Nella grande sala stampa del palazzo presidenziale il console Poltronieri consulta nervosamente l’orologio Patek Philippe Grandi Complicazioni che ostenta al polso, essendo intimamente e fermamente convinto della superiorità dell’apparire sull’essere, ragion per cui chi indossa un cronografo da oltre 300.000 euro non può essere un pirla.
«Dove diavolo sono finiti quei deficienti? Il Presidente sta per arrivare, se mi fanno fare brutta figura giuro che li ammazzo con le mie mani» sibila alla sua assistente che, avvezza alle sue sfuriate, gli rivolge un sorriso comprensivo mentre la mente è occupata in tutt’altre faccende, e precisamente alla lingerie che dovrà sfoggiare durante l’incontro serale con Alonso detto “el martillo neumático”, stagista all’ambasciata spagnola.
Come se gli avesse letto nel pensiero, un gruppetto variopinto, scortato da quattro agenti della sicurezza, fa il suo ingresso nella sala. Attilio Trozzo, il capodelegazione, allarga le braccia in segno di mortificazione.
«Ci scusi, console, ma abbiamo rischiato di non arrivare… Abbiamo forato per strada, non si vedeva un accidente ma per fortuna c’erano dei pastori che hanno dato fuoco alla sterpaglia e ci hanno dato una mano a cambiare la ruota. Poi abbiamo sbagliato palazzo: lei ci aveva detto palazzo presidenziale, ma non ci ha detto quale, così siamo andati in quello vecchio che però ora è un museo, volevano perfino farci pagare il biglietto, ma alla fine ci hanno indirizzati qua. Tutto è bene quello che finisce bene! Qual è ora il programma?» chiede Trozzo, abituato alle conferenze organizzative.
«E loro chi sono?» chiede a sua volta il console, sospettoso, indicando Taitù, Mariam, e soprattutto Zigulì.
«Sono i nostri accompagnatori» risponde prontamente il segretario «ci fanno da interpreti, e soprattutto ci hanno aiutato a trovare dei vestiti decenti da metterci, visto che in Dancalia non c’era molta verza da sfogliare»
In effetti i rudi sindacalisti si presentano molto eleganti, anche troppo: prima di recarsi a palazzo sono infatti passati da un cugino di Mariam che ha un banchetto al mercato, dove vende dei completi finto-Armani a prezzi onesti, o magari dei veri Armani ma venduti al prezzo giusto¹. Mariam e Taitù indossano dei bellissimi Habesha Kemis di cotone bianco, decorati a mano con inserti colorati, ed in testa la netela, uno scialle anch’esso bianco con strisce di vari colori; in quanto a Zigulì non c’è stato verso di fargli abbandonare la consunta uniforme coloniale ma si è raggiunto un onorevole compromesso mettendoci sopra una sciamma, una lunga tunica, anch’essa bianca. Taitù, maliziosetta, dice qualche parolina all’orecchio di sua madre che, ammirata, lancia delle occhiate ad Ambrogio, rosso e impacciato nel suo spigato Blu di Prussia, e scoppiano tutte e due a ridere sommessamente.
«Loro non sono stati invitati, chi vi ha autorizzato a portarli? Devono andare via!» intima Poltronieri, stizzito, temendo infrazioni al cerimoniale.
Secondi di gelo, imbarazzo e incredulità seguono la sparata del console. Si vede Ambrogio stringere i pugni e avvicinarsi a Mariam e Taitù; Trozzo, capendo che la faccenda sta prendendo una brutta piega, prende in pugno la situazione, ricorrendo alla sua esperienza di dialettica democratica.
«Permette solo una parola, console?» chiede, e senza aspettare la risposta prende Poltronieri sotto braccio e lo allontana dal gruppo, portandolo a distanza di sicurezza. «Ascoltami bene, testa di cazzo, e soprattutto sorridi. Non so con chi pensi di avere a che fare, ma ti consiglio di guardare bene le mani di quegli uomini» dice indicando Memo, Luisito Lenìn e appunto Ambrogio. «Quando se le sfregano in quel modo vuol dire che gli prudono. E se gli prudono non ci mettono molto a grattarsele sulla faccia del primo che si trovano davanti, meglio se è un leccaculo come te. Quindi, per favore, rilassati e vedi di non rompere i coglioni. O se no, Presidente o non Presidente, io ti metto in piedi un tale casino che nemmeno ti immagini, e va a finire che stavolta in Italia col barcone ci devi tornare tu, o ti ci faccio tornare io a calci in culo. Avec-vous compris, mon ami?» conclude Trozzo, sfoderando un sorriso a 36 denti, e cingendo con un braccio le spalle del console, livido di rabbia.
«To’, arriva il Presidente» annuncia, vedendo la scorta del presidente entrare nella sala. «E sorridi, ti ho detto! Sembri un beccamorto, che figura fai fare alla nostra “nazione” ?»
¹ In questi giorni un’inchiesta dei Nas ha fatto emergere che la Armani girava in subappalto la realizzazione di accessori in pelle, e scendi scendi nella catena dei subappalti si arrivava a laboratori-dormitorio cinesi, dove la manodopera veniva pagata anche 2 euro l’ora. Mentre la borsa, con un costo di produzione di 90 euro, in boutique viene venduta a 1800 euro. La società Giorgio Armani Operations Spa naturalmente sostiene ritiene di avere “da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura”. Solidarietà ai taroccatori di marchi!