Olena à Paris – 3

Io di Parigi ancor non ho
le usanze bene apprese
E le malizie ancor non so
di questo bel paese.
Io son Pontevedrina ancor
che ci volete far?
Se fossi Parigina allor
mi saprei regolar!¹

Una figura coperta da un mantello scuro avanza claudicante nella grande camera dove campeggia un letto king size a forma di cuore sul quale giacciono due corpi profondamente addormentati. E’ l’alba, ed i primi raggi di luce filtrano fra le lamelle delle persiane poste a protezione delle grandi finestre all’inglese arrivando a colpire, indiscreti, la schiena della Calva Tettuta, nuda come mamma l’ha fatta.
L’ombra si arresta sul bordo del letto e fissa le forme un tempo ben conosciute; poi con un sospiro si scosta il mantello dal volto e batte con rabbia il bastone a cui si appoggia sul pavimento, gridando:
«Gilda! Per la miseria, almeno copriti!»
Gilda si sveglia di soprassalto e, riconoscendo la voce prima ancora della sagoma minacciosa che incombe su di lei, urla dallo spavento:
«Aahh! Evaristoo! Che cacchio ci fai qui, tu sei morto! E che diamine, possibile che non ti rassegni? Ritorna nell’oltretomba, via, sciò!» lo invita la vedova, accompagnando l’invito con un eloquente gesto della mano.
«Disgraziata, tu dormi mentre la barca affonda!»
«Ma di che barca parli, anche da spettro vaneggi? Infilati nel loculo e non rompere le scatole!»
«Parlo della mia azienda che va in malora, mentre tu ti trastulli! »
«Per tua norma e regola questa adesso è la “mia” azienda, e non preoccuparti che va molto meglio di quando c’eri tu! Ma guarda te se deve venire qua un fantasma a dirmi quello che devo fare. Adesso vai via, hai rotto, vade retro, io ti ordino di lasciare questa stanza con annessi e connessi, insomma Evaristo togliti dalle scatole una volta per tutte! Non costringermi a prendere l’aglio, eh?»
«No, l’aglio no! Non lo digerisco» risponde il fu cavalier Rana, indietreggiando.
«Allora vattene!»
«Me ne vado, ma non finisce qua!» e, ricoprendosi con il mantello, esce svanendo dalla stanza.

Il sonno della Calva Tettuta viene interrotto da un lieve tossicchiare. Gilda apre lentamente gli occhi, si stiracchia, si toglie la benda oscurante dagli occhi e rivolge un sorriso all’uomo che gli porge su un vassoio d’argento un bicchiere di acqua tiepida nel quale è stato spremuto uno spicchio di limone di Sorrento, un piccolo vaso di violette africane ed un cellulare acceso con una chiamata in attesa.
Gilda si siede, gettando uno sguardo al vicino infossamento nel materasso memory.
«Svengard è già andato a spaccar legna, James? Strano, non sento rumori»
«No signora, il signore è partito all’alba con il generale Po, sono andati a pesca di pesci siluro nel Ticino»
«Ha fatto bene a portare il generale, lui dovrebbe essere esperto di siluri. Ah, James?»
«Signora?» chiede il maggiordomo.
«Conosci un buon esorcista, per caso?»
«Appena discreto, signora. Ci si rivolse una mia cugina quando il marito iniziò a uscire di notte travestito da Platinette, ma riuscì solo a fargli fare una dieta dimagrante»
«Lascia stare allora, più tardi farò una telefonatina a Ladispoli» dice Gilda, pensando alla superiora del convento delle Suore della Carità del Beato Turoldo Cesanese del Piglio, la sua amica di gioventù Marisa poi diventata Suor Matilda². Poi dà un’occhiata interrogativa al cellulare, occhiata che James coglie immediatamente.
«Una telefonata dalla Francia, signora, ha molto insistito»
«A quest’ora, James? Mi sembra inopportuno. Ma chi è?»
«Il presidente della Talnone, signora. Dico di richiamare più tardi?»
Gilda scatta in piedi sul letto, rovesciando bicchiere e vasetto; abbranca il cellulare, preme il tasto verde e, con voce allegra, risponde:
«Jean? Ma che piacere… a che devo tanto onore? E’ una vita che non ti fai vivo… eri preoccupato per me? E perché mai, caro? No, nessuna difficoltà, chi mette in giro certe voci? Non potrebbe andare meglio, mio caro, a gonfie vele direi. Ma no, no, piccoli contrattempi, sai com’è la stampa, esagera sempre… un piccolo calo fisiologico dopo le feste… ma tu, piuttosto, ho visto che avete lanciato l’acqua in bottiglia Poisson, sarà un altro dei tuoi successi» lo adula Gilda rabbrividendo.
«Come dici? Se possiamo incontrarci? Ma naturalmente, perché, sei di passaggio qui in Italia? Ah, dici se posso venire io a Parigi? Bè, adesso su due piedi non so, dovrei controllare gli impegni… domani? Ah, ah, Jean, sei un birbante…» ride Gilda, immaginandosi Jean Biscuit, presidente della Talnone, ricoperto di Nutella.
«Se è così… urgente, come dici, farò in modo di liberarmi… facciamo alle 11? Bien alors, à demain Jean…»
Gilda poggia il cellulare sul vassoio e comincia a fare piccoli salti sul letto, canticchiando Bidibodibù Bidibodiye, infine con un balzo più grande scende dal letto ritrovandosi proprio di fronte al maggiordomo.
«Allerta Natascia e prepara le valigie, James» ordina strizzando leggermente gli occhi «e ricordati: non si fanno prigionieri.»

«Chico? Chico? E’ ora della merenda… Donde te escondiste, Chico?»
Arrivato vicino alla cucina, Miguel sente dei gridolini soffocati, dei piccoli bramiti, dei ruggitini: mette dentro la testa e vede una intera famiglia di koala ed un cucciolo d’uomo, abbracciati, assistere affascinati alla ventesima puntata di “Lacrime e laterizio”:
SUOR MIRANDA (tra sé) (E’ Rosa… Signore, dammi la forza…)
ROSA Sorella, per fortuna vi ho trovata!
SUOR MIRANDA Rosa, che ti è successo? Sei agitata… (Che capelli di seta…)
ROSA Sono confusa, sorella. Sento il cuore che scoppia dalla felicità, e ho paura!
SUOR MIRANDA E dunque cosa ti preoccupa, Rosa?
ROSA Io amo! Ma è male!
SUOR MIRANDA Come può essere male l’amore, se è la cosa più bella che ci ha donato il Signore? (Ho un brivido)
ROSA Ma io sono promessa a don Carlos!
SUOR MIRANDA Ah!
ROSA Eh!
SUOR MIRANDA Sventurata! E don Carlos è al corrente? (Quel vecchio caprone)
ROSA No, sorella… mi aiuterete?
SUOR MIRANDA Certo, figliola… ma vieni qua, sul mio seno, non piangere (Ammazza quant’è soda) … e chi fu a rubarti il cuore?
ROSA Ramon, sorella!
SUOR MIRANDA Ramon? Il carpentiere? (Figlio di buona donna…)
ROSA Capomastro, sorella, capomastro. Si sorella, Ramon… noi abbiamo… peccato!
SUOR MIRANDA Peccato, dici? Ma peccato… quanto? (Sta a vedere che l’ha data a quell’animale)
ROSA Quattro volte!
SUOR MIRANDA Ah!
ROSA Eh!

“Ah! Ah! Eh!” ripetono i koala, mentre Chico ride beato e una lacrimuccia bagna il ciglio del giardiniere.

Koala

¹ La Vedova Allegra di Franz Lehar, Atto Primo
² cfr. Ferragosto con Olena, 2019

30 pensieri su “Olena à Paris – 3

    • Ah, ah, si! Pensi che non ho mai mangiato la Bagna Cauda in vita mia… un mio collega piemontese mi ha invitato un sacco di volte alla sagra che fanno al loro paese, un enorme capannone dove servono esclusivamente bagna cauda… bisogna portarsi i vestiti di ricambio!

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    • Potrei dire che me le sogno di notte, ed in parte è vero, ma in realtà mi vengono in mente da sole, affiora un’ideauzza che sembra dire: questa ti va bene? Poi quelle troppo intelligenti le scarto, per non sembrare saccente, e lascio perlopiù le minc… ehm quelle più frivole, se mi fanno ridere però.

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