Cultura a mazzi! (II)

Giove pluvio, come ama citare la compianta speaker del Palio del Baradello¹ (compianta non perché sia defunta ma perché non speakera più), è stato benigno ed ha regalato una domenica soleggiata, dopo un sabato decisamente bruttarello.
E così, rifocillati e riposati, ci siamo armati delle migliori intenzioni ed abbiamo proseguito il tour cultural-turistico affrontando il

Secondo giorno: Lago di Como

Il lago di Como è uno dei più belli d’Italia e del mondo, tant’è che arrivano da ogni parte del globo per soggiornare nei lussuosi alberghi e nelle ville che costellano i bei paesini rivieraschi. E’ molto suggestivo con la sua caratteristica forma a Y rovesciata², cinto dalle prealpi in ogni suo lato; è il lago più profondo d’Italia e se intendete compierne il giro completo in auto percorrerete più di 160 chilometri e trascorrerete qualche oretta lieta in coda, specialmente di domenica.

Quando misi piede per la prima volta a Como, nel 1985, il lago più grande che avevo visto era il Trasimeno e mi aspettavo una cosa simile, rimasi quindi molto colpito da quanto fosse diverso e posso capire ora il motivo per cui George Clooney ha comprato la villa sul lago di Como e non sul Trasimeno.

Dopo questo incipit, per cui chiederò qualcosina alla azienda di soggiorno e turismo di Como, è ora di passare al racconto che comincia con il:

Battello!

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Il giro del lago si può fare in tanti modi ma quello più caratteristico è senz’altro quello con il battello. Ben consci che in un solo giorno è impossibile vedere tutto, ci siamo limitati ad un giro del ramo di Como e nemmeno tutto, circa due ore di battello all’andata e due al ritorno. Alla biglietteria c’è stata la solita pantomima sull’età dei minori; ligio come sono alle regole ho dichiarato l’età corretta dei nipoti, 11 e 13, venendone mal ricompensato in quanto il maggiore è stato considerato adulto ed ha pagato il biglietto pieno: un eccesso di onestà di cui mi sono pentito. Purtroppo nel subconscio mi è rimasto il trauma di quando mia nonna Annunziata, nel primo viaggio fatto in treno per andare a trovare i parenti a Martinafranca, mi costrinse a dichiarare il falso al controllore autocertificandomi di 5 anni anziché 7; la cosa mi sembrava improbabile ma il controllore abboccò. In quei tempi dovevo frequentare il catechismo dove insegnavano che dire le bugie era peccato e non erano contemplate eccezioni per i controllori ferroviari, quindi il peccato veniale in cui ero stato indotto mi bruciò per un bel po’.

Il battello fa diverse fermate nei vari paesini dell’una e l’altra riva, tutti belli, ne cito solo alcuni: Cernobbio, con la celebre Villa d’Este dove per combinazione era riunito il Gotha dell’imprenditoria, economia e politica, con guest stars del giorno gli onorevoli Salvini e Di Maio; se il munifico e illuminato Kim Jong-il, segretario generale eterno della Repubblica Popolare Democratica di Corea, avesse qualche razzo che gli avanza, lo potrebbe lanciare su questa compagnia di giro senza che da parte nostra si leverebbero particolari obiezioni; Moltrasio, Torno, caro quest’ultimo per ragioni affettive: qui abbiamo pranzato dopo le nozze, nel giorno della finale dei campionati Europei Olanda-Russia, con fantagol di Marco Van Basten; Laglio, reso famoso come detto dal bel George, meta di frotte di ammiratrici in estasi; Nesso; Argegno, da dove una piccola funivia in pochi minuti vi porterà nel paesino di Pigra; Sala Comacina e poco più su Ossuccio, con il Sacro Monte ed il famoso campanile romanico-gotico, e proprio di fronte:

L’Isola Comacina!

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Quest’isolotto è di proprietà dell’Accademia di Brera, che vi ha edificato delle case per la residenza degli artisti. Posta in posizione strategica fu in passato potente e prospera finché, essendo alleata dei milanesi contro i comaschi alleati dell’Imperatore, fu rasa al suolo nel 1169 ed il Barbarossa promulgò un editto per vietarne la ricostruzione, pena la morte.

Per accedere all’isola si paga un biglietto (mi era capitato lo stesso sull’Isola di Mozio, in Sicilia, anche quella privata); dall’imbarcadero si sviluppano tre percorsi, uno archeologico, uno verso le case degli artisti ed uno nel boschetto; ma l’attrazione migliore è senz’altro il panorama e la vista sulla costa. Sebbene l’odore di fritturetta di pesce di lago che si spandeva dal locale ristorante solleticasse le narici e stimolasse i succhi gastrici, abbiamo atteso il passaggio del successivo battello diretti alla prossima tappa:

Lenno!

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Il bel paesino è famoso per la vicinanza della Villa del Balbianello, dimora FAI³ e set naturale per scene di alcuni film famosi come Casino Royale in cui James Bond vi va a passare la convalescenza dopo essere stato preso a mazzate sugli zebedei; ogni tanto vi staziona il cantautore Davide Van De Sfroos, che dalle parti del lago ha molti ammiratori tra i quali non mi posso annoverare non capendo una cippa di quello che canta; passeggiando sul lungolago si può vedere spesso passare gente con bastoni da nordic walking, e in genere sono persone che si fanno l’intera Greenway4, che è un percorso di una decina di chilometri che costeggia e passa sopra a diversi paesini del lago e va da Colonno a Cadenabbia (con la stupenda Villa Carlotta).
Il solo guardarli mette appetito, e quindi ci siamo fermati a mangiare in uno dei numerosi locali che affacciano sul lago, per un hamburger (stavolta non di scottona) patatine e birra weiss. Stavolta niente maxi schermo e addirittura niente carta di credito ne bancomat: si esagera dal verso opposto!

Stimolati però dai camminatori abbiamo deciso di percorrere almeno un pezzo della Greenway a retromarcia, cosa piacevole da un lato perché ci ha permesso di passare in viuzze che dalla strada nemmeno si vedono, e dall’altra pericolosa perché in certi tratti siamo passati rasente la Strada Regina, che di marciapiedi ne ha pochi e stretti; il caldo era tanto ed abbiamo avuto modo di invidiare gli amanti del sole che nelle varie spiaggette o parchi attrezzati (uno anche a Ossuccio) erano stesi ad abbronzarsi; e quando ormai la compagnia stava maturando verso il sottoscritto sentimenti poco amichevoli siamo arrivati finalmente a:

Sala Comacina!

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Dove abbiamo avuto la sorpresa di scoprire che il prossimo battello non sarebbe passato prima di un’ora; un pezzo del gruppo ha allora deciso di mettere a bagno i piedi bollenti, ed i più accorti, adocchiato un vicino bar-ristorante, si sono disposti all’attesa sorseggiando un bel bianchino fresco. Nonostante la goduria momentanea devo dichiarare che sei euro per un calice di bianco, fosse pure d’annata, non è un prezzo da paese civile; che se avessi saputo me ne sarei portata una bottiglia da casa e me la sarei scolata alla faccia loro, tanto al ritorno non avrei dovuto guidare. Ma bando alle recriminazioni, chi vuol essere lieto sia, del doman non v’è certezza! come cantava Katyna Ranieri su parole di Lorenzo De Medici.

Con una mezzoretta di ritardo è arrivato il battello, ed abbiamo scoperto che la cameriera che ci aveva rapinato faceva anche funzioni di marinaio, in quanto riceveva la cima che gli veniva gettata dal battello e la assicurava al molo. Diavoletta di una ragazza! Salita in questo modo nella nostra considerazione la abbandonavamo tuttavia senza rimpianti, questa volta con destinazione:

Como!

Consiglio per chi voglia passare ore sottocoperta di munirsi di un bel mazzo di carte; ho visto una famiglia cinese tirar fuori all’improvviso un cubo di Rubik con 6x6x6 tesserine per ogni faccia, quando io in vita mia non sono mai riuscito a completare quello 3x3x3 ed ho tremato pensando al momento in cui i cinesi possiederanno tutto e ci chiederanno come test di ingresso di completare il cubo; si può passare del tempo anche bevendo, così come ha fatto una coppia di giovani amici, di cui uno con grazioso ciuffo e dei bei calzini a righine colorate che metteva orgogliosamente in mostra arrotolando i pantaloni, coppia dicevo che abbiamo incontrato sia all’andata che al ritorno e non li abbiamo mai colti senza bicchiere in mano. L’arrivo è stato sul molo di fronte alla Funicolare che porta a Brunate (dove mio padre fu preso prigioniero dai partigiani e passato fortunatamente agli inglesi, secondo la versione in mio possesso) e a poca distanza dal nuovo monumento dell’archistar Libeskind, che non si sa bene cosa rappresenti ed era stato realizzato per San Pietroburgo; se non che ai russi non dev’essere molto piaciuto e ce lo siamo preso noi, ed ora è pieno di russi che vanno ad ammirarlo.

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Due giorni pieni, amici, faticosi anche, ma davvero belli. Spero che questa piccola cronaca sia stata piacevole e invogli chi non l’ha mai fatto a visitare questi bei luoghi, così come chi l’ha già fatto a riscoprirli. Presidente Maroni, a fine mese emetto la fattura.

(159 – continua)

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¹ Il Palio del Baradello è una manifestazione di rievocazione medievale che si svolge a Como nella prima quindicina di settembre. Gare tra borghi, sfilata storica, minestra di cipolle e cervogia. Tante comparse tra cui me portano in giro abiti più o meno filologicamente corretti (epoca del Barbarossa) atteggiandosi ad improbabili soldati o signorotti o contadini del tempo andato. Mi è vietato fare il frate, non so perché.
² I due rami della Y sono quello di Como e quello di Lecco. Lisander Manzoni quando si riferiva a “quel ramo del lago di Como” si riferiva al ramo di Lecco,  sappiatelo per non fare figuracce
³ Fondo Ambiente Italiano. Nelle settimane del FAI la villa viene aperta al pubblico, e d’estate vengono organizzate serate a tema. A proposito del FAI, in Lombardia ci sono tante dimore curate dal FAI e vale davvero la pena fare la tessera per sostenere queste attività.
4 In tempi non molto antichi la Greenway si sarebbe chiamata Strada Verde ed i bastoncini da nordic walking semplicemente bastoncini da camminata; a quei tempi Louis Armstrong si chiamava Luigi Braccioforte.

Ossi

L’altra sera Luciana Littizzetto, la nota comica torinese, nella sua consueta rubrica su “Che tempo che fa” ci ha edotti sul risultato degli studi di alcuni ricercatori inglesi che, evidentemente non proprio oberati di lavoro, hanno mescolato le ossa di un uomo di Neanderthal e poi, nel rimetterle insieme, si sono accorti che ne avanzava una ed hanno pensato bene, come una carota in un pupazzo di neve, di infilarglielo da qualche parte. La prognosi degli studiosi, dopo ponderosi studi corroborati da numerose pinte di birra doppio malto, è stata: è un osso del cazzo.

Qui la simpatica cabarettista per amore di battuta ha voluto un po’ esagerare, cercando di spiegare il motivo per cui ora l’osso non lo abbiamo più mentre avrebbe fatto piuttosto comodo; il fatto è che, sebbene per qualche esemplare si faccia fatica ad  accettarlo, l’homo sapiens non discende dall’homo neanderthalensis ma si è sviluppato per suo conto. C’è anzi il fondato sospetto che la nostra specie, pur con l’appendice floscia, abbia sterminato gli abominevoli con l’osso, ma non ci sono ancora le prove scientifiche e per averne la certezza occorreranno ancora parecchie generazioni di ricercatori e soprattutto parecchie pinte di birra. Con questo ho dato fondo a tutte le mie nozioni di paleontologia, pertanto vi invito ad approfondire la questione a casa vostra, con calma.

Chiedo a chi conosce il mondo più di me: ma in Inghilterra, giacché gran parte di queste scoperte viene da lì, tengono dei dipartimenti di ricerca appositi per far felici i comici? Possibile dico io che dal 1829 ad oggi nessuno abbia fatto caso a questo ossetto e tutti quanti, non sapendo dove metterlo, l’abbiano appioppato a casaccio da qualche altra parte dello scheletro? Faccio fatica a crederlo.

A proposito di ossi, il nostro ministro del Lavoro, dei Voucher e delle cooperative si è distinto per una dichiarazione che una volta tanto condivido. Parliamo tanto dei centomila cervelli costretti ad emigrare: ma siamo proprio sicuri che siano tutti-tutti ‘sti gran cervelli? Non è che qualcuno di questi cervelloni era in quella stanzetta a cercare di incastrare l’osso, come un cubo di Rubik? Vorrei essere rassicurato sulla questione. L’altra parte del discorso, che condivido però solo in parte, è: d’accordo, quelli che vanno all’estero saranno sicuramente bravi, ma non è che chi rimane qua sia necessariamente un coglione. No, è vero, non necessariamente: è una libera scelta che specialmente gli ingegneri informatici, che ben conosco, abbracciano spesso.

Rivolgo un appello alle donne: Madri, impedite ai vostri figli di diventare ingegneri informatici! Piuttosto indirizzateli ad attività più oneste come lo spaccio di stupefacenti o il gioco d’azzardo, faranno meno danni! Sorelle, se avete un fratello che vuol diventare ingegnere informatico, fategli terra bruciata con le vostre amiche raccontandogli di quanto poco si lavi, di quanto ami rubarvi i vestiti e rimirarsi davanti allo specchio vestito da Barbie Principessa! Mogli, se inavvertitamente avete sposato un ingegnere informatico, evitate di perpetuarne la stirpe! Concupite e concepite, ma non con lui!

Mentre i nostri amici inglesi si trastullano con i loro ossetti, noi brandiremo l’osso che più ci piace: quello del prosciutto! Voglio chiudere con un’immagine che farà inumidire le ciglia ai cuori sensibili del secolo scorso: Capodanno, famiglia e parenti, bambini, fratelli e cugini, pentolone con fagioli, cotiche e osso di prosciutto, di quel prosciutto fatto in casa l’anno prima e arrivato alla fine giusto per l’occasione, quel prosciutto che ci aveva accompagnato in quasi tutte le giornate di scuola, altro che merendine, altro che pizzette: pane e salsiccia, pane e ciauscolo, pane e prosciutto…

Per essere felici non c’è bisogno di avere tante cose, o di sapere tante cose. Anche un osso può bastare, se è quello giusto e, soprattutto, se è usato bene.

(116. continua)

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