Ciao mare

Nel 1973 Raoul Casadei scriveva uno dei più grandi successi di tutti i tempi: Ciao Mare. Per dire, nello stesso anno i Genesis pubblicavano “Selling England by the Pound”, un pippone che mi ha perseguitato per tutte le superiori, dove una professoressa di inglese si era messa in testa di insegnarci grammatica e pronuncia facendoci ascoltare dischi dei Genesis: risultato, il poco inglese che so è quello imparato alle medie, ed evito accuratamente il progressive rock.

Quando abbiamo costituito la nostra orchestrina, quindi, eravamo nel pieno del boom del ballo liscio: spuntavano sale da ballo come funghi e di conseguenza la richiesta di suonatori era  alta. Elio, il nostro maestro di banda, non approvava il nostro repertorio, i balli degli anni cinquanta erano un po’ più sofisticati dei valzer, mazurke, polke e tanghi che ci venivano richiesti; noi cercavamo di tenere alto il livello con dei classici sudamericani e degli swing, scelta che ci caratterizzava tra i tanti improvvisatori che imperversavano.

Riguardo le superiori, una delle cose che più mi infastidiva oltre ai lamenti di Peter Gabriel, erano le lezioni di aggiustaggio. Pochi sapranno che nel biennio iniziale degli istituti tecnici, uguale per tutte le specializzazioni, erano previste delle ore da fare in officina. Cosa lodevole questa, anzi a dirla tutta se ci avessero dato anche una zappa e un terreno da dissodare non ci avrebbe certo nuociuto, come non nuocerebbe agli studenti odierni. Il prodotto di queste ore in tuta da meccanico era però misero: si doveva limare un parallelepipedo, tirandolo perfettamente liscio ed in squadra; per controllare che non ci fossero avvallamenti si spargeva del minio su una tavoletta e ci si passava sopra il pezzo; se girandolo fosse stato tutto colorato, bene: altrimenti, ancora lima. Ogni tanto qualcuno provava ad accendere i torni, mettendo a repentaglio la vita dei compagni.

Io ero abbastanza perplesso, pensavo che se avessi voluto limare ne avrei avuto abbastanza nella bottega di mio padre; pensa oggi pensa domani si avvicinò il momento della consegna con il pezzo molto al di sopra delle dimensioni standard. Per recuperare mi portai il benedetto pezzo a casa e lo lavorai.

Ai colloqui con i professori, solitamente regno delle mamme,  quella volta venne mio padre. Il banco del  professore di aggiustaggio era comprensibilmente vuoto ma visto che sull’argomento babbo era ferrato, e per rompere il ghiaccio, ci dirigemmo verso di lui. Il prof, che non ricordava nemmeno che esistessi, disse a occhi chiusi che avrei potuto fare di più; al che mio padre reprimendo l’istinto di dargli ragione e mettermi finalmente in mano quella zappa, elogiò invece la mia presenza a bottega dove davo il mio contributo fattivo, e dove tra l’altro avevo anche portato il prisma metallico. Vidi per un attimo il prof vacillare, non convinto di aver capito bene: uno che faceva i compiti a casa di lima? O era da ricoverare, o da premiare. Discusse per un po’ di ferro e derivati con mio padre, si salutarono calorosamente ed io ebbi 2 punti in più sul registro. Non c’è niente da fare, per certi argomenti ci vogliono gli uomini.

Col professore di italiano fu ancora più facile. Il figlio suonava in un’orchestrina di San Severino; quando babbo gli disse che suonavo anch’io si ricordò di averci sentito e di essergli piaciuti molto, specialmente in quei sudamericani che i Cavalieri del liscio di suo figlio disdegnavano. In questo caso non avrei avuto bisogno di aiutini, ma certo se l’ascolto di Besame mucho gli ispirava larghezza di maniche, chi ero io per contraddirlo?

Ma tornando a Ciao mare, di questi tempi in cui le tedesche non sembra siano rappresentate al meglio ne per simpatia ne per avvenenza,  ricordo invece quell’atmosfera allegra e sbarazzina che c’era a Rimini, quando gli artiglieri in libera uscita sciamavano verso il bagnasciuga animati dalla ferma volontà di sdraiare qualche alemanna. Dovete sapere che gli artiglieri, nel caso specifico della contraerea, non erano dei corazzieri. Altrimenti non sarebbero entrati nei posti di manovra dei cannoni e delle mitragliatrici; perciò l’altezza media era di 1,60-1,65. Ora immaginate questa muta di soldatini assediare gruppetti di biondone,  le quali cercano una via di fuga svettando sopra il branco, inseguite da un coro delle uniche parole italiane che conoscano: ti amo, sei bellissima, vieni con me. Alla fine, lusingata e sfinita, anche la più dura di cuore cedeva. Tra gli inseguitori ce n’era uno, simpaticissimo, siculo: mi faceva ridere guardarlo alzare il braccio, e di molto,  per mettere la mano sulla spalla della sua compagna. Quando, rientrati per il contrappello, per prenderlo un po’ in giro glielo facevo notare, mi rispondeva seriamente: “Che m’importa tenè, e mica devo sposarmela”.  E invece seppi, un paio d’anni dopo, che non la raccontava giusta, quel pezzo di artigliere: si era trasferito a Colonia e si era proprio sposato, se con quella o con un’altra non saprei dire; ed ha anche aperto una pizzeria che si chiama, pensa te, Ciao mare.

(53. continua)

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