Tre stelle per Olena – 21

Romagna e Sangiovese, sei sempre nel mio cuore
Quest’aria di paese ci invita a far l’amore
La briscola e il tresette, si gioca all’osteria
E col bicchiere in mano si canta in allegria

Nel salone delle feste di Villa Rana l’orchestra spettacolo “Bigio Corbatti e i Compagni di Merende” scalda l’atmosfera proponendo agli ospiti una selezione di classici del liscio; Bigio ha dovuto ingaggiare all’ultimo momento vecchie conoscenze come Kuz Guardatì alla tromba, Peter Petersen al clarinetto, Marco Cubillas al trombone, Walter Cotequinho al sax tenore, Dieguito Tiberito alla fisarmonica e Giorginho Torres al basso elettrico in sostituzione di un gruppetto di suoi musicisti colpiti da una fastidiosa intossicazione intestinale dopo aver partecipato alla Sagra del Mosto di Rosolini, in Sicilia, e osserva inquieto i nuovi arrivati sfoggiare folte parrucche, baffoni e basettoni anni ’70, camuffamento reso necessario a causa di piccole divergenze con l’Agenzia delle Entrate in merito a cartelle esattoriali non pagate. La procace cantante Luana, le cui qualità migliori non sono quelle canore, sgambetta mostrando generosamente le cosce forti, tenendosi a distanza di sicurezza dagli esperti orchestrali e specialmente dal loro alito che emana un inconfondibile odore di Varnelli¹. I tavoli sono quasi tutti pieni, come spesso accade quando c’è la possibilità di mangiare e bere a scrocco.
Gilda, fasciata in un abito rosso fuoco biodegradabile in fibra di mais disegnato dal giovane stilista Zibaldó, nome d’arte del recanatese Oreste Pertecaroni, batte impazientemente la manina sopra e il piedino sotto il tavolo.
«James, non sembra anche a te di essere sulla plancia, se plancia è la parola giusta, del Titanic? Qui si balla, ma sento che la catastrofe è vicina. E poi non mi sembra delicato, in fondo c’è stato un morto, è vero che si tratta di un presentatore ma era pur sempre una persona umana!» ragiona Gilda, preoccupata.
James, seduto di fianco alla Calva Tettuta, stacca gli occhi dalle spalle del maori Amaru Timu e annuisce comprensivo.
«Quando Natascia ha “suggerito” di allestire l’evento ho fatto presente che una festa sarebbe potuta sembrare, come dire, irrispettosa. Ma lei ha insistito» continua James, omettendo la parte in cui la russa aveva minacciato di ridurre a brandelli la sua collezione di pochette se non avesse smesso di discutere «e il maresciallo non ha avuto nulla da eccepire. Tra l’altro sono presenti dei suoi uomini, per rafforzare la sorveglianza»
«Speriamo bene, James. Ma Svengard dov’è finito, si può sapere? Spero non sia andato a spaccar legna come suo solito quando c’è qualche impegno mondano. Lo so che si annoia, poverino, ma qualche volta bisogna che inizi a sacrificarsi anche lui per la ditta. Oltre ai piaceri ci sono anche i doveri, non è vero James?» chiede Gilda in cerca di approvazione.
«Noblesse Oblige» conferma il maggiordomo, con un inchino partecipe.
«Il tuo latino è sempre rassicurante, caro. Non te l’ho mai chiesto, ma hai studiato in qualche collegio gestito da religiosi?»
«In effetti, signora» risponde James sorvolando sullo sbaglio di lingua «ho frequentato le superiori in un collegio di gesuiti. Ad un certo punto ho anche accarezzato l’idea di entrare in seminario»
«Non mi meraviglia, con la tonaca saresti stato magnificamente, avresti fatto un figurone con il tuo bel talare, ti vedo incensare attorniato da chierichetti con i boccoli biondi dispensando benedizioni. Anche da cardinale ti avrei visto bene, con una bella stola rossa, e poi chissà, chi avrebbe potuto porre limiti alla provvidenza? Dal rosso al bianco è un attimo. Un vero peccato!» commenta Gilda.
«La ringrazio, signora. Ma la mia vocazione non era abbastanza forte» risponde James con modestia, lasciandosi tuttavia sfuggire un sospiro al pensiero dei chierichetti dai boccoli biondi.
«James, sai che ti dico? Prima che mi si gonfino i piedi, facciamo un balletto. Tanto Svengard non è capace, e mi toccherebbe trascinarlo tutto il tempo. Miguel ha provato a dargli qualche lezione, ma non c’è stato niente da fare, un baccalà sarebbe meno rigido di lui. Non che io sia una che non apprezza la rigidezza, quando ci vuole, ma farmi schiacciare i piedi da un marcantonio di cento chili non mi alletta. Ah, ecco, sta arrivando Natascia. Sbrighiamoci a buttarci in pista, che non si sa mai cosa può succedere quando c’è lei nelle vicinanze. Come te la cavi con la mazurca, James?»
«Discretamente, signora. Anni or sono ricevetti un premio, alla Sagra del Cicciolo di Reggiolo»
«Ottimo James, spero che il tuo colesterolo non ne abbia risentito. Maestro?» grida Gilda, avanzando verso Bigio Corbatti sventolando un fazzoletto con il braccio alzato per richiamarne l’attenzione.
«Mo cosa possiamo fare per questa bëla burdëla²?» chiede il musicista, ammiccante.
«Burdela sarà tua sorella» risponde Gilda, equivocando. « Io sono la signora Rana, la padrona, quella che paga per capirci. E adesso vedi di darti da fare e dì a quello con l’organetto di attaccare la mazurca di Migliavacca. E non risparmiate sulle variazioni, eh? Che vi decurto il cachet e vi faccio pagare tutti gli spritz che si sono bevuti i tuoi amici capelloni»

¹ Liquore a base d’anice prodotto a Pievebovigliana e Muccia (MC), ideale come cicchetto nel caffè.
² Bella ragazza.

Ferragosto con Olena (VI)

Maracaibo,
balla al Barracuda,
si ma balla nuda, zà zà…

Luana, la cantante solista dell’Orchestra Spettacolo Armando Grasparossa, cinquantenne dotata di un fisico prorompente non supportato da capacità vocali di pari livello, dal palco della Casa del Popolo di Brisighella sta deliziando il pubblico pagante e non con una spettacolare versione di “Maracaibo” di Raffaella Carrà.
Armando, classe ’32, fisarmonicista leggendario in grado di eseguire tutte le variazioni della Mazurca di Migliavacca ad occhi chiusi e con la tastiera coperta da un panno, scuote la testa e sbotta:
«Socc’mel Agalgisa!» – che questo è il vero nome della cantante – «ma tienila mo su!»
«Ma più di così non posso, nonnino!» risponde la cantante sgambettando intorno a Carlone, il trombettista. «Già si vedono le mutande!»
«Ma non la sottana, oca che sei, la nota, la nota devi tenere su! Non senti come cali? E non chiamarmi nonnino!» la redarguisce l’anziano musicista.
«Uffa quante storie, sapessi come cali tu, io mi lamento per caso?» » risponde Luana-Adalgisa. provocatoriamente, accennando malignamente al fatto che il loro sodalizio travalica l’aspetto artistico. «Al “mio” pubblico comunque piace, guarda mo!» e la cantante, sempre continuando ad ancheggiare, rivolge uno sguardo languido ai ballerini che si accalcano in pista, tra i quali spicca un sessantenne abbronzato, leggermente sovrappeso, con abbigliamento da rimorchiatore da spiaggia composto da scarpe da yachting senza calzini, pantaloni bianchi, camicia a righe verticali bianche e blu con colletto rialzato tenuta fuori dai pantaloni e slacciata sul petto depilato, catenina d’oro a maglie di media grandezza e magliettina celeste di cotone appoggiata sulle spalle ed annodata sul davanti: Tullio Bongiovanni detto Puccio Maxi-bon, delizia delle mogli in vacanza e terrore dei mariti in città.
«C’è anche quel povero deficiente!» commenta Armando riconoscendo il Casanova alla piadina, lanciandosi in una svisata che copre l’assolo del sassofonista.
«Lascia stare Puccio o te li scateno, eh!» lo ammonisce Adalgisa. Poi, a scopo dimostrativo, brandisce il microfono e, con un gesto plateale come ad abbracciare la platea, pronuncia la frase di rito: «Brisighella, io vi a-mo! Siete fan-ta-sti-ci!» a cui seguono di riflesso applausi e fischi entusiastici.
«E ricordati di prendere la pastiglietta, piuttosto» sibila perfidamente la cantante. Sorpresa dalla risposta che non arriva, si volta verso il maestro di fisa e lo vede, sbiancato in volto e con il mantice fermo, fissare un punto in fondo alla sala con la bocca leggermente aperta.
«Oddio, gli è venuto un coccolone» è il primo pensiero dell’artista, che cerca di sincerarsi del sospetto scuotendo il capo-orchestra. « Armando, che succede Armando, ti senti male?»
Armando si riscuote, guarda Adalgisa, le fa una carezza, poi poggia in terra la fisarmonica e la rassicura: «No, niente, niente, tranquilla, è tutto a posto. Voi continuate pure, io vado a prendere un po’ d’aria, torno subito». Poi si alza, scende dal palco e si avvia lentamente verso l’uscita.

«Craa! Püsa via, brut curbàtt! Craa!!!»¹
Flettàx, l’Ara Macao allevato da un celta adoratore del dio Po, accoglie così suor Matilda che, passeggiando con Gilda, si sta avvicinando al suo trespolo.
«Ma com’è variopinto il tuo pappagallo!» constata ammirata suor Matilda «Devo esserle simpatica, guarda come sbatte le ali»
«Non farci caso, Marisa, Flettàx è esuberante. Miguel lo sta educando, ma siamo ancora alle prime lezioni» Poi, tornando al discorso precedente:
«Ma dopo essere scappata dal manicomio dove sei andata?»
«Non avevo una direzione precisa… ho camminato, camminato, finché mi sono seduta sfinita davanti ad un portone e mi sono addormentata. Quando mi sono svegliata ero in una celletta, con tre suore che stavano pregando, e mi hanno detto che avevo dormito tre giorni e tre notti. Mi sono seduta sul letto, stupita, mi sono guardata intorno, pareti spoglie, un piccolo crocifisso, e mi sono accorta di stare bene… avevo anche fame, pensa un po’. E quelle donne intorno a me, quelle suore, contente, ma non per finta sai Gilda? Avevano gli occhi che ridevano, trasmettevano gioia, serenità… proprio quello che avevo perso, di cui avevo bisogno. E ho capito che non ero arrivata lì per caso…»
«Che strana chiamata! Non era più facile apparirti in sogno?» riflette Gilda, pratica di estasi mistiche.
«Ah, ah, si, hai proprio ragione…» ride suor Matilda «ma ognuno ha la sua vocazione, e ci vuole un po’ a scoprirla… prendiamo te, per esempio»
«Io? Ma che c’entro io? Io non ho avuto nessuna chiamata…»
«Dici di no? Ma se allora non avessi seguito quello sconosciuto non saresti qua, non saresti mai diventata…» e qui la suora fa un gesto per indicare quello che c’è intorno «… questo.»
«Ah, tu dici che anch’io ho seguito la mia vocazione? Mmhh, devo pensarci, non so se prenderlo come un complimento» dice Gilda, ripensando alle circostanze che l’avevano condotta a passare da moglie appassionata e assaggiatrice di ripieni a vedova appassionata, ma proprietaria dell’impero del tortellino.

«Ma torniamo al motivo della tua visita… Marisa cara, devo dirtelo francamente: questa storia del sassofono andrà bene per le tue suore, ma a me non convince per niente. Sei sicura di non aver tralasciato qualche… ehm… dettaglio?» chiede Gilda, riportando l’amica all’argomento all’ordine del giorno. «No, te lo dico perché Natascia ha un certo caratterino, ed è meglio avvisarla se qualcosa non va. Non c’entrano per caso pigmei e cinesi? Perché se ci sono quelli ti consiglierei di far evacuare il convento.»
«Pigmei e cinesi? Ma come ti salta in mente, Gilda!» protesta la suora. «Anche se, in effetti, forse ho tralasciato un piccolo particolare…» confessa la suora reticente.
«Ecco, proprio a questo mi riferivo, cara. Eviterei di tralasciare particolari con Natascia in giro. Di che si tratta allora? Su, spara» incalza la Calva Tettuta.
«Vieni, sediamoci là» la suora indica una panchina appartata, e dopo essersi sincerata che nessuno le stia osservando, estrae dalla tasca un sacchetto in pelle marrone, chiuso da un laccio di cuoio.
«Dentro al sassofono c’erano queste…» e rovescia il contenuto del sacchetto sulla sua gonna.
«Fréchete! Monete d’oro? Ma che è, antiche? ‘Ndó l’ha pijate lu santó?» esclama Gilda, che nei momenti di agitazione ricorre al vernacolo del paese natale, Serrapetrona.
«E chi lo sa, Gilda, solo lui può dircelo, e anche perché le ha lasciate lì… con questo» risponde l’amica, estraendo dal sacchetto un pezzo di carta e porgendolo a Gilda.
«Un biglietto? “Il passato reclama il pagamento. Perdonatemi”… melodrammatico, non è vero? Hai un’idea di quello che voglia dire, Marisa?»
«Non ne ho la più pallida idea, Gilda, il santone non mi ha mai parlato del suo passato…»
«Marisa, te lo devo dire, non ci sto capendo più niente. Per fortuna però c’è un’entità superiore alla quale rivolgerci»
«Dici di rivolgere qualche preghiera al Signore, Gilda?» chiede speranzosa la monaca.
«Male non fa» concede la vedova Rana. «Comunque prima proverei con James»

¹ Craa! Pussa via, brutto corvaccio! Craa!!!

capodanno