Viaggio in Russia – Mosca!

Ed eccoci a Mosca, la capitale, la sede del potere: la città più grande e importante della Russia, 15 milioni di abitanti a cui se ne aggiungono giornalmente diversi altri milioni, tra lavoratori pendolari, visitatori e turisti.

I giorni passati a Mosca sono stati un po’ come passare davanti al negozio di un pasticcere: si vedono i dolci, si sentono gli odori, e viene voglia di entrare, curiosare, assaggiare… si, perché ci siamo stati meno di due giorni (tre notti, però), e bastano appena per rendersi conto della grandezza di questa città.

La visita ha toccato ovviamente la Piazza Rossa, che mi piacerebbe visitare il 9 maggio, quando c’è la grande parata per la ricorrenza della vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Ma anche così, trovarcisi è stata un’emozione, come quando trent’anni fa ci trovammo davanti alla Torre Eiffel in viaggio di nozze. La Piazza è racchiusa da un lato dalle mura del Cremlino, fronteggiate sul lato opposto dal grande magazzino Gum; di notte devo dire che le luci di quest’ultimo mi hanno un po’ disturbato, le luminarie in stile natalizio mi sono sembrate un po’ kitsch, togliendo un po’ di solennità al luogo. La Piazza è ora adibita anche a luogo di concerti, ed infatti una delle sere in cui, con un manipolo di ardimentosi, ci siamo avventurati in centro con la metropolitana (efficientissima!) ci siamo trovati di fronte uno sbarramento invalicabile: l’intera area era transennata, ed i varchi muniti di metal detector sorvegliati dalla polizia, con il rinforzo dell’esercito. E’ stato tenerissimo un soldatino che, vedendo una signora titubante di fronte ad una pozzanghera (pioveva) gli ha indicato un guado e le teso la mano per aiutarla ad attraversarlo. Mentre cercavamo di orientarci per aggirare gli ostacoli, tra cartine ed indicazioni in caratteri cirillici, si è avvicinato un ragazzo che, in un inglese senz’altro migliore del nostro, ci ha dato delle dritte per passare dall’altra parte. Gira che ti rigira comunque siamo riusciti a passare solo quando il concerto è finito, il girare però ci ha permesso di ammirare la via San Nicola, tutta illuminata di luci pendenti colorate, dove nei giorni dei mondiali si aggiravano i tifosi prima e dopo le partite. L’altro giorno leggevo di un manualetto distribuito ai propri tifosi dalla Federazione Calcio Argentina, che dava indicazioni sul modo più opportuno per conquistare le donne russe. Mi è sembrata un’iniziativa lodevole, non sono purtroppo riuscito a procurarmene un opuscolo, lo vorrei sottoporre all’attenzione di Olena per sentire che ne pensa.

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Turista in discutibile forma atletica e mentale inneggia all’amore universale (foto di repertorio)

Rimanendo sulla Piazza Rossa, abbiamo visitato la cattedrale di San Basilio, la cui grandiosità esterna contrasta con i piccoli ambienti interni; il Cremlino ovviamente, dove purtroppo la parte più bella non è visitabile: passeggiando dentro lo spazio del Cremlino bisogna stare attenti quando si attraversa la strada, facendolo sulle strisce pedonali, e questo non per paura di essere investiti ma perché altrimenti le guardie usano i fischietti a disposizione e redarguiscono i  contravventori. Nel Cremlino abbiamo visto lo Zar dei Cannoni (mai sparato un colpo) e la Zarina delle Campane (mai suonato un rintocco): maestosi manufatti, ma abbastanza sfortunati. Anche l’Armeria abbiamo visitato, dove sono custodite non solo armi ma tesori inestimabili. Siamo passati anche davanti al teatro dove spesso si esibiscono i nostri cantanti: non si sa perché ma i russi amano molto i nostri cantanti degli anni ’80, e qui Toto Cutugno e Al Bano ottengono sempre dei gran successi (la reunion Al Bano – Romina è avvenuta qua, non per caso…). A Mosca, per terminare col gossip, ha un bell’appartamento anche Ornella Muti. E no, non è vero che è stata amante del presidente Putin.

A proposito di rosso, a parte il ricordo dei sacrifici e dei caduti in guerra, mi sembra sia in atto una certa rimozione del periodo sovietico; anche sulla Piazza Rossa si pone l’accento che in realtà si chiamerebbe Piazza Bella, quasi si voglia nascondere quel di rosso che è rimasto. Per fortuna ci pensano i cinesi a ricordarcelo, e si incolonnano in file chilometriche per rendere omaggio alla salma di Lenin nel Mausoleo: cosa che avrei fatto volentieri anch’io se non ci fossero stati di mezzo, appunto, tutti quei cinesi. Una cosa carina che ho appreso è che esiste un modo di dire, quando un uomo tradisce la moglie, che dice “va a sinistra”: sara stato così anche prima del ’91?

Siamo passati davanti al Bolscioi, siamo passati davanti alla Casa Bianca, e qui non ho potuto non ripensare a quando, nell’ottobre del ’93, il democratico Eltsin la fece cannoneggiare dai carrarmati con dentro i deputati che si opponevano alle sue riforme di ultra-liberalizzazione.

Abbiamo visitato il grande magazzino Gum, un centro commerciale dove sono rappresentate tutte le migliori firme della moda mondiale: è curioso che l’embargo riguardi i prodotti alimentari e non questi, di prodotti. A proposito di prodotti agricoli, il nostro autolesionismo si spinge fino ad aver aderito all’embargo penalizzando le esportazioni dei nostri contadini, ma a permettere però che nostri tecnici vadano nelle loro industrie casearie ad insegnargli come fare la mozzarella. Tafazzi ci fa una pippa, per essere aulici.

Siamo entrati nella Chiesa del Cristo Salvatore, la nuova chiesa realizzata in epoca eltsiniana in un’area dove c’era prima una chiesa, abbattuta dai bolscevichi e dove venne poi edificata una grande piscina con l’acqua riscaldata; poiché di chiese mi sembrava ce ne fossero già abbastanza avrei più gradito la piscina, ma ammetto che dalla terrazza si gode un bellissimo panorama dei dintorni: si vede il museo Puskin, ed anche la nuova scultura dedicata a Pietro il grande, che in realtà l’autore aveva dedicato a Cristoforo Colombo ma poiché nessuno la voleva se la prese il sindaco di Mosca, chiedendo però di sostituire la testa del genovese con quella di Pietro.

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Bella, per carità, ma volete mettere una piscina?

A proposito di panorami, siamo stati sulla Collina dei Passeri, da cui si osserva tutta Mosca; alle spalle l’enorme Università; tra la distesa che si stende sotto spiccano alcune delle sagome delle Sette Sorelle, palazzi maestosi in stile sovietico dove abitavano funzionari del partito e le personalità più eminenti della società civile. In uno di questi abbiamo anche mangiato, in un bellissimo ristorante, e pasteggiato a spumantino.

Siamo stati sul Parco della Vittoria, creato di recente: qui si salda il giusto orgoglio per la vittoria su Napoleone con quello su Hitler; obelischi e targhe commemorano i protagonisti di quelle vittorie, e di notte una suggestiva fontana sgorga acqua che le luci illuminano di rosso, a ricordo del sangue versato.

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Mosca, dicevo, attira migliaia e migliaia di lavoratori dai paesi limitrofi (i trasporti pubblici sono efficienti, ma nonostante ciò il traffico stradale è micidiale). Sta succedendo quello che capita anche da noi: i lavori più umili i moscoviti non vogliono più farli (possono permetterselo dato che la disoccupazione è molto bassa) e quindi c’è anche una forte immigrazione dalle repubbliche asiatiche della Federazione Russa, ed anche da quelle che ne sono uscite trovandosi poi a mal partito, non avendo ne risorse proprie ne industrie significative. Anche in Russia c’è il problema dell’invecchiamento della popolazione,e questo saldato al fatto che le pensioni sono abbastanza basse (la media è di 200 euro) così come l’età per andare in pensione (55 le donne e 60 gli uomini) costringerà a breve a prendere delle misure che potrebbero essere impopolari.

Spostarsi in metropolitana a Mosca è comodo, ci sono tantissime linee, e i passaggi sono molto frequenti. Alcune stazioni sono delle vere e proprie opere d’arte, e infatti una mattina l’abbiamo dedicata alla loro visita. Considerevole che, dato che la città è in continua espansione, ogni anni vengono aggiunte almeno due nuove stazioni… Pur essendo enorme Mosca è anche una città verde: il 40% della superficie è coperto da verde e parchi, tra cui quel famoso Gorkij Park che ha ispirato un famoso film di spionaggio.

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Non ho portato a casa nemmeno una matrioska, e me ne dolgo. Contavo di farlo l’ultimo giorno, quando siamo riusciti a fare una passeggiata sulla via Arbat, via zeppa di negozietti: ma i primi due dove sono entrato erano gestiti da cinesi e mi sono sentito a casa, intristito. Le matrioske belle, quelle fatte a mano, giustamente costicchiano ed io ne posseggo già una, regalo di una vecchia collega, ancora in buono stato (la matrioska, la collega non so) che posso spacciare come appena arrivata. Ho portato a casa però una tazza con l’effigie di Putin: la terrò sulla scrivania e la metterò in mostra quando vorrò indicare di non rompermi le scatole.

L’ultima sera abbiamo assistito ad un bellissimo spettacolo di balletti, con una parte sulla storia russa ed una di balletti folcloristici tradizionali: costumi sfavillanti, grande corpo di ballo (cinquanta elementi!), ballerini e soprattutto ballerine con le quali rifarsi gli occhi.

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Danzatrici con uno speciale sistema di levitazione magnetica

Così come con le hostess dell’Aeroflot che ci ha riportato a casa, un bel biglietto da visita! Distribuendo anche una cena non disprezzabile.

Insomma, spero di avervi fatto capire che questo viaggio mi è piaciuto molto; che si può fare, anche senza tour organizzati; che mi piacerebbe persino andare a sentire Toto Cutugno cantare con il coro dell’Armata Rossa…

до свидания, Россия  !

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Questo francamente non si può vedere.

 

Natale con Olena (VII)

Ringrazio Judith del blog “Judith Laughs Loudest” che racconta storie deliziose, di Perth e non solo, e disegna simpaticissime matrioskine, per avermi prestato il cinese. Tra l’altro mi ha fatto un bellissimo ritratto che trovate qua.

Svengard ed i gemelli Uppallo I e Uppallo IV approdano con il maneggevole drakkar al porto di Varazze. Qui il nostro vichingo scarica il barile di aringhe e saluta gli amici, intonando insieme a loro un solenne e virile canto propiziatorio:
«Ohoh, Ohoh Licia! Mjösa Grundtal Dragan! Ohoh, Ohoh Friken! Godmordon Möllesiön!»¹
Svengard si guarda intorno, e valuta per un attimo se iniziare a spingere la botte fino alla villa del cavalier Rana oppure cercare un mezzo di locomozione. Afferra per il collo il primo cinese con risció che vede passare, e educatamente gli chiede:
«Cina, quante svanziche per la Brianza?»
Il cinese ne soppesa mentalmente peso e volume, considera il tempo necessario per l’andata e ritorno e spara la tariffa:
«10 euli! più 5 pel balile»
Considerando che il prezzo è allineato agli standard, sia del taglio dei capelli che della sostituzione del vetro del cellulare, Svengard accetta e sale sul risció.
Il cinese, un chiacchierone, racconta di chiamarsi Po e di venire da Perth, in Australia, ma di averla dovuta abbandonare a causa delle molestie subite da una vicina, che allevava in casa ragni da combattimento e pretendeva di portarli a spasso nel giardino condominiale con il guinzaglio ma senza museruola. Lo raccontava con le lacrime agli occhi, il poveruomo, ripensando alla attività che aveva dovuto lasciare e che lo riempiva di soddisfazioni, che era quella di girare per i pianerottoli con una racchetta elettrica in mano a caccia delle fameliche zanzare di Perth. L’ingratitudine di cui è stato oggetto commuove anche il rude Svengard che si ripromette, se mai un giorno dovesse veleggiare verso la cittadina australiana, di portare con sé cinese, racchetta e risció.

La bella Olena sta affilando la lama della spada giapponese Shin guntō, ricordo di suo nonno che l’aveva avuta da un ufficiale giapponese non più in grado di protestare, quando avverte i segni inequivocabili del risveglio della vegliarda. Come una lima da sgrosso su un tondino di ferro del 12, la vecchia esegue l’accurato raschiamento della gola che prelude lo scaracchio. Olena corre a prendere l’ombrello, giacché la vecchia si diverte a prenderla di mira, ed è con qualche sospetto che decifra i movimenti della degente, che indica la padella. Sempre protetta dall’ombrello, Olena la prende ed avanza; appena arrivata a portata di tiro la vecchia scaracchia e centra in pieno la padella. Alla prodezza balistica la mummia, evidentemente compiaciuta, fa seguire una risata asmatica; dopodiché, divertita dallo sguardo preoccupato della russa, la omaggia con un: «Aahh! C’ho ancora una bella mira, eh! Te pijasse un colpo, grazie Natascia»
Olena non crede alle sue orecchie. Dopo due anni la vecchia l’ha ringraziata e addirittura chiamata per nome, pur sbagliandolo, che sta succedendo?
«Natascia, per piacere, guarda dentro quel cassetto. C’è un album di fotografie, pigliamelo figlietta mia»
Olena sbanda. L’uno-due “per piacere – figlietta mia” l’ha fatta vacillare, come quella volta che Oleg la bestia l’aveva colpita con una sbarra di uranio arricchito che teneva a mani nude. Sente la sua voce rispondere:
«Subito, signora» apre il comò e ne estrae un antico album di fotografie.
«Eccolo, signora» – dice deponendo l’album vicino alla nonna Pina. Sta per allontanarsi, quando la vecchia la ferma:
«No, sta’ qua» – e, invitandola a sedersi sul bordo del letto, apre lo scrigno dei suoi ricordi. E’ il ritratto di una vera bellezza, in costume da ballerina da saloon, che troneggia in prima pagina, attorniata da adoranti cowboys; la nonna alza lo sguardo verso Olena e le chiede:
«Che dici, Natascia… ero bella, vero?»

Gilda è tornata nella villa, lasciando il cavaliere al lavoro. Passa davanti allo specchio dove poc’anzi James si era rimirato con i suoi occhiali da sole. Si sta avvicinando alla cinquantina e si trova ancora bella. Sorride, appena qualche rughetta, niente che non si possa nascondere con un buon maquillage. Poi si toglie lentamente il turbante, lasciando scoperta la testa. Il ricordo dell’incidente le offusca per un attimo il sorriso, ma si riprende prontamente:
«James?» – chiama il fido maggiordomo, che si materializza prontamente
«La signora ha chiamato?» – chiede l’acuto James
«James caro, ho voglia di caffè. Me ne fai uno dei tuoi speciali?»
«Naturalmente, signora. Posso consigliarle un Bird Jacu?»
«I tuoi consigli sono oro James. Solo per curiosità di che si tratta?»
«Chicchi di caffè defecato dall’uccello Jacu del Sud America, signore»
«Ottimo James, ottimo. Adoro i chicchi biologici»

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¹ “Kiss me, kiss me Licia / Certo il loro cuore / Palpita d’amore / Amore sì per te”

Brava Giovanna, brava!

Poi non si dica che sono contro gli animalisti! E’ di ieri la notizia che per sensibilizzare l’opinione pubblica contro la caccia alle balene che viene effettuata nelle isole Fær Øer alcuni attivisti hanno pensato bene di dare una mano di rosso alla statua della Sirenetta, a Copenaghen.

Giusto per dare la giusta proporzione al problema, le isole contano meno di 50.000 abitanti, meno di Matera per capirci, ed ogni anno vengono uccisi meno di un migliaio di Globicefali detti anche balene pilota.

La caccia avviene in maniera cruenta, un po’ com’era una volta la mattanza dei tonni in Sicilia; mi viene in mente quanto mi venne raccontato a Favignana a proposito della mattanza e cioè che sarà stata cruenta ma faceva molti meno danni della pesca attuale con le navi di alto mare, che di fatto ha provocato la scomparsa dei tonni a pinna rossa, quelli più pregiati.

Questi testardi isolani tengono molto alla loro autonomia e tradizioni, tant’è che pur facendo parte della Danimarca non fanno parte dell’Unione Europea e non aderiscono al trattato di Shengen. Asociali o previdenti?

Tornando alla statuetta, il danno è minimo, niente che con un po’ di acquaragia e olio di gomito non si possa eliminare; tra l’altro l’effetto estetico non è malaccio e fossi nelle autorità danesi terrei in considerazione la possibilità di lasciarla così com’è. Senza alcuna intenzione di sminuirla, la Sirenetta non è la fontana di Trevi, storicamente e artisticamente parlando; una mano di antiruggine non le farà poi così male.

Tra l’altro ricordo che qualche tempo fa mi recai a Copenaghen e non ebbi la possibilità di fotografare la super-immortalata statuetta perché era stata portata a Shangai, che in quell’anno era sede dell’Expo. Al suo posto c’era un televisore, e ci rimasi veramente male: ma dico io, i cinesi copiano tutto compresi segreti industriali e militari, non potevano fare una copia anche della statua?

A proposito di mobilitazioni, mi sembra ammirevole l’ondata di indignazione che spontaneamente si è levata contro il trattamento riservato ai gay in Cecenia. Ogni leader che si reca in Russia sembra in dovere di chiedere a Mr. Putin, dopo aver accondisceso su tutto il resto: “Si, ma per i gay in Cecenia che vogliamo fare?” tanto da dare l’impressione che la Cecenia non sia affatto quel posto che esporta terroristi in tutto il mondo ma l’isola felice dell’amore libero. A me sembra che ogni volta che gli fanno la domanda a Mr. Putin scappi un sorrisetto di compatimento, potrei sbagliarmi.

Per concludere e per dare una mano di vernice alle mie recenti intemperanze anti-animaliste, dichiaro di ammirare ed appoggiare incondizionatamente il commando danese dotato di grande pennello: brava Giovanna, brava!

(140 – continua)

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Globalizzati sul pianerottolo di casa

Quando sono arrivato nel quartiere dove abito, nell’87, c’erano parecchi negozietti. Macellerie, frutta e verdura, alimentari, formaggi, fotografo; sono spariti quasi tutti, resiste qualche bar di cui una buona metà dei  gestori è cinese, qualche lavanderia, un barbiere e qualche parrucchiera che fanno sempre più fatica a resistere alla concorrenza orientale. In compenso sono fioriti i centri massaggio, tutti cinesi, dove prima o poi dovrò decidermi a fare una capatina, giusto per rendermi conto.

Riguardo questi centri, una amica mi ha raccontato di una sua amica che, entrata per farsi massaggiare, si è sentita proporre dalla cortese addetta, tra le varie opzioni a listino, un “leccàle patata” che l’ha lasciata interdetta. Tra l’altro sono negozi aperti 24 ore su 24, anche di notte a chiamata, non si sa mai uno abbia bisogno di un massaggio all’improvviso, è un servizio molto utile a mio avviso.

In piazza spicca un fiorentissimo negozio di parrucchiere unisex, dove per 8 euro ti tagliano i capelli e per 10 fanno anche lo shampoo con tanto di massaggio della cute. Il turnover degli addetti è molto elevato; la formazione, abbastanza approssimativa, consiste nel mulinare il più velocemente possibile la macchinetta elettrica; ciononostante l’ultima volta che sono andato sono stato fortunato perché mi ha servito una signora che doveva avere un background da sarta, perlomeno le forbici le sapeva usare. I parrucchieri cinesi conoscono solo due parole: colto o lungo. In genere però prima partono a tagliare e poi chiedono che misura si vuole, ma a quel punto è tloppo taldi.

Un generi alimentari a dire la verità è rimasto, lo gestisce un turco. Ha una politica di prezzi aggressiva e concorrenziale anche se sospetto che adotti un doppio listino, uno per i connazionali ed uno per gli stranieri che saremmo noi. A volte fa finta di non capire, come quando gli chiedi uno sconto; ultimamente si è messo anche a vendere tappeti, diversificando così il business. Mi ha sorpreso la sua ignoranza riguardo il sapone di Aleppo, che pure avevo acquistato ad Istanbul; ma forse da loro si chiama in un altro modo.

La nostra chiesa è semivuota e frequentata per lo più da anziani; in compenso c’è un vivace centro islamico, frequentato più che altro da maghrebini, da dove i suddetti turchi si tengono alla larga perché loro con gli arabi non vogliono avere niente a che fare e quindi per non dare confidenza si sono fatti il loro, di centro islamico.
L’unico sprazzo di vita che si manifesta nella nostra chiesa è quando, una volta al mese, vi si ritrovano due comunità africane, congolesi e ghanesi: il nostro coretto partecipa entusiasta, spaziando dal lisanga allo swahili senza problemi ne vergogna.

C’era un forno, che ha chiuso i battenti l’anno scorso. Faceva anche pizze e focacce; ora per quello ci sono due pizzerie da asporto, entrambe di egiziani, che affiancano alla produzione della vera pizza napoli dei succulenti panini al kebab. Vendono alcolici senza problemi e maneggiano senza imbarazzi prosciutto e salame: nessun imam avrà da ridire? No, perché giusto ieri leggevo di un telepredicatore che in Turchia si è scagliato contro il gioco degli scacchi, dichiarandolo più peccaminoso del gioco d’azzardo. Di scacchi so poco, ma non immaginavo che portassero all’inferno. Mentre invece, e qui non posso che concordare riallacciandomi alla patata di cui sopra, lo stesso telepredicatore sostiene in polemica con un suo collega che l’Islam non vieta il sesso orale.

Un mio vicino, leghista della prima ora, ha sposato una ucraina, che gli ha portato in casa anche il fratello. Padroni a casa nostra! Sosteneva da celibe. Sarà ancora dello stesso avviso? A giudicare dal cagnolino che porta a spasso tutte le sere, c’è da dubitarne.

Un coetaneo di mio figlio e compagno di elementari e medie, figlio di genitori africani, è un campione di basket ed è in nazionale. Il suo professore di ginnastica lo diceva che sarebbe arrivato in alto, ha avuto l’occhio lungo.

Un altro mio vicino è italiano ma rastafariano. Il nostro anziano parroco rimase un po’ confuso quando si presentò a benedire casa, vicino Pasqua, e questi gli disse: “No guardi, sono di un’altra religione, Rastafariano”. Sconcertato rispose : “Piacere, io sono il parroco”, e mi sa che sia ancora convinto che Rastafariano sia il cognome di quel bizzarro signore.

E sono passati solo trent’anni! Chissà tra altri trenta come saremo, spero di esserci per vederlo. Intanto sento un dolorino alla schiena, quasi quasi vado a farmi fare un massaggio.

(118 – continua)

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