giovane, deciditi.

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Posso recitarvi una poesia in cambio di una monetina?

In anni e anni di pendolarismo credevo di averle viste tutte. Ma il ragazzo che ieri è passato chiedendo se per favore potevo dargli una monetina, che in cambio mi avrebbe recitato una poesia, mi ha lasciato pieno di tenerezza e vergogna. Tenerezza per la sua timidezza, per la dignità della sua richiesta, per quell’atteggiamento che voleva dire  “mi dispiace disturbarvi, non lo farei se non avessi così tanto  bisogno ma voglio darvi qualcosa di mio”, per quel quadernino a quadretti che teneva stretto in mano, per i vestiti laceri e sporchi che indossava e per la magrezza che sottolineava i troppi pasti saltati; tenerezza perché avrebbe potuto avere l’età di mio figlio e chissà se da qualche parte avesse un padre, e se questo potesse permettersi di preoccuparsi anche per lui.

Si fa il callo a tutto, lo sappiamo; e poi, quando si ha la pancia piena, da persino fastidio incontrare chi ha bisogno. Avrà bisogno veramente, poi? O sarà tutta una scusa, e in realtà non ha voglia di lavorare, e quei soldi gli serviranno per ubriacarsi, per drogarsi, o sarà legato a qualche tipo di mafia degli accattoni? O saranno zingari?

Lavoro a Milano e di gente che chiede, per strada, in metropolitana, anche sul treno, ce n’è a bizzeffe. C’è una signora, alla fermata dove scendo per recarmi in ufficio, che quasi tutte le mattine è lì, ferma, in attesa che passi qualcuno da abbordare per raccontargli la sua storia. Disoccupata dice, vuole solo un aiuto per tirare avanti da chi, più fortunato di lei, il lavoro ce l’ha ancora. Sarà vero? Sa che la sua storia può andar bene una sola volta, per quella volta che ti fermerai credendo che quella signora dall’aspetto decoroso che si avvicina bisbigliando voglia chiederti delle informazioni, e che la volta dopo cercherai di evitarla: così ha bisogno di fermare gente sempre nuova. Sempre lì, da anni.

Col tempo, ho adottato una mia politica nel dispensare monete. Favoriti sono i musicisti: a chi suona in metropolitana di solito qualcosina lascio, se proprio non strimpella in maniera indecente. Ogni tanto c’è qualche violinista, ad esempio, che invidio molto. Qualche tempo fa c’era un ragazzo che non suonava ma si portava dietro un microfono collegato ad un amplificatorino, e cantava: ne ho seguito l’evoluzione della carriera ed all’inizio era un vero strazio; man mano però migliorava, fino a riuscire ad improvvisarsi showman: alla fine invitava tutti i passeggeri a battere le mani e a fare il coro con lui. E’ sparito, chissà dov’è?

Non lascio niente a chi usa i bambini piccoli; a chi ha dei cuccioli, dipende; qualche volta a chi vende libri o riviste. Per il resto, di solito abbasso la testa e passo oltre. Mi è rimasta impressa una storia che mi ha raccontato un amico, di ritorno da un viaggio in India: a Bombay, fuori dall’albergo dove alloggiava, per difendere gli ospiti dall’assalto dei questuanti c’erano degli inservienti con dei bastoni di bambù, incaricati di far largo tra la folla. Dopo un po’, a questa macchia di colore indistinta non si faceva più caso, ne al mulinare dei bastoni degli sherpa in guanti bianchi.

Così, giorno dopo giorno, mi accorgo che l’abitudine mi spinge ad usare l’indifferenza come bastone di bambù: e mica posso aiutare tutti io, cercate qualcun altro, non vedete che sono impegnato, sto leggendo il giornale, sto postando su facebook, non si può stare un attimo tranquilli?

Ed ero proprio così, impegnato a far niente, quando il ragazzo si è avvicinato. All’inizio non ho alzato nemmeno la testa, eccone un altro ho pensato; poi la coda dell’occhio ha colto quel quaderno stropicciato e le mani che delicatamente lo stringevano. Ho realizzato allora che quel ragazzo mi stava offrendo quanto di più prezioso avesse, un pezzetto di se, per una misera monetina;  e che forse, più ancora della monetina, gli sarebbe piaciuto che qualcuno l’avesse ascoltata, la sua poesia.

(57. continua)

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