Addis Abeba, aeroporto internazionale Bole.
«Forse avremmo dovuto aspettare l’arrivo di Natascia…» osserva rispettosamente James, guardando perplesso la padrona che avanza tacchettando inguainata in una tutina leopardata seguita da Svengard che spinge un carrello pieno di valigie, anche loro leopardate, respingendo l’assalto dello stuolo di facchini che vorrebbe guadagnarsi la pagnotta servendo quelli che appaiono come ricchi turisti.
«Sì, dovevamo aspettare Natascia» conferma Svengard, sbuffando.
«Nessuno ha chiesto il tuo parere, mi pare» lo redarguisce Gilda, puntandogli contro il ditino. «E ricordati che sei ancora sub judice, se è la parola giusta. Non capisco il motivo di tutta questa segretezza. Non potevamo viaggiare con il nostro aereo, invece di quello di linea? A quest’ora saremmo già in albergo sotto la doccia» si lamenta la Calva Tettuta, portandosi al nasino un fazzoletto di seta intriso di essenza di Artemisia Arborescens per allontanare l’odore di umanità che ristagna nell’aria.
Giunti all’uscita del gate, uno chauffeur vestito in un completo nero che gli sta un po’ largo di spalle, con i capelli rasta raccolti a stento sotto il berretto di ordinanza, li aspetta mostrando un cartello “Regina di Saba”, il nome dell’albergo dove è stata prenotata per loro la suite imperiale.
«Ecco, avete visto? Sono venuti a prenderci, uomini di poca fede»
L’uomo li guida fino ad un minivan con i vetri oscurati, in vicinanza del quale Gilda si ferma perplessa, guardandosi intorno.
«Senta, buon uomo» chiede rivolta allo chauffeur «giusto per essere sicuri che non ci siano fraintendimenti, a lei l’ha mandata Natascia, giusto?»
L’uomo annuisce, cordiale; apre la porta scorrevole del Van e invitando i tre ad entrare ripete il nome dell’albergo. Gilda, titubante, ignora l’invito.
«Credo sia il caso di chiamare, non credi James? Paese che vai usanze che trovi, non vorrei che ci portassero a fare un giro turistico per spillarci qualche soldo. No giro turistico, compris?» intima all’abissino, aiutandosi sempre con il ditino alzato.
«Regina di Saba» la rassicura l’autista, e più che i denti di madreperla che spiccano sulla pelle olivastra è la pistola Glock 43 che punta verso di loro che li convince a salire in macchina.
«Cominciamo bene» commenta la Calva Tettuta, sistemandosi nervosamente il turbante leopardato.
«L’avevo detto, io» precisa con dubbio tempismo Svengard, beccandosi una borsetta leopardata in testa.
Ethiopian Empire Hotel, centro di Addis Abeba
«Jemal? Qui Olena, tu ricuorda di me?»
L’uomo, un massiccio sessantenne dai capelli rasati ed una lunga cicatrice che gli attraversa il volto, immerso in una grande vasca Jacuzzi, guarda sorpreso il cellulare che gli ha passato una delle due massaggiatrici che lo aiutano con diligenza ad espletare le pulizie quotidiane.
«Olena… tenente Smirnoff?» chiede incredulo, raddrizzandosi di scatto.
«Capitano, prego» precisa Olena.
«Buon Dio» esclama Jemal «è proprio lei? Che piacere sentirla, ma quanti anni saranno passati…?»
«Trenta anni» lo aiuta la russa. «Trenta anni precisi da quando abbiamo aiutato quel criminale di tuo capo Menghistu a scappare da suo compare in Zimbabwe. Avremmo fatto cosa giusta a piazzare lui palla in testa»
«Ah, ah, sempre animosa, vedo. Sì, forse sarebbe stato meglio, in pochi l’avrebbero rimpianto. Ma eseguivamo ordini tutti e due, dico bene? Non stava a noi decidere cosa era giusto e cosa no»
«Già» conferma Olena «qvesto grosso problema. Chi decideva…»
«Capitano, non mi avrà chiamato per parlare di politica, vero? Non mi occupo più di quella roba, ho altro per la testa adesso. Sono un uomo d’affari…»
«Sì, io conosco tuoi affari Jemal. Qat¹, donne e gioco d’azzardo. Nuovo sole di avvenire…»
«Non mi dirà che è nostalgica, capitano. E’ stato bello finché è durato, e ci ho pure creduto. Poi il mondo è cambiato e mi sono dovuto reinventare. Lei invece è rimasta nel giro?»
«Ho bisogno di tuo aiuto, Jemal» chiede Olena, senza rispondere.
«Lei hai bisogno del mio aiuto? Questa è bella. Come le dicevo non sono più nel giro, ma magari potrebbe venire da me e parlarne a quattr’occhi» invita l’uomo insinuante.
«Non sembra molto buona idea» dice Olena «tua vasca da bagno è piuttosto affuollata»
«Che cosa?» chiede l’etiope stupito, notando finalmente il puntino rosso che gli illumina il centro del petto, provocato dal laser del fucile di precisione che Nonna Pina gli sta puntando dal terrazzo dell’albergo di fronte, osservazione che lo spinge ad uscire di scatto dalla vasca e dalla stanza da bagno, fuori dalla quale lo aspetta una bionda in pelliccia che gli sorride beffarda e gli porge un accappatoio di spugna. L’uomo si ferma e sorride a sua volta, sollevato.
«Ma che cavolo, Olena, che scherzi sono questi? Mi hai fatto prendere un colpo!» sbotta passando ad un linguaggio meno formale.
«Vedo che tu tenuto bene in forma, complimenti» dice Olena, soppesando quanto rimasto degli antichi splendori.
Jemal scuote la testa allacciandosi la cintura dell’accappatoio, indica alla russa la poltrona, riempie due bicchieri di vodka e gliene passa uno; le si siede di fronte ed alzando il bicchiere per brindare chiede:
«Dunque? Che posso fare per te? »
«Sto cercando un uomo. Sembra sia stato rapito, e non voglio perdere troppo tempo »
«Chi è?»
«Suo nome è Hacalu Maconnèn, ma lui fa chiamare Bronch’io»
«Bronch’io? Ma che razza di nome è?»
«Lui rapper» chiarisce Olena.
«Musica degenerata» sentenzia Jemal, vuotando il bicchiere. «Ai bei tempi l’avremmo mandato nell’Ogaden² a spaccare pietre. Perché è stato rapito?»
«Non posso dire te»
«Ah, ah, sei sempre la solita…» ride Jemal, battendosi la mano destra sulla coscia.
«Ok, ci sto. Ma a me che ne viene?» chiede l’etiope, divertito.
«Mia riconoscenza» dichiara Olena, alzandosi in piedi e facendo scivolare a terra la pelliccia turchese «E un milione di dollari.»

¹ Il Qat è una pianta, coltivata in Etiopia ed in altre parti dell’Africa, le cui foglie masticate hanno un effetto anfetaminico, reprimendo tra le altre cose gli stimoli di fame e fatica, ragione per la quale erano usate tra i contadini dei poveri altipiani, un po’ come succede sugli altipiani boliviani con le foglie di coca. Uno dei suoi effetti è quello dell’aumento della libido e del desiderio sessuale, sarà per questo che gli etiopi si riproducono tumultuosamente?
² L’Ogaden, grande regione dell’Etiopia che confina con Gibuti, Somalia e Kenya, è abitato da popolazioni di etnia somala e religione musulmana. Più grande dell’Italia, ma con meno di 7 milioni di persone, oggi fa tecnicamente parte della Regione dei Somali, creatura burocratico-amministrativa del governo etiope. Non bastassero siccità e carestie, ogni tanto la gente pensa bene di ammazzarsi con qualche guerra civile.
Debbo riconoscerti un certo gusto per l’orrore: tutina leopardata abbinata a set di valigie leopardate anch’esse. Come si fa a distinguere l’una dalle altre?😭😭😭😭
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Anche le scarpette erano leopardate! James inorridiva, ma ubi Maior eccetera eccetera… 😁
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Ubi major, minor cessat… ancora peggio: pure le scarpette leopardate! Che orrore!🥶🥶🥶🥶
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🤣🤣
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Come stai ?
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L’influenza è passata, mi è rimasta una tosse secca che ho attaccato anche a mia moglie. Le ferie sono finite e ho ricominciato a lavorare, però settimana prossima torno dal dottore, mi sa che ci vuole l’antibiotico. E tu, tutto bene?
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La tosse rimane per un po’-
Devo andare in ferie e mi tocco con entrambe le mani.
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Ah, ah, e fai bene! 😂
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Doppio mistero in questa nuova avventura! Wooow!
Leggendo riflettevo (va beh, tentavo di riflettere) sul fatto che i personaggi sembrano tutti ragazzetti, nonna Pina a parte, e invece ora scopro che anche la Olena ormai i cinquanta li avrà passati… invecchiano anche loro con mio sommo gaudio. ahahah.
” […] per allontanare l’odore di umanità che ristagna nell’aria.” mi piace un botto e prima o poi te la rubo. 😉
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Eh, nell’ultima avventura l’avevo fatta anche diventare nonna… 🙂 tra poco mi toccherà fare un prequel, perché anche lei comincerà ad avere i suoi acciacchi! 🙂 Ah, ah, quella dell’odore di umanità me la raccontò a proposito di Katia Ricciarelli che aveva incrociato in un ascensore a Mediaset: si teneva un fazzoletto sul naso e commentava col suo accompagnatore “che odore di umanità…” lei era abituata all’odore del Pippo nazionale…
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aaah, allora anche tu presa in prestito, neh!? 😉 Ma è così, le parole, belle, devono girare.
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Le parole sono di tutti… poi dipende come si usano. Fai girare! 😉
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