Vacanze a Malta

Le cronache di questi giorni ci hanno fatto conoscere le ambasce di quei ragazzi che, in vacanza studio a Malta, sono dovuti rimanere in quarantena perché qualcuno del gruppo era stato trovato positivo al Covid. A me è sembrato più che normale, invece la tv ci propinava un bollettino quotidiano che manco il colon del Papa, quasi che i ragazzi risultassero dispersi nel Centrafrica o fossero prigionieri dei Talebani; addirittura da un paesino qua vicino un tizio si è mobilitato per far recapitare a destinazione dei reclusi, da un suo conoscente sull’isola, una colazione siciliana con tanto di granita (“io a Malta ci sono stato tanti anni, conosco bene la cucina di quegli alberghi”, ha detto. Una bella pubblicità, non c’è che dire).  

Non è che voglia fare il moralista, ma con tutta la buona volontà non riesco a empatizzare con quei ragazzi, ne coi loro genitori; e tantomeno con quei  300 che sono andati in vacanza studio (di che?) a Dubai, bloccati anche loro e men che meno con quelli che stanno per partire per la Grecia, a festeggiare la raggiunta maturità (su cui ho parecchi dubbi). Voglio dire, siete andati con la situazione che conoscete bene, poi almeno non lamentatevi; che volete, che mandiamo le portaerei a salvarvi?

Le mie vacanze, quando frequentavo le superiori e quindi un secolo fa, le passavo aiutando mio padre, fabbro, a bottega. Senza ammazzarmi di lavoro, per carità, anche perché mio padre sapeva bene cosa potevo fare e cosa no (avevo ed ho le mani delicate, ma lui era molto più fiducioso di me sulle mie capacità: io le cose che mi faceva fare lui non credo le avrei fatte fare a mio figlio che anzi ho protetto pure troppo, ma lui aveva fatto la guerra e io no). Scartavetravo, verniciavo (c’era una antiquaria che era contentissima quando sistemavo le testiere di letti antichi che portava, perché non lesinavo sulla porporina), tagliavo i pezzi per le ringhiere, lo accompagnavo nelle sue avventure più straordinarie, come calarsi nei pozzi per sistemare le pompe o issarsi sui tetti ad aggiustare grondaie, lo aiutavo a fare i conti, sorvegliavo gli operai, che erano poco più grandi di me di età. Ed i miei amici non è che partissero per Malta… i figli di contadini avevano da fare nei campi e con le stalle, quelli di altri artigiani andavano anche loro ad aiutare, gli unici che rimanevano senza far niente erano i figli di impiegati, se non trovavano qualche lavoretto da fare. Non ci mancava non andare in vacanza, i nostri genitori non le avevano mai fatte, e poi la vacanza era non andare a scuola e trovarci per interminabili partite a pallone, e magari la sera una birretta al bar (Peroni, al massimo Nastro Azzurro…).

Era un altro mondo, certamente, e sono anche storie che ho già raccontato. Per non parlare dei miei compagni che hanno dovuto lasciare la scuola dopo le medie per andare a lavorare, perché la famiglia non poteva mantenerli agli studi. Ma da quando è diventato indispensabile andare in vacanza? Come è stato possibile che in così (relativamente) poco tempo siamo diventati un popolo fiacco, viziato, frignone, e però pretenzioso, arrogante, ignorante? Com’è possibile che mandiamo i figli a studiare a Malta o Dubai per farli diventare dei perfetti idioti, ma che sanno l’inglese?

Ma che diavolo ci è successo?