Maracaibo,
balla al Barracuda,
si ma balla nuda, zà zà…
Luana, la cantante solista dell’Orchestra Spettacolo Armando Grasparossa, cinquantenne dotata di un fisico prorompente non supportato da capacità vocali di pari livello, dal palco della Casa del Popolo di Brisighella sta deliziando il pubblico pagante e non con una spettacolare versione di “Maracaibo” di Raffaella Carrà.
Armando, classe ’32, fisarmonicista leggendario in grado di eseguire tutte le variazioni della Mazurca di Migliavacca ad occhi chiusi e con la tastiera coperta da un panno, scuote la testa e sbotta:
«Socc’mel Agalgisa!» – che questo è il vero nome della cantante – «ma tienila mo su!»
«Ma più di così non posso, nonnino!» risponde la cantante sgambettando intorno a Carlone, il trombettista. «Già si vedono le mutande!»
«Ma non la sottana, oca che sei, la nota, la nota devi tenere su! Non senti come cali? E non chiamarmi nonnino!» la redarguisce l’anziano musicista.
«Uffa quante storie, sapessi come cali tu, io mi lamento per caso?» » risponde Luana-Adalgisa. provocatoriamente, accennando malignamente al fatto che il loro sodalizio travalica l’aspetto artistico. «Al “mio” pubblico comunque piace, guarda mo!» e la cantante, sempre continuando ad ancheggiare, rivolge uno sguardo languido ai ballerini che si accalcano in pista, tra i quali spicca un sessantenne abbronzato, leggermente sovrappeso, con abbigliamento da rimorchiatore da spiaggia composto da scarpe da yachting senza calzini, pantaloni bianchi, camicia a righe verticali bianche e blu con colletto rialzato tenuta fuori dai pantaloni e slacciata sul petto depilato, catenina d’oro a maglie di media grandezza e magliettina celeste di cotone appoggiata sulle spalle ed annodata sul davanti: Tullio Bongiovanni detto Puccio Maxi-bon, delizia delle mogli in vacanza e terrore dei mariti in città.
«C’è anche quel povero deficiente!» commenta Armando riconoscendo il Casanova alla piadina, lanciandosi in una svisata che copre l’assolo del sassofonista.
«Lascia stare Puccio o te li scateno, eh!» lo ammonisce Adalgisa. Poi, a scopo dimostrativo, brandisce il microfono e, con un gesto plateale come ad abbracciare la platea, pronuncia la frase di rito: «Brisighella, io vi a-mo! Siete fan-ta-sti-ci!» a cui seguono di riflesso applausi e fischi entusiastici.
«E ricordati di prendere la pastiglietta, piuttosto» sibila perfidamente la cantante. Sorpresa dalla risposta che non arriva, si volta verso il maestro di fisa e lo vede, sbiancato in volto e con il mantice fermo, fissare un punto in fondo alla sala con la bocca leggermente aperta.
«Oddio, gli è venuto un coccolone» è il primo pensiero dell’artista, che cerca di sincerarsi del sospetto scuotendo il capo-orchestra. « Armando, che succede Armando, ti senti male?»
Armando si riscuote, guarda Adalgisa, le fa una carezza, poi poggia in terra la fisarmonica e la rassicura: «No, niente, niente, tranquilla, è tutto a posto. Voi continuate pure, io vado a prendere un po’ d’aria, torno subito». Poi si alza, scende dal palco e si avvia lentamente verso l’uscita.
«Craa! Püsa via, brut curbàtt! Craa!!!»¹
Flettàx, l’Ara Macao allevato da un celta adoratore del dio Po, accoglie così suor Matilda che, passeggiando con Gilda, si sta avvicinando al suo trespolo.
«Ma com’è variopinto il tuo pappagallo!» constata ammirata suor Matilda «Devo esserle simpatica, guarda come sbatte le ali»
«Non farci caso, Marisa, Flettàx è esuberante. Miguel lo sta educando, ma siamo ancora alle prime lezioni» Poi, tornando al discorso precedente:
«Ma dopo essere scappata dal manicomio dove sei andata?»
«Non avevo una direzione precisa… ho camminato, camminato, finché mi sono seduta sfinita davanti ad un portone e mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata ero in una celletta, con tre suore che stavano pregando, e mi hanno detto che avevo dormito tre giorni e tre notti. Mi sono seduta sul letto, stupita, mi sono guardata intorno, pareti spoglie, un piccolo crocifisso, e mi sono accorta di stare bene… avevo anche fame, pensa un po’. E quelle donne intorno a me, quelle suore, contente, ma non per finta sai Gilda? Avevano gli occhi che ridevano, trasmettevano gioia, serenità… proprio quello che avevo perso, di cui avevo bisogno. E ho capito che non ero arrivata lì per caso…»
«Che strana chiamata! Non era più facile apparirti in sogno?» riflette Gilda, pratica di estasi mistiche.
«Ah, ah, si, hai proprio ragione…» ride suor Matilda «ma ognuno ha la sua vocazione, e ci vuole un po’ a scoprirla… prendiamo te, per esempio»
«Io? Ma che c’entro io? Io non ho avuto nessuna chiamata…»
«Dici di no? Ma se allora non avessi seguito quello sconosciuto non saresti qua, non saresti mai diventata…» e qui la suora fa un gesto per indicare quello che c’è intorno «… questo.»
«Ah, tu dici che anch’io ho seguito la mia vocazione? Mmhh, devo pensarci, non so se prenderlo come un complimento» dice Gilda, ripensando alle circostanze che l’avevano condotta a passare da moglie appassionata e assaggiatrice di ripieni a vedova appassionata, ma proprietaria dell’impero del tortellino.
«Ma torniamo al motivo della tua visita… Marisa cara, devo dirtelo francamente: questa storia del sassofono andrà bene per le tue suore, ma a me non convince per niente. Sei sicura di non aver tralasciato qualche… ehm… dettaglio?» chiede Gilda, riportando l’amica all’argomento all’ordine del giorno. «No, te lo dico perché Natascia ha un certo caratterino, ed è meglio avvisarla se qualcosa non va. Non c’entrano per caso pigmei e cinesi? Perché se ci sono quelli ti consiglierei di far evacuare il convento.»
«Pigmei e cinesi? Ma come ti salta in mente, Gilda!» protesta la suora. «Anche se, in effetti, forse ho tralasciato un piccolo particolare…» confessa la suora reticente.
«Ecco, proprio a questo mi riferivo, cara. Eviterei di tralasciare particolari con Natascia in giro. Di che si tratta allora? Su, spara» incalza la Calva Tettuta.
«Vieni, sediamoci là» la suora indica una panchina appartata, e dopo essersi sincerata che nessuno le stia osservando, estrae dalla tasca un sacchetto in pelle marrone, chiuso da un laccio di cuoio.
«Dentro al sassofono c’erano queste…» e rovescia il contenuto del sacchetto sulla sua gonna.
«Fréchete! Monete d’oro? Ma che è, antiche? ‘Ndó l’ha pijate lu santó?» esclama Gilda, che nei momenti di agitazione ricorre al vernacolo del paese natale, Serrapetrona.
«E chi lo sa, Gilda, solo lui può dircelo, e anche perché le ha lasciate lì… con questo» risponde l’amica, estraendo dal sacchetto un pezzo di carta e porgendolo a Gilda.
«Un biglietto? “Il passato reclama il pagamento. Perdonatemi”… melodrammatico, non è vero? Hai un’idea di quello che voglia dire, Marisa?»
«Non ne ho la più pallida idea, Gilda, il santone non mi ha mai parlato del suo passato…»
«Marisa, te lo devo dire, non ci sto capendo più niente. Per fortuna però c’è un’entità superiore alla quale rivolgerci»
«Dici di rivolgere qualche preghiera al Signore, Gilda?» chiede speranzosa la monaca.
«Male non fa» concede la vedova Rana. «Comunque prima proverei con James»
¹ Craa! Pussa via, brutto corvaccio! Craa!!!
Muoio… Già dopo orchestra grasparossa come il vino… La foto ha fatto il resto🤣
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Ah, ah, il trenino con Maracaibo (suonato a samba) non può mancare in un veglione che si rispetti! Così come Brigitte Bardot-Bardot, A-E-I-O-U IPSILON, etc. ect… ah che nostalgia! Il trenino è una filosofia di via, un chissenefrega di tutto vogliamo divertirci anche se facciamo ridere! E’ anche una metafora della vita, bisogna solo stare attenti a chi si ha dietro…
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😂😂😂😂🤦🤦🤦🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣🤣
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Mon dieu, che capitolo spumeggiante, mi pareva di esser davvero in quel di Brisighella (borgo medievale, invero, delizioso), e l’orchestra è quella che batte tutte le piazze romagnole ( son venuti anche a San Marino, suonando fino alla mezzanotte e mezza, tze’)!
Quanti Pucci, quante balere, quanti bei ricordi quando, lasciando in mansion veletta e titolo nobiliare, con James si prendeva su e si andava a far quattro salti al Pamela, dove c’era il barman Alieto barista discreto e alla consolle ci stava il Raoul, bello come il sole, a metter su Romagna mia Romagna in fiore tu sei la stella tu sei l’ammmmore)…
Ne verrebbe fuori un bel raccontino… chissà…
Intanto, il mistero si infittisce, e io resto con l’acquolina in bocca!
P.s.: esuberante è un aggettivo che ha sempre il suo pourquoi.
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Ah, se quest’architrave potesse parlare! Racconterebbe di rumbe e cha cha cha, boleri e camomille… allora il mio architrave era il basso elettrico, e reggevo la sezione ritmica dell’Original orchestra R7… Sambe tenute per venti minuti, fino al completo sfascio del trenino… feramoni e testosteroni che si rincorrevano da soli sulla pista al di fuori dei legittimi proprietari, rincorsi a loro volta da addetti con guinzagli e retine… è la ma-zur-ka di pe-ri-fe-ria, scaccia pensieri, quanta allegria…
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E allora, beccati il post che ho appena pubblicato: te lo dedico con una piroetta, vamolà!
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Vado tosto!
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confesso: la descrizione del sessantenne abbronzato in pista l’ho letta ad occhi chiusi ^_^ sono debole di stomaco! ahahahahah!!! ma che orrore certi tipi!!!!!!! Vai mica in giro così te, vero Gio’ ? :-)))))
Curiosa di conoscere il passato del Santone…
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La tua curiosità verrà presto appagata! Ah ah no il Puccio non sono io, anche se confesso che a volte mentre mi sforzavo di tenere il ritmo con il mio bel basso elettrico avrei voluto esserlo. Tu piuttosto, hai cambiato look? Il mio barbiere, un uomo saggio che presto o tardi dovrò immettere nel cast, dice che quando si cambia pettinatura gatta ci cova. Ci cova? 😉
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uuuuuuuh! suonavi in un complessino rock!?!?!?! yeeeah!
Più che altro “gatta C ‘prova’ ” a sdoppiarsi, intendo… ma mi sa che la prova non torna, così il riccio ritorna. ^_^
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Ah, ah, ma secondo te potevo suonare in un complessino rock? Naaa… orchestra da ballo, liscio e musica leggera… con escursioni nello swing e nella musica sudamericana anni ’50. Mambo, beguine, bolero, cha cha cha… io suonavo, e intanto il Puccio… 🙂 ah, che tempi!
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Ancora megliooooo !!! :-DD
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Si, molto meglio! Ma ora non pratico più. Il basso è nell’armadio, ogni tanto gli faccio prendere un pò d’aria per non farlo intristire e lo porto a spasso con Po.
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ahahah!
Po farebbe meglio a esercitarsi con la pronuncia italiana invece di andare a spasso. mitico Po!!
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Sta migliolando molto! Nelle prossime puntate insegnerà il tai chi a nonna Pina ed in cambio lei gli impartirà lezioni di congiuntivi. che coppia!
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uuuuuuuh! non vedo l’ora di leggere!! giuro!
dai, dai… mettiti al lavoro e postaaaaaaaaaaaaa
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Oggi avrei in effetti dovuto finire una puntata, ma mi hanno fatto mangiare e bere troppo e l’abbiocco è caduto su di me. Forse più tardi riesco a mettere insieme qualche frase. In testa ce l’ho, eh! Ma si tratta di scriverla… poi si sa come va: hai in mente una cosa, ma mentre la scrivi prende un’altra forma e si ingarbuglia per altre vie… va bè, insomma, va per conto suo.
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aaaaah! ma allora capitaanche a te!!! e io che pensavo fossi la sola a deviare le storie che ho in mente.
la domenica è fatta per mangiare, bere e pennicare alla grande! 😉
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Ma i tuoi post non si possono commentare perché ti rispondi da sola, o ti sei dimenticata di abilitare i commenti? 🙂
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perché ho fatto un “fioretto” 😉
suor Emerenziana lo sa eheheheheh!!!
(torneranno i commenti, Gio’… )
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Se si tratta di un fioretto lo rispetto, anche suor Pulcheria ti capisce e ti da la sua benedizione.
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Amen !
Suor Pulcheria è una giusta…!
:-))))
( e niente, porta pazienza, Gio’ , oggi ho la ridula sul surreale!! però del fioretto è vero)
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Il fioretto lo fai per ringraziare per grazia ricevuta o per ricevere una grazia? Non so se si possa fare per entrambi i motivi contemporaneamente, non credo, occorrono due fioretti mi sa.
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per grazia ricevuta ^_^
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Allora fai bene, se fosse stato per ricevere la grazia sarebbe stato un pò cercare d’arruffianarsi la protezione. Hai un Santo preferito, o dipende dalla grazia? Se non ne hai uno di fiducia te ne propongo una che ho scovato l’altro giorno a Bologna: Santa Qudraginta: al momento non so in cosa sia specializzata, ma posso informarmi.
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Quadraginta?!?!? ahahaha! ma dove le scoviiiiii??????!?!? L’ho cercata in rete ma non v’è traccia..
naaaaa… meglio affidarsi ai più noti e referenziati.
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Temo che il mio latino sia un po’ arrugginito e sono caduto in errore… Questo nome c’era su un sarcofago nel complesso di S.Stefano, a Bologna, e io l’ho scambiato per il nome di una santa, quando in realtà quadriginta significa “quaranta” e si riferiva infatti ai quaranta martiri compagni di San Floriano Martire… Mea culpa… tra l’altro S.Stefano e’ molto bello come complesso di chiese.
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e meno male che non è una santa, metti che qualche svitato avesse guardato il calendario per trovare un nome originale alla sua quarta figlia e avesse trovato santa Quadringata… non oso nemmeno pensare, porella!!!! :-)))
^_^ … però “mea culpa” non si è arrugginito eheheheheheh!!!!
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Ah, ah, però santa Qudraginta me lo segno, può venire utile in qualchge puntata! 🙂
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😂😂😂😂😂😂😂
(ho visto la mail della nuova puntata… la lascio per leggerla con calma dal pc ;-)… spettameeeee… tanto lo sai che non me le perdo 😉 )
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A tuo comodo!
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