Olena à Paris – 16

Nonna Pina, seduta come ospite d’onore alla tavola da pranzo a ferro di cavallo, in legno massiccio ricavato da vecchie traversine della ferrovia, guarda la grande famiglia che è lì radunata e rivolge un sorriso al gruppetto di bambini che, seduti in terra a gambe incrociate, aspettano di ascoltare il suo racconto. Si volta leggermente alla sua sinistra, verso Juanito, che con un cenno del capo la incoraggia ad iniziare. Nonna Pina si rischiara la voce, socchiude gli occhi e ritorna con la mente a quei giorni del 1940.

«Evita era di qualche anno più giovane di me, oddio, eravamo tutte e due giovanissime, io allora avevo 26 anni e lei 21, la stessa età di mio fratello… non era ancora Evita Perón, ma solo Eva Duarte, un’attrice che dopo la sua bella gavetta cominciava ad essere conosciuta grazie ai radiodrammi, quei polpettoni che venivano trasmessi appunto alla radio e che avevano un grande seguito, più o meno l’equivalente delle soap operas di adesso. Venne lei a presentarsi, mi disse che aveva assistito al nostro spettacolo a Rosario ed era rimasta affascinata, non vedeva l’ora di rivedermi nel Gran Splendid di Buenos Aires… non era una bellezza appariscente Evita, non per vantarmi ma io ero molto più bella, vero Juanito?»
«Voi non eravate bella, eravate magnifica, donna Eus… donna Pina» dice il padrone di casa.
«Magnifica.. non farmi arrossire Juanito, diciamo che piaciucchiavo» si schermisce la vecchia, con un pizzico di civetteria.
«Scambiammo qualche parola in un buffo misto di italiano e spagnolo, mi disse che le sarebbe piaciuto molto venire in Italia. “Chissà”, le dissi, “magari una volta sarete voi a venire in tourneé da noi, e io verrò ad applaudirvi”. Non sapevo quanto quella frase di cortesia fosse profetica… ma non corriamo. Ah, Juanito, delizioso questo asado¹, si scioglie in bocca» si congratula la centenaria.
«Ve lo dicevo che la nostra carne è la migliore di tutta la pampa, donna Pina. Posso suggerirle di condirla con un po’ di chimichurri² ? »
«Dici, Juanito? Non mi darà bruciore di stomaco? E vada per il chimichurri, bisogna provare tutto nella vita, non è vero?» Poi, dopo aver inghiottito un altro boccone di carne intinto nella salsa verde, continua:
«Dov’ero rimasta? Ah sì, la tourneé. Ad un certo punto della cena uscii in giardino a prendere una boccata d’aria, il vestito mi stringeva ed avevo un caldo pazzesco, i piedi cominciavano a gonfiarsi e non vedevo l’ora di tornare in albergo per riposarmi… stavo per rientrare ma ebbi un mancamento e sarei caduta in terra se non ci fosse stata Evita a sostenermi. Mi aveva tenuto d’occhio per tutta la sera, e quando aveva visto che mi ero allontanata mi aveva raggiunto, voleva chiacchierare un po’, chiedermi consigli. Mi accompagnò fino ad una panchina, mi aiutò a sedere e con un sorriso dolce, indicando la pancia, mi chiese: “Di quanti mesi?”»
«Perché, voi?…» chiede Juanito, sorpreso.
«Si, Juanito, ero incinta, e lei se ne accorse subito. Mi allarmai e la pregai di non dire niente a nessuno, fece una smorfia offesa… capii guardandola negli occhi che quella era una donna di cui ci si poteva fidare, e colsi molto altro nel suo sguardo: orgoglio, volontà, determinazione, rabbia anche, ma anche comprensione, dolcezza, e soprattutto amore, tanto amore per la sua terra»
Nonna Pina beve un sorso di Mendoza tinto³ “Buscado vivo o muerto”, schiocca la lingua in segno di approvazione e continua:
«Rimanemmo lì a parlare, scoprimmo di avere parecchie cose in comune, oltre la professione. Non sopportava le ingiustizie… lei, la quinta di cinque figli che sua madre aveva avuto da un uomo già sposato, che li aveva poi abbandonati quando lei era ancora bambina per tornare con sua moglie e la sua vecchia famiglia; e loro, gli illegittimi, rimasti a masticare umiliazioni e subire discriminazioni, disprezzati persino dagli altri bambini, che non volevano nemmeno giocare con loro. Addirittura quando il padre morì, in un altro paese, a loro non fu nemmeno permesso di avvicinarsi alla bara, nonostante portassero il suo cognome… nel raccontarlo la voce le vibrava di sdegno, l’ingiustizia subita era stata troppo grande, e dentro si coglieva una promessa fatta prima di tutto a sè stessa, che di ingiustizie non ne avrebbe sopportate più. Era magra, Evita, e nemmeno altissima, ma aveva dentro una forza, un fuoco, che la faceva sembrare più grande di quel che era… Io potevo capire cosa volesse dire essere cresciuti senza padre, il mio l’avevo perso nella Grande Guerra…»
«Non lo sapevo, donna Pina. Dovete aver sofferto molto…» dice Juanito, sinceramente dispiaciuto.
«L’ho odiato parecchio, sai Juanito? Non era tenuto ad andare, teneva famiglia. Ma partì volontario, doveva liberare Trento e Trieste, diceva. Per me era un eroe, un cavaliere senza macchia e senza paura, solo crescendo riuscii a capire i silenzi, le lacrime di mia madre ogni volta che riceveva una sua lettera. L’ultima volta che lo vidi era tornato in licenza e mi disse di stare tranquilla che la guerra stava per finire, gli austriaci non ce la facevano più. Ma una pallottola per lui ce l’avevano ancora… Quella notte probabilmente mise incinta mia madre, che così rimase da sola a tirar grandi una bambina di quattro anni e quell’altro che teneva in grembo: mio fratello Mario, bello come il sole, che  per non essere da meno se ne andò volontario a morire in Russia⁴ nel ‘43, ma questa casomai ve la racconta dopo Natascia»
«Sarà mio onore, babushka» acconsente la russa, con gli occhi blu più luccicanti del solito.

(continua…)

¹ arrosto alla brace
² salsa verde a base di prezzemolo, peperoncino ed aglio
³ vino rosso prodotto nella regione di Mendoza
⁴ cfr. “Niente sushi per Olena” – 2018

15 pensieri su “Olena à Paris – 16

    • È verissimo, non si prendevano “scalzacani”… così come nei primi sceneggiati televisivi, con bravissimi attori teatrali… La funzione dei media non era solo quella di intrattenere, ma di educare… I fratelli Karamazov chi mai l’avrebbe letto? La televisione lo portò invece al grande pubblico, e allora era “grande” davvero.

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