Vita quotidiana al tempo del coronavirus (XLIV)

Martedì 7 aprile

Stamattina ho parlato con quello stordito del mio edicolante e gli ho chiesto se avesse fatto la richiesta per l’indennizzo dei 600 euro. Cascava dalle nuvole, eppure se è iscritto all’Inps come commerciante ne ha diritto anche lui; anche meritato tutto sommato, dato che svolge un servizio necessario e il suo giro d’affari, già povero, si è di molto ridotto… gli ho parlato anche del prestito garantito dallo Stato che ieri ha annunciato il premier Conte: non sapeva niente, ma è possibile? Povero, rinchiuso nel suo gabbiotto è più isolato di chi è isolato in casa…

Le misure economiche annunciate sono imponenti; non so come faremo a permettercele ma vedremo, una cosa per volta: a pagare e a morire c’è sempre tempo, e se la scampiamo dal virus per pagare troveremo il modo. Era buffo e quasi incredulo ieri il ministro dell’Economia Gualtieri, passato in un mese dal dover raschiare i centesimi dal barile a spandere denari come se piovesse; chissà il povero Tria, il ministro precedente, che invidia, lui che era messo in croce tutti i giorni…

Ieri ho chiamato i miei per sentire come stavano. La signora che va a fare le pulizie, ma più che altro compagnia per qualche ora, purtroppo ha la figlia con la febbre e quindi non può andare, il dottore è stato molto chiaro: tutte le febbri oggi devono essere trattate come se fossero coronavirus… per fortuna i miei fratelli sono entrambi a casa, anche se per precauzione hanno dovuto diradare le visite, e sempre protetti. Mia sorella, segretaria all’Università, lavora da casa e si lamentava anche lei della scomodità della sedia; mio fratello è magazziniere e per quello lo smart working ancora non è stato inventato. E’ il minore, dieci anni meno di me (è anche più bello e più simpatico ma che volete, la prima ciambella non viene mai bella) ed è senz’altro il più dinamico dei quattro, compreso l’altro emigrato anche lui, ed è per questo che è anche quello che patisce di più la reclusione: deve essere abbastanza disperato perché quando l’ho chiamato stava guardando la finale Italia-Francia del 2006 ed era ormai ai tempi supplementari con tanto di testata di Zidane a Materazzi. Mi ha detto che nella prima settimana è ingrassato un chilo e mezzo, ma recupererà…

Il primo ministro britannico, Boris Johnson, è ricoverato in terapia intensiva per il Covid-19. Il male non si augura a nessuno, specialmente durante la settimana di Pasqua, dunque spero per lui ed i suoi cari che guarisca: ma avrà almeno modo di ripensare alle stupidaggini dette da lui e dai suoi consiglieri su epidemia ed effetto gregge, ora che la pecora è lui?

Per venerdì santo mi sono preso un giorno di ferie. Non ero molto convinto dato che l’unica processione che potrò fare sarà quella tra balcone e balcone, ma evidentemente i giorni di commessa stanno diminuendo ed è stato cortesemente consigliato uno stop. Tra l’altro devo buttare giù anche le ferie per quest’estate: dunque, vediamo un po’, Cuba o Maldive? O magari cantina?

Ah, che dilemma. Ci penserò tutta la sera. A domani, amiche e amici!

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Vita quotidiana al tempo del coronavirus (V)

Venerdì 28 febbraio

Riprendo il treno di ieri, il diretto delle 7:45; normalmente al venerdì c’è meno gente perché ci sono meno studenti, ma siccome di studenti in questo periodo non ce n’è i viaggiatori sono più o meno gli stessi di ieri. Sale una coppia sulla settantina avanzata, ogni tanto li incontro perché vanno a Milano solo al venerdì e cercano di sedersi sempre sugli stessi sedili della stessa carrozza; lo fanno anche oggi anche se c’erano altri posti liberi e la ragazza seduta nel sedile davanti a loro lancia un’occhiata di odio che non colgono o sorvolano. Chiedo loro se non temono il contagio, mi rispondono che ne hanno viste tante e non hanno intenzione di farsi cambiar la vita da un microorganismo…

Ma la vita cambia eccome, magari in piccole cose ma cambia: ad esempio il condomino a cui ho allagato il bagno ha l’anziano padre ricoverato a Napoli, e lo va a trovare una volta al mese; stavolta non andrà per paura di contagiare lui e gli altri vecchietti dell’ospizio, dato che sembra che il virus prediliga persone avanti con gli anni… Mio figlio si ritrova ogni venerdì sera con amici e amiche nella taverna di uno di questi: ma questo in passato ha sofferto di gravi problemi polmonari e la madre non vuole assolutamente rischiare, quindi ha giustamente sbarrato le porte alla compagnia… Mia suocera, 85 anni suonati, ogni venerdì viene accompagnata da mia moglie e mia cognata a fare la spesa; ieri strepitava perché avrebbe voluto andare lo stesso ma l’hanno convinta che, dato che soffre spesso di bronchiti, era meglio lasciar stare… ha protestato un po’, ma alla fine si è rassegnata. Io lunedì avrei dovuto partecipare a delle prove congiunte di cori della diocesi: saltate… (di questo non mi dispiace tantissimo, ad essere onesti).

Di mia suocera prima o poi parlerò, è una donna che ammiro molto, energica, una padovana venuta in Lombardia da ragazzina a fare la servetta quando dalle sue parti si pativa letteralmente la fame; ha lavorato tutta la vita ed ha tirato su la famiglia e la casa praticamente da sola, perché il marito si è ammalato prestissimo. Oggi è affetta da una strana forma di sordità selettiva: sente solo quello che vuole sentire…

A Lipomo, un paese non lontano da Como, c’è stato un primo contagiato, un 84enne che sembra abbia avuto contatti con qualcuno della zona rossa. Ed ora che faranno, isoleranno il paese? Essendo un paese di passaggio, su una strada molto trafficata, dubito fortemente… ma quanta gente ha avuto contatti con codognesi e lodigiani? E come mai pare che qualsiasi straniero sia passato da Milano si sia infettato? (un cronista spagnolo che commentava Atalanta-Valencia; un turista israeliano… ma c’è gente in giro che ha il compito di infettare gli stranieri? Perché qualcosa non torna, per il calcolo delle probabilità allora noi che siamo rimasti a piede libero dovremmo cadere a terra come mosche…)

Al lavoro più o meno siamo gli stessi, c’è appena qualcuno in più probabilmente perché a fine mese bisogna fare i rapportini per le proprie società… un altro vantaggio del coronavirus è che i bagni sono puliti, quindi anche gli ingegneri informatici sono capaci di centrare il buco, se solo ci mettono un po’ di attenzione.

Si cominciano a sentire discorsi preoccupati per le prossime vacanze, che siano di Pasqua o oltre: gli aerei viaggeranno? Si potrà andare in Spagna, in Grecia, a vattelapesca, gli italiani li vorranno? Con un tempismo perfetto, dopo aver rimandato per anni, ho acquistato i biglietti aerei per Valencia proprio due settimane fa, quando si pensava che il virus fosse riservato ai cinesi… spero di non incontrare, nel caso, il cronista di cui parlavo sopra.

Torno a comprare pranzo al mercato comunale: il salumiere dice che i fornitori non gli consegnano più la roba e commenta “In divintà tuut matt”, la birra Ichnusa però per fortuna è arrivata; la panettiera cerca di rifilarmi le chiacchiere al cioccolato avanzate, mentre lo scaffale del pane è abbastanza vuoto. La farmacia non ha ancora le mascherine, visti i sequestri di ieri potrebbero distribuirne un po’, no? A proposito, gli accaparratori in tempo di guerra facevano una brutta fine…

Dovrei scrivere la nuova puntata di Olena, le idee ci sono ma non sono abbastanza concentrato per metterle in ordine: gira e rigira ‘sto virus occupa il cervello, rallenta i movimenti, blocca le iniziative. E questo weekend, che si fa? Se la disperazione mi opprime, riordinerò la cantina.

Vi farò sapere; se non mi sentite vorrà dire che sono in quarantena volontaria.

p.s.:
a voi non sembra che il governatore Fontana stia meglio con la mascherina che senza?

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Il paradiso non esiste

«Bulan, sbrigati amore che è tardi. Papà ci aspetta di sotto, dai che arriviamo tardi in chiesa»
Ratu, la mamma, è chinata sulla figlia minore, di sei anni, Mawar, e la sta aiutando ad allacciarsi il bell’impermeabilino rosso di cui la figlia è tutta orgogliosa, cucito da sua nonna Melati, che stravede per le nipotine.
«Uffa mamma, non ci voglio venire in chiesa» risponde la figlia maggiore, Bulan, dal bagno in cui si è rinchiusa da dieci minuti.
«Nessuna delle mie amiche va in chiesa!» protesta la ragazzina.
«Bulan?» continua paziente Ratu, rialzandosi e squadrando con un sorriso Mawar, che si è messa davanti al grande specchio ovale dell’ingresso, e stira le piccole pieghe dell’impermeabile con le manine.
«Mamma, dopo possiamo andare a mangiare il gelato tutti insieme, anche con Guntur e Kuwat?» chiede la bambina, che ha una vera venerazione per i due fratelli maggiori. Ratu scuote la testa, e pensa a quei suoi figli inseparabili, sempre in giro in due sulla stessa moto e sempre senza casco: “Prima o poi farete qualche incidente!” li ammonisce sempre bonariamente, sapendo bene che tanto non l’ascolteranno.
«I tuoi fratelli hanno promesso di andare anche loro in chiesa, ci vedremo tutti dopo» la rassicura la mamma. Al pensiero dei due figli ha un tuffo al cuore, un velo le offusca per un attimo la vista, ma si riprende subito e richiama ancora una volta la figlia ritardataria:
«Su Bulan, non fare i capricci. Lo sai come la pensa tuo padre. Quello che fanno le tue amiche è affare delle loro famiglie, quando sarai più grande potrai fare anche tu come vorrai. Adesso però esci, che è veramente tardi»
La porta del bagno si apre lentamente e Bulan esce, con il capo leggermente abbassato, non per modestia o imbarazzo, ma solo per non dar modo a sua madre di  vedere il filo di mascara che si è passata sugli occhi per sembrare più grande.
Ratu scruta questa figlia che sta crescendo, bella anche lei con il suo impermeabile rosso, e si accorge subito del trucco sugli occhi. Un sorriso di tenerezza e nostalgia le illumina il volto, e il pensiero vola a quando aveva la sua stessa età, il periodo delle prime cotte, quando si sentiva goffa e inadeguata, e va ad abbracciare la figlia, che ricambia, un po’ sorpresa.

Giù in strada Setiawan, il padre, aspetta seduto al posto di guida della vecchia auto, con il motore acceso,  e ascolta dalla radio musica tradizionale, con il gomito appoggiato sul finestrino aperto, e con le dita tamburella a ritmo sul tettuccio. Suo zio era stato un discreto suonatore di bonang, ed a Setiawan era rimasto il rimpianto di non aver avuto il tempo di imparare. Era dovuto andare a lavorare presto, e non c’era stato più spazio per il resto… aveva conosciuto Ratu, si erano sposati da giovani, e tutte le sue energie erano andate a mantenere la famiglia, e fare in modo che i figli crescessero bene, educati e rispettosi, e che potessero poi trovare la loro strada per realizzarsi nella vita.
A volte lo accusavano di essere un padre autoritario, ma lo faceva solo per il loro bene; tutti gli riconoscevano di aver cresciuto una bella famiglia, e se avevano dovuto fare qualche sacrificio, come ad esempio rinunciare alla macchina nuova, pensa Setiawan guardandosi intorno, ne valeva la pena.
“Adesso però comincia a farsi tardi ” pensa Setiawan guardando l’orologio dell’auto, e suona il clacson due volte, per richiamare le sue donne.
Che in un attimo sono fuori, controllano che non arrivino auto e attraversano la strada per salire in macchina, Radu davanti vicino a suo marito, e le bambine dietro.
Mawar sporge la testa dal finestrino guardando indietro, e vede qualcosa che le mette allegria:
«Aspetta papà, non partire, arrivano Guntur e Kumat!»
Setiawan controlla dallo specchietto retrovisore e sorride, vedendo arrivare effettivamente i due figli, a cavallo dell’inconfondibile moto.

«Buongiorno padre, buongiorno madre, ciao pesti!» saluta Kumat, mentre Guntur sgasa per non far spegnere la moto.
«Quando la porterai dal meccanico?» chiede Mawar al fratello. «Fa una puzza tremenda!» riferendosi al micidiale gas di scarico emesso dalla moto, senza marmitta da secoli.
«Quando sarai grande te la regalerò, così ce la porterai tu!» la canzona Kumat, scompigliandole i capelli.
«Siete pronti ragazzi?» chiede Setiawan ai due figli, guardandoli negli occhi.
«Siamo pronti, padre» risponde Guntur.
«Allora andiamo, ci troviamo di là» dice Setiawan ai figli, poi si gira verso la moglie, come a chiedere conferma. Anche lei guarda i figli, poi si volta verso le figlie e le accarezza. Infine si sistema sul sedile, e guardando fissa avanti a sé, dice:

«Si, andiamo, ragazzi. Ci troviamo di là»

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Domenica scorsa in Indonesia i membri di un’intera famiglia si sono divisi e sono andati a farsi eplodere in tre diverse chiese cristiane. Non c’è Dio che possa chiedere ad una madre di far esplodere le sue figlie, così la penso io. Non c’è paradiso che possa valere tanto.

p.s.
la mente, almeno la mia, non riesce a capire come certe azioni siano possibili. Ho provato ad immaginare gli ultimi minuti “normali” di questa famiglia, convinto che con la ragione non si possa arrivare a comprendere quei genitori, quei fratelli. Le sorelline sapevano? Spero di no. I nomi sono inventati, ed ho usato i nomi più normali possibile, non è vero che nel nome c’è già il destino. Il destino forse è nella fortuna di nascere nel posto “giusto”, e di avere genitori (e di esserlo noi stessi) che si sacrifichino e lottino per farci stare meglio qui ed ora, non nel paradiso dell’ignoranza e del fanatismo.

Ratu (“Regina”) la madre
Mawar (“Rosa”) la figlia minore
Bulan (“Luna”) la figlia maggiore
Melati (“Fiore di gelsomino”) la nonna
Guntur (“Tuono”) il figlio maggiore
Kumat (“Forte”) il figlio minore
Setiawan (“Uomo fedele”) il padre