E non ci lasceremo mai

Nel 1975 Wess e Dori Ghezzi rappresentarono l’Italia all’Eurofestival (ora chiamato  Eurovision Song Contest che fa più moderno) con la canzone Era, che pochi tra cui il sottoscritto ricordano ma che ottenne un non disprezzabile terzo posto. Ancor più apprezzabile considerando che, nei sessanta e passa anni di vita della manifestazione, solo due cantanti italiani sono saliti sul gradino più alto del podio: Gigliola Cinquetti e Toto Cutugno.  Alla faccia della patria del bel canto!

Quell’anno parteciparono 19 paesi; mancava tutta l’Europa dell’Est, compresa metà Germania,  e ignoro se oltrecortina si tenesse un analogo concorso ma tenderei ad escluderlo perché altrimenti Toto Cutugno avrebbe cercato di parteciparvi, magari accompagnato dal Coro dell’Armata Rossa.

SANREMO ITALIAN SONG FESTIVAL

Toto Cutugno performs with Red Army Choir during the first night of the 63rd Sanremo Italian Song Festival at the Ariston theatre in Sanremo, Italy, 12 February 2012. The festival runs from 12 to 16 February. ANSA/CLAUDIO ONORATI

Dopo decenni di disinteresse, quest’anno mi è capitato di seguire qualche sprazzo di manifestazione. Innanzitutto in concorso c’erano 42 paesi. Mi sono un po’ meravigliato; per quanto si cerchi di allargarla in tutti i modi, non mi sembra di ricordare che nella cartina fisica del nostro continente ci sia spazio per Armenia, Azerbaigian, Israele ed Australia. D’altro canto la cartina politica si è complicata e propone paesi di cui nel 1975 non studiavamo certo la capitale a scuola: Estonia, Lettonia, Lituania, Bielorussia, Moldavia, Ucraina e Georgia, la stessa Russia nonché le già citate Armenia e Azerbaigian avrebbero potuto al limite gareggiare sotto le insegne della gloriosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche; Croazia, Slovenia, Bosnia ed Erzegovina, Macedonia, Serbia e Montenegro avrebbero avuto diritto ad un solo rappresentante per la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia; la Repubblica Ceca che ha partecipato da sola, avrebbe trascinato anche la Slovacchia nella Cecoslovacchia.  Ungheria, Polonia, Bulgaria e Albania avevano al tempo altri problemini che li impegnavano, non so quanto le canzonette li appassionassero.

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Per tornare al concorso, la nostra rappresentante era la brava Francesca Michielin, che ha proposto la versione inglese del brano presentato a Sanremo. Nella serata finale in realtà quasi tutte le canzoni erano cantate in inglese; l’ho trovato l’ennesimo segno di colonizzazione culturale e sia in segno di disapprovazione che per incapacità di capire le parole, dopo poco mi sono appisolato. Mi sarei appisolato lo stesso, perché tanto non seguo nemmeno le parole in italiano, ma forse avrei resistito un po’ di più. Per la cronaca ha vinto una bella figliola ucraina, Jamala, con la canzone 1944, un pippone in anglo-tataro sulla deportazione dei tartari di Crimea da parte di Iosif Stalin. Si sottace sul fatto che i tatari erano accusati di collaborazionismo coi nazisti, ma si sa la coperta della storia viene stiracchiata a seconda della convenienza e dei vincitori.

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Tornando a noi, Dori Ghezzi all’epoca aveva nemmeno trent’anni ed era bellissima; Wess, quasi coetaneo, con un passato da bassista di Rocky Roberts, aveva una bella voce calda ed una faccia cicciottella che ispirava simpatia. Un bellissimo sodalizio artistico che dal 1972 al 1979 li portò a conquistare un’edizione di Canzonissima (Un corpo e un’anima) e a partecipare a diverse edizioni del festival di Sanremo con grande successo di pubblico e vendite.

Io avevo sedici anni, avevamo formato il nostro complessino e trovato (anzi ci aveva trovato lei) una cantante bravissima, Antonina, che ci faceva un po’ da sorella maggiore; ricordava in effetti Dori Ghezzi, recentemente ho rivisto una sua foto con i pantaloni a zampa d’elefante e mi sono stupito nel constatare come fossimo così ammirati dalla sua bravura che non facessimo nemmeno caso a quanto fosse bella.

Sapete che mi diverto ogni tanto a leggere dei giornali a caso di qualche paese del mondo. Recentemente sono capitato sulla Nigeria: tra i tanti problemi che ha, c’è quello dei rapimenti. A parte quelli “ideologici” di Boko Haram, ce ne sono di più “spiccioli”: si fermano ad esempio bus di lavoratori, i quali vengono sequestrati e costretti a consegnare bancomat e pin, e chi non li ha deve chiamare i familiari per far accreditare i soldi ai rapitori. Anche gli studenti vengono rapiti, e spesso di famiglie con parenti all’estero; siccome il legame di sangue è molto forte, sanno che se quelli in loco non possono pagare lo faranno quelli emigrati.

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In quegli anni i rapimenti si facevano anche da noi, e spesso finivano tragicamente. Nel ’79 toccò anche a Dori Ghezzi essere sequestrata in Sardegna con l’allora compagno, poi marito,  Fabrizio De André; per fortuna ne uscirono vivi e poterono vedere, tempo dopo, i  loro carcerieri assicurati alla giustizia.

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Perché scrivo queste righe, vi chiederete (ma anche no, dirà qualcuno tra i meno affezionati). E’ perché ieri, colpevolmente in ritardo (di sette anni!) , ho scoperto che Wess, dopo aver cantato mille volte “e non ci lasceremo mai”, ci ha invece lasciato. E’ morto per un attacco di asma, fine beffarda per un cantante, quella di rimanere senza fiato. Faceva anche lui parte di un mondo che non c’è più: quello dei televisori in bianco e nero, dei cantanti che non venivano allevati in batteria, del talento discreto, del pop per il popolo, quando il popolo c’era ancora.

(107. continua)

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28 pensieri su “E non ci lasceremo mai

  1. Una chicca la puntata in Nigeria, giusto per marcare la distanza tra i primi due mondi ed il terzo, non solo nelle manifestazioni canore. Il tutto per dire della morte di un cantante che, ai suoi tempi e a modo suo, ha significato un’epoca di luci ed ombre. Per non dire della geopolitica che emerge dalla tua disanima festivaliera: devastata, per non dire polverizzata, da una globalizzazione che, dopo avere abbattuto un muro, ne sta favorendo la prolificazione in giro per tutto l’orbe terracqueo… Il simbolo di questi muri da globalizzazione, credo che sia quello eretto dagli USA con il resto del continente latinoamericano. Sembra la prova provata di una nemesi che investe la principale potenza mondiale: hanno voluto che crollasse il muro di Berlino, adesso ne erigono un altro ancor più lungo e micidiale, lungo la frontiera con il mondo… Così van le cose…
    Davvero un bel post…
    Un carissimo saluto

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    • Abbattere un muro per erigerne altri cento… un bel passo avanti, vero? La “liberazione” dei popoli in molti casi è stato uno scatenarsi di nazionalismi, un controsenso: da un lato il trionfo della globalizzazione, dall’altro l’incapacità di affrontare i problemi globalmente ed il ripiegamento su se stessi. So che una volta, giusto o sbagliato, si sperava in un’alternativa migliore: ora l’alternativa mi sembra solo quella fondamentalista, non una grande prospettiva! L’Africa ha uno sviluppo, demografico soprattutto, tumultuoso… con problemi enormi. Quando penso che noi ci guardiamo l’ombelico con Italicum ed altre palle del genere mi prende lo sconforto… sappiamo anche troppo poco degli altri, e questo è un grosso problema di informazione e cultura. Per fortuna, e non lo dimentico mai, siamo nella parte fortunata del mondo… finché dura…

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      • C’è una sorta di regola matematica nella demografia: più si allunga l’spettativa di vita e meno figli si fanno. Più bassa è l’aspettativa di vita e più figli si fanno. Siamo più animali di quel che vorremmo credere:gli istinti ci governano. E la somma di tutti gli errori ci perseguita. Quindi capiamo come siano folli e irrilevanti queste discussioni in seno alla vecchia Europa, mentre il mondo ci corre incontro con le sue guerre e natalità straripante. Forse sarà troppo tardi quando ci si sveglierà. E magari si smetterà solo di sfruttare: non c’è modo di sconfiggere la demografia della sopravvivenza. Prima o poi ci dovevano e ci presenteranno il conto…
        Però, come tu ben dici, per l’importanza che abbiamo noi nelle grandi decisioni, ci conviene guardare sempre al”finchè dura”,è l’unico modo per cercare di sopravvivere, pure all’italicum……

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      • è un mondo che si rimescola, il nostro.Popoli che vanno. popoli che vengono…senza sosta. E’ evidente che c’incamminiamo verso una razza unica, almeno come colore della pelle. E allora non sarà il colore a distinguerci ma il calore, quello del Cuore…Il tuo post mi ha fatto ritornar in tempi conosciuti, bello rispolverarli! Un saluto

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    • La foto è quella, si presenta bene non c’è che dire. Ha vinto solo perché Ucraina e ha tirato in ballo la Crimea, l’hanno votata in blocco gli ex-satelliti per fare un dispetto a Putin. Rocky Roberts l’ho visto (e sentito) dal vivo, era un mito! Rythm and blues alla grande. Va bè, qua cantava “con ciucce le racazze zono cremendou” ma era fortissimo!

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  2. ma incideste anche qualcosa che (la butto lì) un giorno ci farai sentire 😀

    ps: m’ero persa l’articolo nel lettore… ormai è un classico…

    bella domanda quella del “pop per il popolo”…
    bella questione, ma ci devo pensare…

    buona giornata, Giorgio

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    • Ah, ah, no non abbiamo inciso niente… eravamo bravi ma non abbastanza! Abbiamo fatto qualche stagione nelle balere dei dintorni; ci siamo divertiti molto; qualcuno ci ha trovato moglie 🙂 … i miei amici ogni tanto suonano ancora, beati loro, io ho smesso da tempo. Mi sono volati degli anni senza accorgermene, se dicessi cosa ho fatto non lo so bene, ho la sensazione di essermi perso qualcosa. Sul pop per il popolo penso a Andy Wahrol… il popolo, la gente semplice, quella che lavora,quella che Pasolini amava se vogliamo, della pop art non capisce niente, perché non è fatta per loro. E’ fatta per intellettuali che pensano di capire il popolo e spesso invece lo disprezzano. Ma non mi voglio allargare troppo, è un attimo farla fuori dal vasino…

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      • il vasino… una chicca d’arte concettuale? 😀
        scherzi a parte… il problema oggi potrebbe essere proprio interrogarci su cosa intendere per ‘popolo’… e ‘popolare’… credo il nostro paese ne trarrebbe un gran beneficio…
        oggi sconnetto per esprimermi bene, ma mi piaceva sottolineare dei punti d riflessione sulla scia del tuo articolo e del tuo commento
        potremmo ritornarci a riflettere, direi

        ricordo una cosa che mi raccontarono e non so se sia corretta: il lavoro di Wahrol con le lattine… pare si ispirasse al fatto che in un certo momento potendo permettersi quel tipo di alimento, ne avesse in casa… di quel cibo alquanto diffuso…

        non so se capii bene e spero qualcuno ci illumini passando di qua

        mi scuso se sto riferendo una sciocchezza, ma m’è venuta come ulteriore pista d’indagine…

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  3. Grazie per aver ricordato Wess, mi era simpatico.
    Comunque tralascio Nigeria e Ucraina e quant’altro, dico solo che la noia alla tele regna sovrana.
    E’ per questo che non la guardo quasi più, provo ma dopo 10 minuti di “stronzate” (scusa il termine) e “spettacolini” ridicoli gna’faccio!

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