Olena regina d’Abissinia (10)

Macallè è la capitale della regione del Tigrè, nel nord dell’Etiopia, a 780 chilometri dalla capitale Addis Abeba; si trova ad oltre 2.200 metri sul livello del mare ed è sede, tra le altre cose, di un polo industriale tessile che lavora per marche di tutto il mondo. E’ stata la prima città etiope dove è stato vietato il fumo nei locali pubblici, divieto apprezzato dai quattro commensali che siedono ad un tavolo del ristorante dell’hotel Lalibela nel quale alloggiano, un due stelle che ha visto tempi migliori ed è stato posto più volte sotto sequestro dalla polizia buoncostume locale.

«Compagni, devo dirvelo. E’ da quando siamo arrivati che ce l’ho qui, in gola, ma sento che è arrivato il momento di esternarlo»
Luisito Lenìn prende un pezzo di injera e lo usa come posata per sollevare un pezzo di tsebhi di agnello e portarselo alla bocca. Lo guarda perplesso, e continua:
«Intendiamoci, è una sensazione del tutto personale, non vorrei che fosse interpretata come una critica alla dirigenza del partito che ci fatto l’onore di mandarci qua»
Ambrogio Cantaluppi, più portato all’azione che alla dialettica, seppur democratica, sbotta:
«Luisito, parla chiaro per la miseria. Finiscila con questi giri di parole, vuota il sacco!»
Lenìn, uomo dai lunghi preamboli, abitudine della quale la sua stessa consorte è infastidita in quanto raramente arrivano ad un dunque, poggia l’agnello, si alza in piedi e dichiara:
«E va bene, se volete che sia diretto lo sarò: mi sono rotto i coglioni! Da quando siamo arrivati non abbiamo fatto altro che zappare, piantare alberi, innaffiarli: se volevo fare il giardiniere restavo a casa, che mia moglie è da una vita che mi dice di tagliare la siepe! Mi si sono riempite le mani di vesciche! E poi, se vogliamo essere onesti, questi in cinquant’anni hanno rasato tutte le foreste, adesso hai voglia a piantare alberelli! »
«Fa’ e disfa’ è tutto un laurà» sentenzia Alcide Remigi, detto Memo.
«E va bene, ma non doveva essere un viaggio di istruzione? Qui pare che facciano apposta a tenerci lontano da tutto, a non farci parlare con le persone! Di che hanno paura, che li contaminiamo?» chiede polemicamente Luisito e si risiede, addentando con foga la pietanza speziata. Attilio Trozzo, il capodelegazione, cerca di riportare la discussione su binari più moderati.
«Compagni, un poco di pazienza! Siamo o non siamo il partito dei lavoratori? E allora lavoriamo. Fate conto di essere tornati alle elementari, quando i primi giorni di scuola piantavamo gli alberi; e poi non siete orgogliosi di partecipare alla realizzazione della Grande Muraglia Verde africana? Un’opera destinata a fermare la desertificazione del continente: l’Etiopia ha già messo a dimora 5 miliardi e mezzo, e dico miliardi non bruscolini, di piante, e voi vi lamentate per qualche vescica alle mani? Vergogna!»
«Trozzo, facciamo a capirci» interviene di nuovo Memo. «Ci sei o ci fai? Non siamo mica boy scouts. Siamo venuti a studiare le istituzioni, prendere contatto con le associazioni sindacali e i partiti di sinistra, incontrare le rappresentanze degli studenti e dei lavoratori, confrontarci con la società civile. Finora non abbiamo visto un’anima viva, a parte le donne che zappettano davanti a noi, ma più che altro le schiene e i sederi, perché non alzano mai la testa. Tra l’altro le facciamo pure rallentare perché non siamo capaci. Allora, si può sapere che c’è sotto?»
«Sì, che c’è sotto?» insorge ancora Ambrogio «E poi perché proprio a Macallè dovevano mandarci? A parte che evoca brutti ricordi» dice il leader del sindacato mimi di strada e falsi invalidi in carrozzella, alludendo alle battaglie combattute e perse nel 1895 dal regio esercito contro l’esercito di Menelik II «ma qui non è per niente sicuro. Questi tigrini si sono fatti la guerra con il governo centrale per due anni, adesso c’è la tregua ma non è detto che non riprendano ad ammazzarsi, e io non vorrei trovarmici in mezzo. Ma chi è il deficiente che ha scelto proprio questo posto?»
«Esatto, un deficiente» incalza Memo «Lo dicevo io che era meglio andare a Cuba! Insomma, questa è gente litigiosa, e non poco. E se qui non si sta tranquilli non è che dalle altre parti sia tanto meglio: verso il Sudan è meglio non avvicinarsi perché sono ai ferri corti per la diga che gli etiopi vogliono costruire sul Nilo Azzurro, con l’Eritrea non ne parliamo che sono stati in guerra per vent’anni, con la Somalia idem, insomma ‘sti abissini sono dei gran rompicoglioni!»
«Senza contare» ricorda Luisito, con una punta di invidia «che ciulano come matti. In trent’anni la popolazione è raddoppiata!»
«Compagni, compagni, e che cazzo! Va bene criticare, ma il popolo lavoratore ha pur diritto di ciulare quanto vuole» proclama Attilio Trozzo, enfaticamente. «E poi, se mi aveste fatto parlare, vi avrei dato la notizia che sono sicuro vi rasserenerà»
«Ce ne andiamo?» chiede Ambrogio, provocatoriamente.
«Al contrario. Domani sera saremo ospiti dell’associazione di amicizia Italia-Etiopia: si terrà una festa da ballo e conosceremo autorità e delegati. Avete visto, uomini di poca fede? E mi raccomando» conclude Trozzo abbassando la voce e avvicinandosi ai suoi commensali «cerchiamo di non farci riconoscere, come al solito»

22 pensieri su “Olena regina d’Abissinia (10)

  1. Tutto sommato, di vedere schiene e sederi delle donne non mi lamenterei.
    Detto ciò, grazie per la nota divertente che hai dato alla mia mattinata: la notte l’ho passata a rimettere, e no, non ho mangiato agnello speziato ahimè ma piuttosto del latte probabilmente guasto -.-

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  2. “Macallè is the capital of the Tigrè region, in northern Ethiopia, 780 kilometers from the capital Addis Ababa; it is located over 2,200 meters above sea level and is home, among other things, to a textile industrial center that works for brands from all over the world.”

    The way you describe Northern Ethiopia is very interesting, dear Giorgio. I also like the two photos. You are walking in the steps of your grandfather (or was it a granduncle? I forgot).

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