Olena regina d’Abissinia – 5

«Volete seguirmi, signori? Il dottore vi attende»
La signorina Zellwegger, bionda venticinquenne, due lauree e cinque lingue parlate, oltre ad una spiccata predilezione per la frusta grazie alla quale negli ambienti sadomaso è nota come Wendy il flagello di Dio, precede gli ospiti nel corridoio che porta allo studio del notaio.
«Prego, signori» dice fermandosi sulla soglia della stanza dove il notaio Guido Bernasconi, un sessantenne alto e tonico, abbronzato grazie alle partite di golf con i membri del Rotary Club nonché a sedute di lampada nel centro benessere “Luana Paradìs” dove non disdegna di sottoporsi alle pratiche fisioterapiche e non solo della titolare, in doppiopetto blu polvere ed un sorriso che gli costa qualche migliaio di franchi l’anno, va incontro ai convocati tendendo la mano.
«Prego, prego, accomodatevi» invita, trattenendo qualche secondo di troppo la manina della convenuta.
«E’ un piacere conoscerla, signora Quacquarini» dichiara galante Bernasconi.
«Anche per me, notaio» risponde la Calva Tettuta con un sorrisetto, avendo notato l’occhiata che il notaio ha buttato sul suo decolleté. «Non mi capita spesso di essere chiamata con il cognome da nubile, sono anni ormai che tutti mi chiamano signora Rana»
«Ho avuto occasione di conoscere suo marito qualche anno fa, un grande imprenditore, un visionario. La sua scomparsa mi ha addolorato»
«Visionario è la parola giusta» concorda Gilda, rabbrividendo. «Si figuri che voleva conquistare il mondo con i ravioli, poverino. Anche la memoria non era il suo forte, spesso si dimenticava di pagare le tasse, ad esempio. Di questo non gliene faccio una colpa, sia chiaro, ma ho dovuto condonare tutto e mi è costato un botto. Lei ne sapeva niente, notaio?»
«Assolutamente no, signora. Posso però comprendere il punto di vista di suo marito, qualcuno la chiama evasione fiscale, altri legittima difesa…»
«A proposito di punti, notaio, che ne direbbe di arrivare al dunque? La sua lettera era un po’ vaga, non trova?» sbuffa Gilda, impaziente.
«Mi scuso se per motivi di riservatezza non ho potuto essere più esplicito ma confido che tra pochi minuti la situazione vi sarà più chiara. I signori sono i testimoni? » chiede Bernasconi, indicando James e nonna Pina. «Geneviève, ha registrato le generalità dei signori?» chiede alla segretaria rimasta in attesa, ed alla risposta affermativa della efficiente dominatrice prosegue:
«Bene, allora se non avete altre domande possiamo procedere»
«Un attimo solo, notaio, che vuol dire che nonna Pina, cioè la qui presente Eusebia Lombardini, sarebbe un testimone? Lei dovrebbe essere la beneficiaria. Che c’entro io con questo negus?»
«Se ha un attimo di pazienza, signora, glielo farò spiegare direttamente dal diretto interessato» risponde il notaio sfoggiando un sorriso che non lascia indifferente James. «Le leggerò la lettera di incarico che l’imperatore fece avere a mio padre, che ha richiesto anni di lavoro per essere onorata…»
Il notaio apre una cartella in cuoio poggiata sulla scrivania e ne estrae un documento; inforca gli occhiali di cui non ha nessun bisogno ma gli danno un’aria autorevole ed inizia a leggere.

“Sento che la mia ora si sta avvicinando, l’Impero è in preda alla ribellione e prima che sia troppo tardi voglio porre rimedio ad un grave torto. Quando dall’Inghilterra tornai in Etiopia, nel 1941, dopo la cacciata degli occupanti, scoprii che tante nostre donne avevano avuto figli da italiani ed erano state abbandonate. Coloni, militari, avevano preso in moglie una etiope per un breve periodo, anche pochi mesi, madamato lo chiamavano; spesso promettevano di portarle con loro in Italia, ma questo non successe mai. Partiti gli italiani queste donne hanno avuto una vita infernale, disprezzate e discriminate, faticando perfino a procacciarsi il cibo; i figli allora venivano abbandonati e disconosciuti e venivano messi nei blefotrofi dove passavano l’infanzia. Io non alzai un dito per aiutarle come avrei potuto, anzi nella smania di punire chi aveva fraternizzato con i nostri nemici le condannai alla solitudine e alla disperazione. Non ebbi pietà nemmeno della mia famiglia: e così quando seppi che anche Halima, la figlia di mia sorella, aveva avuto un figlio da un italiano, rimasi sordo al richiamo del sangue, non le tesi la mano e lei per la vergogna si tolse la vita. Incarico pertanto il vostro studio di ricercare il figlio di questa mia nipote, l’italiano che l’ha abbandonata e gli altri suoi figli, se ne ha avuti e, una volta individuati gli eredi, procedere con l’apertura del testamento.

In fede,
Hailé Selassié, Imperatore d’Etiopia, 7 luglio 1974”

Un silenzio imbarazzato accoglie la lettura; il notaio ripone la lettera nella cartella, si toglie gli occhiali e si rivolge direttamente a Gilda:
«Ci abbiamo messo quasi cinquant’anni, ma alla fine ce l’abbiamo fatta» proclama con orgoglio Bernasconi, e dopo qualche secondo di suspence dichiara: «Quell’uomo, signora Quacquarini, era suo nonno. Arnaldo Quacquarini, nato a Serrapetrona il 20 febbraio 1914, sottotenente»

¹ Il termine madamato designava, inizialmente in Eritrea e successivamente nelle altre colonie italiane, una relazione temporanea more uxorio tra un cittadino italiano (soldati prevalentemente, ma non solo) ed una donna nativa delle terre colonizzate, chiamata in questo caso madama (molto meno di una moglie e poco più che una schiava).