L’algoritmo (piovono mufloni)

Ieri pomeriggio, nella ridente cittadina lacustre dove vivo, è accaduto un fenomeno che definire curioso è dir poco: un condominio si è ritrovato sul tetto un muflone.
L’anziano che lo ha avvistato, dalle finestre di fronte, sulle prime è stato redarguito dalla consorte ed invitato a limitare i bicchieri di vino a pasto e soprattutto fuori pasto; ma alla fine le sue vibranti proteste hanno convinto la moglie a dare un’occhiata dall’altra parte della strada, e a qual punto la bocca si è spalancata e la dentiera è fuoriuscita dalla sede naturale.
Avevamo già assistito a scorribande di cinghiali, ormai numerosi grazie a meritorie opere di ripopolamento, forse persino troppo numerosi che forse il ripopolamento è sfuggito di mano; ma finora i mufloni se ne erano stati al loro posto, e tantomeno si erano improvvisati antennisti o lattonieri.
I vigili del fuoco intervenuti non hanno ancora saputo spiegare come l’animale sia salito fin lassù; si tratta pur sempre di un arrampicatore, ma sembrano mancare i necessari appigli.
Potrebbe essere che, in mancanza di una scimmia¹, sia stato addestrato ad arrampicarsi sulle grondaie, o sui tubi del gas, come certi ladri di appartamento; e immagino lo stupore che si potrebbe provare nel ritrovarsi in casa un muflone con in bocca l’argenteria.

Sembra che Mr.Trump abbia intenzione di usare le prerogative presidenziali per ripristinare la Ius Primae Noctis. Personalmente non ci trovo niente di male, è la democrazia.

I miei colleghi pendolari che hanno la (s)ventura di dover pendolare tra regioni diverse hanno appreso di aver pagato per anni parecchio in più di quel che sarebbe stato dovuto. La colpa ci fanno sapere i giornalisti, che come è noto hanno la missione di far capire le cose, è dell’Algoritmo.
Ricordo quei bei tempi, all’inizio della mia carriera di programmatore, in cui a fronte di un nostro sbaglio potevamo sempre dire agli utilizzatori: ha sbagliato il computer. C’era un timore reverenziale verso quelle macchine, erano considerati come organismi dotati di vita propria e pertanto soggetti a sbalzi di umore e bizzosità: se mi stai simpatico ok, ma se non mi sfagioli o mi tratti male, peggio per te.
Poiché oggi i computer sono dappertutto e tutti li conoscono bisogna inventare nuove divinità a cui dare la colpa, ed ecco pronto il nostro signor Malaussène², il comodo capro espiatorio: il bieco Algoritmo. Già il nome incute diffidenza e repulsione, quell’Algo che richiama algidità, freddezza, distanza; e poi quel ritmo, che scandisce a sua volontà le ore del destino, distribuisce premi e punizioni e stabilisce a capocchia le tariffe dei treni.

La Kasta degli informatici mi odierà e mi emarginerà per questo, chiamatemi pure infame ma sento di dovere svelare tutto quello che so. Ebbene, l’Algoritmo non esiste. E’ una mistificazione. La cupola responsabile del pastrocchio è composta da:

  1. un pool di funzionari regionali e delle ferrovie che hanno deciso, dopo numerosi incontri, meeting e brain storming che hanno comportato cospicui  rimborsi a pié di lista, senza avere alcuna idea che non fosse quella di estrarre più soldi possibile dalle tasche dei cittadini, una regola ad minchiam;
  2. degli analisti informatici, in genere dipendenti di multinazionali e vestiti rigorosamente di nero, che a digiuno della materia ancor più dei funzionari di cui sopra, e senza porsi alcuna domanda sulla giustezza delle istruzioni ricevute, facendosi pagare a peso d’oro hanno trasformata le due righette di regole ricevute in un sacro Totem;
  3. dei programmatori informatici, pagati giustamente poco, spesso inutilmente laureati e con scarsa igiene personale, che come le tre scimmiette non vedo non sento non parlo hanno eseguito pedissequamente gli ordini ricevuti.

Dopodiché per 10 (dieci!) anni nessuno si accorge dell’imbroglio, della truffa, del latrocinio. Qui c’è da dire che noi pendolari siamo stati abituati a subire ogni sopruso, a viaggiare in carri bestiame con 15 gradi d’estate e 42 d’inverno, che ci hanno smantellato le stazioni ma applicato televisori dappertutto; hanno diminuito le frequenze dei treni ma non i tempi di percorrenza e non ci siamo mai lamentati, quindi un po’ ci sta bene che ci freghino. Voglio dire, se uno glielo mettono in quel posto una volta, e due, e tre, e non si lamenta, vuol dire che un po’ gli piace.

Sembra che il sindaco di Roma sia affiliato alla banda della Magliana. Anche i manifesti contro Papa Francesco li ha fatti affiggere lui. Inoltre il cugino è stato assunto come bidello nella scuola media di Tor Pignattara. Non vedo dove sia il problema, è la democrazia.

A proposito di sindaci di Roma, non sono rimasto invece sorpreso nel sentire che l’ex segretario del Partito Democratico, Walter Veltroni, a coronamento della sua carriera istituzionale possa diventare il prossimo presidente della Figc. D’Alema della Figc³  era stato segretario 40 anni fa, figuriamoci se lui poteva rimanere indietro. Il calcio italiano, a vocazione maggioritaria, ne aveva bisogno. A Mr. Veltroni si riconosce universalmente una buona capacità di inventare slogan come quella di affondare quello che tocca: fosse la volta buona che il nostro calcio vada finalmente a scatafascio! Vai Uolter, facce sognà!

(122. continua)


1 L’immagine inquietante del muflone arrampicatore oscura quella dell’orango assassino di Edgar Allan Poe nei delitti della Rue Morgue.
2 Chi non conosce il signor Malausséne di Daniel Pennac smetta di leggermi, per favore.
3 Erano altre Figc, ma a D’Alema roderà lo stesso.

gettyimages-84316778_0-h2016

L’anello pasquale

In quinta elementare rischiai di fidanzarmi. Mi piaceva una ragazzina, ma la smorfiosetta faceva la preziosa. Se la tirava, direbbero adesso. Dovevo contenderla ad un mio amico, ed esigeva la prova d’amore. Per quale motivo mi fossi impelagato in quella storia, con tutto quello che avevo da fare, non saprei dirlo; allora mi sembrava la cosa più importante del mondo.

Visto che aveva diversi pretendenti era necessario procedere con la conquista, e le tecniche fin dai tempi degli uomini preistorici sono sempre le stesse: o a sberle, o portando più selvaggina dei rivali.

Essendo passati i bei tempi delle clave, le sberle non si usavano più, e poi si sarebbe rischiato di prenderle; anche la selvaggina era desueta, ed era stata sostituita dal regalino.

Non un regalino qualsiasi però, ma “il” regalino: l’anello di fidanzamento. Ancora adesso mi viene la pelle d’oca.

A suo onore va detto che non richiedeva un solitario di 24 carati; essendo vicini alla Pasqua, si accontentava di un anellino di quelli che si trovavano nell’uovo.

Per natura ottimista, non vedevo il motivo per cui dall’uovo non sarebbe dovuto uscire un anello: quando invece comparve, come quasi tutti gli anni, la tavoletta con i numeri da mettere in ordine, il mio animo ne fu turbato. Ma solo per un attimo: la tavoletta con i numeri mi piaceva un sacco, e comunque niente avrebbe potuto incrinare l’atmosfera della mattina di Pasqua. Ogni bambino (e meglio se si è in tre o quattro) ha diritto a un lettone, un uovo di cioccolato fondente e una ciambella con la glassa sopra, se non sbaglio è scritto anche sulla dichiarazione Onu dei diritti umani.

Occorreva un piano B. In paese c’era una boccia distributrice di regalini, avete presente quelle che si trovano nei supermercati per far piangere i bambini e disperare le mamme; in questa boccia avevo adocchiato 2-3 palline che avrebbero fatto al caso mio. Certo, non potevo permettermi tanti tentativi: ogni pallina costava 20 lire, e con 20 lire ci compravo due bustine di figurine dei calciatori Panini.

Le figurine le compravo da Vittoria, dove ogni tanto mio nonno mi mandava per le sue Nazionali senza filtro: una donna simpatica e fiduciosa, tanto che spesso rimaneva nel retrobottega mentre noi ragazzini prendevamo le bustine dal raccoglitore. Ogni tanto qualcuno non ricambiava la sua fiducia, e allora al prezzo di 3 bustine ne venivano fuori quattro. Sono sicuro che lei sapesse, ma facesse finta di niente.

Affermo qua, e me ne assumo la responsabilità, che la cosa migliore che abbia fatto Walter Veltroni nella sua carriera di direttore dell’Unità post-comunista (e forse in tutta la vita) è stata quella di ripubblicare tutti gli album Panini.

Come fanno i giocatori di slot-machine, per un po’ di tempo mi aggirai con finta indifferenza attorno alla macchinetta distributrice, pronto ad entrare in azione quando avessi ritenuto che fosse giunto il momento propizio. E così feci: a colpo sicuro inserii le 20 lire e girai la rotella.

Fu con vivo disappunto che accolsi la decisione della boccia di non espellere l’oggetto del mio desiderio. Una palla uscì: ma in essa purtroppo non era contenuto il monile, ma un portachiavi con tartarughina. Bello nel suo genere, ma non adatto all’uopo.

Cosa che non sfuggì alla capricciosa fanciulla, e non mancò di rimarcarlo: indifferente ai miei sforzi, rifiutò persino di discutere che se la tartaruga è considerata uno dei cinque animali sacri dai cinesi un motivo deve esserci. Svelò lì anche il suo lato meno signorile, quando mi invitò a infilarmi il talismano dove avessi ritenuto più opportuno, che mi avrebbe portato fortuna.

Con tali premesse, capirete, non si poteva stabilire una relazione duratura e fattiva. Seppi poi che sua madre si era premurata di invitare la mia al diffidarmi dall’insistere nelle mie pretese: sua figlia era Bella.

Pur rispettando il suo punto di vista, non apprezzavo quella puntualizzazione. Lei era bella, sottintendeva che io fossi uno sgorbio? Ammettiamo pure che non fossi un Adone, se siete pratici di miti classici; anche mia madre ogni tanto mi ripeteva “la prima ciambella non viene mai bella”, in genere non tanto riferito all’aspetto fisico, quanto piuttosto a qualche esperimento andato a male; ma non ero proprio da buttar via. Anni dopo ebbi uguale soddisfazione da mia suocera: quando la mia non ancora moglie portò a casa una foto di gruppo per spianare la strada alla mia apparizione, la vegliarda chiese: -“Qual’ è, quello bello?” -“No, l’altro.” -“ Ah.”

Poco dopo, la sua famiglia lasciò il paese e se ne persero le tracce. Posso dire di averla scampata bella, e la vicenda mi è stata d’insegnamento: tra un anello e una bustina con De Sisti e Gigi Riva, solo un pazzo sceglie l’anello.

(25. continua)

panini-1969-70